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Autore: Claire DeLune    02/10/2013    5 recensioni
Cosa succederebbe se tra Haruka e Rin non ci fosse solo una competizione sportiva, ma anche una amorosa?
Cosa succederebbe se ci fosse un quinto elemento strettamente collegato al passato dei componenti di quel club di nuoto delle elementari? Una ragazza.
E cosa succederebbe se quella ragazza fossi tu?
Ecco l'entrata in scena di un nuovo personaggio molto vicino ai protagonisti, tanto da esserlo lei stessa. Questa ragazza, cresciuta con loro, non ha un nome o un aspetto preciso, perché lei sei proprio tu: la lettrice. E come tale, nella tua mente, lei assumerà il nome e l'aspetta che ognuna preferisce.
҉
(LA STORIA è AMBIENTATA DUE ANNI PRIMA RISPETTO ALL'ORIGINALE, SICCOME MI SONO BASATA SULLA DATA DI PUBBLICAZIONE DELLA LIGHT NOVEL HIGH☆SPEED. POSSIBILE OOC E CAMBIAMENTO DI RATING)
Per chi volesse ricevere avvisi di aggiornamento, specificatelo pure tra le recensioni/commenti. Sarò felice di accontentarvi :)
Genere: Commedia, Sportivo, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Nuovo personaggio, Rin Matsuoka, Sorpresa
Note: Lime, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Legame a Idrogeno'
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5.

Un nuovo acquisto

 

   Morbide nuvole lattee ingombrano leggermente l’azzurro cielo pomeridiano, lasciandosi attraversare da flebili raggi primaverili. Il vento è ancora troppo rude per essere spensierati e l’acqua è oltremisura frigida per ospitarvi. 

   Per la ragazza dai [lunghezza] capelli [paragone con una leccornia (es: di caramello; di cioccolato;...)] costretti in una crocchia è difficile fissare la calma distesa incolore, senza il desiderio pungente di buttarcisi a capriola, ma per il delfino è peggio. La sua non è bramosia, bensì un’esigenza esistenziale. Non ci vorrà molto prima che il richiamo acqueo faccia effetto. 

   Giusto un brindisi inaugurativo e il lancio delle pastiglie di cloro, che l’idrofilo si toglie elegantemente - e con un certo fascino - l’uniforme, rivelando il fisico atletico e il solito costume-bermuda nero decorato da linee simmetriche ametista, interrompendo a metà la frase del ladro di smeraldi sull’impossibilità di entrare in piscina.

   “Aspetta!”.

   “Stavi di nuovo indossando il costume da bagno?!”, dice la tuffatrice rimasta talmente di stucco da non accorgersi dell’espressione sbavante dell’amica dalle iridi di diaspro.

   “Non ne avrò mai abbastanza di quei tricipiti!”.

   “Che?”, si acciglia.

   “Tricipiti?!”, chiede una figura tanto matronale quanto melliflua esterrefatta. La ignora per riprendere il moro, “E’ ancora troppo fredda!”.

   “Oh povera me”, si lamenta la coordinatrice, facendosi scudo con un ombrello nero.

    Vederlo così fa sorridere ilare la più grande tra le due fanciulle, rendendo ancora più viva la sua voglia di buttarsi, nonostante si trattenga. Si leva scarpe e calzettoni, scioglie lo chignon a nido di rondine e noncurante infrange il liquido trasparente con i piedi, sedendosi composta sul bordo.

   “E’ entrata in acqua di sua volontà?”, pone allibito il kohai biondo.

   “A me piace l’acqua!”, tuona lei di rimando, “Non sopporto i tuoi stupidi scherzi. E poi, sto solo bagnando i piedi”.

   “Sei qui”, tuba l’altro brigante di pietre preziose come se la stesse aspettando da sempre. Gli sorride teneramente ed egli distende il corpo, lasciandosi galleggiare ad occhi chiusi. 

   La giovane si piega in avanti, disegnando cerchi concentrici con il palmo. Le loro mani s’incontrano, intrecciandosi con naturalezza. Il cetaceo la attira a sé, invitandola silenziosamente ad entrare, e sussurra, “Abbiamo le dita a incastro”. La coetanea dovrebbe arrossire, ma la temperatura è troppo fredda per permetterglielo, così lo emula, serrando le palpebre e rilassandosi a peso morto coi capelli liberi di fluttuare.

   “Sembrano stare piuttosto bene”, riflette il pinguino, non badando all’avvisaglia disincantata del ragazzo orca.

    La rossa trasalisce, “Le loro labbra stanno diventando viola!”

   “Uscite dall’acqua prima di prendervi un accidente!”, interviene il castano, afferrando un asciugamano e sollevando la compagna di classe in braccio, così da costringerla ad abbandonare il loro ambiente naturale. 

   Da quando è così violento?, si pone annichilita. 

   La avvolge nel telo, mentre il mammifero acquatico sfugge al centro del bacino. Il biondo lo incoraggia.

   “No, non può!”, continua il più responsabile.

   “Vado a cercare una rete!”, strepita la secondogenita pescecane.

   “Una rete?!”, sobbalzate, prima di scoppiare a ridere. Dopotutto non conosce abbastanza bene l’idrofilo da sapere che la testardaggine di quest’ultimo è insormontabile.

