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Autore: syontai    04/10/2013    19 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 2

Fiori parlanti e animali dal pelo buffo

“Tu parli?!” esclamò Violetta incredula. La rosa, con i suoi petali ben spiegati, impreziositi dalla rugiada mattutina, emise un sospiro annoiato. “Che razza di modi…come parli tu, parlo io” rispose attorcigliando tra loro le foglie sul gambo, come se stesse incrociando le braccia in tono offeso. “Scusa, non volevo insultarti, solo che da dove vengo io i fiori non parlano” disse, chinandosi verso quella rosa rossa come il sangue. “Andiamo, è come dire che gli elefanti non volano” la rimproverò. I petali si richiusero come se per lei la conversazione fosse finita lì. “Ma gli elefanti non volano!” sottolineò Violetta, estremamente confusa. Già era strano parlare con una rosa, ma non poteva assolutamente darle ragione su quelle assurdità. Il fiore sbuffò innervosito. Meglio non continuare a provocarla. “Mi sai dire dove mi trovo, gentilmente?” chiese guardandosi intorno preoccupata. Con la luce del giorno che lentamente filtrava attraverso i rami di quel bosco incantato si sentiva più sicura: era in una piccola radura dove volavano pigramente farfalle variopinte di colori mai visti. Un piccolo coniglio sbucò da un cespuglio lì vicino guardandola con degli occhioni dolci. “Ti trovi qui, sciocca ragazzina” le rispose scorbuticamente. A quanto pare era ancora offesa per la sua osservazione sul fatto che parlasse. “Mi sai dire almeno se c’è un sentiero che posso seguire per uscire da qui?” chiese speranzosa. Si rialzò, guardandosi intorno, ma vedeva solo alberi ovunque; appoggiò la mano sulla corteccia dell’enorme quercia di fronte a lei, aspettando una risposta. La rosa voltò il suo gambo verso l’alto, come se intendesse studiare meglio quel personaggio, a suo modo di vedere alquanto bizzarro. “Segui il sentiero rosso fuoco per arrivare al Palazzo della Regina di cuori, è il Regno più vicino da dove ti trovi…” le suggerì maliziosamente. “E dove posso prendere il sentiero?” chiese timidamente. “Sempre dritta, non puoi perderti” le disse indicando una direzione con i petali. “Grazie allora!” esclamò sorridente, incamminandosi dove le era stato consigliato. Una volta arrivata al castello avrebbe chiesto dove trovare la porta per tornare nel suo mondo.
Violetta continuò a camminare senza meta, aspettando di poter vedere quel fantomatico sentiero rosso. Più avanzava, più la foresta si faceva intricata. I rovi e i rami bassi cominciarono a graffiarle le gambe, mentre la gonna che indossava le rendeva difficili i movimenti, andandosi ad impigliare continuamente. “Pantaloni, Violetta, pantaloni! Perché stamattina ti sei messa la gonna?!” borbottò tra sé e sé, rischiando di andare a sbattere con la faccia contro il ramo basso di un abete. “Stupide piante!” esclamò irritata. “Qualcuno è arrabbiato” disse una vocina che proveniva dall’alto. “Si, io sono arrabbiata, perché mi sono andata a fidare delle indicazioni di un fiore” esclamò ancora innervosita. “Fiori…hanno così poco senso dell’orientamento. Sarà perché non si muovono mai” disse la stessa voce alle sue spalle, facendole fare un salto. Si voltò ma non vide nessuno. “Ti diverti a nasconderti?” chiese. Nessuna risposta stavolta. Decise di riprendere a camminare e di dimenticare quella che doveva essere stata un’allucinazione uditiva. Nei libri aveva sentito parlare di quegli strani fenomeni chiamati allucinazioni uditive, che colpivano il senso dell’udito facendo credere al malcapitato di sentire voci inesistenti. Violetta amava leggere anche libri di scienza, e queste curiosità l’avevano sempre affascinata. Mentre continuava a convincersi di ciò, una coda violacea, che alternava strisce fucsia ad altre di un viola più scuro, apparve