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Autore: Honodetsu    02/10/2013    2 recensioni
"...Non seppe come, ma quel momento di leggerezza, di tranquillità, sembrò dissolversi in un attimo. L'assurda idea che potesse essere finita si sgretolò al vento.
L'agitazione e la preoccupazione per l'italiano furono ingogliate da un qualcosa di più profondo, di più intenso. E mai avrebbe immaginato che si potesse provare una cosa del genere e che, un essere umano, potesse sopportare un simile dolore..."
E' con piacere che vi presento questa mia seconda fanfiction su Hetalia; dove amori, passioni, gioia e lacrime non mancheranno di certo.
...Se siete interessati, leggete...
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Francia/Francis Bonnefoy, Prussia/Gilbert Beilschmidt, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU | Avvertimenti: Triangolo
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-”Sei cresciuto davvero tanto, Ludwig! Mi ricordo ancora di quando, timidamente, ti nascondevi dietro tuo fratello!”-
Antonio sembrava parecchio allegro, nonstante le occhiatacce di Romano, continuava a sorridere ed a coinvolgere quel tedesco nei suoi discorsi.
L'italiano non se ne capacitava.
-”Sul serio, sei diventato davvero un bel ragazzo.”-continuò. Il ramato rizzò le orecchie. Aveva udito bene? Bel ragazzo? Se prima il suo sguardo era di rimprovero, adesso era omicida.
Gli diede un pizzicotto dietro la schiena. Il volto di Antonio sembrò rabbuiarsi di colpo, quasi come se, all'improvviso, si fosse ricordato della sua situazione.
Ma durò solo pochi secondi, poi tornò il suo solito sorriso. Forse un po' nervoso, sì, ma sempre accogliente e travolgente. Ludwig, sentendosi al centro dell'attenzione, si portò una mano dietro alla nuca ed arrossì lievemente. Guardò di sfuggita Feliciano che, a sua volta, lo osservava sorridente.
-”Sì, da piccolo,”-tornò a guardare imbarazzato l'iberico-”ero molto timido...”-
Romano grugnì.
-”Ma non mi dire...”-brontolò, ma nessuno, stranamente, sembrava averlo udito. O meglio, fu udito, ma felicemente ignorato.
-”Romano mi ha raccontato, più o meno, come vi siete conosciuti.”-continuò Antonio, portando un braccio intorno alle spalle del fidanzato. L'italiano lo guardò allarmato-”Mi ha molto colpito.”-
A Feliciano brillarono gli occhi, sorrise con amore e guardò Ludwig.
-”Davvero?”-chiese allegro allo spagnolo-”Ti ringrazio molto, ma se c'è una storia d'amore sorprendente è la vostra.”-
Il largo sorriso d'Antonio si fece un poco più piccolo, la sorpresa si dipinse sul suo volto nel vedere, negli occhi ambrati dell'italiano, una luce. Una luce forte e misteriosa.
Rimase ad osservarlo con sorpresa, mentre gli sorrideva spontaneo e bello. Era così simile ma così diverso da Romano.
-”Avete dovuto superare tanti di quei problemi.”-continuò, Feliciano, gardando il fratello sempre con quella strana luce negli occhi-”Siete davvero sorprendenti... Nonostante tutti i dispiaceri che avete dovuto sopportare non vi siete mai allontanati l'uno dall'altro.”-lo sguardo ora si posò su di Antonio. E lo spagnolo riuscì a vedere, a palpare, la sua ammirazione, il suo rispetto, il suo riuscire a comprendere la loro relazione.
Non seppe il perché, ma non poté che provare un moto di forte riconoscenza. I suoi occhi non giudicavano, i suoi occhi non commentavano. Quella luce che vi vedeva, era un qualcosa di talmente bello da spezzare il fiato. Gli sorrise con uno dei suoi sorrisi più belli.
È la persona più dolce e buona che abbia mai conosciuto...
-”Ti ringrazio tanto.”-guardò Romano, ma non vide nulla nel suo sguardo. Che fosse rimasto commosso, un minimo, anche lui? Impossibile capirlo, come sempre.
Ludwig, strinse dolcemente la mano di Feliciano, e per un attimo si guardarono negli occhi, in silenzio. Sembrava quasi parlassero un linguaggio che potessero comprendere solo loro due.