   Tra i separé e il tatami di un salotto, uno starnuto si leva nella quiete del venerdì pomeriggio, interrompendo i viaggi temporali del mammifero marino.

   “Questo era potente”, afferma Nagisa, smettendo di leggere il testo scolastico difronte a sé per osservare Haruka che, in quel momento, è coperto solo da una felpa azzurra e da un asciugamano sui capelli.

   “Haru, ti senti bene?”, chiede Makoto, porgendogli un fazzoletto, in un misto di preoccupazione e risolutezza: gliel’aveva detto che era ancora troppo presto per farsi il bagno all’aperto.

   Con lo sguardo appesantito dal virus che sta intaccando le sue narici, l’incosciente nuotatore cita una donna a lui molto cara, “La mia bisnonna diceva sempre che, quando starnutisci, è perché qualcuno ti sta pensando”.

   “Dev’essere Rin-chan!”, esulta il kohai.

   “E più probabile che _______ mi stia maledicendo...”, il moro si sente alquanto in colpa. A causa sua e dei tuoi indumenti bagnati, ciò che per lui è un innocuo raffreddore, per te si è trasformato in una vera e propria influenza, con tanto di gola arrossata e febbre.

   “No, sono certo che tu sia solo malato, dal momento che hai nuotato in piscina ad aprile”, continua Marcantonio.

   “Non sono un bambino che si ammala nuotan...”, s’inalbera il raffreddato, prima di essere interrotto dall’ennesimo ecciù.

   “Dobbiamo solo trovare una soluzione finché non farà caldo”.

   “Ah, ho sentito da Gou-chan”, cambia argomento il biondo, “che Rin-chan si è unito alla squadra di nuoto della Samezuka”.

   Le iridi oceaniche di Haruka si illuminano.

   “Davvero?”, domanda gioviale il bruno, “Ciò significa che potremmo incontrarlo a qualche torneo”.

   “Già, dovremmo partecipare ai tornei! Così potremo di nuova fare le staffette”.

   “Nuoto solo a stile libero”. Le speranze nei quarzi rosa di Nagisa scemano.

   “Significa che non puoi nuotare alle staffette? Non dirlo neanche per scherzo, Haru-chan!”. 

   Il delfino non calcola minimamente le attenzioni del primino, continuando a sfogliare una rivista di cucina.

   “Dai...”, il pinguino incolla il proprio capo sulla schiena flessa del ghiotto di sgombro, ruotandola a destra e a manca puerilmente. 

   Finalmente, l’altro decide di dargli retta, “E poi, un gruppo di sole tre persone non può partecipare ad una staffetta”.

   “E’ vero”, concorda il castano.

   “Il che significa...”, dice tombale il più giovane, prima di alzarsi in piedi, afferrandosi i ribelli capelli ondulati, e gridare, “che dobbiamo trovare un altro membro?!”.

 

Casa [cognome] - weekend

 

   Yoru sonnecchia raggomitolata contro la tua schiena, permettendoti di sentire il calore del suo morbido manto d’onice, attraverso le innumerevoli coperte che ti sovrastano e la felpa della divisa ginnica che Haruka ti ha prestato, dopo il vostro sconsiderato tuffo in piscina. Seppure la mole di tessuto che ti ricopre sia notevole, e nonostante le tue orecchie malaticce abbiano ridotto il proprio funzionamento, riesci ad udire ugualmente il suono del campanello, seguito dai delicati passi di oba-chan e da delle voci al piano di sotto.

   Distingui subito il tono squillante di Gou da quello candido di tua nonna, però c’è un terzo timbro che non riconosci. E’ baritonale e monocorde. Capisci che appartiene ad un giovane uomo.

   Sicuramente non è Nagisa, rifletti, Makoto nemmeno: mi ha già telefonato. Haru? Può darsi, ma è malato anche lui, rischierebbe solo di peggiorare. Che sia... Impossibile.

   Rimugini sulla probabilità che sia il maggiore dei Matsuoka. 

   E’ il fine settimana, dunque anche nei collegi le lezioni sono interrotte e gli alunni, volendo, possono andare a fare visita a terzi. In più, sua sorella non sa tenersi nulla per sé, figuriamoci quando ti riguarda direttamente.

   Ti ripeti che Rin è cambiato, che ormai è troppo diverso dal bambino che, sapendoti influenzata, sarebbe corso a casa tua con la scusa che la maestra gli ha imposto di portarti i compiti. Inoltre, sei convinta di non essere stata abbastanza corretta nei suoi confronti da meritarti la sua gentilezza.

   Sarà quel Seijuro di cui parla continuamente

   Mikoshiba, il capitano della Samezuka, nonostante la sua impacciataggine, è riuscito a colpire la tua assistente manager a sufficienza da rientrare spesso nei suoi pensieri, anche se la sua fissa per la muscolatura maschile perdura. 

   Da una parte, speri che sia così, seppure non abbia senso portare uno sconosciuto a casa tua soltanto per assicurarsi che tu stia bene, così da presentarvi nel modo più imbarazzante possibile - specialmente perché, che tu sappia, non sono mai usciti insieme. Dall’altra, ti auguri davvero che sia il fratello, anche se la vergogna del tuo comportamento ti terrorizza.

