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Autore: Amens Ophelia    04/10/2013    8 recensioni
[SasuHina]
Hinata ha poche certezze, dietro quegli occhi chiarissimi: sa che il sole sorge e tramonta sempre, anche dietro le nuvole, e che il suo astro personale è un ragazzo biondo, in classe con lei. Purtroppo è anche a conoscenza del fatto che lui non lo saprà mai.
Troppe sono le cose che ignora pericolosamente, come il posto che occupa nei pensieri di Sasuke Uchiha.
(NB: accenno SasuKarin)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hinata Hyuuga, Naruto Uzumaki, Neji Hyuuga, Sasuke Uchiha | Coppie: Hinata/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun contesto
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5. In cauda venenum

 
 
 

Il sabato era giunto troppo lentamente, quella settimana. In casa Hyuga il tempo sembrava essersi fermato a quel giovedì pomeriggio, quando Neji era tornato con due tamponi nel naso e un divieto bello grosso che gli impediva di sfilarseli senza previo controllo medico. Il ragazzo si sentiva morire dalla vergogna nell’attraversare la villa con quei bastoncini di cotone infilati nelle narici, ma, più di ogni altra cosa, avvampava per il desiderio di vendetta.
            Di fronte alle domande preoccupate dei genitori riguardo quelle condizioni, si era inventato la scusa di essere stato colpito in pieno volto da un pallone da basket, durante l’intervallo, presso i campi sportivi dietro l’istituto. Ma quando a esigere spiegazioni era stato Hiashi Hyuga, il ragazzo aveva sorriso maliziosamente, varcando la soglia dello studio personale dello zio.
            Aveva vagato con lo sguardo sulla nutrita libreria dell’uomo, comprendente ogni sorta di scritto economico, politico e giuridico - da ottimo avvocato qual era, mentre raccontava come erano andate le cose: Sasuke l’aveva preso a pugni in bagno, sul finire dell’intervallo, senza concedergli un diritto di replica. Gli aveva intimato di “pensare ai cazzi propri” – riferì espressamente queste parole, onde sottolineare quanto il ragazzo fosse incivile – e di rispettare le persone che ancora avevano una certa stima di lui, quando l’Uchiha lo reputava un “pezzo di merda di prima categoria”.
            Davanti al pulsare nervoso della tempia di Hiashi, Neji non aveva esitato a concludere il suo discorso, passando alle maligne risoluzioni cui era giunto da solo: Sasuke Uchiha era lo sporco don Giovanni con cui Hinata aveva intenzione di intrecciare una relazione.
            Per quanto l’uomo avesse cercato di ricordare al nipote il prestigio di cui godevano gli Uchiha a Konoha, il giovane aveva prontamente replicato che Sasuke era la pecora nera della sua famiglia, un individuo che del rispettato clan possedeva solo il cognome e le caratteristiche fisiche. In lui non c’era niente di buono, proprio come in Hinata.
           Hiashi aveva battuto con violenza il pugno sulla scrivania, chinando il capo. «Un tale disonore non me lo sarei mai aspettato. Mia figlia… tua cugina va assolutamente fermata! Sono stato troppo indulgente con lei, adesso è il momento di fare sul serio: assicurati che quei due non si vedano, non si parlino e che non abbiano modo di stare insieme, fuori dall’aula. Quella disgraziata non fa che frequentare individui deplorevoli, dall’Uzumaki all’Uchiha! Neji, hai il pieno diritto di ricorrere a qualsiasi misura, pur di impedire che venga gettato altro fango sul nostro nome. Posso contare su di te?», aveva chiesto infine, con un tono tanto autorevole, quanto disperato. Un servitore della giustizia che, in casa, gestiva l’imparzialità a modo suo.
           Il ragazzo annuì con una luce feroce negli occhi, inchinandosi e prendendo congedo dallo zio.