davanti al suo naso. Poco dopo il resto del corpo fece la sua comparsa, facendola arretrare per lo spavento. Era una ragazza, ma anche un gatto; che storia era quella? La figura era beatamente stesa mezz’aria come se fosse la cosa più naturale del mondo. “Cosa sei?” si lasciò scappare confusa e terrorizzata. “Anzi, scusa, chi sei?” si corresse subito dopo. Aveva paura che in quel mondo fossero tutti terribilmente permalosi, e non voleva replicare la conversazione con la rosa. “Piacere, io mi chiamo Camilla, ma tutti qui mi chiamano Stregatto” disse porgendole la mano con un sorriso a trentadue denti. Violetta rispose al sorriso timidamente, avvicinandosi per stringerle la mano, ma non appena fu abbastanza vicina, Camilla scomparve. Riapparve subito con il solito sorriso sornione qualche metro più in alto, su un albero, mentre la guardava con quei piccoli occhi marroni. Camilla era completamente ricoperta di pelo viola e fucsia tranne per il viso che era umano. Dalla testa le spuntavano due orecchie viola, mentre dei lunghi capelli ramati le incorniciavano il volto. “Camilla, mi potresti dire se per prendere il sentiero che porta al Castello di Cuori devo procedere dritto?” chiese con il massimo dell’educazione. “Forse si, forse no…” rispose lei con dolcezza. Quel tono così affettuoso per la prima volta da quando era finita in quel mondo assurdo era riuscito a rassicurarla e a tranquillizzarla; ma la risposta non era affatto delle migliori. “E’ un si o un no?” la interrogò in trepida attesa di indicazioni più precise. “Segui i cartelli e dovresti arrivare dove vuoi…” le consigliò indicandole uno strano cartello viola, comparso dal nulla. “Sempre se davvero vuoi andare in quel Castello” aggiunse in modo enigmatico, cominciando a scomparire lentamente. Violetta, piuttosto confusa, la guardò svanire finché non rimase solo il suo sorriso a mezz’aria, che si dissolse con un piccolo ‘puff’. Guardò pensierosa il ramo su cui poco tempo fa si era trovato quel bizzarro animale, quindi decise di proseguire dritto.
Dopo un bel po’ di cammino cominciò però ad accusare la stanchezza e si sedette sulle radici di un enorme albero, che sembrava essere un tasso; aveva fame e sete, e sentì lo stomaco brontolare. Il rumore si fece sempre più profondo. D’accordo aveva fame, ma adesso era un po’ troppo! Si voltò di scatto e si trovò a due centimetri da una bocca legnosa che russava beatamente. Si aggrappò ad una sporgenza, che scoprì essere il naso, e si alzò velocemente, spaventata. Ormai doveva essersi abituata a tutte quelle stranezze e invece proprio non ci riusciva. “Ronf!” esclamò l’albero muovendo le sue fronde, creando un leggiadro fruscio. A quel movimento alcune foglie caddero volteggiando, mentre gli scoiattoli, che si erano rifugiati tra i suoi rami, fuggivano spaventati, scendendo lungo il tronco. “Chi mi ha svegliato?” chiese con la voce ancora impastata per il sonno. “Non volevo, mi scusi!” esclamò la ragazza costernata. “Non importa, gentile signorina” la salutò con dolcezza l’albero; dalla corteccia profumata di fresco si formarono due rientranze che lasciarono mostrare due occhi lucidi e di un marrone chiaro. “Le assomiglia tanto…” mormorò tra sé e sé, come se Violetta fosse diventata invisibile. “A chi assomiglio, se posso permettermi?” chiese curiosa. Un corvo nero si posò sul ramo del tasso, e cominciò a gracchiare forte. “Maledetti uccellacci” imprecò l’albero infastidito. Scosse i suoi rami, facendolo così allontanare. “Cara signorina, mi scusi per questa spiacevole interruzione, dicevo che lei assomiglia molto ad Alice. Anzi, posso affermare con certezza che lei potrebbe essere uguale ad Alice. Meglio ancora, potrei dire tutto il contrario” sentenziò con un’aria saggia. Come tutto il contrario? A Violetta cominciò a girare la testa. “Ma quindi assomiglio