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Autore: Sotalia    28/03/2008    1 recensioni
Un assurdo seguito del settimo libro, un po' amaro e molto intricato. Ho mescolato l'azione all'approfondimento psicologico dei personaggi. Perchè i sogni vivono per sempre...
Genere: Romantico, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ginny Weasley, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 12

CAPITOLO 12

 

QULLO CHE SAREBBE DOVUTO ESSERE E QUELLO CHE SARA’

 

Si scoprì a non voler ascoltare oltre. E a che sarebbe servito, dopotutto? Erano passati due mesi e mezzo da quando Harry era scomparso nel nulla. Due mesi e mezzo di ricerche, paura, calunnie messe a tacere, discussioni, giornalisti invadenti, tentazioni, dubbi, rattoppamenti. Ed erano passati quarant’anni, o quasi, da quando con il naso sporco si era seduto nello stesso scompartimento di un bambino solo, tutto trepidante nel conoscere un mito. Harry aveva la sua stessa età. Ed era famoso. Era l’incarnazione di tanti desideri sempre preclusi. Un bambino rispettato e onorato persino dai grandi. Cos’era a differenziarlo da lui? Era stata un’occasione. Ma un’occasione sarebbe capitata anche a lui, e lui l’avrebbe colta, e lui sarebbe stato rispettato da tutti. Anche dai grandi.

Presto alla semplice ammirazione era subentrato un timido sentimento di amicizia. Ma era stato in breve tempo che il loro legame era stato contaminato dall’invidia, ultimo residuo di quell’antica ammirazione che l’aveva portato ad avvicinarsi al celebre Harry Potter. E se anche l’affetto permaneva, gli era risultata sempre più difficile l’accettazione di quella presenza accanto a sè. Il suo affetto sarebbe sopravvissuto a qualunque cosa, ne era certo, ma anche l’insofferenza. E forse le due cose un giorno avrebbero portato all’annullamento di uno di loro due.

Harry era sempre stato lì, inconsciamente superbo, inconsciamente dedito solo a sè stesso. Veniva da chiedersi se i loro sentimenti fossero mai stati davvero puri, e non dettati dall’egoismo. Era sempre stato lui, Ron, a tornare da Harry. Non era mai accaduto il contrario. Mai che Harry avesse accettato di non essere l’unico protagonista di sè stesso. A muovere Harry erano sempre stati soprattutto rabbia, vendetta, una lealtà dettata più da egoismo e senso del possesso che da vera dedizione. Aveva mai visto Harry compiere un atto d’amore, di affetto, di amicizia? La cosa più dolce che gli avesse mai fatto era stata accettare le sue scuse, una vaga espressione di trionfo sul volto. Gli unici momenti in cui il cuore di Harry si era aperto era stato quando qualcuno stava per scomparire. Sirius. Ma quando si era trattato di un semplice sforzo di umiltà, quando si era trattato di accettare la parità di qualcun altro, mai. No si era mai fatto avanti.

A che erano serviti tutti i loro sforzi se Harry in quel momento se ne stava lì, a pretendere nella sua tranquillità la ragione, il rispetto? In base a cosa pretendeva che lo perdonassero immediatamente? Forse non si rendeva conto che avevano pensato che gli fosse successo qualcosa? Che avevano avuto paura per lui? Che avevano avuto paura che fosse diventato pazzo? Che si fossero dovuti affannare per, salvando le apparenze, salvare la sua posizione e fare in modo che nessuno interferisse con le ricerche? Non si rendeva conto che avevano dovuto spiegare a un bambinetto di dieci anni perchè il papà se n’era andato senza salutare?

Ma dopotutto, a Harry cosa importava? Da sempre da dietro le quinte tutti loro si sacrificavano per lui, e eccettuati gesti eclatanti e melodrammatici Harry non aveva fatto mai mostra di apprezzarlo. Nemmeno di rendersene conto, per Dio.

Ron si allontanò dalla porta da cui aveva origliato.

Harry continuava a parlare.

Gli altri ascoltavano, in silenzio.

 

Harry, ora sei qui, davanti a me. Dove eri andato? Perchè mi hai lasciato qui sola con un bambino a cui dare spiegazioni quando ero io ad aspettarmi spiegazioni da te? Non un cenno, niente, in due mesi, che ci abbia permesso di sapere se stavi bene, se eri vivo. Non mi hai detto nulla. A me. Non hai detto nulla a Ginevra Weasley. A tua moglie.

