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Autore: Amens Ophelia    01/10/2013    8 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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4. Disprezzo

 
 
 

La lezione di matematica era noiosa, non c’erano santi che tenessero. Inutile che il professor Asuma – che preferiva essere chiamato con il nome proprio, tralasciando il pesante cognome, che lo accostava all’ex preside, suo padre - accompagnasse con battute simpatiche le dimostrazioni sullo studio delle funzioni, cercando di far notare ai ragazzi quanto le curve degli asintoti ricordassero le ali di una farfalla o le forme burrose della signora della mensa. Gli unici che lo stavano veramente seguendo erano Shikamaru e Naruto; il primo perché nutriva una sorta di venerazione per l’insegnante, il secondo perché adorava quelle uscite strampalate di Sarutobi.
            Due occhi neri fissavano di tanto in tanto la lavagna, ma lo facevano solo per distrarsi da pensieri rabbiosi, irritati e irritanti, che avevano creato una cappa nella sua mente. Appariva imperturbabile come sempre, avvezzo com’era a nascondere tutto quello che gli frullava in testa dietro una maschera di indifferenza che gli altri giudicavano pretenziosamente come arroganza. Sì, forse possedeva anche quel difetto, ma quegli idioti non capivano che, molte volte, faceva loro un piacere nel non mostrare la sua vera indole, o si sarebbero trovati stesi a terra con il setto nasale rotto, senza nemmeno accorgersene.
            Appariva neutrale, ma lo tradiva il veloce tamburellare delle dita sul foglio del quaderno, che produceva un leggero ticchettio ovattato; quasi scandiva il tempo meglio dell’orologio sopra la porta. Doveva resistere ancora venti minuti, poi avrebbe potuto scatenare il suo demone.
            Nel frattempo non poteva evitare di fissare il suo bersaglio dai lunghi capelli neri, semi-raccolti in una coda approssimativa; non aveva mai sopportato troppo quel ragazzo e, dopo la scena che aveva visto quella mattina, accompagnata dal resoconto di Naruto del rientro di Hinata, Sasuke aveva accresciuto la rabbia nei confronti di Neji.
            Era strano, non si sarebbe mai immischiato in vicende che non lo riguardassero direttamente, né gli stavano a cuore i problemi degli altri, eppure, osservare la freddezza dello Hyuga nei confronti della cugina, dopo che questa aveva dichiarato totale stima nei suoi confronti, aveva fatto scattare una molla, in lui, che non poteva non essere sfogata che con uno scontro.
            L’Uchiha spostò istintivamente lo sguardo verso Hinata. La ragazza, in penultima fila, stava fissando il suo quaderno, con la testa inclinata di lato e una mano a sostenerla. Le dita pallide tentavano di coprire quel livido che ancora le pulsava sulla guancia; un contrasto cromatico che generava un certo malessere persino in lui, soprattutto quando aveva notato quelle due gocce cadere sul foglio. Stava piangendo, di nuovo, ed era una vista che non riusciva più a tollerare.
            Strinse i pugni, lanciò un’occhiata nervosa all’orologio e poi tornò a guardare rabbiosamente Neji. Aveva i minuti contati, altroché.
 