o no a questa fantomatica Alice?” gli fece pressione per ottenere una risposta coerente. “Potrei dirle di si, ma mentirei sapendo di mentire, mentre se le dicessi di no, le direi una verità non vera, perché di verità al suo interno ve ne è ben poca” cominciò a riflettere il suo interlocutore legnoso, mettendola in difficoltà. “Lei mi sta dicendo che in entrambi i casi non mi direbbe la verità?” chiese, mettendosi seduta su un tappeto erboso lì di fronte. Quella conversazione, per quanto insensata, la affascinava molto. “Se sapessi qual è la verità, forse si, forse no. Ma di cosa stiamo parlando esattamente?” ribatté il tasso, con un vivo interesse. “Del fatto che somiglio o no a una persona” gli ricordò, grattandosi il capo. “Già, ma non penso sia questo il problema. Il nocciolo della questione è: cosa sappiamo noi della verità? Si può sempre toccare con mano, o dipende da ogni individuo?” domandò l’albero assorto. “Come ‘Uno, nessuno, centomila’, l’opera di Pirandello! Mi sta dicendo che la verità ha mille sfaccettature diverse, e non è unica?” chiese con gli occhi che le brillavano. Pirandello era sempre stato uno dei suoi autori preferiti, poiché aveva abbattuto i confini tra reale e fittizio, ed aveva rotto con gli schemi della sua epoca; un rivoluzionario insomma. “Direi proprio di si, signorina. E’ il motivo per cui prima di giudicare bene un individuo bisogna avere assunto anche il suo punto di vista, bisogna conoscerne il passato. Perché non tutto appare come è in realtà. A volte la corteccia più dura nasconde la linfa più limpida e chiara, la più ricca di nutrimento” precisò il tasso facendole l’occhiolino. Violetta sorrise: quel discorso le aveva infuso coraggio. Era la prima volta da quando era capitata in quel buffo mondo che si sentiva quasi tranquilla, meno angosciata. Ed era anche la prima persona, o meglio creatura, che la trattava bene, senza contare lo Stregatto, che era stato davvero enigmatico. “Sono belle le tue parole…” sussurrò gentilmente.
Improvvisamente la luce si fece più fioca; Violetta alzò la testa e vide dei nuvoloni addensarsi sopra di loro. “Tra poco pioverà! Sarà meglio cercare un luogo per ripararsi” esclamò lei con il naso rivolto all’insù per osservare i lenti movimenti di quelle nuvole grigie. “Se giri a destra, troverai una piccola casetta in legno, la casa del Cappellaio Matto; puoi provare a chiedere rifugio lì, e poi quando rispunterà il sole basterà tornare sui tuoi passi e riprendere il viaggio per raggiungere il luogo che vuoi raggiungere” concluse l’albero, mentre qualche piccola goccia cominciò a scendere, ticchettando sulle sue radici. Violetta annuì e ringraziò di cuore il tasso, per poi cominciare a correre. Tra gli alberi una piccola colonna di fumo attirò la sua attenzione: doveva venire da un camino! Si fiondò in quella direzione, e raggiunse una graziosa casetta in legno. Non ebbe tempo di notare altri dettagli perché stava per piovere sempre più forte, quindi stette sulla soglia e bussò ripetutamente, sperando che qualcuno venisse ad aprirle. “Chi è?” chiese una  voce da dentro. “Sono Violetta, e mi sono persa. Vi prego aprite!” la supplicò, bussando ancora alla porta in ciliegio. Si sentì il rumore metallico di un catenaccio, e la porta si aprì, mostrando un uomo bizzarro con un cappello a cilindro color prugna, e un completo giallo canarino. Aveva un sorriso ebete stampato sul volto, mentre delle ciocche nere della sua folta chioma riccia uscivano dal cappello e gli incorniciavano disordinatamente il volto. Gli tese la mano di scatto, sbattendogliela quasi in faccia: indossava dei guanti arancioni che odoravano di tè. “Piacere, sono Beto, il Cappellaio Matto” disse con una voce grave e impaziente. Violetta strinse la mano, ed entrò nella casa, mentre fuori il tempo imperversava e il vento ululava.
