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Autore: Rika88    28/03/2008    3 recensioni
Gennaio 1945: in una Germania devastata, Alphonse Elric, arruolato per una guerra ormai persa, lascia i figli a casa del fratello Edward. Tuttavia, come Thomas e Charlotte Elric scopriranno presto, i problemi non si limitano alla difficile convivenza tra due caratteri troppo simili, come quelli del bambino e di Ed: l'abitazione e la libreria sotto di essa sono il fulcro di un movimento incessante e, forse, anche pericoloso.
Genere: Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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            6. La Mercedes nera.

 

L’appartamento dello zio era piuttosto ordinato, se si escludeva la sua scrivania: dato che non ci entrava praticamente mai, non aveva neppure occasione di rovinare il faticoso impegno settimanale di Margarethe. Il piano di lavoro, invece, benchè abbandonato da quando Edward passava buona parte delle giornate all’Istituto di Ricerca, sembrava sempre essere stato colpito da una tromba d’aria.

Quella mattina, per la prima volta dalla sera in cui avevo saputo della morte di Hanno, ero sceso dal letto col desiderio di fare qualcosa: visto che non avevo nessuna occupazione al piano di sopra, ero andato a vedere se riuscivo a mettere un po’ d’ordine nelle stanze sottostanti. Con gran gioia di Margarethe, immagino.

Lotte, che mi aveva seguito, si era seduta sul letto, ed era così interessata a qualcosa fuori dalla finestra da non badare minimamente a me che, sbuffando, avevo cominciato a raccogliere i fogli sparsi e a rimettere a posto gli oggetti di cancelleria. Non potei fare a meno di sentirmi un po’ in colpa verso di lei: nei giorni precedenti l’avevo trattata male ogni volta che provava a parlarmi, mentre ora desideravo ardentemente la sua compagnia. La sola idea di rimanere solo mi terrorizzava, come se non avessi passato gli ultimi giorni ricercando proprio quella condizione.

 - Tu hai già notato la macchina nera col soldato dentro? - mi chiese Lotte all’improvviso, sempre senza guardarmi.

 - Quale macchina nera? - brontolai distrattamente, prima di rendermi davvero conto di quel che mia sorella aveva detto - Come fai a saperlo? Tu non c’eri quando sono andato al laboratorio! -

Lei si voltò, socchiudendo gli occhi.

 - Io parlavo della macchina nera parcheggiata quasi tutti i giorni all’inizio della strada. C’è un soldato dentro. -

Sbalordito, balzai alla finestra, cercando di vedere l’angolo della via: ovviamente, non c’era nulla.

 - La vedo alla sera, quando sono in cucina con Margarethe e guardo dalla finestra. - mi spiegò la mia perspicace sorellina, con una nota paziente nella voce che, in altre circostanze, mi avrebbe irritato parecchio - Il soldato resta in macchina, e un altro uomo scende e svolta nel vicolo laggiù. -

Misi i fogli in verticale e li battei sulla scrivania per impilarli, ma continuavo a guardare fuori: il vicolo che Lotte stava indicando era quello in cui abitavano e avevano la panetteria i Lindemann.

 - Io ho visto una macchina nera, con un militare e un autista, la sera in cui sono andato a cercare Edward al laboratorio... - dissi, meditabondo - Ci era salita la signorina Steinglocke. -

 - Io l’ho notata solo da pochi giorni: lei non veniva già più a trovare lo zio. -

Davvero singolare, pensai, aprendo un cassetto per riporre il lavoro di Ed.

 - Una macchina che gira dopo il coprifuoco... strano. - commentai, tirando fuori una cartellina per i documenti. - Sarebbe... -

Mi interruppi, e allungai la mano verso quel che aveva attirato la mia attenzione.

 - Sarebbe cosa? -

Lotte mi si avvicinò, cercando di capire il motivo della mia interruzione: spostando la cartellina di cuoio nel cassetto, avevo rovesciato un sacchetto, da cui erano cadute delle monete.