   Un flebile colpo contro il legno preannuncia che è il momento della verità. La porta della tua stanza si apre piano piano, in modo da non svegliarti nel caso tu fossi ancora assopita.

   “Tesoro, sei sveglia?”, bisbiglia tua nonna teneramente. 

   “Mm-mm”, mugugni, tirando leggermente fuori il capo dalle coperte. Gesto che ti permette di vedere dei denti appuntiti sorriderti calmi, ma al contempo divertiti, perché in questo istante gli appari terribilmente fragile.

   “I tuoi amici sono venuti a trovarti”, dice la vecchietta, appoggiando sulla scrivania un sacchetto di plastica, per poi strepitare, “Yoru, che ci fai lì!”.

   Ti metti a sedere, poggiando la schiena sui cuscini retti dallo schienale, “Lasciala stare. Mi sta solo facendo compagnia”.

   “_______, sei malata, potres...”.

   “Non preoccuparti, oba-chan. Non si è mai avvicinata troppo”, le sorridi, prima di voltarti, coprirti la bocca con un fazzoletto e tossire.

  “Voi dovreste fare lo stesso”, avverti i fratelli, mentre tua nonna accosta la porta alle vostre spalle.

   Gou si siede accanto a te e gratta la gattina dietro le orecchie, ottenendone le fusa.

   “E’ così piccola”, dice la rossa con il tono con cui si parla agli infanti, “Da quanto ce l’hai?”.

   “Circa due mesi. L’ho presa subito dopo lo svezzamento”.

   “E’ molto affettuosa”, continua a coccolarla.

   “Peggio, è ruffiana!”, ridacchi.

   “Come ti senti?”, s’intromette la voce grave di Rin che fino a quell’istante si era limitato a stare in piedi davanti alla porta, studiando la camera: le pareti chiare - su una di esse compare un disegno incorniciato, firmato con la tua sigla -; le mensole arricchite di libri, album, porta-foto e peluche; la scrivania leggermente disordinata dove nota la spia lampeggiante del portatile in stand-by; il comodo fouton da una piazza e mezza contenuto dallo scheletro in noce; e il volume riposto sul tuo comodino, da cui fuoriesce parte del segnalibro raffigurante il dettaglio di un dipinto seicentesco.

   “Abisso Nero”, legge il titolo tra sé, prima di essere attirato da una vostra foto di classe scattata l’ultimo giorno di scuola elementare. Nell’immagine il Rin undicenne, all’epoca tuo compagno di banco, ti tiene stretta a sé con il braccio sinistro intorno al collo, riducendo gli occhi in due fessure e schiudendo le labbra in un ampio sorrisetto furbo.

   Lo osservi, sorridendogli a bocca chiusa, “Bene, non è niente di grave”.

   “Che ti è saltato in mente di fare il bagno all’aperto in primavera?”, è stizzito. Sicuramente c’entra Haru, conclude adirato.

   Perché si sta arrabbiando tutto d’un colpo?.

   “Veramente non è proprio colp...”, prova a spiegare la sorella, ma tu la interrompi.

   “Mah, non lo so nemmeno io”, mantieni quel sorriso perenne che lui tanto ama.

   La verità è che non mi sono opposta, perché Haru mi sembrava così... Libero.

   Lo squalo si accosta al limite della scrivania, indicando con il pollice più vicino il sacchetto che sopra vi giace, “Ti abbiamo portato della minestrina”. Il suo tono è glaciale, eppure avverti lo stesso la sua premura.

   Din-don.

   Una donna sulla quarantina con un liscio caschetto cenere va ad aprire la porta e, sulla soglia, compare un viso fanciullesco incorniciato da una folta chioma fulva.

   “Buonasera”.

   La madre riconosce subito il ragazzino, essendo passato spesso da loro di recente, e lo invita ad entrare.

   “Le hai portato i compiti?”.

   “E anche della minestrina”.

   “Gentile da parte tua”, la dama sorride, “Accomodati, mentre vado a chiamarla”.

   Toc-toc.

   Un volto si espone dallo stipite, “Nani, c’è qualcuno di sotto per te”.

   “Sono stanca!”, si lamenta la bimba, infuriandosi un poco per quell’odiato nomignolo.

   “Non essere maleducata. Sarai contenta quando vedrai chi è”.

   La piccola sbuffa, togliendosi le coperte con uno strattone ed infilandosi subito calze-antiscivolo e vestaglia.

   Scende le scale accompagnata dal genitore, entra in salotto ed immediatamente la sua espressione corrucciata si rilassa gioiosa, urlando il nome del bambino.

   “Ciao”, sorride l’altro, alzandosi dal divano e porgendole un contenitore termico, “Tieni. Io e la mamma l’abbiamo fatta apposta per te”.

   “Grazie”, afferma commossa la ragazzina, avvicinando le mani alla bacinella e scontrandole con quelle dell’altro. 

   Entrambi arrossiscono.

   Le tue gote s’imporporano al ricordo e per un attimo ti sembra che lo stesso accada anche sul volto del filarino d’infanzia.

   Gou vi guarda e sogghigna, “E’ meglio che la porti in cucina, così non si fredderà”. La rossa prende il cibo ed esce dalla stanza, nell’intento di mettere il contenuto nel microonde, ma soprattutto di lasciarvi soli.