 
Il sabato era giunto troppo lentamente, quella settimana, e Hinata aveva rinunciato a contare le ore che mancavano al weekend proprio da quel giovedì pomeriggio, quando aveva ricevuto una telefonata inaspettata sul cellulare.
            Il numero che compariva sul display non era memorizzato nella sua modesta rubrica e, a causa di ciò, un’ansia irragionevole si era impadronita di lei. Aveva afferrato il telefono e, ad ogni vibrazione, la scarica elettrica al cuore e ai nervi era insostenibile. Solo dopo dieci secondi di totale immobilità si era decisa ad accettare la chiamata.
            «Ciao, Hinata!». L’esclamazione solare le aveva trafitto il petto.
            «N-Naruto?», balbettò arrossendo, sottovoce. Si era chiusa a chiave in camera, onde evitare un’entrata improvvisa di Hanabi.
            «Sì, sono io!».
            Una pausa di silenzio e Hinata si sedette sul letto, sentendo le gambe cederle.  Non riusciva a fidarsi nemmeno più dei suoi sensi: aveva sentito bene? Era davvero la voce del biondo, quella che le era giunta alle orecchie? Si portò la mano libera alla guancia, come a voler accertarsi che non si trattasse dell’ennesimo sogno; il calore dovuto all’imbarazzo fu una prova più che convincente.
            «Ho chiesto il tuo numero a Tenten, perché volevo invitarti alla mia festa di compleanno di sabato! Ho invitato tutta la classe…». La mora fremette, interrompendo le parole dell’interlocutore, poi spalancò gli occhi, facendo scendere la mano sul petto, e cercò di contenere il respiro.
             «N-non credo di potere… t-ti ringrazio tantissimo, N-Naruto… m-ma», cominciò a farfugliare, trattenendo il fiato e scuotendo la testa, desolata.
             «Andiamo, ci saranno tutti! Non sarà nulla di caotico, lo prometto! Il vecchio Jiraiya mi ha permesso di avere casa libera, ma ho giurato che non sarebbe successo nulla. Ti do la mia parola, Hinata, non te ne pentirai».
             Il nodo in gola e le lacrime represse erano una zavorra che la spingevano sempre più in basso, verso il disprezzo per se stessa e quello che la circondava. Al contrario del mitico re Mida, tutto quello che toccava non era oro, ma puro veleno che lei si attirava addosso senza evidenti sforzi. Il colpo di grazia era gravato su di lei soltanto una ventina di minuti prima: suo padre le aveva duramente vietato di avere a che fare con Sasuke Uchiha, soprattutto dopo quello che aveva fatto a Neji. Inutile che lei avesse cercato di spiegargli che non aveva mai cercato quel ragazzo e che, di sicuro, non avrebbe cominciato a inseguirlo proprio da quel momento, perché suo padre la guardava con scettico disappunto. L’aveva deluso nuovamente, pur non avendo compiuto nulla. Suo cugino aveva riempito la testa di Hiashi di miserevoli menzogne, passate alla mente dell’uomo come meri dogmi, e lei doveva di nuovo sopportare una punizione insensata. Nell’ultimo tentativo di strappare un minimo di benevolenza paterna, con un’umile, prostrata e accorata richiesta di perdono per qualcosa che nemmeno sussisteva, l’uomo l’aveva trafitta con una nuova lama di disprezzo: “Tu arrechi disonore al nostro clan anche solo respirando, ormai”.
           «Ma se non ti va, posso capirti», mormorò il ragazzo, deluso, dall’altro capo del telefono, abbassando la voce di un tono.