Tenten strinse la mano di Hinata, al suono della campanella della ricreazione. Era arrivata in ritardo, così non era riuscita a domandarle il perché di quella ferita al volto; aveva passato la mattinata a chiedersi cosa fosse successo, guardando di tanto in tanto l’amica, ma non era venuta a capo di niente.
            «Stai bene, Hina?», le aveva semplicemente chiesto, osservando i suoi occhi arrossati.
            «Certo», sorrise. Era capace di negare anche l’evidenza, ma sperava che l’amica non si accorgesse della bugia.
            «Cos’è successo ieri? È stato Sasuke, vero? Ti ha importunata, hai cercato di difenderti e lui ti ha picchiata, non è così?», quasi urlò Tenten, preoccupata.
            «No… cosa ti salta in mente?», contestò lei, inarcando le sopracciglia. Era assurdo! Come poteva pensare una storia del genere?
            «Chi ha importunato Hinata?», domandò nervosamente Kiba, girandosi verso di loro.
            «Sasuke Uchiha», urlò la castana, senza curarsi se altri l’avessero sentita.
            «Quel bastardo! Ci ha provato anche con te?», ringhiò il ragazzo, girandosi verso il diretto interessato. «Adesso vado lì e… e…». La rabbia era tale da impedirgli di concludere la frase.
            «Ragazzi, non è stato lui, ve lo giuro», li rassicurò la Hyuga.
            «E allora chi?», chiese la sua amica, con espressione rammaricata.  
            Hinata li guardò attentamente per alcuni secondi. Erano i suoi migliori amici, anzi, quasi una famiglia, al confronto della reale; non voleva che fra loro ci fossero segreti, perché erano le uniche persone al mondo di cui si fidava ciecamente, che la capivano e cui stava a cuore… eppure, quella realtà era troppo sconvolgente perché potesse essere ammessa. Parlare o tacere? Raccontare qualcosa di doloroso, di cui si vergognava da morire, o mentire, e spegnersi lentamente?
            «Mi sono iscritta a un corso di kick-boxing!», esclamò raggiante. Mentire, come sempre.
            «Mi sembrava di avertelo già detto ieri. Basta cazzate, Hinata».
            La Hyuga si girò spaventata verso quella sorgente sonora, scorgendo due occhi neri che cominciava ad incrociare spesso. Sasuke era ora di fronte a lei, con un’espressione piuttosto nervosa.
            «Oh proprio te, cercavo! Come ti sei permesso di fare questo a Hinata? Vuoi che ti prenda a botte, eh? Non ho paura di te!», sbottò Tenten, avvicinandosi.
            «Non ci ho provato, con lei. Dopo aver tentato un approccio amichevole con te, qualche anno fa, ho capito che è meglio evitare te e chiunque graviti intorno alla tua orbita, razza di psicopatica», rispose freddamente l’Uchiha.
            La castana arrossì visibilmente, ammansendosi. Come poteva essere tanto meschino da rivangare quel ricordo lontano?
            «Cosa?!». La domanda uscì con stupore, contemporaneamente, dalle labbra di Hinata e Kiba.
            «Le volevo semplicemente offrire un cappuccino al bar della scuola, dato che mi aveva prestato un foglio di protocollo per una verifica, ma lei si era messa a strillare che non sarebbe caduta ai miei piedi “come tutte le altre cagnette” che mi “sbavano dietro” … e che non avrei mai aggiunto il suo nome sulla mia “personalissima lista da puttaniere”», aveva ammesso tutto con naturalezza, come se la cosa non lo avesse mai riguardato.
            «Avevo esagerato, lo so», ridacchiò Tenten, grattandosi la nuca.
            Hinata e Kiba sorrisero rincuorati, tirando un sospiro di sollievo.
           «Comunque, se non vi dispiace, vorrei fare quattro chiacchiere con la vostra amica», affermò deciso il moro.
           «Ci dispiace, eccome! Pensi forse che te lo permetteremo?», domandò retoricamente Kiba, accigliandosi.
           Hinata osservò Sasuke, turbata da tutte quelle attenzioni provenienti dal corvino. Non si erano che parlati ieri, in tutta la loro vita, sostanzialmente, e quello che ne era venuto fuori non era nemmeno paragonabile a un dialogo. Improvvisamente si ricordò di quel loro discorso su Naruto, la promessa con cui l’aveva rassicurata; in quel ragazzo che tutti temevano e giudicavano come un poco di buono, in fondo, forse, c’era ancora qualcosa di sano. Qualcosa per cui valesse la pena fidarsi di lui, almeno per poco.
             «Va bene, andiamo», mormorò lei, incrociando il suo sguardo.
             «Sei pazza? Tu non vai da nessuna parte, con questo porco!», insisté Kiba, sfiorandole una mano.
             «Ripongono proprio grande fiducia in te!», commentò ironicamente Sasuke.
             «Se non l’hai capito, è di te che non ci fidiamo», spiegò Tenten, con aria torva.
             Il ragazzo ignorò quella delucidazione, afferrando Hinata per un braccio e trascinandola fuori dall’aula. Inutile che lei cercasse di divincolarsi o che i suoi amici urlassero insulti all’Uchiha, perché il moro si lasciava cadere tutto alle spalle con indifferenza. Non aveva cattive intenzioni. Non verso la ragazza dai capelli blu, almeno.  Anche Tenten l’aveva capito e aveva trattenuto Kiba per una spalla, quando questi aveva cominciato a camminare in loro direzione, convincendolo che non sarebbe successo nulla.
 