   Nonostante il silenzio interminabile, la new entry della Samezuka occupa immediatamente il posto della sorella accanto a te sul letto, però, al posto di infinocchiarsi Yoru, posa il grande palmo destro sulla tua guancia, carezzandola adagio con il pollice.

   “Scotti un po’”. 

   E’ vero: tu scotti. Anzi, bruci, ma non è la febbre e il pescecane ne è conscio.

   “Non è cambiato molto qui dentro”, dichiara, guardandosi ancora intorno, prima di baciarti la fronte, “Come quando eravamo alle elementari e facevo a gara per essere io a portarti i compiti”.

   “Rin”, sussurri, mentre le sue labbra ti sfiorano il profilo, giungendo alle tue.

   “Devo fare ancora a gara per te, vero?”, chiede mesto - sei così vicina, eppure non può averti -, “Lo farò. Finché non avrai preso una decisione”.

   I suoi capelli cremisi ti solleticano il viso, mentre qualcosa gli penzola fuori dalla t-shirt: il dente di squalo bianco.

   C’è l’ha ancora! 

   Rin scatta in piedi e si slancia fuori dalla stanza. Per un soffio non si scontra con Gou che tiene tra le mani una tazza fumante.

   “Onii-chan, dove vai?”.

   Nessuna risposta.  

   Saluta frettolosamente, ma educato, tua nonna e scappa via, chiudendosi la porta alle spalle.

   Un velo ti offusca la vista, gli occhi pizzicano e le lacrime vengono spinte fuori deboli.

   “Che cosa è successo?”, chiede l’unica Matsuoka rimasta.

   “Nulla che fosse evitabile”, inizi a piangere più forte.

   “Non ci pensare adesso”, si siede al tu fianco, porgendoti una tazza di latte caldo e miele, “E’ l’ideale per il mal di gola”.

    La matricola ti sorride triste, “Mi dispiace vedervi così: non è una scelta facile. So di essere di parte, perché è coinvolto mio fratello, ma vedrai che ne verrai a capo”.

   “Oh Kou, quanto vorrei abbracciarti, però temo di infettarti”.

   La tua amica ride, poi il suo sguardo critico viene attirato dalle tue dita scorticate, mentre ti impossessi della bevanda, “Cosa hai fatto a quelle povere unghie?”.

   Deglutisci il latte, “Non ho rifatto la manicure”, rispondi vaga.

   “Non si è mai troppo malate per non curarsi le mani. Su, su, alzati. Mettiti qualcosa addosso e dimmi dove tieni gli smalti, ti faccio una bella nail-art”.

   Questi momenti tra ragazze, così rari quando la maggior parte dei tuoi amici sono maschi, sono un vero toccasana per la tua mente sovvrapopolata da sentimenti discordanti.

 

Istituto Iwatobi - la settimana seguente

 

   E’ martedì e finalmente hai finito il ciclo di antibiotici - sebbene tu cova ancora un leggero raffreddore.

   Varchi la porta anti-panico del terrazzo dove siete abituati a pranzate e all’istante vieni maltratta dall’immaturità di Nagisa, che ti riversa addosso tutte le esigenze che dovete soddisfare, prima fra tutte l’ingresso di un nuovo componente.

   “Calma, calma, Nagisa. Lasciaci mangiare”, lo blocchi, “Nel frattempo, evita di costringere i tuoi neuroni ad un suicidio di massa”.

   “Non essere sarcastica, _______-chan”, ribatte il biondo, “E’ una cosa seria”.

   “So che è una cosa seria, ma innervosirsi non porta da nessuna parte. Facciamo un brainstorming. Ci serve un quarto nuotatore. Qualche idea su come convincere qualcuno ad unirsi al club?”.

   Makoto sembra pensoso, mentre Haruka studia inerte il suo bento.

   Che feedback..., pensi mordace.

   “Ma certo!”, esclama il più giovane - spesso il suo repentino cambio di umore ti inquieta -, “Che ne dite di fare dei portachiavi regalo con la nostra mascotte”.

   “Quale mascotte?”, domandi dubbiosa.

   “Iwatobi-chan”, afferma serioso, mostrandoti il disegno di un volatile dalla testa troppo grande.

   Cosa c’entra un pennuto con il nuoto?, ti poni ancora meno convinta.

   Lo lasci andare avanti, “Potremmo farne più versioni. Per quella normale ci dipingiamo sopra uno speedo; un costume intero per le ragazze; una con un bikini rosa per accaparrarci i cuori dei ragazzi in un secondo”.

   “Non credo che useremo nessuna di quelle”, decreta il capitano della squadra.

   “Ma non abbiamo discusso neanche della versione sexy sado...”.

   “Ecco perché ti ho detto che non le useremo!”, lo interrompe.

   Stava per dire, veramente, “sadomaso”?! Meglio non saperlo.

   “E allora come dovremmo fare?”, si lamenta il pinguino.

   “Mmm, dei volantini”, replica il più grande del gruppo.

   “Così scontato”.

   “Ma pur sempre efficace”, decidi, “Chiederò al club di arte se possiamo condividere l’aula nel pomeriggio”.

   La campanella segnala la fine della pausa.