           Ciò che rimaneva di Hinata Hyuga si accartocciò irrimediabilmente su se stesso, come un rifiuto. Era un fiore, ma nessuno riusciva a coglierne la delicatezza e il profumo, calpestandola con noncuranza. In quell’istante, seppur amasse Naruto secondo la forma d’amore più pura e segreta, si sentì pestata anche dai piedi di quel raggio di sole, che non riusciva a rendersi conto dell’Inferno in cui lei viveva. Forse Sasuke aveva ragione, quando diceva che l’Uzumaki era infantile: dietro quel sorriso luminoso, c’era una spensieratezza che non dava spazio a nessuna forma di preoccupazione e affetto stabile… non c’era spazio per lei, per quanto la ragazza avesse sempre cercato di ritagliarsi silenziosamente un angolo nel suo cuore. Questa sarebbe stata un’ottima occasione per raddrizzare il destino secondo i desideri del suo cuore, ma una volontà più autoritaria dei suoi sentimenti aveva irreparabilmente cambiato le carte in tavola.
            «Vorrei venire, Naruto. Vorrei davvero», dichiarò con la voce rotta dalle emozioni, ma più chiara della consueta. Era così annientata dalle circostanze da non provare nemmeno imbarazzo e balbettare.
             «Allora vieni! Qual è il problema, Hinata?», sbottò evidentemente confuso.
             Se solo avesse saputo che il problema era la sua famiglia! Se solo avesse visto con i suoi occhi ciò che viveva!
             «Ti ringrazio. Scusami, ora devo andare», concluse lei, amareggiata, attaccando.
            Si lasciò cadere di schiena sul letto, come un peso morto, trascinata da cento cavalli neri imbizzarriti, chiamati pensieri; inutile che l’auriga li spronasse a risalire, o che i cavalli bianchi si contrapponessero alla furia degli altri, puntando in alto, al sole. Inutile che cercasse un filo di luce in tutto quel buio che l’avvolgeva. Era sola, preda di una sensazione simile a quella che provava nell’osservare le foto di sua madre. Era sola e nemmeno la morte sarebbe stata un conforto.
 
 
Il sabato era giunto troppo lentamente, quella settimana, ma era arrivato. Kakashi Hatake, con una calma disumana, stava impilando il registro e i libri sulla scrivania, quando si ricordò di qualcosa, osservando l’angolo della cattedra. Tracciò una linea immaginaria su quel piano freddo, per fermare l’indice in quel punto esatto in cui si era posato tre giorni prima.
            «Perché non sono qui? Forza, portate le vostre ricerche», sorrise pacatamente. Fare il cattivo cominciava a piacergli, seriamente.
            Quando, a turno, ogni capogruppo aveva depositato il proprio lavoro sul banco del professore, questi prese in mano la pila di fogli e cominciò a osservarli con aria soddisfatta, in un silenzio di tomba. Alzò l’occhio verso la classe e contemplò con distensione i volti dei ragazzi, uno a uno: agitazione, rispetto, calma… Oh sì, la malvagità aveva i suoi lati positivi.
            «Naruto!», esclamò con sorpresa. Perché diamine quel ragazzo era l’unico a infischiarsene di quello che succedeva a scuola? Sembrava vivere in un altro mondo.
            Il ragazzo alzò lentamente la testa dal fumetto che stava leggendo, nascosto dietro un grosso astuccio e il diario. Si guardò attorno con aria stordita, per ritrovarsi osservato da decine di sguardi e dall’occhio nero del professore. Spiazzò tutti con un sorriso a trentadue denti, incapace di provare vero imbarazzo, e si affrettò a chiudere la rivista.
            «Sì, signor Hatake?», ridacchiò grattandosi la nuca.
            Era il momento di fare sul serio e mostrare tutta la propria autorità: Kakashi affilò lo sguardo e il sorriso, facendo cenno al biondo di alzarsi e raggiungerlo. Lui, controvoglia, obbedì, fermandosi a lato della cattedra.
           «Perché non ci parli della vostra ricerca?», domandò l’uomo, recuperando l’elaborato del gruppo. Sasuke, al suono di quelle parole, si stampò la mano in faccia, temendo come sarebbe andata a finire, mentre Hinata rimase impietrita.
