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Autore: njaalls    03/10/2013    2 recensioni
Erano passati tre mesi esatti e i miei stipendi si sciupavano nel giro di pochi giorni, i miei chiamavano ogni santissimo giorno per accertarsi che fossi viva, senza capire ancora che la figlia scapestrata e abbonata alle figure di merda non era cambiata, rimaneva sempre single e troppo goffa per essere guardata con occhi innamorati da qualcuno. Ormai mi ero rassegnata. Ero così dalla nascita e per sempre sarei rimasta la ragazza combina guai.

"arrivederci, signori. È stato un piacere" esclamò, ma pochi secondi dopo la borsa le cadde dalle braccia e il contenuto le si rovesciò per terra, tutti risero di lei.
"aspetta, ti aiuto" mi offrii, alzandomi, lo sguardo serio e le sopracciglia aggrottate. Entrambi ci piagammo sulle ginocchia e insieme mettemmo a posto tutto.
"grazie" mormorò, mordendosi il labbro. "ho fatto una bella figura, no?" domandò a bassa voce.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: George Shelley, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Zooey.
 
 
Fuori faceva freddo, mentre dalla finestra fissavo le nuvole scure nel cielo cupo. Era sera, e avevo aspettato quel momento da giorni, con la consapevolezza che sarebbe stato di nuovo mio. Il sorriso dolce e la sua incredibile gentilezza mi mancavano come l'ossigeno, e le sue mani sui miei fianchi erano ancora troppo lontane e distanti. Trattenni un fremito d'eccitazione e sorrisi, guardando l'archivio dei messaggi salvati, sapendo, che aveva bisogno di me esattamente come io necessitavo di lui.
Feci un passo fuori dall'ingresso e uscii sul pianerottolo, voltandomi, vidi una delle mie due coinquiline immersa nel buio del soggiorno, intenta a guardare un film in italiano. Lei e sua sorella si erano trasferite qui per un paio di anni per uno scambio culturale  con l'università e, grazie ad Harriet, ci eravamo conosciute e avevamo deciso di condividere quel piccolo appartamento. Mi ero trasferita lì da un mesetto circa e tutto sembra andare per il meglio, sia con le mie nuove amiche italiane, che schifavano il nostro cibo, sia con il lavoro, non era il massimo, ma dovevo accontentarmi. Negli ultimi tempi, ero diventata un po' più matura e me la cavavo abbastanza bene con la gestione della casa, ma peccavo ancora in cucina, sebbene ci stessi mettendo tutta me stessa. George sarebbe stato contento di me, ne ero certa, qualsiasi fosse stato il risultato. Sorrisi automaticamente a quel pensiero e poi chiamai contenta l'ascensore, sentendomi quasi spensierata. Quando arrivai al piano terra, uscii in strada e camminai per un centinaio di metri, fino ad una pizzeria dove comprai una pizza familiare, che trasportai attentamente fino ad un altro palazzo, proprio voltando l'angolo. Aprii il portone lentamente e mi feci trasportare, mentre il silenzio corrodeva il mio povero cuore, fino all'attico, dove per tutto quel tempo avevo evitato di andare, o sarei potuta scoppiare a piangere.
Ogni mobile era dove l'avevamo lasciato prima della sua partenza, che ora sembrava lontana anni. Mi obbligai a non lasciarmi abbattere dalla malinconia e accesi le luci, con le mani tremanti, sentendo poi l'odore familiare di quella casa che mi era mancata da morire.
"Sono tornata" mormorai in soggiorno, come se una voce spedita e roca potesse rispondermi e una figura alta e magra venirmi incontro con gioia. Notai un paio di scarpe buttate malamente in un angolo e alzai gli occhi al cielo, ma quando vidi una maglietta bianca appallottolata su un mobile, non riuscii a non trattenere un risolino. Mi diressi in cucina e lasciai il cartone sul tavolo di legno, sentendomi finalmente a casa. Non che stessi male nel mio nuovo appartamento, soltanto che l'affetto, che mi legava a quello in cui mi trovavo, era imparagonabile. Respirai a fondo, trattenendo una lacrima.

 
 