 - Lo zio... nasconde dei soldi? - mormorai, sbalordito, inginocchiandomi per guardare meglio. Ne afferrai una per osservarla più da vicino, ma era molto consumata: l’unica cosa che si riusciva a leggere era parte della data di conio.

 - C’è un 33. - rilevò infatti mia sorella.

 - Il 1933, ovviamente. -

 - Come fai a sapere che non è più vecchia, Thomas? -

Feci una smorfia: a parte il fatto che Ed non mi sembrava un appassionato di numismatica, quell’oggetto, pur rovinato, sembrava avere molto meno di un secolo.

 - Questa è più chiara. - dissi, prendendone un’altra - Si legge anche la scritta intorno... un pochino, ma comunque non è un Reichsmark... aspetta... -

Mi spostai per sfruttare i primi raggi del sole che arrivavano nella stanza ancora piuttosto buia, costringendo Lotte a piegare il collo.

 - Repubblica di... non riesco a leggere, è troppo consumato... A... Amequalcosa. -

Fulminea, una mano d’acciaio si abbatté sul mio pugno, strappandomi di mano la moneta così violentemente da farmi male: voltandomi, mi trovai davanti un Edward Elric bianco come uno straccio e palesemente alterato. Dall’altezza in cui mi trovavo, anche lui riusciva ad avere un aspetto imponente.

 - Cosa state facendo? - gridò, fuori di sé.

Charlotte schizzò a nascondersi dietro la mia schiena, lasciandomi implicitamente il compito di scusarmi. Cosa che non sono mai stato capace di fare.

 - Perché tieni soldi stranieri nel cassetto? - domandai infatti, alzandomi per guadagnare centimetri - Non sai che è pericoloso? -

 - Non provare a farmi la predica, razza di impiccione! -

 - Sono americani! - esclamai, indicando le lettere che eravamo riusciti a leggere. - Già ti accusano di essere una spia, cosa succederebbe se qualcuno mostrasse queste alla polizia politica? -

Lui, se possibile, sbiancò ancora di più: per la prima volta, ebbi davvero paura che mi schiaffeggiasse. Dalla porta comparve Margarethe, spaventata dal baccano, ancora con la borsa in mano.

 - Non sono americani. - ringhiò. - E adesso filate in camera vostra! Subito! -

* * *

 

Mentre raccoglievo la moneta che Thomas aveva lasciato cadere e la osservavo, Edward si sedette sul letto, chiudendo il cassetto con un gesto brusco. Credo che si fosse trattenuto dal tirargli un calcio solo perché c’ero io.

In condizioni normali, quello sarebbe stato l’ultimo momento che avrei scelto per parlargli, ma non potevo farne a meno. Così, appoggiai la borsa con cui ero appena rientrata dalle commissioni per terra, e gli battei la mano sulla spalla per attirare la sua attenzione.

Lui non alzò gli occhi dalle mani, in cui lasciai cadere il piccolo oggetto incriminato.

 - Lo so. - disse - Stai per farmi notare che non devo lasciare in giro oggetti potenzialmente pericolosi, e che se lo faccio non devo lamentarmi se altri li trovano. -

Scossi la testa, anche se lui probabilmente non se ne accorse. Aveva l’aria esausta, anche se era appena metà mattina.

 - Comunque, non sono soldi americani. -

L’avevo intuito: non ci sarebbe stato scritto solo America, ma United States of America.

Ed lanciò la moneta un paio di volte, afferrandola al volo con la protesi: la sua stanchezza non aveva nulla di fisico, sospettai, ma doveva provenire da un’angoscia interiore.

 - ‘33... - mormorò, perso in qualche meditazione.

Aggrottai le sopracciglia.

 - Non sono americani. - ripeté, alzando il volto per guardarmi - E sono assolutamente inutili, qui. -

Pronunciò la parola come se qui fosse un luogo immensamente distante da quello da cui proveniva il piccolo oggetto di metallo; lo stesso tono di voce, ricordai, che usava le pochissime volte in cui parlava del posto da cui proveniva. Perché, ormai non avevo dubbi, quelli erano i soldi del suo Paese, qualunque esso fosse.