Romano, osservò gli occhi rapiti del fratello nell'osservare quell'uomo. E non poté che provare tenerezza ed un po' di delusione: un tempo, quegli occhi, guardavano solo lui. C'era stato un tempo in cui, Feliciano, pendeva dalle sue labbra.
Ma quei tempi, evidentemente, erano finiti. Già, finiti, svaniti, volati via con il vento con la sua partenza, e conseguente abbandono, da Feliciano.
Però, come poteva anche solo pensare, che tra di loro non c'era amore? Come poteva guardarli e giudicare? Come poteva credere che la loro relazione, così dolce, fosse sbagliata?
Eppure più li guardava, più provava malinconia.
Feliciano, il suo piccolo fratellino. Il fratellino che aveva abbandonato in Italia, che aveva abbandonato, apparentemente, senza un futuro, senza una sola possibilità di poter diventare qualcuno. Eppure eccolo, sapeva parlare perfettamente quattro lingue e faceva un lavoro rispettabile. Si era costruito un futuro, era diventato qualcuno. E completamente da solo.
Nel vederlo parlare e sorridere, si sentì terribilmente in colpa.
Lui non c'era stato per il fratello quando era partito per la Germania in cerca di lavoro, lui non c'era stato quando aveva avuto dei momenti tristi, i primi successi. Lui non c'era stato.
E come ne soffriva per questo.
Eppure Ludwig, per Feliciano, c'era stato eccome.
Romano osservò il tedesco. Come guardava il suo fratellino, come lo toccava delicatamente, come gli rispondeva. E, nell'unire quelle piccole premure, sentì il cuore scoppiare.
Ludwig c'era stato per Feliciano, era stato presente nei suoi momenti più difficili. E come lo invidiava per questo.
Ma, nonstante l'invidia, nel vederlo toccargli la spalla, nel vederlo sorridere ed arrossire ad i suoi abbracci così spontanei e così infantili, nonstante l'invidia, provava anche tanto riconoscimento.
Già, tanto, tanto, infinito riconoscimento.
Perché senza di lui, Feliciano, non sarebbe mai diventato quello che era adesso.
Un uomo così alto, così robusto, così chiuso, così privato e così diverso dal fratello: eppure poteva esserci amore più spontaneo del loro?
Per la prima volta da quando lo aveva visto, sentì che poteva anche sopportare la sua presenza. Anzi, sentì che, con il passare del tempo, avrebbe anche potuto acettarlo. Lo osservò sorridere e parlare con Antonio, lo studiò attentamente.
Per un attimo incrociò lo sguardo del fratello. Gli sorrise, quasi gli stesse chidendo silenziosamente cosa ne pensava. Romano gli sorrise e gli fece l'occhiolino.
Ciò, sembrò procurargli un'enorme gioia: si mose un labbro, quasi incapace di contenere tutta quella felicità, e gli sorrise ancora.
E Romano riconobbe quel sorriso.
E Romano sentì il cuore urlare.
Sentì il disperato bisogno d'abbracciarlo.
Quello era il sorriso di riconoscenza ed ammirazione che, quando erano piccoli, Feliciano gli donava sempre.
Grazie, Feli... Grazie per non essere cambiato... Spero che Ludwig ti possa rendere davvero felice..


Ok, era ufficialmente un'idiota.
Era da più di un'ora che girava per strada nella dannata speranza di incontrarla. Si grattò la testa con fastidio, facendosi anche male.
Ma perché? Perché? Non ha senso, non lo ha!
Gilbert sbuffò rumoroso. Era da tutta la mattina che non faceva che pensare a lei. Per un quale motivo poi, che gli era sconosciuto.
Insomma, l'aveva vista un po' di volte per puro caso, avevano parlato, ed il fatto che, per puro caso, lei gli avesse indirettamente salvato la vita, durante uno dei suoi attacchi, non era mica importante.
Sbuffò.
No, non lo è, dannazione...
Eppure era uscito di casa ed, inconsciamente, stava girando proprio nei posti in cui, casualmente, l'aveva incontrata più spesso.
E poi, non è vero... Chi dice che sono uscito per lei? Chi? Io sto solo gironsolando per le strade...
Sbuffò nuovamente. Quel giorno sembrava non riuscire a fare altro.
Ed ecco, in mezzo alla folla, spiccò una ragazza dai capelli castani. Era voltata, camminava calma verso una vetrina. Un tuffo al cuore.
Era lei? Era davvero lei?