Sasuke le stava davanti, con il suo sguardo indagatore e l’aria cupa. Hinata, con le spalle al muro, nell’angolo in fondo al corridoio, lo fissava intimorita, tremando come una foglia. Voleva scappare, nascondersi, ma non riusciva a muovere le gambe, né tantomeno a distogliere le sue iridi perlacee da quelle del ragazzo. Erano loro a bloccarla lì, scure e affilate.
            «Chi è stato?», domandò con una calma che era solo apparente.
            «N-nessuno», biascicò lei, riuscendo a vincere un nodo in gola.
            «Non sai mentire, questo l’ho già assodato ieri», dichiarò freddamente lui, avvicinandosi. Hinata sgranò gli occhi, colpita da quelle parole. Com'era riuscito a capire tante cose di lei, in un solo pomeriggio?
            «Non è nulla, solo una piccola botta. Passerà», asserì lei, rassegnandosi alla sua irruenza.
            «Neji o tuo padre?», domandò spazientito, senza giri di parole.
            «Cosa stai dicendo?!», chiese sorpresa, appoggiando le mani aperte al muro, come per trattenersi dal cadere sulle ginocchia, in preda allo shock.
            «Naruto mi ha raccontato della rabbia di tuo padre, e io ho visto la scena di stamattina con tuo cugino, ergo, il colpevole non può essere che uno dei due», spiegò lui.
            Hinata rabbrividì e spalancò la bocca, incapace però di articolare un solo suono. Voleva fuggire da quell’angolo, da quella scuola, dalla sua vita, eppure era bloccata lì, in quelle precise coordinate spazio-temporali, proprio da quegli occhi scuri che la fissavano nervosi.
            «Non è una questione che ti riguarda», mormorò affranta, piegando la testa.
            Sasuke trattenne un ghigno sinistro, osservando il suo capo abbassato. Eccola di nuovo arrendevole e disarmante, il perfetto agnello da immolare. Non poteva sopportarlo.
            «Cazzo, Hinata! Come puoi avere tanto in disprezzo te stessa?», tuonò il ragazzo, picchiando violentemente il pugno sul muro, a pochi centimetri dalla guancia sinistra della Hyuga, che si scosse dallo spavento.
            Tornò a guardarlo con occhi pieni di paura, senza curarsi delle lacrime che le scendevano incontrollabilmente giù per le guance. Era reale? Si portò una mano al cuore, come sempre faceva per cancellare i dubbi che si potesse trattare di un sogno. Battiti accelerati, respiro irregolare e una lacrima le si era infranta sul polso. Sì, stava succedendo davvero.
            «Sasuke, per favore, voglio tornare in classe», lo implorò flebilmente.
            «Vedi? Tu preghi, scongiuri le persone perché ti trattino da essere umano, senza accorgerti che queste cose ti spettano di diritto. Sei una persona, Hinata. Vali quanto gli altri. Anzi, potrebbe sorprenderti il fatto che per alcuni tu conti ancora di più del resto del mondo». Il suo tono era deciso, ma non glaciale quanto lei si sarebbe aspettata, eppure le si gelarono le vene.
            Sasuke si spostò e le lasciò campo libero, così lei fece timidamente qualche incerto passo avanti, ritornando alla luce. Non riuscì a trovare il coraggio per guardarlo, né di dire qualcosa, così corse velocemente in classe. Quando raggiunse la porta, inspirò profondamente, asciugò con forza le lacrime e si dipinse un sorriso sulle labbra. Osservò la nuca bionda di Naruto e l’espressione le uscì più radiosa del previsto.
 