Bizzarro: Edward viveva con me e mio padre da anni, ma di lui sapevamo pochissimo e, sebbene fosse chiaro che non era tedesco, non avevamo mai capito da dove venisse esattamente; anche quella moneta non sembrava provenire da uno Stato di questo mondo.

Ammetto che non ero del tutto immune dalla curiosità, ma in quel momento c’era qualcosa che mi preoccupava di più dei segreti di Edward Elric:

Wilhelm vorrebbe parlarti., gli comunicai.

Non sembrò colpito dalla notizia:

 - Parlare con me? - chiese ottusamente, con voce atona. - Perché? -

Non potei rispondere, perché io stessa non sapevo cosa fosse successo: Willi mi aveva trattenuta nel retro della panetteria, parlando velocemente e continuando a guardarsi intorno.

 - Devo vedere il signor Elric. - aveva balbettato, come se avesse improvvisamente disimparato a parlare - Chiedigli di venire subito, è importante. Molto importante. -

Edward non sembrò provare lo stesso interesse che avevo provato io: si alzò come se fosse l’ultima cosa che desiderasse e aprì distrattamente l’armadio per prendere soprabito e cappello.

Non poteva trattarsi solo dei bambini; aveva commesso una grossa leggerezza, è vero, ma non era successo nulla di irreparabile. Il motivo della sua espressione doveva essere un altro.

Difatti, prima di uscire, Ed si fermò sulla soglia. Non si voltò verso di me e parlò a voce bassissima, ma capii ugualmente ogni sillaba:

 - Mio fratello è sulla lista dei dispersi. Non dirlo ai ragazzi. -

* * *

 

In effetti, non ho idea del perché ne parlai con Margarethe: avevo deciso di tenere la cosa per me, ed evitare di spaventare gli altri - i miei nipoti soprattutto -, ma, forse, la verità è che volevo condividere con qualcuno quel peso. La notizia della sparizione di mio fratello mi aveva riempito di un’ansia molto maggiore di quella che avevo provato quando lo avevo visto partire per il fronte.

Disperso, continuavo a ripetermi mentre camminavo, accorgendomi appena della gente che cominciava ad uscire per strada.

Cioè scomparso, sparito, forse... forse morto... strinsi i pugni e tentai di allontanare quel pensiero.

Quel giorno non sarei andato a lavorare, decisi: non avevo la minima voglia di vedere quel laboratorio in cui aveva lavorato lui per così tanti anni...

... ma no, non potevo starmene a casa. Oltre ad essere sospetto per i ragazzi, sarebbe stato il modo più veloce per impazzire.

L’unica cosa che desideravo fare era correre a cercare Al: ed era anche l’unica cosa che non potevo fare, naturalmente. La sensazione di impotenza mi stava soffocando. Mi ritrovai a pensare, senza sapere bene come, che forse anche il mio fratellino si era sentito così, più di vent’anni prima, quando ero finito in questo mondo e l’avevo lasciato solo.

Appena svoltato l’angolo, vidi la fila di persone in coda per il pane, e mi resi immediatamente conto che, se Wilhelm era dietro il bancone, parlare con lui non sarebbe stato poi così facile.

Per fortuna, anche il ragazzo doveva averlo messo in conto, perché distinsi a fatica la sua capigliatura riccia dalla parte opposta della via, oltre le teste dei clienti; ignorando le proteste, oltrepassai la fila e mi avvicinai a lui.

 - Non potevi metterti in qualche posto in cui fosse più facile vederti? - brontolai.

 - Mi scusi, di solito lì va bene quando aspetto mia madre... Non avevo calcolato che lei è più bas... -

 - CHI SAREBBE IL NANETTO CHE... - vedendolo impallidire, lanciando occhiate terrorizzate a coloro che si erano voltati nella nostra direzione, smisi di urlare e mi costrinsi alla calma.

 - Preferirei parlarle in un posto tranquillo. - pigolò lui - Potremmo andare a casa mia? -

 

 - Mio nonno non c’è. - m’informò, chiudendo la porta d’ingresso alle nostre spalle.