   Rientrate in classe ed immediatamente rammenti che la tua compagna di banco, Mako, fa parte del club di arte, perciò senza girarci intorno - anche perché il prof di Biologia è particolarmente severo riguardo alle normative di comportamento e ti punirebbe, se ti trovasse ancora vagante per la classe - le proponi di unirvi al loro club per mezza giornata.

   La studentessa dalle placide iridi nocciola fa un segno di assenso con il capo, “L’aula è grande, non ci sarà alcun problema”.

   “Grazie mille, Mako-chan!”. 

   E’ così strano per Makoto sentire il proprio diminutivo affibbiato ad un’alunna con un nome analogo.

   Digiti un sms a Nagisa, per poi gettare malamente il cellulare nella tracolla, udendo la sedia dietro la cattedra strisciare sul pavimento.

   L’occhialuto Shimomura-sensei è arrivato.

   L’ultima ora della giornata è costellata da reazioni biochimiche a base di glucosio e scambi di sostanze per diffusione. Ti chiedi per quale motivo il DNA mitocondriale si erediti solo dalla madre, però ti autorispondi immediatamente, leggendo il paragrafo sulle dimensioni del nucleo aploide degli spermatozoi assai ridotte, per trasportare un duplicato del tipo di DNA sopracitato.

   Procarioti e eucarioti; 

   Ribosio e deossiribosio; 

   Cellule aploidi e diploidi; 

   mRNA, tRNA, RNA ribosomiale; 

   A fine lezione, il tuo cervello è saturo di nozioni scientifiche, confondibili tra loro per l’affinità dei nomi. 

   Ti piace sapere il funzionamento degli organismi, soprattutto capire meglio le attività del tuo metabolismo, ma dannazione, perché attribuire loro denominazioni così somiglianti?!

   Accompagnata dai tuoi compagni di classe, Mako compresa, ti dirigi all’aula di arte, davanti alla quale trovate Nagisa e Gou in attesa. Come posano lo sguardo magenta e cardinale su di voi, il biondo inizia a saltellare su è giù scioccamente.

   Entrate in classe e il capogruppo vi consiglia di indossare un grembiule. Successivamente vi indica dove sono i pennelli.

   Il pinguino non è mai stato famoso per la sua euritmia nella ricerca artistica di proporzione, simmetria ed equilibrio cromatico, infatti il suo poster è una macchia informe umanoide, su sfondo caleidoscopico, perfettamente conforme al suo caotico io autentico.

   Al contrario, quello di Haruka è un dipinto in acquerello dai colori caldi e dalle forme geometricamente uniformi. Il tratto è delicato e diffonde la serenità del soggetto, che ammira l’immensità del mare dalla scogliera.

   L’opera scatena in men che non si dica il consenso del club di arte, a tal punto da volervi rubare il vostro nuotatore migliore. 

   Tra trascinamenti passivi, schiamazzi, corpi trattenuti a mo’ di tiro alla fune e lacrime - da parte di Nagisa, naturalmente -, siete riusciti a preservare, più o meno per intero, l’incolumità del moro senza che si sia slogato qualcosa.

   Da brava manager, incarichi il tuo kohai di occuparsi della propaganda, ruolo che accetta con piacere. Peccato che il giorno dopo te lo ritrovi a vagabondare per i corridoi con i capelli racchiusi in una cuffia di gomma bianca, occhialini rosa, tavoletta galleggiante sottobraccio e un modulo su cui far firmare gli aspiranti nuotatori.

   Il massimo che riesce ad ottenere sono soltanto rifiuti: ho già deciso di entrare nel club di atletica; perché nuotare in una piscina se c’è l’oceano qui accanto?; no, grazie, non mi interessa una scorta annuale della vostra mascotte.

   “Che sfortuna”, si lamenta Caos sdraiandosi sulla panca dello spogliatoio della piscina, “Non vuole iscriversi nessuno”.

   “Comincio a pensare che abbiamo aggiustato la piscina per niente”, il castano è sconfortato.

   “Non dire così!”, bisbiglia il biondo, controllando che il delfino non abbia sentito, troppo preso dell’intagliare nuovi portachiavi Iwatobi-chan, “E’ il momento di usare la nostra ultima risorsa. Abbiamo Ama-chan che potrebbe aiutarci!”.

   “E come?”.

   “Potremmo pubblicizzare il fatto che lei è la nostra consulente e dire a tutti che, se si iscrivessero, potrebbero vederla in costume da bagno!”.

   “Capisco, sarebbe proprio d’aiuto, in effetti”.

   “Scusatemi, voi...”, entra nella stanza l’insegnante, “Se lo farete, vi pianterò in asso. Ho giurato a me stessa che non avrei mai più indossato un costume da bagno!”, la donna sorride arcigna, “Avete capito?”.

   I due impallidiscono, “Perfettamente”.

   “Pff, baka”, sospiri, colpendoti la fronte con il palmo della mano.

   Giovedì mattina l’eccentrico pinguino, seduto sul treno che lo porta al liceo, studia un piano per ottenere consensi.

   Abbiamo bisogno di un altro membro, riflette, osservando gli altri alunni, ma sarà difficile trovarne uno. Tutti quelli a cui ho chiesto l’ultima volta hanno declinato.

