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Autore: Caladan Brood    30/03/2008    2 recensioni
Se potessi tornare indietro, se potessi ripetere i miei passi, sarebbero molti gli errori con cui dovrei confrontarmi. E anche se, con ogni probabilità, a molti non saprei ancor oggi porre adeguato rimedio, sono convinto che, almeno in quell’occasione, saprei come agire. Nulla sarebbe successo. Il 2005 mi sarebbe scivolato tra le dita, un semplice granello in più sul fondo della clessidra, uguale a tutti i precedenti… e ora non saremmo a questo punto.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo

Si svegliò con una certa difficoltà. Il ritorno alla realtà fu graduale, estremamente lento, riuscì ad aprire gli occhi solo dopo diversi tentativi. Ancora supino, in principio non riuscì a vedere nulla. Si portò una mano al volto, quasi a controllare se le palpebre gli avessero ubbidito, mentre l’altra mano scivolava lungo il fianco andando ad adagiarsi su qualcosa di estremamente duro al tatto, incredibilmente levigato, perfettamente piano, gelido. Ciò che, senza troppi dubbi, identificò essere un pavimento. Sbarrò gli occhi, di attimo in attimo sempre più sveglio. La sua mente cominciò a risalire la memoria fino all’ultimo ricordo. Si ricordò di aver perso conoscenza ma nulla che anche solo vagamente potesse giustificare la sua presenza sdraiato sul pavimento di una stanza buia. Qualcosa era andato storto! Di scatto si mise seduto, in un movimento meccanico la mano destra fece per scivolare sotto la giacca. Non portò mai a termine il movimento. Il braccio si bloccò a metà strada quando realizzò quello che era appena stato in grado di fare. Sconcertato si focalizzò sul proprio corpo. Con le dita si tastò il petto. Tutto ciò che avvertì fu la soffice consistenza dell’abito che indossava, la giacca era sparita. Pur non distinguendo con chiarezza il proprio abbigliamento era certo che non fosse lo stesso di prima. Che diavolo stava succedendo? Represse la domanda sul nascere per concentrarsi sulla realtà della situazione. Era disarmato, al buio, seduto a terra senza avere i propri vestiti addosso. Con una rapidissima occhiata si guardò intorno. Ciò che vide certo non contribuì a tranquillizzarlo. Sottilissime incisioni si estendevano tutto intorno a lui, impresse nel lucido pavimento su cui giaceva, emanando per tutta la loro lunghezza una fievole illuminazione in mancanza della quale non sarebbe riuscito a scorgere alcun particolare. Un tenue chiarore che gli rese possibile realizzare quanto fosse immenso il salone in cui si trovava. Un luogo sconosciuto. Non c’era mai stato prima, né ricordava di esserci stato condotto. Unica nota positiva pareva essere che nelle vicinanze non ci fosse nessuno, almeno fin dove i suoi occhi, non ancora abituati a quell’oscurità, potevano vedere. La cosa più prossima a lui era una colonna, scura come il pavimento del salone, probabilmente dello steso materiale, imponente come poche altre avesse mai visto. Con rapidità vi si avvicinò stando il più basso possibile, vi appoggiò la schiena e lì rimase. Ad un primo sguardo non gli sembrava di aver visto uscite, decise di guardare maglio. Sempre più avvezzo a quelle condizioni di scarsa illuminazione studiò con più calma quanto gli stava intorno. Il salone era gigantesco, anche più grande di quanto avesse stimato in precedenza. L’impalpabile chiarore sprigionato dalle incisioni nel lucido pavimento sotto di lui andava perdendosi in lontananza per scemare del tutto solo in prossimità dei possenti muri portanti che erano a malapena distinguibili. La vastità dell’ambiente era divisa in tre settori da due ordinate file di colonne equispaziate l’una dall’altra, tanto alte che a stento se ne poteva scorgere la sommità e con essa il soffitto del salone. Quei pilastri non lo rendevano affatto sicuro, un nascondiglio troppo comodo, soprattutto con quelle condizioni di illuminazione. Doveva trovare un’uscita al più presto, finché nelle vicinanze non c’era nessuno. Con enorme difficoltà riuscì a seguire i muri portanti lungo il perimetro del salone. Quando riuscì a scorgere il portale che, in quel momento, costituiva l’unica uscita da quel luogo nemmeno lo riconobbe come tale. Smisurato nella sua grandezza, probabilmente da solo non sarebbe nemmeno riuscito a smuoverlo anche nell’eventualità che non fosse sbarrato. Passò oltre per continuare nella propria ricerca. Sporgendosi parzialmente oltre la colonna rivolse la propria attenzione nella direzione opposta. Solo in quel momento si rese conto di non essere solo nel salone. A poco meno di trenta passi da lui una breve scalinata portava all’enorme trono di cui non riuscì a distinguere con chiarezza i particolari. Probabilmente grazie al contrasto che la carnagione bianchissima di colui che lo occupava creava con l’oscurità circostante, si avvide subito che esso non era vuoto e, nonostante quell’indecifrabile penombra, ebbe la certezza che quell’individuo lo stesse osservando. Era stato visto. Non aveva fatto abbastanza attenzione a rimanere nascosto, o semplicemente quell’uomo lo osservava da quando si era svegliato. La seconda ipotesi era la più probabile, e in entrambi i casi non aveva più senso cercare di rimanere il meno in vista possibile. Si rimise in piedi. Ricambiò lo sguardo a propria volta mentre cercava di distinguere maggiori dettagli su quell’uomo. Solo allora si rese conto che egli non era solo. A breve distanza dal trono si poteva intravedere una seconda figura, alta e imponente, immobile. Quando, dalla direzione in cui stava guardando, una voce si rivolse a lui ebbe la netta sensazione che fosse stato proprio quest’ultimo a parlare:
«In ginocchio»
Era un ordine, e probabilmente, in qualunque altra circostanza, l’idea di ubbidire non lo avrebbe nemmeno sfiorato, anche se, lì, in quel luogo, in quel momento, non considerava così remota la possibilità di acconsentire alla richiesta. Non lo fece. Nonostante la situazione fosse chiaramente di pericolo, nonostante ancora si stesse chiedendo che diavolo ci facesse lì e come fosse possibile quanto gli stava capitando, ancora incapace di comprendere cosa stesse accadendo e cosa fosse accaduto, non si genuflesse.