Il giovedì non era decisamente uno dei giorni più pesanti per i ragazzi della 5^F. Dopo una bella dose di matematica, la lezione d’inglese rasentava un livello di assurdità che non aveva paragoni; quel professore che tutti chiamavano Killer Bee era una macchietta, con i suoi discorsi astrusi in un inglese alquanto approssimativo e quella martellante tendenza di mettere in rima le parole, improvvisandosi rapper – di quart’ordine, anche qui. Eppure riusciva a catturare l’attenzione degli studenti, che lo seguivano divertiti.
            L’uomo stava spiegando i periodi ipotetici, quando la porta dell’aula si aprì. Sasuke Uchiha, senza chiedere il permesso e proferire parola, raggiunse il suo banco, fra gli sguardi attoniti di tutti. O meglio, quasi tutti; Hinata non trovava il coraggio di guardarlo, dopo quel faccia a faccia nel corridoio.
            Non era del tutto stupida, aveva notato che mancava ancora Neji e sapeva benissimo quello che probabilmente era appena successo. Strinse i pugni e strizzò gli occhi. Non poteva averlo fatto davvero!
            Spinta da una forza che non le aveva mai attraversato le fibre muscolari, si alzò di scatto, premendo i palmi chiusi sul tavolo. Improvvisamente tutti la fissarono, ma lei non si lasciò intimidire. La schiena era ritta, seppur tremante, e la mente una voragine colma di pensieri.
            «Non ti senti bene, Hina?», bisbigliò Tenten, preoccupata.
            «P-professore, mi scusi, devo...». La voce le si era smorzata in gola, quando Killer Bee si era girato in sua direzione.
            «Tutto bene, Hyuga?», chiese confuso, posando il gesso.
            La ragazza abbassò nuovamente lo sguardo e, senza nemmeno accorgersene, si precipitò alla porta. Corse imperterrita per il corridoio, come se qualcuno la stesse inseguendo con una mannaia in mano, sforzandosi di fare il più veloce possibile.
 