           Naruto non spense il suo sorriso, seppure ormai apparisse fin troppo forzato. Convogliò lo sguardo sull’Uchiha, che alzò gli occhi al cielo, esasperato, e sulla Hyuga, che si affrettò a nascondersi dietro un libro.
          «Beh, ecco… prima di tutto è stato bellissimo lavorare con i miei compagni! Sarebbe fantastico ripetere un’esperienza del genere!», esclamò allegro, nel tentativo di proseguire con quel discorso e cavarsela con poco. Beh, se non altro, era sincero: passare un pomeriggio ai videogiochi con Itachi, mentre Sasuke e Hinata sputavano sangue sui libri, era decisamente un piacevole modo per attendere ai propri doveri da studente!
           «Ammirevole, Naruto», sorrise Kakashi. «Ma ora passiamo alla ricerca. Di cosa ti sei occupato?». Affondò il coltello nella piaga, pronto a rigirarlo con maestria; conosceva bene i suoi polli.
           I suoni che provenivano dalla bocca spalancata di Naruto erano lunghe vocali senza senso, atte a colmare un silenzio che sarebbe stato fastidioso. Non aveva nemmeno letto una riga di quel lavoro che i due si erano prodigati a svolgere anche a suo nome; a dirla tutta, non sapeva nemmeno su cosa vertesse l’argomento. Una parte di lui avrebbe voluto scomparire immantinente, l’altra tornare indietro nel tempo e, se non collaborare, almeno degnare di uno sguardo quei fogli stampati che ora il professore aveva appoggiato sulla cattedra, sospirando.
           «Come sospettavo», mormorò l’uomo, intrecciando le lunghe dita e facendo vorticare i pollici fra loro. «Non ti smentisci mai, ragazzo mio. Dovrei punirti seduta stante, ma temo che nulla cambierebbe, proprio come niente è riuscito a farti diventare un po’ più studioso, in questi cinque anni. Sei esuberante, la mascotte della classe, benvoluto da tutti… ecco, ho trovato esattamente il modo per non fartela passare liscia! Torna al banco, Uzumaki», ordinò sorridendo, indicandogli il posto vuoto vicino a Sasuke.
            Puntò il suo occhio proprio sul moro, chiamandolo a occupare lo spazio prima colmato dal biondo, al suo fianco, insieme con Hinata. I due raggiunsero il professore, increduli e ammutoliti.
           «Bene, ragazzi… voi siete dei bravi studenti, non ho nulla da ridire sul vostro rendimento e sono sicuro che le vostre menti, unite, abbiano prodotto un ottimo risultato. Ora, siccome Naruto è carente in storia e letteratura, ho deciso di non annullare questa relazione che avete steso a quattro mani, nonostante io volessi che fosse stata composta a sei», spiegò calmo, osservando il sorriso affiorare sul volto dei suoi allievi.
           Troppo presto per tirare un sospiro di sollievo.
           «Quanto bene volete al vostro compagno di classe?», chiese, fissandoli attentamente, pronto a registrare le loro reazioni. Sasuke si accigliò, non comprendendo pienamente quella domanda, mentre Hinata chinò il capo, eclissandosi così dietro una tenda di velluto blu scuro. «Sicuramente molto, dato che avete persino apposto il suo nome su una ricerca per cui non ha speso nemmeno mezzo neurone. Meraviglioso, se non fosse che vada contro la morale di ogni insegnante. Ma cos’è un professore, se non prima un umano? Ho deciso di non punirvi», aggiunse sorridente.
            La Hyuga rialzò il volto, sgranando gli occhi e dipingendo le gote di un roseo colorito, mentre il moro spianò le rughe sulla fronte, più tranquillo.
            «Almeno, non nel vero senso della parola. Sono costretto a trattenervi per protocollare le verifiche di tutte le mie sezioni, questo pomeriggio», stabilì con decisione, battendo la mano sul tavolo, proprio come un giudice nel momento del verdetto finale. In cauda venenum.