 - Lo immaginavo. - risposi, guardandomi intorno.

Wilhelm mi aveva condotto nella cantina in cui, l’ultima volta, non avevo avuto il permesso di entrare; ora che la vedevo, non potevo fare a meno di notare che era leggermente più piccola di quella dei Meyer, e con un diverso genere di caos: al posto dei libri e delle cianfrusaglie degli ex-antiquari, c’erano parecchi sacchi e qualche cassa di legno, su cui il ragazzo mi invitò a sedermi. Rifiutai, perché non volevo ricevere i soliti rimproveri di Margarethe per aver sporcato i pantaloni.

 - Spero di non averla spaventata, signor Elric, ma potrebbe essere una questione di vita o di morte. -

 - Non mi spavento molto facilmente. - ribattei, guardandolo percorrere a grandi passi la cantina.

 - Quello che le sto per confessare la farà sicuramente infuriare, ma la mia coscienza me lo impone. -

Accidenti, pensai. Questo ragazzo ha letto troppi romanzi.

 - Sono tutto orecchi. -

Si fermò, poco prima che mi venisse il mal di mare, e prese un profondo respiro.

 - Poche settimane fa non ho passato la visita di leva, e questo ha spinto... - si interruppe per alcuni istanti, le labbra che tremavano - ha spinto mio fratello Hanno ad arruolarsi. -

 - Sai benissimo che non è stata colpa tua per quello che è successo. - ripetei per l’ennesima volta, cercando di suonare pacato. Non sentivo davvero il desiderio di parlare dei fratelli di nessuno, sapendo... o meglio, non sapendo quel che era successo al mio.

 - Herr Elric, lei non può non essersi accorto che dall’inizio dell’anno sono stati richiamati al fronte persino i vecchi che combatterono nella Grande Guerra e i quindicenni della Gioventù Hitleriana. - ribatté, e la sua voce per la prima volta suonò acida - Crede davvero che mi avrebbero riformato per una sciocchezza come i polmoni deboli? -

La logicità di quell’affermazione mi lasciò di sasso.

Rimasi a bocca aperta, e fu come vedere Wilhelm Lindemann per la prima volta: il ragazzo mi stava di fronte a gambe larghe, con i pugni stretti e uno sguardo duro che non gli avevo mai visto. Era incredibile pensare che quello fosse lo stesso giovanotto riservato che avevo conosciuto.

 - Signor Elric, - riprese, parlando velocemente, - quel giorno mi fu promesso che non sarei andato in guerra se avessi fatto un favore a certa gente. Dovevo tenere d’occhio i suoi movimenti, e riferirli. -

 

Credevo che quel giorno niente potesse distrarmi dal pensiero di Al.

Era evidente che mi sbagliavo.

Per parecchi istanti, riuscii solo a guardare il ragazzo, senza capacitarmi appieno di quel che mi aveva detto; Wilhelm, d’altro canto, aveva perso tutta la sua sicurezza, tornando ad essere il giovane timido dagli occhi spaventati.

Quando compresi esattamente la gravità della sua confessione, mi invase una rabbia tale da annebbiarmi la mente: scattai in avanti, afferrando Willi per il colletto e scuotendolo con tanta violenza da fargli battere i denti.

 - Chi? - gridai - Chi è questa gente? Come comunichi con loro? Parla! -

 - Non lo so! - piagnucolò terrorizzato - Era un militare... un ufficiale, credo. Alcune sere viene qui con un’auto nera... una Mercedes... signor Elric, la smetta, la prego! -

Lo lasciai andare.

 - Un ufficiale viene qui, senza che nessuno lo noti? - obiettai.

 - Parcheggiano la macchina all’inizio della strada, ed è l’autista a scendere. - ansimò Wilhelm, arretrando di alcuni passi. - Vuole sapere se lei va da qualche parte, se vede qualcuno... mi aveva chiesto di scoprire qualcosa sulle sue ricerche, ma per quello non ho potuto dire nulla. -

Mi lasciai cadere su una cassa, passandomi le mani tra i capelli.