I passi rimbombavano per l’atrio desolato, proprio come il suo cuore. Non sapeva dove andare, e il suo cervello era annebbiato da un senso di smarrimento, preoccupazione e… rabbia, di nuovo rabbia. Non ricordava di aver mai provato quella sensazione, era un lato di lei che non conosceva; si faceva quasi paura da sola, tanto che dovette fermarsi.
            Il respiro si stava regolarizzando, ma i battiti cardiaci erano ancora pericolosamente irrequieti. Inutile cercare di chiudere gli occhi e inspirare profondamente, perché quel tamburo nel petto non voleva saperne di cessare di martellare.
            Doveva trovare Neji e accertarsi delle sue condizioni. Doveva farlo! Era suo cugino, al diavolo la scena di quella mattina! Il dovere morale e il rispetto nei suoi confronti avevano la precedenza su ogni altra sensazione, anche la rabbia. Quella collera, poi, non sapeva bene ancora verso chi rivolgerla; c’erano almeno tre parti in causa con cui prendersela: Neji, Sasuke e se stessa. Come sempre, l’unica vittima da sacrificare sull’altare del disprezzo, era lei.
            Si portò le mani al volto e cominciò a sfregare con forza le palpebre, scongiurando così il pericolo di piangere nuovamente. Quando riaprì gli occhi, era pronta a ripartire.
            «Hinata!», urlò qualcuno alle sue spalle, raggiungendola.
            La ragazza si voltò verso di lui, per poi osservarlo stupita.
           «N-non ce n’era bisogno», mormorò sorpresa.
           «Mi ha mandato il professore», spiegò il ragazzo.
           «Torna pure in classe, vado solo in infermeria. C-credo di avere un po’ di mal di testa, tutto qui», mentì lei, con un candido sorriso.
           «Allora ti accompagno», si propose, avvicinandosi.
           «No, Sasuke», affermò decisa. Il tono era serio, forse il più imperioso che la sua gola avesse mai conosciuto.
            Il ragazzo rimase sconcertato nell’udire quella fermezza da parte della giovane, solitamente timida e remissiva; inarcò le sopracciglia, piegò la testa di lato e la fissò, confuso. C’era qualcosa di strano in lei, ma, forse, era solo dovuto alla situazione.
            «Probabilmente è ancora nel bagno dei ragazzi», dichiarò il moro, con un ghigno quasi di scherno. Poteva osservare lo stupore dipingersi sul volto della Hyuga, macchiandole quelle guance pallide di un colore più acceso.
            Lei avrebbe voluto urlargli in faccia tante cose, presa dall’irritazione e dallo sconforto, ma la priorità era Neji, in quel momento. Voltò le spalle all’Uchiha e percorse a grandi falcate l’atrio, per giungere al corridoio dei servizi igienici. Appese la mano alla maniglia della porta giusta, ma quella voce la avvertì che era un’azione sbagliata.
            «Allora non sei tanto innocente come sembri, Hyuga. Entrare nel bagno degli uomini, senza pensarci due volte… audace, da parte tua», commentò sarcastico.
            Pur non vedendolo, Hinata poté perfettamente immaginare l’espressione ironica sul suo volto e quell’immagine le provocò una nuova fitta di dolore al petto. Perché non riusciva ad apparire normale? In tutta la sua vita, con ogni sforzo, aveva cercato di sembrare una ragazza naturale, il più simile possibile alla media delle altre, ma non c’era verso, perché ogni gesto che compiva era un passo falso evidentissimo. Era chiaramente diversa, una nullità che cercava di adornarsi di coraggio e serenità, quando la sua vita era un inferno di disprezzo e bugie. Menzogne che restavano fragilmente intatte agli occhi degli altri, ma concretamente sfatate da quelli di Sasuke.
Sentì i passi del ragazzo farsi sempre più vicini e strinse d’istinto la maniglia fredda, in preda alla frustrazione. Era a pochi centimetri da lei, alle sue spalle; percepiva la sua costosa acqua di colonia aleggiare nell’aria e il respiro calmo inondarle i capelli.
            «Non ho avuto la benché minima pietà per quel bastardo», sussurrò pacatamente al suo orecchio.
            La ragazza si voltò, rabbrividendo, per scorgere due iridi più nere dell’oscurità. La stava fissando con aria seria, ma anche divertita e lei si sentiva sempre più debole e, per questo, pronta ad afferrare il coraggio a piene mani.
           Senza staccare lo sguardo dal suo, abbassò la maniglia della porta; se la mano di Sasuke non si fosse appoggiata sulla sua, trattenendola, sarebbe entrata di corsa in quel luogo.
           «Sei sicura? Non sarà un bello spettacolo, per una come te», l’avvertì lui.
           «È mio cugino!», riuscì solo a dire, con il fiato spezzato.
           Strappò la sua piccola mano dalla presa di quella del giovane, si voltò verso la porta e la spalancò, infischiandosene del fatto che quella zona fosse off-limits per una ragazza. Quando richiuse con decisione l’ingresso, tutta quella scarica di adrenalina sembrava essersi già dileguata.
 