 
Un van si fermò proprio sotto la finestra contro cui ero raggomitolata ormai da tre ore e quando intravidi due figure, automaticamente mi drizzai, sorridendo. Erano entrambe alte e slanciate, ma, anche se ai miei occhi erano poco più grandi di due puntini, notai la pesantezza dei loro movimenti. Erano stanchi e una fitta arrivò dritta stomaco, come un pugno. Insieme presero due valigie dal portabagagli e poi uno dei due le afferrò trasportandole verso la portineria, lentamente, come se non avesse più forza. Il mio battito accelerò, non appena lo vidi superare la porta di vetro, con uno zaino in spalla e la chitarra stretta tra le dita lunghe, e notai l'altra persona salire sul sedile di guida e partire, diretto altrove con il van nero. Mi obbligai a rimanere seduta e ritrovare il controllo perso nel momento esatto in cui lo avevo riconosciuto, anche a quell'altezza, anche con un misero lampione ad illuminare la strada. Ma avevo così tanti pensieri per la testa ed ero così felice e eccitata d'abbracciarlo di nuovo, che trovai ugualmente maledettamente lunghi i minuti che trascorsero. Speravo ogni secondo che la chiave girasse e la serratura scattasse, lasciando passare la figura slanciata e gentile che avevo sempre aspettato, ma tutto era infinitamente lungo e stressante. Sembrava tutto un film visto a rallentatore, dove la protagonista era una stupida ragazzina innamorata, che conduceva una vita frivola, che girava solo ed esclusivamente attorno al suo amore per un ragazzo bello e ammaliante. Patetici e irritanti quei film, eppure mi ci ritrovavo catapultata dentro come se fossi io la protagonista questa volta, una combina guai nata che aveva trovato un appiglio in un ragazzo conosciuto per puro caso, completamente diverso da lei. Era stato il destino, non era programmato che lui entrasse in quel bar e che mi soccorresse mentre tutti ridevano di me, e nemmeno che cadesse la mia stupida agenda e lui la raccogliesse. Quando me l'aveva riportata, risi, avevo seriamente pensato che fosse uno stalker, invece mi aveva risposto che passava lì per caso e che il destino aveva voluto che avesse con sé la mia agenda. Ancora il destino. Buffo.
Sorrisi e un'altra lacrima solcò la mia guancia, tirai di naso e per un attimo mi sentii portata indietro dai ricordi, con dolcezza. Soltanto quando sentii per davvero la chiave girare nella serratura e vidi la porta aprirsi, tutto si fermò. La pellicola aveva smesso di girare lentamente e adesso la sceneggiatura era nostra, dovevamo soltanto scegliere come continuare.
Fu lui a fare il primo passo, dopo essersi fermato sulla soglia di botto, con un'espressione prima confusa e poi stupita. Sorrise e io ricambiai piano piano, volendo assaporare ogni istante. Mi era mancato ed era tutta colpa del suo lavoro, del loro tour per il Regno che li aveva tenuti occupati per un mese. Avevo assistito alla prima serata, ma poi ero tornata a Bristol, lontana da lui e tutto era diventato insignificante.
"Zooey" sussurrò, muovendo appena le labbra. Era più alto di qualche centimetro, lo potevo giurare, e i capelli erano sempre più ricci e curati, portati lateralmente per praticità, gli occhi però erano sempre gli stessi castani, sinceri e amorevoli. Si abbassò per poggiare la chitarra a terra e quando si drizzò, sorrise, facendo qualche passo avanti. "Non pensavo di trovarti qui, ti avrei telefonato, ma-"
E prima che potesse continuare, mi ero alzata, gli ero andata incontro correndo e gli ero saltata addosso, abbracciandolo. Mi prese appena in tempo, evitandoci una caduta e chiuse la porta con un calcio, stringendomi a sua volta. Sentivo le sue mani scivolarmi lungo i fianchi e poi mi accarezzarono le cosce, per sorreggermi, chiusi gli occhi e premetti il mio viso contro il suo collo.
"Mi sei mancato da morire" ammisi in un sussurro. C'eravamo telefonati, vero, ma nulla aveva a che vedere con il poterlo toccare e baciare, il sentirlo vicino non soltanto con il cuore. Senza rendermene conto ero scoppiata in un pianto liberatorio e, mentre me ne stavo stretta al suo corpo, lui si sedette sul divano e aspettò, accarezzandomi la schiena come si faceva con i bambini.
"Anche tu" rispose con un sibilo, appena mi scostai dal suo collo per cercare i suoi occhi. Sentii il suo pollice accarezzarmi la guancia e asciugare una lacrima, prima di sorridere e avvicinarsi a me. Chiusi gli occhi. Percepii il suo fiato sulle mie labbra e poi i suoi capelli solleticarmi la fronte, lo avevo di fronte, ne ero sicura, e non desideravo altro che un bacio. Quando mi accontentò, si alzò dal divano e io scesi lentamente, scivolandogli addosso e poggiando le punte dei piedi per terra.
"Ti-" iniziò dandomi un altro bacio, molto più focoso del precedente. Gli tolsi il giubbotto e poi la giacca, mi attirò a se e gli buttai le braccia al collo, stringendolo talmente forte, da sentirlo irrigidirsi. "Amo" continuò ugualmente, senza fiato.
"Anche io" sussurrai, staccando le mie labbra dalle sue. Gli misi una ciocca corta di capelli dietro le orecchie e sorrisi. "Più di qualsiasi altra cosa al mondo, George Shelley"
Ridacchiò. "Ho fame. Tanta fame"
Roteai gli occhi e lo presi per mano, accarezzandogli il dorso della mano, dove si intravedevano un reticolo di vene che lo faceva sembrare più uomo di quanto non fosse. Era un ragazzino per il resto, ed era solo mio.
Mi cinse da dietro e camminammo buffamente petto contro schiena, senza staccarci, fino alla cucina. "Ho comprato la pizza... Tre ore fa"
"Avrei preferito qualcosa fatto con le tue mani, ma okay" acconsentì, con una smorfia. Si sedette in una sedia e mi fece segno di poggiarmi sulle sue gambe, con un sorrisino."Sei più bella di quanto ricordassi" sussurrò, afferrando con foga una fetta di pizza ormai fredda e dura, che mangio però con gusto.
Aggrottai le sopracciglia e lui si fermò, confuso. Quando capì per cosa era la mia espressione indignata, mi spiegò quell'appetito insaziabile. "Non mangio da oggi a colazione"
Annuii stancamente e mi poggiai contro il suo petto, avendo quella sensazione di protezione che sentivo solo con lui.
"Sai-" iniziò, masticando e sfilandosi con i piedi stessi le scarpe sotto il tavolo. Poggiò il mento sulla mia testa, ancora accostata al suo petto, e abbassò lo sguardo verso il mio. "Il tour è stato fantastico, le fan sono state in ogni posto magnifiche, ma senza te niente ha più senso. Mi svegliavo sul bus ogni mattina e mi sedevo sul letto con le gambe penzoloni, pensando di sentirti mentre ti giravi sul materasso e iniziavi ad accarezzarmi la schiena, ma non c'eri-" le sue mani solleticarono le mie cosce e poi presero ad accarezzarmi la pancia. Aveva mollato la fetta pizza nel cartone davanti a noi e non sembrava intenzionato a riprenderla e finirla. Così spostò i miei capelli sulla mia spalla sinistra e iniziò a darmi dei baci lungo il collo, fino alla mascella. Rabbrividii e se ne accorse, fermandosi divertito.
"Ho sonno" se ne uscì con un sussurro impercettibile, e poi scoppiò a ridere di gusto. Era una frana, quando voleva fare la voce -come la chiamava lui- seducente, così mi alzai dalle sue gambe e lo aiutai. Si alzò, sovrastandomi, e mi strinse a se, mi diede una bacio sui capelli e sorrisi, aprendogli il primo bottone della camicia.
"Andiamo a letto?" domandai abbracciandolo. Era di nuovo con me? Non ci potevo proprio credere, sembrava un sogno, dal quale non avevo intenzione affatto di svegliarmi. Annuì piano e intrecciai le nostre dita, camminando lentamente per il corridoio semi buio. Quando mi convinsi di essere arrivata alla camera da letto, feci un passo avanti decisa, trovando però una superficie fredda e dura, contro cui sbattei la fronte e il naso.
"Ma che cavolo-" sbottai, massaggiandomi la parte indolenzita. Dietro di me George rise allegro e mi obbligò a voltarmi, verso di lui. 
"Vieni qui, fa vedere" mormorò, prendendomi il viso, prima che potessi chiedergli cosa vedesse con la luce spenta, mi diede un bacio sul naso e lo intravidi mentre sorrideva. "Noto con piacere, che sei sempre la solita combina guai. Meno male"
Risi e facendo una smorfia, che probabilmente non vide nemmeno. Poi mi prese in braccio, stringendomi quasi con prepotenza a lui, e aprì la porta, entrando. Sarebbe stata la prima di tante notti, adesso che eravamo di nuovo insieme.
Con un calcio, forte e risoluto, chiuse la porta della camera da letto, rimanendo ancora una volta io e lui.
 