Come se l’avessi mai fatto... Come sempre, mi hai tagliata fuori. Ho sempre partecipato solo del tuo mondo più superficiale, nonostante tutti i miei tentativi di andare a fondo, di conoscere la tua intimità. Non me lo hai mai permesso. Quando stavi male l’unico conforto che mi hai dato l’opportunità di darti è stato il silenzio. La mia vicinanza silenziosa. A volte avevo paura di farti delle confidenze, temendo che ti aspettassi che come te mi tenessi tutto dentro. Ma io ti amo. Io ti amo! Credevo che l’amore sarebbe stato uno scambio, un sostenersi reciproco, ma forse è stata un’idea troppo ingenua, troppo banale.

Per averti ho aspettato tanto, sapendo che tuttavia eri così vicino, magari nella stanza accanto a parlare con Hermione e Ron. E io da sola, cercando di catturare qualche parola, cogliendo solo risate. Le vostre. Quanto ho aspettato e quanto ho sofferto prima di potervi unire le mie. Ma con me non sei mai entrato in confidenza come con loro. Io avevo i tuoi baci, loro il tuo cuore e la tua mente. Quando sei partito a cercare gli horcrux io ho aspettato, come nei vecchi film le donne aspettavano ansiose e passive che il loro uomo tornasse dalla guerra. Ma ti rendi conto? Ti rendi conto? Loro erano con te, e io ho passato ogni mio singolo giorno cercando disperatamente di sentire qualche notizia su di te alla radio. Ma sentivo solo il tuo nome, invocato da tante voci. Tante voci, ho sentito, sì, ma non la tua. Loro erano con te. Mi hai detto di volermi proteggere. Davvero? Magari nemmeno te ne sei reso conto, ma volermi proteggere è stata la cosa più egoista che tu abbia mai fatto. O forse pensavi che nella fine, nel momento più importante della tua vita, io fossi di troppo. Non so... So che mi ami, a tuo modo. Ma so anche che dopo tutti questi anni, nascosta dietro il mio sorriso e la mia sicurezza, continuo a sentirmi a disagio quando vi vedo tutti e tre insieme.

 

Riecco i tuoi capelli neri neri, leggermente ondulati, ciò che resta della vecchia zazzera indomabile. I tuoi occhi verdi. Quella piccola ruga sotto gli occhi, il tuo modo di aprire le labbra quando parli. I tuoi occhi vigili eppure estraniati, in un modo di cui ho letto tante volte ma che finora ho visto solo in te. Perchè te ne sei andato? Perchè ci hai tolto tutto questo? Per due mesi sei stato lontano, e già temevo di stare scordando il tuo volto, già temevo che rivedendoti non avrei saputo seguire i tuoi gesti e le tue espressioni come fanno gli amici: in quel modo come se si ascoltasse una musica familiare su cui l’orecchio sa focalizzarsi. Solo gli amici sanno sintonizzarsi sui movimenti della testa e sulla voce come su una stazione della radio. Io e Ron siamo i tuoi amici, Harry. Eppure avevo paura di non riuscirci più. Perchè stavi svanendo così presto? Non avevi il diritto di strapparti a noi in modo così arrogante. Ti stavi dando a qualcun altro? E con quale diritto? Tu non hai il diritto di disporre di te stesso, Harry. Solo una persona completamente sola è completamente libera. Ad un certo punto della propria vita non abbiamo più il diritto di essere gli unici padroni di noi stessi, anche se possiamo scegliere chi lo sarà con noi. Io ho scelto Ron, ho scelto Ginny, tutti loro, e ho scelto anche te. E ho sempre creduto che tu avessi scelto me.

Non hai la minima idea di quanto sia stato difficile. Credevo di dimenticarti. Ma tu ricordati una cosa: se lo avessi fatto sarebbe stato unicamente perchè lo avevi scelto tu. E ormai temo che sia troppo tardi. Temo che, indipendente da me e da te, presto ti dimenticherò, presto non saprò sintonizzarmi più bene su di te. E io non ascolto la radio se il suono è distorto. Ma questa non è più una cosa che dipende da te, nè da me.

 

“Zio Ron, dove vai?”

L’uomo dai capelli rossi si arrestò sull’ultimo gradino delle scale osservano sgomento quel bambinetto davanti a lui. Era così piccolo, troppo per la sua età. Era un po’ figlio di tutti loro. L’ultimo bambino.

Lo superò e afferrò il suo cappotto. Si schiacciò un cappello marrone sui capelli di quel colore notevole, colore tuttavia negli ultimi anni un po’ sbiadito.