Per sua fortuna, il bagno era vuoto, eccezion fatta per quel corpo rannicchiato vicino al termosifone. Neji era seduto per terra, con la schiena appoggiata al muro, mentre teneva la testa rivolta verso l’alto e una mano premuta sul naso. Il volto era cosparso di sangue, dalle narici al mento; le dita cercavano invano di contenere quel fiume vermiglio, come tentacoli di una piovra trafitta a morte; la camicia bianca era imbrattata di rosso come se il ragazzo fosse appena uscito da un campo di battaglia, ma non c’era traccia di proiettili.
            Hinata si precipitò ai suoi piedi, portandosi le mani alla bocca, sgomenta. Suo cugino, il ritratto della forza e della pericolosa fierezza degli Hyuga, era ridotto a pezzi, a un comune mortale costituito da carne e sangue. Troppo sangue.
            «Neji…», cominciò a piagnucolare, con un groppo in gola. Vederlo così vulnerabile le faceva male, per quanto non avrebbe dovuto.
            «Stai zitta», mormorò lui, seccato, mentre cercava di alzarsi. Non poteva sopportare quella silenziosa commiserazione, soprattutto la sua.
            La cugina si portò prontamente al suo fianco, prendendogli il braccio e accomodandolo lungo le proprie spalle. Delicatamente, lo aiutò a sollevarsi e a reggersi in piedi, sostenendo buona parte del suo peso su di sé. Era felice di potersi sentire finalmente utile, anche se ben consapevole che quell’umanità non avrebbe cambiato nulla fra loro. Non sarebbe bastato un tratto di strada insieme per accorciare la distanza, anzi, colmare l’oscuro baratro che li separava.
            «Mi dispiace, Neji». Non sapeva che altro dire, in preda alla paura di ferirlo ulteriormente.
            «Vattene in classe, Hinata. Non mi serve il tuo aiuto», dichiarò contrariato, cominciando a camminare. Ma a chi voleva darla a bere? A stento riusciva a stare dritto! Senza volervi davvero credere, quella ragazza era un prezioso sostegno, in quel momento.
            «Ti accompagno in infermeria. Andrà tutto bene, non preoccuparti». Cercò di sorridergli, guardandolo, ma lui ignorò il suo volto, concentrato a fissare il pavimento.
            «Certo che non mi preoccupo, sciocca. A doversi impensierire è quel figlio di puttana che ha osato mettersi contro di me», insinuò con un ghigno sinistro.
            «N-non è il momento di pensarci», balbettò insicura, afferrando nuovamente la maniglia della porta.
           
Pregava spesso, la sera, perché i Kami la proteggessero, insieme con lo spirito di sua madre e dei suoi avi, ma quasi sempre quelle invocazioni non avevano prodotto grandi risultati. Si era convinta davvero che fosse rimasta in vita per scontare il suo personale Inferno, eppure non si arrese e, mentalmente, cominciò ad alzare i suoi preghi al Cielo. Sperava di tutto cuore che Sasuke se ne fosse andato, o non sapeva come sarebbe finita quella giornata. Ciò di cui era davvero certa, invece, era che quella storia non si sarebbe davvero conclusa. Non così facilmente, non per lei.
 
