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Autore: Silvar tales    03/10/2013    1 recensioni
"Sei davvero presuntuoso Ratonhakè:ton, se credi di potermi insegnare a cavalcare".
"Cavalcare?" La provocò Connor strizzandole l'occhio. Il cavallo soffiò in direzione di Faline, che arretrò di almeno dieci passi. Ma impiegò soltanto mezzo secondo per recuperare la sua grinta.
"Nel senso primo del termine. Purtroppo credo che per un altro tipo di cavalcata abbia tu bisogno di prendere lezioni da me, Ratonhakè:ton".
Genere: Avventura, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Connor Kenway, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Black Creek



Gira e rigira, Faline e i suoi uomini erano sempre intenti a festeggiare in qualche taverna, o in un luogo qualsiasi che avesse un adeguato rifornimento di beveraggi, come il fortino di Black Creek.
Quel luogo aveva il fascino di una foresta tropicale e l'austerità di una selva nordica messi assieme. Il sottobosco era tappezzato di grosse felci di un verde brillante che contrastava con il colore scuro del muschio; il muschio ricopriva ogni cosa, rami e tronchi spezzati, rocce, casotti di caccia.
Le luci del forte baluginavano sperdute nella vegetazione; gli schiamazzi dei soldati che festeggiavano la giornata appena trascorsa, all'infuori delle rassicuranti abitazioni degli uomini, erano ovattati e sovrastati dai guaiti delle linci e dai lamenti delle alci.