   Improvvisamente la sua attenzione viene catturata da un individuo che si tiene bilanciato davanti a lui, mentre legge un manuale di atletica leggera. Quel formale ragazzo dai capelli cobalto e gli occhi indaco, incorniciati da una montatura rossa intonata alla cravatta della seifuku, è Ryugazaki Rei, compagno di classe dell’imprevedibile biondino.

   “Ryugazaki-kun?”.

   Il lettore lo scruta indifferente, senza rivolgergli la parola.

   “Prendi il treno per andare a scuola?”, chiede stupidamente l’altro.

   Non è ovvio?, pensa ironico il giovane, “Sì”, conclude incolore, tornando a posare lo sguardo sulle lettere stampate, nella speranza di smorzare sul nascere la conversazione. 

   Suo malgrado, Nagisa sa essere davvero tenace, infatti il suo sorrisetto saccente non demorde, “Ah, comunque, vorrei chiederti un favore, in qualità di compagno di classe...”.

   Il ghiacciolo lo ferma, “Non mi unirò al club di nuoto”.

   “Come hai fatto ad indovinare?”, domanda plateale il pinguino.

   “Indovinare è stato piuttosto facile”, spiega, restando immerso nella lettura, “Si capisce dai manifesti di reclutamento nel tuo sacchetto e da quei ciondoli di Iwatobi-chan in costume da bagno, che stai probabilmente pensando di regalare alle nuove reclute”.

   Il treno si arresta, Rei ripone il libro nello zaino, assesta gli occhiali da vista sul naso, “Come ti ho già detto, faccio parte della squadra di atletica. Arrivederci”, e scende alla fermata sbagliata.

   “La scuola è alla prossima stazione!”, sbraita il coscritto, per poi affacciarsi al finestrino, schiacciando metà faccia contro il vetro, a fissare il turchino mentre corre gli ultimi chilometri di strada verso l’istituto, “Wow, corre per l’ultimo tratto ogni giorno!”.

   Ancora non se ne rende conto, ma Nagisa ha ormai scelto la sua prossima vittima.

   Dopo le lezioni, raduni i tuoi nuotatori per mostrare loro l’annuncio di una palestra con piscina al coperto e area benessere.

   “Possiamo nuotare qui a fine stagione? Sugoi!”, chiede felice il biondino tutto pepe.

   “Vero?”, sorridi, “Credo che le scuole come la nostra, senza piscine al chiuso, offrano servizi del genere”.

   “Viva la nostra super manager!”.

   “Non esagerare”, fingi modestia, portandoti una mano dietro la testa.

   “Haruka-senpai”, lo saluta Gou, vedendolo comparire muto, ma con aria partecipante, dietro i suoi colleghi.

   Il moro ti strappa di mano il foglio e lo esamina, “Come la paghiamo?”.

   “Con il budget del club, che domande”, esponi.

   “Questa palestra è piuttosto costosa”, interviene Makoto, “Chissà se il budget coprirà le spese...”.

   Le iridi di Haruka sono languide come una laghetto montano in piena estate. Deve assolutamente nuotare da qualche parte. 

   Questa è la vera ragione per cui abbiamo aperto questo club di nuoto, si ripetono contemporaneamente i due furfanti di gemme.

   “Starai pensando la stessa cosa”, afferma il più alto.

   Colto in flagrante, il delfino si volta dalla parte opposta, zittendolo.

   “Questo significa che potremo fare il bagno tutto l’anno!”, il pinguino è al settimo cielo.

   Vi recate in sala insegnanti per discuterne con la consulente di facoltà.

   “Non si può fare”, distrugge le vostre aspettative Amakata-sensei, stringendosi in uno dei suoi cardigan pastello, “La scuola non potrà mai stanziare così tanti soldi ad un club nuovo di zecca, senza nemmeno un trofeo. C’è un aforisma tratto dalla Bibbia in proposito: Chi non vuole lavorare, neppure mangi.

   “Mi sembra un po’ fuori luogo”, rimane interdetto il gigante buono.

   “Non si può mangiare una piscina”, manifesta deluso il biondo.

   “Avremmo i finanziamenti, se il club portasse a casa qualche risultato?”, chiede Gou motivata.

   “E’ il modo migliore per assicurarvi dei fondi”.

   “Risultati”, sibila tra sé Haruka.

   “E se fossimo in grado di realizzare un torneo estivo?”, propone il capitano.

   “La vostra richiesta potrebbe essere approvata alla seconda riunione di revisione del bilancio finale. Ma vi serviranno almeno quattro nuotatori per sostenere la causa”.

   Il vicecapitano si sente improvvisamente soffocare. La gola arde assetata. Si allenta il nodo della cravatta e deglutisce rumorosamente, Quindi sarebbe inutile se non riuscissimo a trovare un altro membro...

   “Solo un’altro e potrò nuotare quando voglio!”. L’espressione impassibile del cetaceo si anima testarda. Deve trovare un altro atleta. Ne va della sua sanità psichica.  

   Preso da un subitanea fede nella causa, l’idrofilo defila fuori dall’aula, derapando bruscamente da destra verso sinistra, e raggiunge deciso degli alunni del primo anno, che discutevano dell’ultimo test scolastico di storia.