            «Che cosa?!», urlò incredulo Sasuke. «Lei non può farlo! Non ci può costringere a svolgere una mansione che spetta a un professore!».
            «Posso, eccome, invece. Perché, di fronte a un bel due sotto al nome “Uzumaki”, la vostra diventa spontanea collaborazione extra-scolastica, non è vero?», li ricattò con sottigliezza, lasciandoli ammutoliti. Oh, se solo Maito fosse stato lì in quel momento, avrebbe visto chi era il più autorevole fra loro!
            «Professore, mi offro io, al posto di Hinata!», saltò su Neji, furioso.
            «Questo spirito di sacrificio fra cugini è quasi commovente, ma no, Hyuga. Tu sei innocente, è giusto che si fermi lei».
            «Non può, oggi. Affari di famiglia», tagliò corto.
            «Beh, detto con sincerità: dovranno aspettare. Conosco suo padre e si troverà d’accordo con me nella mia soluzione. A meno che non voglia renderti utile anche tu, Neji. Il bidello cerca proprio un apprendista, sai?».
             Fra le risate della classe, lo Hyuga si risedette, colpito e affondato. Non avrebbe mai imbracciato uno straccio o una scopa, degradandosi – a suo parere – davanti agli occhi di tutti. Cosa avrebbe detto a zio Hiashi, quel pomeriggio? Che ci aveva provato, ma l’Hatake era irremovibile nelle sue decisioni, era un dato di fatto; sperava che ciò sarebbe bastato a placare il malumore del capofamiglia, ma sapeva bene che niente l’avrebbe calmato. Sottilmente soddisfatto dal pensiero di una nuova guerra contro la debole, miserevole Hinata, il cugino sorrise sinistramente.
 
L’aula degli archivi era il luogo che meno ispirava fiducia di tutta la scuola, con quella ventina di scaffali imponenti che arrivavano a sfiorare il soffitto, carichi di faldoni impolverati e fogli ingialliti. Hinata si aggirava come un fantasma, pallida e silenziosa in quel labirinto cartaceo, reggendo una nuova pila di verifiche appena prese dall’armadietto del professore. Sasuke, invece, seduto al tavolo centrale della stanza la osservava annoiato, con la testa appoggiata sul palmo della mano. Gli era passata davanti per la ventesima volta nel giro di cinque minuti, depositando sul banco centinaia di verifiche corrette, e lui aveva sonoramente sospirato, ormai giunto al limite.
            «Senti, Hyuga! Hai davvero intenzione di protocollare questa roba?», chiese esasperato, dopo l’ennesimo giro della ragazza.
            «B-beh sì», balbettò indaffarata, evitando il suo sguardo. Non aveva più trovato il coraggio per guardarlo in faccia, dopo quel vortice di emozioni devastanti di giovedì.
            «Conosci il professore, non se la prenderebbe nemmeno».
            «Ma ci siamo comportati male, nei suoi confronti… abbiamo mentito!», ammise chiudendo gli occhi.
            La risata fragorosa di Sasuke la obbligò a trovare la forza per guardarlo in faccia. La fissava con un sorriso ironico, con le braccia conserte e i piedi comodamente appoggiati sul tavolo.
            «Come se mentire fosse un problema, per te. È il tuo pane quotidiano, no?», le chiese retoricamente, pronto ad analizzare le sue reazioni.
            «P-per favore, Sasuke…». Non voleva tornare su quell’argomento, l’avrebbe ferita più di quanto già non avesse fatto. Il pensiero volò subito a casa, dove suo padre l’avrebbe di nuovo rimproverata per essere rientrata tardi; se avesse saputo che era in compagnia dell’Uchiha, la furia avrebbe toccato livelli inenarrabili. Silenziosamente rivolse una nuova preghiera al Cielo affinché Neji se ne stesse zitto, pur sapendo che anche questa speranza sarebbe stata inutile.