Sentì il cuore cominciare a pompare imperterrito. Uno stupido sorrisino gli si delineò sul volto. Fece per fare il primo passo per avvicinarsi quando, la ragazza, si voltò casualmente dalla sua parte.
Fissò quel volto sconosciuto e, tra l'altro anche un po' bruttino, con sgomento. Si sistemò il giaccone sulle spalle con fastidio e, con nonchalance, si schiarì la voce.
Falso allarme...Meno male.
Perchè mentiva a sé stesso?
-”Ehi, Gil!”-
Un altro colpo al cuore. Questa volta era lei, vero? Si voltò con gli occhi che brillavano. Prima cosa che notò: capelli biondi, occhi azzurri, barba incolta. Sentì un tic nervoso invadergli l'angolo della bocca. No, decisamente non era lei.
-”Ah... Ciao, Francis...”-fece deluso. Il francese lo guardò con un sopracciglio inarcato.
-”Oh, quanta gioia!”-ridacchiò-”Non pesavo di esseti così simpatico.”-
Gilbert lo guardò ironico.
-”Aspettavi qualcuno?”-gli chiese. Il prussiano si guardò intorno. Un ultimo sguardo tra la folla di gente. Ma che faceva? Davvero la stava cercando? Si diede fastidio da solo. Tornò a guardare l'amico.
-”No, stavo solo girando un po'.”-mentì.
-”Capisco.”-sorrise-”Ti inviterei a bere, amico, ma ho un appuntamento importantissimo con il mio Arthur!”-fece malizioso. Gilbert si lasciò sfuggire un sorriso accantivante.
-”Allora non ti trattengo.”-gli diede una pacca sulla spalla-”A sta sera, amico, divertiti.”-
Francis ridacchiò e riprese la sua camminata.
-”A sta sera!”-
Gilbert voltò le spalle, sospirò.
Lo sguardò menegregnista scomparve, al suo posto una lieve tristezza. Si guardò un poco in giro, speranzoso. Nulla. Niente di niente, non c'era.
-”...”-si morse un labbro.
Perché non poteva aver incontrato lei al posto di Francis?


Era un pomeriggio come tanti altri, una luce opaca filtrava dall'enorme finestra davanti a lei. Era da molto tempo che l'avevano lasciata lì dentro sola, seduta su quella morbida poltrona. Le dita affusolate da bimba passarono sulla stoffa del bracciolo.
Sentì un rumore provenire dalla stanza accanto, dei passi svelti e goffi sul pavimento incerato. Gli occhi verdi diedero una sbirciatina veloce alla porta in legno d'acero.
Niente, ancora silenzio.
La sua attenzione tornò al bracciolo morbido. Come amava quella poltrona, come l'amava. Ai suoi occhi era sempre apparsa grande e morbida, così autoritaria e solenne. Era da anni che aveva provato a sedercisi sopra od anche solo a sfiorarla, ma non vi era mai riuscita. Posò il viso sullo schienale morbido, aspirandone l'odore.
Chissà, per quale motivo, non l'avevano mai fatta avvicnare a quella poltorna. Non vi sedeva mai nessuno, se ne stava lì, immortale negli anni, inusata.
Era buffo come ogni singola domestica in quella casa non l'avesse mai fatta nemmeno avvicinare a quella poltrona mentre, ora, l'avevano fatta sedere tranquillamente, dicendole di rimanere zitta e di aspettare.
Già, era buffo, molto buffo.
Ma ad Eliza non scappò nemmeno un sorriso. Anzi, al solo ricordare di come, poco prima, l'avevano trattata con estrema gentilezza, si sentiva in agitazione.
Si portò una ciocca dietro l'orecchio, benché portasse i capelli corti, in quel momento, era come se non riuscisse a gestirli. Le cadevano davanti agli occhi, irritandola ancora di più.
Quanto era passato da quando era entrata lì dentro?
Una mezz'ora?
Probabile, la tensione la stava torturando.
Cominciò a guardare con ostinazione la porta. Nonostante tentasse in tutti i modi di controllarsi continuava ad avere un'irrefrenabile senso di panico ed ansia.
Che cosa stava succedendo? Perché tutti erano stati così gentili con lei? Perché era chiusa in quella stanza?
Doveva essere per forza successo qualcosa, se no tutto ciò non era spiegabile, non era comprensibile. Cominciò a mordersi spasmoticamente un labbro.
Non le avevano mai rivolto attenzioni le altre domestiche, non le aveva mai rivolto attensioni il padrone della casa, anzi, non lo aveva mai nemmeno visto quell'uomo.