Non senza titubanza, Hinata aprì la porta e chiuse gli occhi, preparandosi al peggio. Il cuore le batteva all’impazzata, nella mente le scorrevano le congetture delle pieghe che la vicenda avrebbe potuto assumere, il corpo tremava – e non per il peso di quello del cugino. Era sul punto di fermarsi e fare marcia indietro, tornando codardamente al termosifone, se Neji non avesse staccato il braccio dalle sue spalle.
            «Posso continuare da solo, l’infermeria è proprio dietro l’angolo».
            La ragazza aprì gli occhi e si guardò intorno: nessun segno di vita, se non loro due, in quel corridoio. Tirò un sospiro di sollievo, ma durò poco. Tornò a scrutare con preoccupazione il moro, infondendosi la giusta dose di coraggio per affondare le sue iridi perlacee in quelle identiche che aveva di fronte.
            «N-non sei nelle condizioni adatte». Quella porzione di cuor di leone sapeva anche ruggire.
             Il cugino la guardò con aria stanca, irrigidendosi. Non poteva più sopportare quella confidenza intollerabile, mascherata da un’innocenza che lui non reputava sincera.
            «Taci, sei patetica!», tagliò corto, tenendo la mano sul naso. «Mi credi così stupido, Hinata?», domandò con uno sguardo tagliente.
            «C-cosa… cosa stai dicendo?», chiese sorpresa la ragazza, cominciando a torturarsi le pellicine accanto alle unghie.
            «Frequentare Sasuke, spiattellargli sotto al naso le nostre vicende familiari, mandarlo a prendermi a pugni… non credere che mi beva la storia della brava crocerossina, è sicuramente tutto un tuo piano per punirmi. Sei ridicola, Hinata! Aspetta solo che tuo padre sappia con chi stai facendo la sgualdrina!», dichiarò gelido come il vento di gennaio, guardandola dritto negli occhi, con un sorriso caustico, per poi raggiungere l’ambulatorio.
             «Non è vero, Neji! Non è così!», urlò lei, cercando di trattenerlo. Il suo palmo si protese nuovamente verso il cugino, ma nemmeno stavolta lui l’avrebbe afferrato.
 
La ragazza dai capelli blu si accasciò a terra con la delicatezza di una foglia autunnale, nel silenzio più assoluto. Scuoteva lievemente il capo, mentre una cascata corvina le copriva il volto, sicuramente percorso da qualche dolorosa afflizione a forma di lacrima. Stringeva con forza il lembo inferiore della gonna, mentre le unghie affondavano nella stoffa nera e ferivano anche l’incavo della mano.
            Non era riuscita a fare nulla nemmeno questa volta. Non era stata in grado di proteggersi dall’ennesima violenza morale, da una nuova accusa infondata, quando il suo cuore era solo carico di preoccupazione e buone intenzioni. Non aveva affermato la propria innocenza, non aveva proferito una sola sillaba in grado di arrestare il cugino, totalmente sordo alle sue urla.
            «Ti prego, Neji. Non è vero, non è vero…», sussurrò fra le lacrime, rimanendo inginocchiata in mezzo al corridoio.
           
Per quanto fosse convinta di essere sola, qualcuno aveva assistito a tutta la scena. Non erano i Kami, né tantomeno dei benevoli antenati dall’alto dei Cieli. Qualcuno aveva osservato ogni sua azione, dalla balaustra del primo piano, con una pericolosa ombra sul viso.








Ed eccoci qui! Sognavo da tempo un faccia a faccia senza mezzi termini fra Hinata e Sasuke, tra la delicatezza e la ferocia, la farfalla e la tigre... lo sognavo da tempo e non sono sicura di averlo espresso appieno XD Ad ogni modo, ci saranno altre occasioni per rivederli insieme... la storia è ancora alle origini, insomma XD
So che è da malati, ma amo pure questa stronzaggine di Neji! Mi fa male al cuore vederlo così duro con la cugina, ma non mi dispiace mantenerlo così cattivo XD Beh, almeno finora ;)
Desidero ringraziare ognuno di voi per la vostra vicinanza, l'affetto e la curiosità con cui state seguendo la storia! Grazie a chi legge, recensisce e la inserisce tra le seguite, ricordate e, addirittura, preferite! :') Non so come ringraziarvi! Spero di non deludervi, davvero!
Mi metto già all'opera per il prossimo capitolo! ;) Come sempre, se vi va di spendere un po' di tempo, fatemi sapere cosa ne pensate! Ne sarei lusingata ^__^
Un abbraccio, 


Ophelia
   
 
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