            Il moro tornò a fissarla mentre lei si prodigava a legare con delle fascette di carta i compiti in classe appena sistemati in ordine alfabetico. L’Hatake seguiva quasi tutte le sezioni della scuola e in ognuna di esse aveva già provveduto a correggere almeno un tema e una verifica di storia, quindi, con un veloce calcolo, l’Uchiha capì che sarebbe stato meglio dare una mano a quella ragazza, o non sarebbero usciti prima delle sei.
            La affiancò e cominciò a riordinare una catasta di fogli, con calma. Era la prima volta che gli capitava di doversi fermare per una punizione scolastica e, per quanto fosse una situazione tranquilla, sperava sarebbe anche stata l’ultima. Ciò che più gli dava fastidio era il fatto che Naruto se la fosse cavata spudoratamente, mente loro due dovevano accollarsi quella seccatura di sabato pomeriggio. Aveva programmato di trascorrere diversamente, quelle ore: doveva ancora cercare un regalo per la festa dell’Uzumaki.
            «Hai già comprato un dono?», domandò alla ragazza, posando il nastro adesivo.
            «Un dono?», ripeté confusa, incrociando il suo sguardo.
            «Per Naruto! Oggi è il suo compleanno», spiegò lui, controllando la data sul cellulare: il dieci ottobre. Era impossibile che lei se ne fosse dimenticata.
            «N-no. Non vado alla sua festa», affermò con tristezza, pronta a riprendere il lavoro interrotto. Si sentiva un verme perché non era nemmeno riuscita ad augurargli un felice compleanno, la mattina. Se l’era ripromessa diverse volte, aveva anche provato la scena davanti allo specchio, come un’idiota, cercando di farfugliare il meno possibile, ma non aveva avuto né il tempo, né il coraggio per parlare con Naruto. Aveva appena buttato al vento un’occasione d’oro per rendersi visibile ai suoi occhi, ne era perfettamente a conoscenza.
            «Peccato. Ci teneva perché tu venissi».
            Hinata sgranò gli occhi, risollevando il capo. Aveva sentito bene?
            «Ti ha chiamata al cellulare, no? Io ero lì con lui, ha anche insistito tanto…», ricordò Sasuke, sorridendo lievemente.
            La corvina arrossì di colpo, al pensiero di quella telefonata. Quanto gli doveva essere sembrata stupida! E l’imbarazzo saliva alle stelle, ora che sapeva che c’era pure un testimone. Sperava solo che il biondo non avesse messo il vivavoce.
            «Che impegni può avere, una come te, il sabato sera? Uscire con un ragazzo o degli amici? No, non credo sia il tuo caso, senza offesa. Probabilmente dovrai restare in camera tua a piagnucolare su quanto sarebbe stato bello andare alla festa, aspettando con ansia che tuo cugino torni a casa sano e salvo alle quattro di notte, per aprirgli la porta mentre il resto della famiglia dorme. Ci sono andato vicino?». Il suo sguardo affilato e l’espressione beffarda erano fendenti mortali per l’autostima della ragazza. Se ci era andato vicino? Quella era la perfetta raffigurazione della sua serata.
            «Non posso farci niente, è la mia vita», ammise sopraffatta.
            Era sconvolgente la facilità con cui riusciva a svuotare il sacco, davanti a lui. Mentire era diventata una difficile arte che pian piano aveva messo a punto anche con Kiba e Tenten, i suoi migliori amici, ma questo ragazzo dalle iridi più scure della notte sapeva scavare dentro la sua anima con una maestria degna dei migliori psicologi, senza che lei riuscisse a nascondergli nulla. Le faceva paura, ma quel buio la aiutava anche a sentirsi meglio, occultata agli altri.
            «Devi reagire, Hinata!», aveva quasi urlato, battendo la sfilza di verifiche sul tavolo e facendola sobbalzare. «Non possono essere loro i padroni della tua vita! Non ti conosco, è vero, ma non mi sembri la tipa che merita un trattamento del genere».