«Perché dovrei?» replicò, nelle sue parole più umiltà di quanta non ne avrebbe voluta.
«In ginocchio». La voce, autorevole e profonda, risuonò nelle sue orecchie con più violenza. Il tono pacato di poco prima si era fatto più duro, più che un ordine cominciava ad essere una minaccia. Anche se solo nei primi attimi non si mosse.
L’imponente figura in nero fece per alzare un braccio ma non portò a termine il movimento. Si fermò ad un semplice cenno dell’uomo seduto sul trono, il quale, rivolgendosi al nuovo arrivato, disse:
«Si avvicini pure, se vuole, signor Kelly»
Un inglese fluente, nessuna inflessione dialettale. Chiunque fosse quell’individuo era madrelingua, quasi di sicuro non americano. Un tratto riconoscitivo che quantomeno restringeva il campo, che avrebbe potuto aiutare ad identificare quella gente ma di cui, almeno in quel momento, il signor Kelly non si curò. Già quasi sulle ginocchia quando gli venne rivolta la parola, tutt’altre domande ad affollargli la mente, si limitò a riacquistare una posizione eretta. Fece qualche passo in direzione degli altri due. Si fermò quando ancora era a più di dieci metri da loro, senza accennare a voler procedere. Se ancora una volta gli fosse stato ordinato di inginocchiarsi avrebbe ubbidito.
Rimase in attesa, valutando se fosse il caso di prendere la parola per primo o meno. Un attimo dopo si rese conto che tale decisione non si sarebbe rivelata necessaria. Ad interrompere il profondo silenzio che li avvolgeva l’individuo sul trono disse:
«Immagino si stia chiedendo il perché della sua venuta qui»
L’altro si limitò ad annuire.
«Ho una proposta per lei» continuò l’oscura figura dall’alto della sua postazione.
Kelly rimase spiazzato, la sua risposta fu quasi involontaria:
«Come?»
«Mi serve il suo aiuto»
«Aiuto?»
«Lei è la persona adatta»
L’eventualità di una trattativa lo rassicurò. Pur conscio di essere nella posizione peggiore per dettare condizioni, il nuovo arrivato si limitò a chiedere:
«Ho possibilità di scelta?»
«Può decidere se collaborare o meno» spiegò l’individuo sul trono, nel suo tono di voce non c’era alcuna traccia di ostilità «ma farà comunque ciò che le verrà chiesto»
Kelly nemmeno si fermò a valutare quale significato avessero quelle parole, le interpretò come tali, alla lettera, nemmeno prese in considerazione l’idea di chiedere chiarimenti.
«E se collaborassi?» domandò.
«Le verrà data la possibilità di continuare a vivere»
«Uscirò di qui?»
«È l’unico modo che ha per ritornare alla sua vita»
Minacce più o meno velate a cui Kelly si sarebbe dimostrato indifferente di norma ma che in quell’occasione non riuscì ad ignorare. Indeciso per un istante, valutò la situazione nella sua interezza, sorvolando, almeno momentaneamente, sull’oggettiva impossibilità del suo essere lì, proprio allora, in quel luogo, in piedi davanti ad un trono nel mezzo di un ampio corridoio delimitato da due file di colonne. Non ci mise molto a realizzare di aver ben poche opzioni a disposizione. In verità nessuna. La sua posizione era di netto svantaggio. Non aveva scelta, doveva stare al gioco, capire di che trattasse la faccenda. Non poteva far altro finché non ne avesse saputo di più.
«D’accordo»

  
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