Mazel tov!
Capitolo
07 – La
speranza è l’ultima a morire
Quella fu l'ultima
volta che avevo visto il sorriso di Noah. Appena scendemmo dal carro, ci
trovammo di fronte dieci uomini armati. Il primo che presero fu Noah. Cercai di
liberarlo ma il mio tentativo fu vano. Mi diedero un colpo dietro la testa.
Vidi del sangue sul volto di Noah. Sentivo in lontananza la sua voce.
« Vai in America » gridava « fuggi, vai in America, ci vediamo a New York ».
Non ricordo molto perché a causa del dolore lancinante dietro la nuca tendevo a
vedere tutto in maniera più incomprensibile.
Ricordo le lacrime
e le urla. Alina e la sua famiglia riuscirono, tra le lacrime, a salire su
quella nave perché Noah li fece nascondere dietro ad una cassa di pesce e dei
marinai americani li fecero accomodare all’interno. Presero Noah: ebbi la vaga
impressione che fossero lì proprio per lui e per me.
Noah non lo vidi più. Sapevo esattamente dove l'avevano portato.
Io fui condotto nella mia cittadina. Incontrai mio padre al commissariato. Era
una stanza anonima dalle pareti grigie sporche di resistenza. La voce del
generale rimbombava all’interno.
« Portami da Noah. Voglio andare dove sta Noah. » era l'unica cosa che
dissi con voce tremante di rabbia.
« Credevi di prendermi per il culo, moscerino? Secondo te non l'avevo capito
che ti nascondevi a casa di quel frocio ebreo? »
« Non rivolgerti a lui con quel tono, bastardo!! Tu non hai la minima idea di
cosa significa vivere, io l'ho imparato grazie a lui e- » fui interrotto da dei
suoi ripetuti pugni. Non si sprecò ad usare un manganello, voleva rovinarmi con
le sue stesse mani.
« Frocio » mi ripeteva continuamente in tono dispregiativo, mentre io mi
sentivo denudato della mia libertà e
dell’amore che provavo per Noah.
Quando fui
sufficientemente sanguinante e indolenzito, mi spedì in prigione. Disse agli
altri che potevano divertirsi con me in tutti i modi che preferivano dal
momento che ero un traditore del sangue puro. Gli altri lo presero in parola.
Ricordo che usavano il mio corpo come quello di una prostituta. Ricordo i
soprusi di quegli uomini repressi. Le violenze. Le lacrime.
Ero rintanato in un angolo ogni notte, mi asciugavo gli occhi con il dorso
della mano. Fui spogliato dai miei vestiti, ero nudo e infreddolito su un
materasso lurido e sporco di sangue e umori. Fissavo quelle sbarre e speravo
che Noah arrivasse come un eroe a portarmi via.
Noah non arrivava mai. Non arrivò mai.
Io non potevo
ancora sapere cosa era accaduto davvero al mio Noah. Potevo solo immaginarlo e
nonostante temessi il peggio, il peggio in realtà era ancora più devastante.
Fu mio padre a parlargli. Insomma, immaginatevi un generale tedesco che scopre
che colui che si era presentato come un
"tedesco fratello di Angelica" era in realtà un ebreo
omosessuale fidanzato con suo figlio. Noah fu spedito direttamente ai campi,
solo dopo che mio padre gli avesse spezzato la gamba sinistra e quella destra.
Non era utile per i lavori ai campi. Io lo aspettavo e lui invece...
Nel 1944 fui
portato ad Auschwitz. Mi aveva accompagnato proprio il generale Wolfrang in
persona. Mi sputò in faccia prima di affidarmi a delle altre guardie, dopo
avermi spiegato per filo e per segno come aveva ridotto Noah. Avevo perso il
conto delle persone che avevano violato il mio corpo, che mi avevano sputato
addosso nella migliore delle ipotesi, che mi avevano ferito a sangue. Tutte le
volte piangevo perchè mi sentivo sporco. Come se
avessi tradito Noah.
Nel campo la vita non era diversa. Ad approfittarsi di me non erano solo quelli
più rozzi e incivili, ma anche le guardie. Stupidi vigliacchi. Nascondevano la
loro indole omosessuale sfogando su di me la loro repressione dopo aver preso
moglie e concepito dei figli. Ricordo la violenza incessante con la quale
ferivano il mio corpo come mille lame. Ogni volta mi sentivo sudicio e infranto
come il mio cuore e come la speranza di vedere Noah.
Nel campo conobbi
un ragazzo, il suo nome era Luigi. Era ebreo anche lui, nato in Italia. Luigi
lavorava in una panetteria in Italia prima di finire ad Auschwitz, ogni tanto
parlavamo prima di andare a dormire. Lui mi teneva compagnia e stringemmo
amicizia. Così, quando ogni tanto ci davano un tozzo di pane raffermo, io
immaginavo che fosse pane appena uscito dai forni a legna di cui mi parlava
Luigi in un tedesco stentato. Chiudevo gli occhi e sentivo l'odore del pane
fresco, il parlottare delle casalinghe che facevano la spesa, il campanello
della libreria di Noah. Anche Luigi era stato acciuffato mentre cercava di
partire per l'America. Diceva che alcuni ce l'avevano fatta. Io pregavo per
Alina e la sua famiglia. Pregavo per Noah. Pregavo per la signora Maya. Ricordo che quando cercavo di oppormi, o
quando non lo facevano, o quando cadevo e mi facevo male durante quei lavori,
trovavano sempre un modo per punirmi. Sono stato umiliato, sfruttato,
maltrattato. Ho visto le pene dell'inferno. Solo perché amavo un uomo. Un uomo
che stava subendo le stesse cose solo perché amava me e il loro stesso Dio ma
ci credeva in maniera diversa. Ricordo che volevo cedere. Però c'era Luigi che
mi aspettava sveglio come un cane da guardia aspetta il padrone. Voleva
accertarsi sempre che fossi vivo. La speranza, in quei pochi attimi, s'accendeva. Come quando, nei terreni del signor Pryce,
appassivano le margherite e Noah mi faceva notare che erano appena fruttati i
meli.