 




This is the end... *con la voce di Adele*
Non potete capire quanto mi sia affezionata a questa storie e quanto mi mancherà.
Zooey, George. George e Zooey. Come farò?
Ho davvero apprezzato con tutto il cuore i vostri complimenti e le vostre recensioni, perchè essendo molto vicina alla storia, desideravo ardentemente che avesse un discreto successo
e così è stato.
Non potrei desiderare sorelle migliori di voi jcats, perchè siete umili, non vantate nessuno e state sempre in silenzio metre il resto dei fandom litiga...
Ora no non posso chiedervi altro, se non fare un piccolo sforzo e recensire questo ultimo capitolo, se siete arrivate fin qui. Spero che la storia sia entrata in tuttti voi, perchè alla fine siamo tutti un po' combina guai come Zooey e vorremmo un ragazzo come George.
Vorrei poi precisare e sottolineare che
questi nove capitolo comunque non sarebbero venuti fuori da nessuna parte, senza i ragazzi a cui devo parte della mi felicità e a voi che mi avete spronato ad andare avanti e concluderla.
Una volta avevo detto che forse avrei fatto un'os, ma la storia doveva avere un finale diverso, perciò ora che è stato modificato, non posso più scrivere un mini seguito... A meno che non mi venga una genialata, ma ne dubbito. HAHAHAH
Ancora grazie mille, jcats, vi amo,

Hug me conor.




ps. mi scuso per la grafica del capitolo precedente, ma efp ha cambiato l'editor e non sono paratica D:
  
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