            «Hai detto bene, non mi conosci», sussurrò, guardandolo negli occhi.
            «Ma non è così difficile leggerti. Sei un libro aperto, per me. Scontata, ingenua e invisibile», dichiarò con una schiettezza che la trafisse quanto una lama di ghiaccio.
            Non voleva offenderla, ma solo essere sincero e farle capire come appariva agli occhi degli altri. Se era un modo per farla reagire, avrebbe continuato su quella linea dura.
            «Non importa», mormorò lei, ravviandosi una ciocca di capelli.
            Quella reazione lo lasciò sbalordito. Come poteva uscirsene con un “non importa”, quando le aveva appena detto che la maggior parte della classe, a malapena, era a conoscenza della sua esistenza? Le possibilità erano due: o Hinata era incredibilmente stupida, o straordinariamente forte. Era talmente assuefatta all’essere ignorata, da non percepire la propria dissolvenza come un vero problema, ma accettarla come parte di sé. Faceva dell’essere invisibile una prova della propria esistenza.
            La ragazza aveva ripreso a ordinare le ultime pile di fogli, con calma. Il tempo stava scadendo e Sasuke doveva riportarla indietro, alla vita, a quella vera. Chissà se mai l’aveva conosciuta! Non sapendo perché, si sentì in dovere di trascinarla nel mondo, in quei diciotto anni che, per quanto la riguardavano, erano una mera cifra, non certo la sua vera età mentale. Non gli erano mai stati a cuore i casi umani, in tutti i sensi, ma stavolta era diverso. Odiava Neji, non sopportava i soprusi gratuiti… e Hinata era una complessità da scoprire, risolvere con cura. Era il problema matematico per la lode, un arrovellamento di ragionamenti sconnessi senza dimostrazioni pratiche, che si basava su dimostrazioni per assurdo. Lei era così, assurda.
           La Hyuga sistemò l’ultimo fascicolo sul palchetto dello scaffale e si sfregò le mani, infastidita dalla polvere. Gettò uno sguardo veloce su Sasuke, che era seduto al tavolo e la fissava pensieroso; un brivido le percorse la schiena, ritrovandosi quegli occhi scuri ancora puntati addosso. Sembrava che stesse facendole una radiografia e ormai cominciava a credere che fosse davvero così, perché lui sapeva andare oltre la sua timida facciata e scorgere ciò che nascondeva dentro.
          «A-abbiamo finito», annunciò con un sorriso, avvicinandosi al banco.
 
Uscirono insieme dalla scuola, ormai desolata. Erano le cinque passate, il sole si era già velocemente abbassato sull’orizzonte e non c’era anima viva, nel cortile.
            «Vuoi un passaggio?», domandò l’Uchiha, fermandosi davanti all’auto.
            «No, ma ti ringrazio». Sforzò un sorriso, mentre la mente le ricordava crudelmente a cosa sarebbe andata incontro, nel caso che Hiashi l’avesse vista mettere giù un piede dalla vettura del ragazzo.
            «Come preferisci. Allora ci vediamo lunedì, buona tortura», fece spallucce lui, facendo scattare la chiusura centralizzata.
            Hinata abbozzò un saluto con un cenno della mano, per poi girarsi e incamminarsi con rapido passo verso la fermata dell’autobus. Sperava solo che sarebbe giunto presto e che avrebbe percorso velocemente il tragitto, in modo da arrivare a casa il prima possibile. Che contraddizione sconcertante: augurarsi di essere riabbracciata dall’Inferno da cui voleva tanto fuggire!