E bene? Cosa era successo?
Cominciò a mancarle l'aria, come se tutto l'ossigeno di quella stanza fosse terminato. Sentì il panico invaderla, la paura invaderle la ragione dei suoi dieci anni di vita.
Dov'era sua madre? Perché l'avevano fatta sedere su quella poltrona?
Non seppe il perché ma le rimbombavano nel cervello le parole della cameriera che, molto prima, l'aveva accompagnata in quella stanza.
Vieni piccola, su... Adesso rimani qui, da brava. Guarda, ti faccio sedere anche qui su questa poltrona che ti è sempre piaciuta tanto...”
Gli occhi di Eliza si riempirono di lacrime. Come erano state buttate giù a caso quelle parole, come era falsa quella gentilezza. Si stropicciò il lembo della gonna, per poi tornare a torturare la stoffa della poltrona.
Dov'era sua madre? Da quanti giorni non la vedeva? Due, tre? Non era mai successo che non si vedessero per così tanto tempo.
...Rimani qui e sta calma... Risolviamo il problema e poi tornerà tutto alla normalità...”
Strinse i polpastreli intorno ai braccioli della poltrona. Risolvere il problema, aveva detto. Strinse così tanto i denti che le parve di sentirli scricchiolare minacciosi.
Stava pensando ad un qualcosa di orribile, un qualcosa che non voleva, non poteva, essere la realtà.
No, no... Mi sbaglio, non può essere, non può essere...”
Ma la porta d'acero si aprì, maledetto portale di crudeltà, ed i suoi pensieri furono smentiti clamorosamente.
-“...Mamma...”-un sussurro strozzato, carico di una speranza vana.
Ciò che ne seguì dopo furono lacrime.
Fu dolore.
-”Mi dispiace...”-fu la risposta falsa.
Eliza, da quel giorno, odiò profondamente quella poltrona.


-”Smettila di ignorarmi, Elizaveta!”-urlò, sbattendo forte i pugni contro la porta-”Dobbiamo parlare, ora!”-
Eliza, con gli occhi serrati, posava i palmi sopra il lavandino del bagno, tentando inutilmente di non udire quelle urla.
Vattene! Vattene! Vattene!
-”Eliza!”-
Che cosa voleva? Cosa?
-”Ti prego, apri!”-
Aprì appena gli occhi, il suo riflesso nello specchio la fece inorridire. Odiava il suo aspetto, era così debole. Serrò di nuovo gli occhi con rabbia e disperazione.
Vattene, dannazione! Vattene!!
-”Non eri tu quella che voleva parlare, un tempo?”-insisteva Arthur, da dietro alla porta di ingresso -”Dai, aprimi e risolveremo tutto, so che mi ascolti, so che sei in casa!”-e, nell'udire quella voce così aspra ma allo stesso tempo preoccupata, le parve quasi che Arthur fosse tornato quello di un tempo. Che fosse tornato il solito bimbo biondo e scontroso della sua giovinezza. La castana strinse i polpastrelli.
Ma era solo un'inutile illusione.
No! Ti sbagli, io non sono a casa! Io non sto ascoltando! Vattene!
-”Eliza...!”-
Poi regnò il silenzio per qualche minuto. La ragazza si staccò dal lavello, quasi speranzosa che potesse essere finito tutto, che potesse essersene andato via. Si impose di reagire, si schiaffeggiò un paio di volte le guance, riprendendosi un poco.
Si sporse dal bagno, fino ad arrivare davanti alla porta d'ingresso. Con mani tremanti d'ansia, guardò dallo spioncino. Si ritrasse subito, era ancora lì. Sbatté involontariamente contro il legno della porta.
-”Eliza...”-
Dannazione, perché era così goffa? Si maledisse.
-”Ti prego, scusa...”-
La ragazza fissò sbalordita la porta.
-”Cosa?”-chiese, come se non potesse credere a quello che aveva appena udito. Ci fu un attimo di silenzio, come se Arthur fosse rimasto, anche lui, sorpreso.
-”...”-le parve di sentirlo sorridere attraverso il legno-”Sai, questa situazione mi ricorda una cosa successa un po' di tempo fa...”-
La castana aggrottò la fronte.
-”Vattene! Non mi interessa, non voglio avere più nulla a che fare con te ed i tuoi problemi!”-gli urlò dura, anche se molto confusa.