Ormai era chiaro: qualcuno mi aveva tenuto d’occhio attraverso Wilhelm Lindemann. Poi aveva contattato Hedwig, per tentare di arrivare direttamente a me, oppure perché la sorveglianza del figlio del panettiere era insufficiente, impossibile stabilirlo. Dunque, doveva almeno essere a conoscenza delle mie frequentazioni, e avere un’idea ben chiara di come servirsene a proprio vantaggio.

Per ventidue anni non ne avevo sentito parlare, ma sarebbe stato ingenuo pensare che la Società di Thule fosse sparita nel nulla.

 - Herr Elric... -

 - Grazie. -

Quando alzai gli occhi, il volto di Wilhelm esprimeva sorpresa allo stato puro.

 - Non dev’essere stato facile dirmelo. -

Una parte di me desiderava ancora strozzarlo, ma sarebbe stato crudele recriminare.

Il figlio del panettiere parlò senza avvicinarsi:

 - La mia vigliaccheria ha già condannato a morte mio fratello. -

 - Non potevi sapere cosa avrebbe fatto. - replicai, alzandomi in piedi. Non avevo smesso di pensare al modo in cui il misterioso ufficiale potesse sapere di me: era uno degli appartenenti alla Società di Thule che avevo incontrato nel ’23 o un nuovo membro? E in quest’ultimo caso, come aveva saputo di me?

 - Wilhelm, ti hanno mai chiesto qualcosa in particolare su di me, o volevano solo conoscere le mie abitudini? - tentai, senza troppa speranza.

 - Insistevano per sapere delle sue ricerche, all’inizio. Però mi hanno anche chiesto se l’ho mai vista fare qualcosa di... - si interruppe, indeciso sulla parola da usare - insolito. -

 - “Insolito” in che senso? -

 - Beh... - il ragazzo arrossì - anche a me sembrava assurdo, ma mi hanno chiesto se ho mai avuto l’impressione che lei sapesse fare qualcosa di... innaturale. -

Davanti a quell’affermazione, non potei trattenermi: scoppiai a ridere, incurante della sorpresa del mio interlocutore.

Incredibile, pensai. Quegli idioti stanno dando la caccia a Mago Merlino!

 - Mi hanno anche chiesto delle sue protesi. -

Smisi all’istante di sghignazzare.

Hedwig le aveva viste, è vero. Ma qualcuno più esperto in medicina aveva avuto l’opportunità di esaminarle più da vicino.

Un ufficiale dell’esercito, guarda caso.

 - Wilhelm, un’ultima cosa: - ribattei - è possibile che l’ufficiale della Mercedes nera fosse lo stesso che ti ha fatto la visita di leva? -

Lui socchiuse gli occhi, meditando:

 - Non posso esserne sicuro. - ammise - Il soldato sulla macchina non l’ho visto bene: ho notato l’uniforme verde, e vagamente le mostrine. -

 - Il medico era un maggiore alto più o meno come me, con i baffi biondi?- domandai a bruciapelo.

 - Un tenente colonnello, ma in effetti aveva i baffi. Non conosco il suo nome. -

Sospirai. In cinque anni, poteva essere salito di grado.

* * *

 

Ed entrò in casa come una furia, ma per una volta non ce l’aveva con me. Senza una parola, aprì la stufa e vi gettò dentro tutti i fogli che avevo tolto dalla sua scrivania al piano di sotto.

Li guardò bruciare con aria imperscrutabile, mentre io, Lotte e Margarethe eravamo rimasti immobili, troppo sorpresi per fermarlo. Dopo alcuni interminabili minuti, si alzò:

 - Vado a lavorare. - annunciò, come se nulla fosse.

Era ufficiale. Edward era completamente uscito di senno.

* * *

 

La Mercedes nera era di nuovo parcheggiata del cortile della grande casa a due piani in cui ci trovavamo: riuscivo a distinguere le tracce lasciate dalle ruote sulla ghiaia anche dalla finestra da cui stavo guardando, su nella soffitta.