Ad Auschwitz vidi
cose che non potevo neanche immaginare nelle più omicide fantasie verso coloro
che abusavano di me. Eravamo marchiati a fuoco. Ci costringevano a lavori da
bestie da soma e quando ci facevamo male, ci mandavano "a fare la
doccia" nelle camere a gas. Quelli che andavano, non tornavano mai.
Luigi era sposato con Cinzia, una bella italiana formosa con dei capelli
lunghissimi neri, secondo lui la più bella ragazza che un uomo potesse mai
desiderare. Io gli dissi che amavo Noah. Lui non disse nulla. Non ebbe pregiudizi.
Luigi mi ascoltava ed io ascoltavo lui. Mi disse che l'amore è bello da qualunque parte proviene e che amare non è mai un peccato.
Quando arrivammo, ci privarono di tutti i nostri effetti. Luigi mi raccontava
che lui aveva ingoiato la fede che portava al dito in segno dell'unione con
Cinzia. Insomma, l'aveva ingoiata per non farsela portare via. Poi aveva
cercato tra le sue feci per ritrovarla. La sciacquava con l'acqua che ci davano
da bere e quando venivano le nuove ispezioni l'ingoiava di nuovo. Era una cosa
immensamente schifosa, immensamente tenera, immensamente disperata. Pensai che
avrei voluto anch’io ingoiare un pezzo di Noah da tenere sempre con me, ma di
Noah l'unica cosa che avevo era un libro che avevo affidato ad Alina prima di
farci portare sul carro da quell'infame del signor Kinley.
Il 26 gennaio del
1945 mi ruppi un braccio. Da giorni sentivo le persone borbottare di
"salvezza". C'erano docce sempre più frequenti. Luigi mi disse di
nascondermi. Con Luigi dividevo la brandina. Ci nascondemmo sotto le coperte.
Il tono era troppo agitato, erano evidentemente di fretta.
« Che stanno dicendo, Zarin? Uè, che sta dicendo? »
« Shh! Abbassa la voce, Luigi! Non sono riuscito a sentire bene..
Borbottavano di una perdita.. Di un impero finito.. Di fare piazza pulita...
Restiamo nascosti, Luigi, presto potrai rivedere la tua Cinzia se stai un po'
zitto! »
Lui annuì e bofonchiò « Spero che anche tu possa ritrovare il tuo Noah...
»
Luigi era sincero. Parlava sempre con il cuore in mano. Gli sorrisi e lui
sorrise a me.
Il 27 gennaio 1945
uscimmo all'avanscoperta. Vedemmo dei soldati senza una svastica sulla divisa.
Ci videro anche loro. Luigi ed io iniziammo a correre all'impazzata. Correvano anche loro.
« Please, don't run! Don't run! We aren't going to hurt you! Please! Stay here!
Please! We're here to save you! Hey, you two! »
Ci scovarono. Tremavamo come due foglie. Il
soldato aveva un elmetto verde militare, rigido, ed un fucile sulle spalle.
« Are you ok? Your arm is bleeding... »
« Che sta dicendo questo tizio, Luigi? »
« Ahh, questo è inglese! Mio zio è in America, qualcosa la so! Aspetta
aspetta.. Ehm.. I.. Me.. We, ecco, we are ehm.. We are... »
« Free! You are free! Come with us! »
« Free? We are free? Liberi? »
« Yes, free! Liberi, free! Come on! »
« COME ON! »
Luigi saltò dalla gioia e mi abbracciò. Anch’io piansi dalla gioia e lo abbracciai.
Eravamo free, qualunque cosa significasse eravamo fuori da lì.
« Where are you
going? » domandò il soldato « You can follow your dreams now, which are your
destinations? »
« America » dissi io, alzando lo sguardo verso il
cielo « New York. »
Luigi non poteva
fare altro che urlare « Cinzia, sto tornando da te amore mio! » e saltava
seguendo quel soldato. Si strappò quel camice a righe da dosso, piangeva dalla
felicità. La sua voce strepitava. Io guardavo il cielo e sorridevo.
« Todà rabà, signora Maya » sorrisi. Ora dovevo raggiungere Alina e Noah.
Quel giorno seppi
cosa significasse la libertà. Avevo tanta vita dentro e tanta altra da vivere.
L’angolo dell’autrice:
Ciao a tutti! Eccomi qui con il settimo e
penultimo capitolo di “Mazel tov”. Volevo ringraziare AsanoLight,
Bliss_, Jasminevampire, Frauro, Amarie, LolaBlack,
Danyel, darkmagic31 e otti89 per aver aggiunto la storia alle seguite e
Ladydaredevil per le recensioni :3 l’invito è sempre il solito: lasciatelo un
commentino a questa povera ragazza .w.
E ora, che ne sarà di Noah? Si
ritroveranno in America, la terra delle mille opportunità?? Lo scopriremo nel
prossimo (e ultimo) capitolo!
A presto! :3
Dal prossimo capitolo:
« Ahh, la
pioggia » mormorò un signore poco più grande di me, coprendomi con l'ombrello.
« Riesce sempre a-- » feci per parlare ma lui concluse la frase al posto mio.
« A coglierci di sorpresa. »