            Si sedette sulla panchina deserta sotto la pensilina e osservò il lato di strada da cui sperava di scorgere presto la sagoma del pullman. Sembrava tranquilla, ma il continuo battito del piede sull’asfalto era chiaro indice di quanto dentro stesse esplodendo. Era infastidita da Sasuke e le sue domande, dalla situazione che era velocemente peggiorata a casa… non trovava soluzioni, ma non si sarebbe arresa. O meglio, se per continuare a vivere avrebbe dovuto arrendersi all’idea di sopravvivere, l’avrebbe fatto.
 
Un’auto nera si fermò all’improvviso davanti a lei. Il finestrino scuro si abbassò e le permise di scorgere il volto dell’Uchiha, che la guardava preoccupato.
            «Ne sei sicura?», domandò.
            «S-sì, il bus arriverà tra cinque minuti».
            Silenzio e sguardi. A cosa servono le parole, se non a rovinare discorsi che filano perfettamente da soli, fra pupille e respiri?
            «Passo a prenderti alle nove. Vedi di riciclare un regalo a Naruto, è più infantile di te e se la prenderebbe se ti presentassi a mani vuote», dichiarò con decisione, prima di rialzare il vetro.
            Hinata boccheggiò stupefatta, osservando l’auto allontanarsi. Che diavolo gli era saltato in mente? Si era forse messo d’accordo con suo padre per ucciderla o stava fornendo a Hiashi un valido motivo per spellarla viva? Non trovava altre spiegazioni.
            Salì sull’autobus e si sedette su un seggiolino vicino al finestrino. Il paesaggio scorreva, come sempre, fluido e monocromatico, a differenza dei suoi ragionamenti. La commiserazione era il pensiero dominante, da spartirsi tra se stessa e Sasuke. In quanto a ingenuità, sotto quest’ottica, l’Uchiha non era tanto lontano da lei: pensava davvero che Neji non avrebbe impedito quell’uscita? O che suo padre non gli avrebbe quasi sparato a vista?
            Arrivata davanti a casa, inspirò profondamente e strinse i pugni, pronta a subire l’ennesima vessazione. In tutto quel dolore, era confortata solo dalla certezza che non sarebbe uscita di casa, che non avrebbe dovuto subire una nuova analisi da parte di Sasuke, che non avrebbe dovuto sentirsi nuovamente stupida e insignificante, in mezzo alle persone.
 
Rintanata in camera sua, dopo una veloce, ma intensa, strigliata da parte di suo padre, la Hyuga osservava sua zia piantare delle ortensie in un’aiuola del giardino; la scatola prometteva che sarebbero sbocciate in un prorompente splendore azzurro, in primavera. Quel colore le ricordò irrimediabilmente gli occhi di Naruto, e tutta quella sicurezza che aveva provato qualche minuto prima svanì in un soffio.
            






Eccomi qui, sono tornata :D Mi ero subito messa all'opera con questo capitolo e non ho resistito dal pubblicarlo immediatamente, una volta rivisto :)
Beh, questo Sasuke sembra davvero intenzionato a cambiare le sorti di casa Hyuga XD Il vendicatore non-mascherato! E Neji... vorrei prenderlo a pugni, ma, in fondo, mi piace XD Sembra che io stia soffrendo di qualche malattia mentale, lo so ahahah
Nel prossimo capitolo ci sarà un po' più di "azione", lo prometto! ;) Non so bene quando riuscirò a postarlo, perché non l'ho ancora iniziato e lunedì ricomincia l'università (sigh), però prometto di fare il possibile per aggiornare presto!
Ancora una volta, vi ringrazio tantissimo per le vostre parole graditissime, il sostegno e l'affetto. Leggere le vostre recensioni mi dona una felicità incredibile!! Grazie anche a chi passa silenziosamente, a chi aggiunge la storia tra le seguite/preferite/ricordate :D
Permettetemi anche un ringraziamento a questa ragazza: Rhain_1992, che ha creato delle illustrazione meravigliose di questa storia! *-* Grazie di cuore!
Un abbraccio a tutti, a presto!! <3

Ophelia
   
 
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