   “Ohi”, li interrompe brusco, avvolto da un’aura oscura, facendoli sobbalzare sull’attenti.

   Scuote davanti ai loro occhietti impauriti un portachiavi di Iwatobi-chan con il costumino a slip, “Vi regalerò questo, così entrerete a far parte del club di nuoto.”.

   Le due matricole bocciano scettici l’offerta.

   Voi quattro, a distanza di qualche metro, lo fissate empi. Gou gli rivolge un sorriso compassionevole, mentre Makoto sospira e Nagisa tiene la bocca aperta dallo stupore per il poco tatto che Haruka possiede.

   “Non ha speranze”, sentenzi comprensiva, “E’ il massimo che possiamo ottenere da Haru”. In socialità, perlomeno.

   “Haru-chan, non ti abbattere!”, lo incoraggia il tesoriere del club, prima di fuggire via, dicendo che deve appendere dei poster sulla bacheca scolastica all’ingresso. 

   Qui, mentre riflette sull’aspetto che dovrebbero avere i volantini per attirare più iscritti possibile, con la coda dell’occhio intravede Rei che si dirige verso gli armadietti, tenendo ancora saldo fra le mani Guida all’atletica leggera.

   Lo segue, “Aspetta, Ryugazaki-kun!”. 

   Il compagno alza lo sguardo al cielo infastidito.

   “Andiamo a casa insieme? Possiamo parlare del nuoto”.

   Non me ne frega niente del nuoto, accidenti!, impreca Quattrocchi.

   Rei apre lo sportello a lui assegnato e, recuperando le scarpe da tennis, smorza la discussione unidirezionale, “Ho l’allenamento adesso”, lo guarda asettico, dopo essersi sistemato nuovamente gli occhiali sul naso - dev’essere un tic -, “E non c’è nulla che tu possa dire per convincermi ad entrare nel club di nuoto”.

   Il saltatore con l’asta se ne va sostenuto, lasciando Nagisa a piagnucolare  su quanto sia cinico. Poi, in un momento di distrazione, il pinguino nota il nome completo della sua preda, infervorando maggiormente la sua determinazione.

   Il biondo vi corre incontro in corridoio, agguantando te e Haruka per i polsi e trascinandovi, seguiti dagli altri, alla pista esterna di decatlon.

   “Da questa parte”, esclama la rana del team, scortandovi oltre una recinzione metallica, che unisce il sentiero pavimentato ad un’ampia area polverosa, “Ho trovato la persona perfetta!”.

   “La squadra di atletica?”, chiede interdetta Gou.

   “Nessuno può unirsi a noi, allora”, sancisce Makoto.

   “Guardate laggiù”. Seguite la direzione del suo indice, davanti al quale, in lontananza, si presenta l’immagine di un ginnasta in fase di riscaldamento, fasciato da un’aderente tenuta sportiva, che dà spettacolo della sua figura ben strutturata e tonica. L’espressione facciale, seminascosta dietro gli occhiali professionali, sembra molto concentrata.

   “E’ il suo destino!”, prosegue Nagisa giulivo.

   “Faceva parte della squadra di nuoto alle medie?”, domanda Haruka, cercando di rammentare la presenza del turchino nella sua memoria.

   “Ha un passato in questo campo?”, s’immischia la seconda ragazza della combriccola.

   “Mmm, non mi ricordo di lui”, commenti.

   “E’ il suo nome!”, continua il pinguino, rendendovi ancora più frastornati.

   “Il suo nome?”, pone Marcantonio.

   “Già”, annuisce il biondo, “E’ Ryugazaki Rei-chan”.

   E quindi?, pensate in eufonia.

   “E’ come noi. Un ragazzo con un nome femminile”.

   “Sarebbe questo il motivo?”, infierisci.

   “Dovete ammettere che è vero”, afferma assorta la piccola Matsuoka, per poi divagare sui muscoli del soggetto in questione, “Quei meravigliosi deltoidi...”.

   “E’ quello che ti interessa?!”, trasalisce Makoto, “Credete davvero che queste ragioni possano bastare?”.

   “Il mio è un ottimo motivo!”, si difende la rossa.

   “Bisogna andare d’istinto in queste cose, Mako-chan”, conferma Nagisa.

   “Sembra che stia per saltare”, li stoppa il cetaceo.

   Rei prende un asta commisurata con la sua altezza, la predispone perpendicolarmente al suolo, bilancia le gambe nerborute in base al suo piede di stacco e calcola.

   Rei è un intellettuale. Mescola la logica allo sport, convinto che il rigore psicologico conduca alla sintonia fisica, rendendo una persona bella dentro - perché culturalmente interessante - e fuori - perché esteticamente attraente. Perfetto nella giusta interpretazione del latinismo mens sana in corpore sano

   Di fatti, vi è una stretta correlazione tra capacità motorie e capacità mnemoniche e attentive, in particolare la stimolazione degli indici neuroelettrici di attenzione e di memoria. Però, la disciplina, portata all’eccesso, non passa da ascensione a limitazione?

   Altezza della barra: 4,20m.

   Impostare la velocità di spinta a V.

   Impostare l’accelerazione ad A.

   La gravità è G.