"Bevi ancora Connor, forza...! La vita è breve!" Lo incitò Benjamin, il ragazzo che aveva finto di volerlo uccidere, riempendo per la quinta volta il suo boccale.
"Si chiama Ratonhakè:ton", disse stancamente Faline dal fondo del tavolo, forse per la ventesima volta quella serata. Lei non aveva toccato alcolici, li riteneva un pericolo mortale per la sua intelligenza.
"Ratonaghe... Hai voglia di scherzare!" Seguì un coro di risate ebbre e grasse.
Jord sbuffò, stanco di vedere Connor accerchiato da uomini ubriachi e insopportabilmente loquaci.
"Quel ragazzo è ciò che resta degli Assassini della Confraternita..." Iniziò con una certa malinconia, rivolgendosi a Faline e piegandosi verso di lei perché la sentisse meglio tra le chiassose urla dei soldati unite alle risate degli Assassini.
"La Confraternita", ricalcò Faline sprezzante, non riuscendo a trattenere una risata di scherno. Pur non avendo bevuto quella sera pareva lo stesso ubriaca. "Un folle che dà vita a una setta di folli, e altri folli che seguiranno le idee del folle per gli anni a venire. Non c'è da stupirsi che i Templari banchettino".
"Intendi Rashid ad-Din Sinan? Fu lui il folle di cui parli?" Si introdusse Jord con serietà, accigliandosi. Ma Faline lasciò passare qualche minuto di silenzio tra loro, forse perché riteneva la risposta troppo ovvia per doverla palesare, o forse perché si era rinchiusa in chissà quale roccaforte fatta di pensieri lontani.
"Intendo chiunque segua le sue idee".
Il suo sguardo pareva distante, scrutava nelle fiamme del focolare senza trovarvi una fine, come se guardasse oltre la parete nera del camino.
"Eppure tu sei un'Assassina", riprese Jord, a bassa voce, temendo di spezzare il suo filo di pensieri.
"Un'Assassina più intelligente", specificò Faline, guardando il suo compagno negli occhi e dedicandogli uno dei suoi irritanti sorrisi canzonatori. Jord le sorrise di rimando, poi entrambi si persero a fissare Connor che, dopo il sesto boccale di birra, si era lanciato in un appassionato racconto di come avesse liberato un forte templare saltando dall'albero di una nave in movimento al portabandiera di un torrione gremito di cecchini.
"Ho bisogno di una boccata d'aria, vieni", disse d'improvviso Jord a Faline, alzandosi bruscamente dal tavolo. La ragazza lo guardò interrogativa, ma poi raccolse la sua spada e lo seguì. Entrambi trascinarono Connor all'esterno afferrandolo per le braccia, causando un immediato dissenso generale, proprio di chi era stato appena interrotto sul punto culminante di un avvincente racconto.
Tuttavia, i pochi uomini di Faline che ancora erano sobri, seguirono il terzetto fuori dalla cantina.
Fuori, la notte era fitta di stelle e l'aria profumava di erba bagnata.
Connor, ancora confuso da quella perentoria interruzione, si strofinò il viso con le mani, cercando di scuotersi di dosso il torpore dell'alcool e del sonno.
"Forse questo ti può aiutare", spazientita, Faline spinse la testa di Connor in una botte colma d'acqua gelida, di norma un abbeveratoio per cavalli.
Jord e Marcus fecero un balzo all'indietro, anche se ormai erano più che abituati agli sbalzi d'umore di Faline.
Connor riemerse dal tino con i capelli grondanti; fu una fortuna che avesse troppa stanchezza sulle spalle per mettere le mani addosso alla ragazza e attentare alla sua vita. Perlomeno il peso della sbronza gli si era alleviato.
"Dobbiamo fare due chiacchiere con te, Ratonhakè:ton, e ci servi lucido", iniziò Marcus, un ragazzo dall'aspetto nobile, dai folti riccioli nerissimi ed occhi ugualmente neri, molto attraente.
"Quante volte te lo devo ripetere Mark, non sei la mia guardia del corpo", sbuffò Faline tenendosi in disparte e mettendosi a guardare le stelle.
"Già, non ne hai bisogno", calcò il biondo Jord, "eppure mi chiedo, che succede se ti scopri incinta?"
"Già, che succede?" Ripeté Marcus rivolgendosi a Connor con tono minaccioso. "La guerra incombe, e Faline ci serve pronta ed abile a combattere, nel pieno delle sue forze e facoltà!"
Connor, forse ancora un po' intontito, ricambiò quelle che parevano delle minacce con uno sguardo confuso. "Di cosa mi stai accusando esattamente, Marcus?"
"Di nulla, non ti sta accusando di nulla", intervenne nuovamente Faline a denti stretti, e bastò la sua voce ferma e adirata a imporre silenzio. "Marcus, o sei ancora innamorato di me, difetto che ti consiglio caldamente di correggere, o hai bevuto decisamente troppo per una sola sera. In entrambi i casi, qualora io avessi un bambino, seppure in questa stagione infausta, sarò ben felice di partorirlo, e non sarà certo un problema per me. Una vita in più non è mai un problema. Piangiamo già abbastanza le vite che si spengono, perché mai dovremmo fare un dramma per quelle che nascono?"
Gli uomini si zittirono all'istante e piegarono la testa, cedendo come sempre alle inflessibili argomentazioni del loro capo Assassino.
Faline, dopo aver guardato ognuno di loro con severità, sbuffò come una madre paziente, forse per la centesima volta quella sera, e prese Connor in disparte.
"Vieni, flagello della corona... È così che ti chiamano a Nuova York, lo sapevi?"
"Preferisco che mi chiamino il liberatore..." Rispose lui stando al gioco.
Seguì Faline per l'intricato sottobosco, lasciandosi alle spalle il forte e i chiassosi compagni di bevuta; ad ogni passo metteva in fuga veri e propri squadroni di castori e lepri: Black Creek era un'ottima regione di caccia, come molte prede e pochi predatori.
Faline sorrise di fronte alla sua spavalderia.
"Dov'è finita la tua modestia, Ratonhakè:ton? O è solo perché sei ubriaco?"
Si fermarono in una conca oltre il ruscello, all'ombra della parete di roccia, in un'insenatura erbosa dove branchi di alci pascolavano e si accoppiavano felici.
Connor si decise a guardarla in faccia, benché nella notte non distinguesse bene il suo viso, e benché ciuffi bagnati di capelli ancora gli prudessero sul collo e gli risvegliassero pungenti moti di irritazione nei suoi confronti.
"Perché ti ostini a chiamarmi Ratonhakè:ton?" Un secondo dopo si maledisse. Non era certo la domanda migliore che poteva fare in quella circostanza.
Faline sorrise canzonatoria e lo guardò con sufficienza, com'era sua consuetudine.
"Le cose vanno chiamate con il loro nome, altrimenti perdono di significato".
"Sì, questo me l'hai già detto".
"Ebbene", sorrise maliziosa Faline, scuotendo energicamente la testa. Un gufo gridò in lontananza, portandosi via con sé lo squittio di un topo e i versi sguaiati delle linci. Il vento iniziava a levarsi.
Connor dondolò titubante verso Faline. Nella sua magra esperienza questo doveva essere il momento adatto per... baciarla, porle omaggi, insomma fare qualche cosa di galante, alla maniera di quegli strambi e cerimoniosi occidentali.
Ma, neanche a dirlo, lei bloccò tutti i suoi flebili pensieri sul nascere.
"Non ti bacerò ora al chiaro di luna Ratonhakè:ton, se è questo che ti aspetti. Al massimo ti porterò a letto".
Connor si trattenne dall'alzare una seconda volta gli occhi al cielo.
Si era dimenticato che Faline tutto poteva essere tranne che una creatura del gentil sesso.
   
 
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