 
Due anni prima
Francesca camminava a testa alta nel suo abito lungo di un azzurro chiaro. Due brutti ceffi la stavano scortando nella sala del trono. La luce filtrava dalle ampie vetrate, andando a riflettersi sui capelli corvini della giovane ragazza, mentre il diadema argentato risplendeva letteralmente. L’uomo alla sua sinistra aveva una spada, mentre quello alla sua destra teneva in mano un’ascia, facendola penzolare minacciosamente. Non voleva mostrarsi impaurita, ma mantenne il contegno regale che i genitori le avevano insegnato ad avere sempre e comunque. Camminò con passo deciso, a ritmo. Un ragazzo gli venne incontro tranquillamente. “Conte Federico” disse l’uomo alla sinistra, facendo una piccola riverenza. Francesca lo guardò inorridita: come aveva potuto tradirla? “Sono solo venuto a controllare che non venisse fatto nulla di male alla regina” disse, evitando le sue occhiate piene d’odio. “Sei solo uno schifoso traditore” sussurrò lei freddamente. Federico le prese la mano e la baciò, ma Francesca si ritrasse subito disgustata. “La nuova regina la sta aspettando” disse ai due accompagnatori, mentre le guardie aprivano le porte in bronzo con incisi numerosi motivi floreali: non per niente quello era il regno di Fiori. “Fossi in te non mi comporterei in questo modo tanto altezzoso” ghignò l’uomo alla sua sinistra, avvicinandosi all’orecchio della ragazza. Il fiato caldo e pesante le fece venire il voltastomaco. Il suo odore nauseabondo gli faceva intuire che doveva trattarsi di un uomo proveniente dai bassifondi della capitale, o da qualche villaggio ridotto in povertà per le continue battaglie con l’esercito del regno di Cuori. Si era trattato di un colpo di stato organizzato da pochi individui, ma progettato fin nei minimi dettagli. Non appena le porte furono spalancate, percorse il tappeto rosso di velluto pregiato, ricamato ai bordi con dei filamenti d’oro. La stanza era ampia e luminosa; in fondo una giovane donna si trovava seduta sul trono. Sembrava molto a disagio, come se sapesse che quel posto non le spettava. I due strattonarono la prigioniera costringendola ad inchinarsi di fronte al trono. Intorno ad un fiore realizzato in quarzo nero, che si trovava sullo schienale, erano incastonati dei piccoli diamanti: il simbolo del regno. “Non ci credo…” disse ancora in ginocchio sollevando lo sguardo. Una ragazza con un abito rosa pallido e un’espressione nervosa, con dei capelli ricci e scuri sedeva sul trono. “Natalia…” sussurrò supplicante. “Regina Natalia” la corresse con voce rotta. Non ci poteva credere: come mai il suo posto al trono era stato occupato da sua cugina? Si era unita alla rivolta solo per spodestarla? Troppe domande affollavano la sua testa, in preda ad una terribile confusione. Natalia abbassò lo sguardo, concentrandosi sulle pieghe del suo abito, mentre il suo viso sembrava terribilmente sofferente. “Perché?” chiese semplicemente con gli occhi lucidi. Una lacrima scese sul tappeto, la prima di tante. “Portatela nelle segrete” ordinò con un gesto della mano, mentre prese da un vassoio d’argento, tenuto da un valletto al suo lato, un calice di cristallo con dentro del liquido rosso scuro. Francesca prima cercò di opporre resistenza, ma le sembrava tutto inutile. Scalciò e cercò di liberarsi dalla presa, ma quelle braccia forti e muscolose erano come una tenaglia che si stringeva con sempre più forza.