 - Capitano? -

Non distolsi lo sguardo dalla finestra: oltre il giardino e i cancelli in ferro battuto della villa, si stendeva la campagna bavarese, con le sue stradine bianche, le casupole solitarie e i colori ancora invernali, anche se un timido sole che sbucava a fatica dalla cappa di nuvole grigie bastava a rallegrarmi come un bambino.

Non mi trovavo più sul Reno, e questa era già un’ottima notizia.

 - Capitano? -

Alla fine, mi voltai verso l’uomo che tentava di attirare la mia attenzione, accettando il piatto di minestra fumante che mi offriva:

 - Avrebbe dovuto restare ancora a letto. - brontolò non appena fu certo che lo stavo ascoltando

 - Letto? - sorrisi, lanciando un’occhiata divertita al vecchio materasso buttato per terra, su cui era distesa una coperta militare. - Grazie, Ernst, ma preferisco stare in piedi. Ormai sono guarito, e non ho più la febbre. -

 - Almeno non sforzi il braccio... Vuole unirsi a noi per il pranzo? -

Guardai alle spalle del gigante biondo, dove altri due soldati semplici divoravano avidamente la stessa zuppa. Ad un altro ufficiale e in condizioni normali non lo avrebbe mai proposto, ma la nostra situazione era tutto tranne che normale.

 - Arrivo subito. -

 - Dovrebbe sbrigarsi a mangiare, perché fredda fa schifo. - brontolò ruvidamente il mio commilitone, con un fare paterno che mi divertì - Cosa c’è di così interessante là fuori? -

 - Tra poco sarà primavera. - risposi semplicemente.

 - Pensavo guardasse l’auto del colonnello Holze. -

 

Pensierino della buonanotte: per non farvi sentire troppo la mancanza di Hedwig (eh, come no!), in questo capitolo si rimescolano ancora le carte, e salta fuori anche uno scheletro nell’armadio di Ed che già si intuiva quando abbiamo visto comparire un auto-mail che non avrebbe dovuto esserci...

Ormai ci si deve rassegnare: la pace in casa Elric (se “pace” si può chiamare...) è finita.

 

            Selfish: visto? Tutti odiate Hedwig, ma non potete fare a meno di speculare su di lei! Oh oh oh, non sapete quanto ne sia felice... come donna è impossibile, ma come personaggio mi dà tantissime soddisfazioni. Per ora non è chiaro se amasse Ed o no, perché non sappiamo bene chi abbia mollato chi: aspetta e continua a leggere, tutto si spiegherà tra poco.

Sono contenta di averti fatto rivalutare Winry (caspita, ma quanto è diventata carina nel film? Va bene che anche Ed è stato migliorato -cosa che non credevo possibile, ehm ehm ehm-, ma lei è si è davvero fatta una gran bella ragazza!), ma temo di non poterti aiutare per quanto riguarda Edward e le sue... ehm... attività in campo riproduttivo: la mia fantasia non si è allontanata troppo dalla trama, quindi non ho idea dell’esperienza in campo amoroso del Fullmetal Alchemist al di fuori di questa. Dunque, sei libera di immaginare gli anni tra il 1923 e il 1945 come più ti aggradano... ma non esagerare, o Ed mi scappa nel magazzino e devo perdere ore a snidarlo!

Per il Portale, io dal film avevo inteso che Ed, Al e Roy avessero cancellato i cerchi alchemici, ma che il Portale non si possa distruggere, visto che, come diceva Hohenheim, ognuno ha un Portale dentro di sé. Il problema sarà stato per gli Elric scrostare il soffitto della villa della Società di Thule senza alchimia...

            Yolei87: Ed mi fa sapere che la Schneider sarà simpatica a te, ma lui ritiene che l’aggettivo cornacchia sia fin troppo gentile per un’arpia simile.

