Aprii gli occhi. Tutto era buio, era sfocato, privo di un senso. Delle chiazze bianche si muovevano intorno a me incessantemente, senza meta, indefinite. Il buio lentamente lasciava posto a qualche chiazza di luce e colore indistinta, tutto si muoveva vorticosamente intorno a me, ma fui colto da una sensazione di rilassatezza. Pensai che quelle figure bianche fossero angeli, pensavo di essere in paradiso. Lentamente cominciai a riacquistare l’udito, anche se i miei muscoli ancora non ne volevano sapere di rispondere. Sentii delle parole, dapprima confuse, come se fossero dette in una lingua diversa dalla mia, da voci nuove e straniere, mai sentite prima. Qualche parola cominciò ad avere senso. Miracolo, altro mondo, miglioramento. Sì, dovevo decisamente essere in paradiso. Il cervello cominciò a recepire anche gli stimoli olfattivi, sentivo un odore leggero, fatto di morbidezza e pulizia. Lentamente, iniziai a percepire anche una nota di sangue. Di alcool. Di medicine. Un’altra parola nota pizzico i miei timpani: morfina. L’odore di ospedale mi riempì le narici, i discorsi dei medici si delinearono nelle mie orecchie sempre meglio definiti. Ma nessun miglioramento visivo: restavano delle chiazze bianche che mi ronzavano intorno. Forse era l’inferno, ma mi convinsi di no: ero in ospedale. Non ricordavo come ci fossi finito né per quale motivo. Poco a poco ripresi sensibilità, quanta basta per capire che avevo una flebo nel braccio, un respiratore artificiale, un’ampia fasciatura per la spalla sinistra e il braccio destro ingessato. Dai discorsi dei dottori, dovevo essere rimasto incosciente per qualche giorno, e ora finalmente avevo aperto gli occhi. Già, li avevo aperti fin da subito, eppure non riuscivo a vedere. Non capivo. Ma le domande che mi ronzavano in testa mi stordirono, mi stancarono, facendomi crollare di nuovo nel sonno.
Era un sonno pieno di incubi surreali, dai quali non riuscivo a svegliarmi. Nel sogno, almeno lì, le immagini erano nitide, anche se terrificanti. Un treno che mi passa sopra. Una vespa che mi punge sul collo. Una stanza buia e asfittica, anche se vuota, nella quale sono legato a una sedia. Le immagini si confondevano l’una con l’altra senza soluzione di continuità, un susseguirsi turbinoso di dolori e di terrori. Nulla di più. Il vuoto, il nulla. Qualche chiazza di colore, quelle macchie bianche ricominciavano a ronzarmi intorno incessantemente. Ero di nuovo sveglio.
Era un sonno pieno di incubi surreali, dai quali non riuscivo a svegliarmi. Nel sogno, almeno lì, le immagini erano nitide, anche se terrificanti. Un treno che mi passa sopra. Una vespa che mi punge sul collo. Una stanza buia e asfittica, anche se vuota, nella quale sono legato a una sedia. Le immagini si confondevano l’una con l’altra senza soluzione di continuità, un susseguirsi turbinoso di dolori e di terrori. Nulla di più. Il vuoto, il nulla. Qualche chiazza di colore, quelle macchie bianche ricominciavano a ronzarmi intorno incessantemente. Ero di nuovo sveglio.