Venne trascinata via lungo le numerose scalinate, finché della luce non rimase solo un pallido riflesso; le mura ricche di stendardi nobiliari lasciarono il posto ad ambienti sempre più sobri. Un cancello di ferro arrugginito si stagliò di fronte a lei. L’uomo alla sua destra tirò fuori un mazzo di chiavi e girò la serratura finché un sonoro rumore metallico non si diffuse, andando a torturare lo orecchie della povera Francesca. Che ironia della sorte! Proprio lei che aveva fatto chiudere le prigioni a palazzo, istituendo le carceri cittadine, adesso era costretta a soggiornarvi a tempo indeterminato. Cominciò a percorrere uno stretto corridoio umido dove le gocce create dalla condensazione dell’aria ticchettavano, cadendo ed entrando a contatto con il pavimento spoglio. Francesca cominciò a sentire freddo e rabbrividì. “Freddo principessina?” ghignò uno dei due, tirando fuori un coltello affilato e facendolo scorrere per le pareti, creando un fastidioso stridio; tutto questo solo per farla sentire debole e impotente. “Ti piace il tuo nuovo alloggio?” chiese poi, indicandogli una delle numerose celle disposte una di seguito all’altra. La spintonarono dentro la prima che trovarono e risero sguaiatamente mentre chiudevano a chiave la sua unica possibilità di fuga. Stette due ore al buio sola con i suoi pensieri. Aveva paura per il suo regno, uno degli unici due baluardi della resistenza contro l’espansione di Cuori. Era rimasto solo Picche, ma non avrebbe retto mai una guerra contro i tre regni di Cuori, di Fiori e di Quadri. Già, perché era sicura che quel colpo di stato era stato progettato per far schierare la regina Natalia dalla parte delle Regina rossa, la temibile Regina di Cuori. Dopo qualche altro minuto uno dei due carcerieri le portò un lanternino a petrolio. “Per farti un po’ di luce” disse senza guardarla negli occhi. Gli occhi di Francesca erano scuri come la notte, ed esprimevano sempre pacatezza, ma questa volta no…questa volta c’era rabbia, odio, disprezzo. E pietà. In fondo aveva compassione di quelle che erano solo pedine di un piano più grande, un piano diabolico che aveva l’unico obiettivo di riunire il Paese delle Meraviglie sotto un’unica corona, come fu prima dell’arrivo di Alice, la Regina di Luce. “La cena sarà servita alle sette” disse con un sospiro, tirando fuori una piccola fiaschetta che a chilometri di distanza emanava odore di alcol di pessima qualità. L’uomo richiuse la cella, cominciando a bere. Non appena fu sola, appoggiò la schiena sulla fredda pietra delle pareti e si lasciò cadere senza forze. Si coprì il volto con le mani e cominciò a piangere; quando si fu calmata, si fece rapire dalla flebile luce, come se al suo interno vi fosse un mondo incredibile. La luce tremolante creava delle ombre che sembravano ipnotizzarla. “Saggio Brucaliffo…spero solo che tu abbia ragione” sussurrò, trascinandosi poi sulla brandina sconnessa e stendendosi nel tentativo di dormire, sapendo che gli incubi la avrebbero inevitabilmente assalita nel sonno. 











NOTA AUTORE: come promesso è arrivato il secondo capitolo. A me piace un sacco la scena di Francesca, nel senso che la trovo fatta bene, ma anche la prima parte non è male. Lo so, di solito sono quello che dice 'questo capitolo fa schifo', ma penso che in questa storia raramente lo dirò, perchè mi piace davvero tanto, sia l'idea, sia lo sviluppo che c'è nella mia testa. Come vi avevo annunciato il Paese delle Meraviglie è tutt'altro che allegro e felice come nella storia di Carroll. In corso c'è una guerra tra quattro regni. L'alleanza è tra Quadri e Cuori contro Fiori e Picche (rossi contro neri, insomma), ma dopo questo colpo di stato Francesca teme che Fiori si schieri dall'altra parte per avere una vittoria facile contro Picche, l'unico regno effettivamente libero rimasto, governato da un re giusto (vedremo chi :D). Il discorso con la quercia è importante, lo dico subito, perchè vi permetterà di comprendere meglio un personaggio che deve fare il suo ingresso nel prossimo capitolo. Si, signore e signori, Leon sta per fare il suo ingresso, un personaggio che forse inizialmente odierete (naaaaaahhh xD), ma che amerete come se non più di me LOL Si, Leon è il personaggio che preferisco in assoluto in questa storia, sia per il suo comportamente, sia per il suo carattere, ma anche, soprattutto, per l'evoluzione che avrà. Ma non anticipo nulla, lo vedrete molto presto :D E con Leon, la storia cambierà radicalmente, vi avverto. Nel frattempo abbiamo una Camilla-Stregatto, e un Beto-Cappellaio Matto, che più svitato non si può. Quanti incontri per la nostra Violetta :O E non finisce tutto qui. Gli intrighi di potere come avrete potuto capire sono all'ordine del giorno in questo mondo: tradimenti, alleanze, e subdoli piani. Siete sicuri di voler continuare? xD Scherzo, scherzo :D Al prossimo capitolo dal titolo: 'Tè, tè, sempre e solo tè'. Alla prossima e buona lettura ;D 
  
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