Piuttosto, non ho capito la parte del commento relativo a Hanno: cioè, doveva morire il panettiere? E come lo giustificavo ai fini della trama? E, soprattutto, a cosa sarebbe servito? Non credo che la morte di Johann Lindemann possa scuotere la coscienza di Thomas, a meno che il bambino non creda che la folgore divina abbia colpito il vecchio... cosa piuttosto improbabile.

            KuRoNeKoChAn: Hedwig non ha esattamente “venduto” Ed: per quel che lui può supporre, deve aver parlato delle sue conoscenze a qualcuno della Società di Thule, credendo che l’amico/fidanzato sarebbe stato felice di poter guadagnare qualche soldo in più. Hedwig è una donna molto materiale, il suo concetto di felicità include una vita comoda e sicura, con tutti i piccoli lussi a cui è abituata.

            Siyah: no, non mi sei sembrata critica, anzi, la tua curiosità mi ha fatto enormemente piacere: solo che, per rispondere esaurientemente al tuo commento, dovrei raccontarti più o meno mezza fanfiction a venire. Perciò scusa, ma dovrai aspettare: ci sono molti eventi che ancora non conosci, o che puoi appena intuire. L’unica cosa che posso spiegarti, è la più banale: Ed porta ancora la coda perché mi sono accorta che, se avessi detto che si era tagliato i capelli, io stessa non riuscivo a figurarmelo, quindi probabilmente non ci sarebbe riuscito neppure chi legge. Ho dovuto piegarmi ad una delle tante forzature dell’anime (la Società di Thule, per esempio, non avrebbe mai tentato di uscire alla luce del sole, proprio perché era una società segreta: inoltre, non accettava donne). Se ci pensi, quando comparvero i “capelloni”, gli hippies, tra gli anni Sessanta e Settanta, erano considerati delinquenti solo per i capelli lunghi: quindi, figurati che effetto potevano fare degli uomini come Hohenheim ed Edward stesso, nella Germania degli anni Venti o, ancora peggio, Quaranta!

Per il comportamento di Ed, ho tentato di seguire il più possibile l’anime, con qualche licenza: il suo idealismo, il non voler scendere a compromessi, sono insieme il suo tratto migliore e peggiore. Ovviamente, questo non rende la vita facile nella Germania nazista. Per l’adattamento pari a zero, oltre a tutto ciò che non posso dirti, conta che Edward non avrebbe voluto tornare nel nostro mondo: lo ha fatto perché riteneva suo dovere farlo, ma ventidue anni di ripensamenti non lo hanno proprio aiutato a rinforzare la sua decisione. Soprattutto contando che nel frattempo ha scoperto che la supposta “amicizia” con Winry non era proprio una semplice amicizia. Al, invece, è venuto da questa parte del Portale perché ha deciso di farlo, per seguire il fratellone; probabilmente aveva molti meno rimpianti di lui, e crescendo è riuscito a sposarsi con una donna che amava sinceramente, e a crearsi un futuro indipendente da Amestris e dai suoi abitanti, slegandosi anche parecchio dal fratello maggiore; immagino gli manchi il suo mondo, ma riesce a non pensarci (e con Thomas come figlio, non è difficile...).

Edward ha tentato di lavorare, ma è stato buttato in strada e umiliato nella cosa che sa fare meglio. Ha tentato di costruirsi una famiglia, ma si è trovato ad inseguire una chimera, la copia della donna che davvero amava. Forse è stato anche sfortunato, ma senza dubbio è quello che ha perso di più abbandonando il suo mondo.

A proposito, il litigio tra Ed e Hedwig è stato un incontro tra tutti i loro peggiori difetti: lei è frivola e venale, lui impulsivo e testardo. E ingenuo: decisamente non aveva capito che quella che lui considerava un’amicizia un po’ più intima del normale era vista dalla controparte femminile come qualcosa di molto più serio.

                Kogarashi: grazie, davvero troppo gentile. Scrivo perché mi diverte e mi rilassa, e sono felice che la mia fanfic piaccia anche ad altri, nonostante non segua i topoi delle ff della sezione di Fullmetal Alchemist.

   
 
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