-”Anche io, come te, sono fuggito, sai?”-continuò imperterrito, con una voce dolce mai udita da Eliza -”Anche io, come te, mi sono ritrovato a parlare da dietro ad una porta con un'altra persona.”-
Gli occhi verdi della ragazza si abbassarono.
-”... Perché me lo stai dicendo...?”-chiese, quasi immaginandosi la scena.
-”Perché credevo che farti sapere che anche io ci sono passato potesse aiutarti.”-
-”...”-rimase ammutolita, si morse un labbro-”Non sei mai stato così gentile...”-
-”Le persone cambiano.”-
La sentì ridacchiare da dietro la porta.
-”Oh, non credo! Almeno non tu.”-
Arthur sorrise amaro.
-”Dannazione, devo essere stato proprio pessimo, eh? ”-
Eliza non rispose, almeno non subito.
-”...Da cosa eri scappato, Arthur?”-chiese con durezza, quasi volesse far capire che, quel tentativo dell'inglese di avvicinarssi a lei, era inutile.
Vi fu un attimo di silenzio, tanto che Eliza temette che non le rispondesse e che il suo caratteraccio sarebbe tornato.
-”Non “da cosa”... Ma “da chi”...”-prese un sospiro-”Dalla persona a me più cara al mondo...”-fu la risposta inaspettata.
In quel momento il suo astio scomparve.
-”Dalla più cara...?”-chiese lei, quasi assorta da quelle parole.
Chi era una persona cara?
Lei non avrebbe saputo dirlo.
Sua madre? No, lei al massimo lo era stata un tempo.
Il padre di Arthur? No.
E allora chi?
Lei non aveva persone care.
-”Sì e sono stato uno sciocco...”-vi fu una pausa, in cui Eliza tentò di arrestare i pensieri che correvano nella sua mente-”Però poi tutto si è risolto.”-
Lei chiuse gli occhi con stanchezza. Risolto. Già, come avrebbe voluto che anche i suoi, di problemi, si risolvessero.
Riaprì gli occhi, dentro vi si poteva scorgere un forza sconosciuta perfino a sé stessa.
-”E come?”-
-”Ho aperto la porta.”-
Silenzio.
Ed in quel silenzio Eliza per poco non morì per il dolore.
-”Arthur...?”-tentò di rimanere lucida.
-”Sì?”-
-”Prometti che se apro questa porta non mi giudicherai?”-
All'inglese scappò una risata.
-”Chi sono io per giudicare se sono il primo a sbagliare. E poi, per cosa dovrei giudicarti? Non hai fatto nulla di sbagliato.”-
-”Davvero?”-chiese lei, alzando un sopracciglio, scettica. Eliza strinse la mano intorno al pomello della porta e, con rabbia, la spalancò.
-”E bene, io non ho nessuna intensione di tornare a Londra.”-
Lo disse con decisione, con voce ferma e con gli occhi asciutti. Arthur la guardò da prima con sorpresa, poi con tenerezza. Era diventata davvero una bella donna.
Sorrise amaro.
Chissà quante ne aveva passate quella ragazza. Chissà quante cose aveva dovuto sopportare al suo posto. Sospirò, i suoi occhi verde acido si fecero più dolci.
-”Mi dispiace, sai?”-gli sussurrò-"Scusa..."-
Eliza lo guardò interrogativo, senza smettere di assumere quell'atteggiamento deciso: sapeva che se si fosse lasciata andare sarebbe scoppiata. E non poteva permetterselo, non ora.
-”...Hai dovuto prenderti cura di un uomo che non è nemmeno tuo padre, come se fossi una semplice badante...”-continuò lui, non avendo nemmeno in coraggio di guardarla negli occhi.
Che gli prendeva? Era venuto con l'intenzione di urlarle contro e di farsi ascoltare, ed ora? Ora dov'era finita tutta quella decisione? Dov'era finita tutta quella voglia di urlare?
Svanita. Svanita in quegli occhi decisi e duri. In quegli occhi di un verde gelido. Non sopportava il suo sguardo, era così duro, quasi lo stesse rimproverando silenziosamente.
Eliza si fece dura in volto, decisa a non cedere.
-”E bene, ora...?”-lo incalzò.
Ma Arthur, dopo tutto, si meritava tutto il suo odio.
-”Ed ora nulla.”-sorrise amaro, alzò lo sguardo su di lei-”Ed ora basta.”-alzò le sopracciglia-”Se non vuoi tornare io non ti costringerò, non ne ho il diritto.”-
Sebbene il suo viso non dimostrò alcuna emozione, il cuore della castana tremò per la felicità.