   Se il centro di gravità, dopo aver preso in considerazione la lunghezza del palo, è H, allora l’angolo di approccio...

   Il saltatore prende la rincorsa, protende l’asta difronte a sé e la incastra nella fessura di stacco, approfittandone per darsi più spinta verso l’alto. Si libra in volo a testa in giù, arrampicandosi sull’estremità della barra come se fosse un’estensione del proprio corpo. Porta il bacino parallelo al limite da superare, inarca la schiena e si rovescia per attutire meglio il colpo con il materasso.

   “La sua forma era perfetta”, giudica il vostro capitano, “Probabilmente è un grande subacqueo”.

   “E i suoi bicipiti sono fantastici!”, arzigogola Gou.

   “E’ tutto ciò che ti importa?!”.

   Rei si mette a sedere, poggiando il pugno chiuso contro il mento, Ho calcolato male l’angolo di approccio.

   Nagisa è strabiliato da tanta diligenza. Oppure anche da altro? Non ne è sicuro, sa solo che deve parlare al più presto con lui. A questo scopo, decide di aspettarlo in stazione dopo la fine degli allenamenti.

   Compera una qualche porcheria energetica dolciastra e lo attende così, trangugiando vitamine e con lo zaino sulle cosce, sin quasi al crepuscolo.

   Uno scalpitio di passi. 

   Il biondo si affaccia fuori dalla sala di aspetto e manda giù chiassosamente l’ultimo sorso rimastogli in gola. Si alza, gesticolando con la mano, “Ehi, Rei-chan!”.

   L’occhialuto è attonito, “Rei-chan?!”. Aggrotta la fronte.

   “Puoi chiamarmi Nagisa”, ammicca l’altro cordiale.

   “Non lo farò”, di nuovo il tic delle lenti, “Non siamo così intimi”.

   Il biondo si avvicina di un passo, “Potremmo diventarlo non appena di sarai iscritto al club di nuoto”.

   Quello più serioso si allontana della medesima distanza, “Non mi unirò al club”.

   Ancora lo stesso tentativo di convergenza.

   “Sono interessato soltanto agli sport più belli”.

   La danza si ripete, ma a metà stavolta, “Come l’atletica?”.

   “Sì”, Rei distoglie momentaneamente le iridi lavanda dalle pagine stampate, “E’ uno sport conosciuto, grazie a bellissimi eventi come il salto con l’asta. Puoi ottenere la forma perfetta attraverso calcoli e teoria”.

   Il pinguino non comprende dove voglia andare a parare, “Sembra troppo difficile da capire”. Tenta di ottenere un contatto visivo con il compagno di classe, “Potresti stare in entrambi i club allo stesso tempo. Usi i muscoli delle braccia per il salto con l’asta, no?”, mostra il muscolo, “Quindi il nuoto sarebbe perfetto?”. 

   In effetti, sarebbe il modo migliore per equilibrare in modo ottimale la distribuzione della sintesi proteica.

   Il turchino gli dà le spalle, “Non mi unirò ad entrambi i club”. Decide di voltarsi e farla finita una volta per tutte. Chiude il libro con un movimento fulmineo delle dita e lo guarda grifagno dritto negli occhi, “Dopotutto, gli esseri umani si sono evoluti per vivere sulla terra. Perché dovremmo regredire a fare sport in acqua?”, alza la voce e agita gli arti drammatico, “Sfida la ragione! Non dimenticare che l’acqua possiede 12/13 volte la viscosità dell’aria!”.

   La mente di Nagisa è ancora più babelica di quanto non lo fosse in principio. Ha iniziato ad annebbiarsi, non appena Rei ha cominciato a trasformare la loro precaria conversazione, in un’equazione di Fisica.

   Tuttavia, il biondino non dispererà.

   Domani è sempre un’altro giorno.

   E il dì successivo arriva, pieno di grandi novità e impellenti ultimatum.

 


Note D'Autore

Buonasera (o buongiorno).

Ecco voi il quinto capitolo.

Finalmente, vediamo l'ingresso del personaggio di Rei e una svolta nel triangolo amoroso. Halleluja xD

Come sempre, ringrazio chiunque mia stia seguendo e per tutti i pareri che ho ricevuto finora. Ancora non mi capacito che The Reader sia così apprezzato - tra preferiti, seguiti, ricordati e recensori siete una quarantina, per non parlare delle visualizzazione che superano di gran lunga il centinaio (il prologo quasi 400 visite adirittura!).

Grazie infinitamente, siete troppo buoni!

Un ringraziamento speciale va a DeathVoice - new entry nelle recensioni su questo fandom, ma che ha già commentato alcuni miei scritti in passato - per avermi sostenuta prima e per averlo fatto anche adesso. Al solito, spero di poter ricambiare.

Mi auguro vivamente che anche questo capitolo sia all'altezza delle vostre aspettative.

"See ya next water time!"

 

Termini

Stranamente stavolta non ce ne è nessuno di rilevante.

Semmai "filarino", che è una parola un po' desueta per indicare il fidanzatino che si ha da ragazzini/e.

Caleidoscopico: deriva da caleidoscopio che è uno strumento ottico composto da specchi colorati e che crea molteplici simmetrie.

Oba-chan: come è intuibile, significa "nonna" in giapponese.

   
 
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