“Esco, ciao Sirius.”

Prima di muoversi lo guardò ancora. Chissà perchè quel ragazzino era tanto in grado di metterlo in soggezione. In quello sguardo ingenuo c’era una vitalità vivida che incantava chiunque. Se lo guardavi dritto negli occhi non potevi fare a meno di provare un certo turbamento.

“Ciao” ripeté.

Aprì la porta.

La richiuse e Sirius lo vide allontanarsi dalla finestra appannata per l’umidità.

Per un attimo i rumori della strada si erano riversati in casa.

 

“E’ così che è successo tutto. In verità è molto semplice. Delle persone che sono state uccise da Voldemort alcune hanno avuto la possibilità di tornare alla vita per un certo tempo attraverso di me. Credo che fosse dovuto all’azione della pietra della resurrezione combinata alla mia cicatrice, che istituiva un legame tra me e Voldemort. La cicatrice ha svolto da catalizzatore e la forte influenza che la pietra aveva su di me ha fatto in modo che avvenisse il passaggio”

George si staccò dal muro. “E come mai alcuni, come Sirius e Fred, sono tornati così e non possedendoti?”

“Sai, è sempre stato un mio recondito desiderio possederti, ragazzo mio” se ne uscì Fred, chinando la testa in uno spiritoso occhiolino allusivo in direzione di Harry.

Harry sorrise, sollevato.

“Questo non lo so”. Scrollò le spalle.

“Bene” lo interruppe secca Ginny. “Hai finito? E’ tutto qui quello che hai da dirci?”

Harry sollevò lo sguardo sulla moglie. Il pallore che aveva dato un aspetto inconsueto al viso della donna aveva lasciato spazio a un vago rossore acceso, decisamente più tipico di lei, energico. Era bello vederla così ardente. Eppure qualcosa non andava.

“Sì, ho finito. Mi dispiace non potervi dire di più. Fidatevi di me. Abbiate pazienza, come siete riusciti a fare fin’ora”

 

Non poterci dire di più. Fidarsi. Come abbiamo fatto fin’ora. Ma che ne sa lui di quello che abbiamo fatto fin’ora? Che ne sa di quello che abbiamo passato? Delle litigate con un Ron sempre più instabile e frustrato? Dell’incapacità di gestire la nostra vita e la scomparsa di un amico? Che ne sa della paura? Che ne sa della responsabilità?

Ginny e Hermione si guardarono fugacemente. Avevano la netta sensazione di aver pensato esattamente la stessa cosa.

“Non puoi dirci di più.. E che vuol dire avere pazienza? Vuoi dire che ancora non è finita questa storia?” gli chiese brusca Ginny. George e Fred la guardarono preoccupati.

“No. C’è ancora gente”

“Ah, ma certo!”esclamò Ginny, finalmente manifestamente furente. Si liberò dalla stretta di George sul polso.

“C’è sempre posto in te per della gente che nemmeno sai chi è.. E per noi, Harry, il posto per noi dov’è?”

Ma perchè Ginny non capiva? Era il suo dovere. Era la sua coscienza che lo legava a Voldemort, molto più che la sua cicatrice. Doveva riscattarsi delle persone che per colpa sua e per lui erano morte. Ma tutto questo lo pensò. Non lo disse.

“Devi assumerti delle responsabilità, Harry!”

“E’ proprio per questo che devo farlo! Mi sono assunto una responsabilità seguendo la mia coscienza di Bambino-che-è-sopravvissuto!”

“E la tua coscienza di marito? Di amico? Di padre?”

“Voi potevate fare a meno di me per un po’ di tempo!”

“E hai ragione, perchè in tutto questo tempo abbiamo dovuto imparare per forza a fare a meno di te!”

“Io vi ho sempre protetto!”

“Già, come può fare un auror! Ma eri tanto compreso nel tuo ruolo di paladino della giustizia che non hai mai pensato alle responsabilità emotive nei nostri confronti!”

“Ma hai idea di tutto quello che ho passato? Ho sempre tenuto tutto dentro, per non caricarvi di qualcosa di terribilmente grande!”

Ginny uscì dalla porta, in silenzio. Dopo un’occhiata imbarazzata Fred e George la seguirono. Hermione esitò. Era affranta. Non osava alzare lo sguardo. Le lacrime le rendevano lucido il mento. Se ne andò.

Harry era rimasto con Sirius. Solo con Sirius.

 

 

 

 

  
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