-”...”-
-”Quello che hai dovuto sopportare è stato enorme...”-sembrava non trovare le parole, quasi, nell'averla così vicina davanti a sé, lo mettesse in difficoltà. Eliza rimase a guardarlo in silenzio.
In quel momento rivide il bambinetto dai pugnetti chiusi e dalgi occhi cattivi, ma anche tremendamente dolci, che la trattava male e che la insultava.
Rivide, anche, quello stesso bambino che, in uno dei suoi giorni migliori, si lasciava andare e le parlava quasi fosse un fratello.
-”Insomma... Io...”-farfugliò.
Eliza si ritrovò a sorridere.
Non seppe nemmeno lei dove trovò la forza, od il coraggio, per sorridere in quel momento.
-”Tranquillo.”-gli fece sorridente, toccandogli la spalla-”Dopo tutto ti sei già scusato una volta... Mi va bene così.”-
Arthur la fissò ammutolito, quasi gli sembrasse di esser tornato indietro nel tempo. Nei periodi in cui vivevano insieme, nei periodi in cui la trattava sempre male e che, nel momento di scusarsi, era sempre lei quella a fare la prima mossa.
Solo in quel preciso istante si rese conto di quanto fosse stato crudele con lei.
Si morse un labbro, fingendo di essere distaccato e menefreghista.
-”Ora finiscila di montarti la testa.”-fece acido-”Sono solo venuto a dirti che devi fare pace con il cervello!”-la guardò di sbiego-”Sei venuta fin qui per farmi cambiare idea e l'unica cosa che hai ricavato è stato un tuo ripensamento. Ora cosa farai, mocciosa?”-
Lo disse con voce crudele ma alle orecchie di Eliza apparve come un rimprovero fraterno. Sorrise, scuotendo la testa. Possibile che avesse ancora bisogno di ricorrere a certi trucchi per far trasparire i suoi sentimenti?
Sospirò amara.
-”Non ho alcuna intenzione di tornare, Arthur...”-disse calma. Il biondo la guardò serio e, per qualche secondo, rimase a fissarla in silenzio.
-”Nemmeno io...”-fu la risposta.
Quell'affermazione fece male ad Eliza.
-”Però non posso chiudere i conti così.”-sbuffò-”Temo che, prima che il vecchio muoia, mi toccherà fargli visita.”-fece acido, quasi infastidito. Ma anche in quel tono di voce Eliza lesse dell'altro: preoccupazione e tristezza.
-”Mi dispiace.”-gli disse, lei.
-”Non devi.”-
-”Ma...”-
-”Non devi.”-la interruppe.
Rimasero a fissarsi negli occhi. Negli occhi dell'inglese c'era riconoscenza, c'era tristezza per il padre, c'era paura, timore. C'erano tante cose ma, se non fosse stato per il fatto che Eliza lo conoscesse bene, probabilmente non se ne sarebbe mai accorta.
Le sorrise e lei rimase stupefatta da quel sorriso.
-”Stammi bene, Elizaveta.”-gli fece un cenno del capo, le voltò le spalle e fece per scendere le scale. La castana si strinse un lembo della maglia.
-”Aspetta! Ma come farai con...!”-
-”Non preoccuparti.”-la interruppe-”So che potrebbe ferirti la cosa ma... Probabilmente, malato com'è, il vecchio nemmeno si ricorderà di te.”-posò una mano sulla ringhira delle scale.
Eliza sembrò rattristisi di colpo.
-”...”-face per aprire bocca.
-”Sshh...”-le sorrise di nuovo, prese a scendere le scale-”Ora sei libera di vivere la tua vita come meglio credi.”-ormai era scomparso dalla sua visuale-”Buona fortuna!”-
Il cuore della ragazza ebbe un tremito.
Già, non era più legata ad Arthur ne a suo padre. Sorrise malinconica, triste. Guardò per l'ultima volta, prima di rientrare, le scale dalla quale era sceso l'inglese.
Eliza ebbe l'impressione che, per la prima volta nella sua vita, Arthur, fosse riuscito a mostrare il lato migliore del suo carattere.
È vero, ora era libera.
Ma la liberà aveva il suo prezzo.
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Note

E bene, signore e signori... il trentottesimo caitolo!

Honodetsu:D
  
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