Film > Le Riserve
Segui la storia  |       
Autore: Codivilla    05/10/2013    1 recensioni
E se dopo l'ultima partita contro i Dallas Ropers, finito lo sciopero dei giocatori professionisti di football, a qualcuna delle "Riserve" dei Washington Sentinels fosse stata riservata una ulteriore chanche?
• Dal primo capitolo:
Abbassò lo sguardo all’orologio che portava per vezzo al polso destro invece che al sinistro. Sbuffò pesantemente sotto i baffi grigi e si aggiustò la visiera del cappellino di paglia che portava calcato sul capo per coprire la calvizie che si faceva sempre più incipiente con l’avanzare degli anni.
«Avanti, giochiamo a football!» gridò infine, verso i suoi giocatori, battendo le mani un paio di volte.
Shane Falco, giuro che appena ti prendo ti uccido.

• Disclaimer: i personaggi citati, a parte quelli creati da nuovo, non mi appartengono e sono proprietà degli autori del film "Le Riseve" (titolo originale: "The Replacements") del 2000, diretto da Howard Deutch. C'è qualche riferimento ad alcune battute del film, ma in maniera sporadica. I nomi delle squadre non sono reali: sono quelli citati nel film, inventati dagli autori dello stesso. Mi scuso per eventuali svarioni in merito alle regole del football che, nonostante la mia documentazione in merito, possono essere presenti.
Genere: Commedia, Romantico, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





Capitolo Due -
Cheerleader... che passione!


***


 

McGinty fulminò con lo sguardo il tunnel di uscita dagli spogliatoi. Di Falco, nessuna traccia. Tirò su la manica della camicia e guardò l’orologio. Un’ora di ritardo al primo allenamento della squadra al completo, una settimana prima dell’inizio della stagione. Fece schioccare la lingua al palato, nervosamente.
«Arriverà. Ti ricordi di due anni fa? E poi l’abbiamo visto negli allenamenti singoli, è in forma. Non farne una tragedia!»
Il faccione tondo di Leo Pilachowski gli si parò innanzi. McGinty sbuffò come un cavallo da corsa fermo ai blocchi di partenza.
«Leo, non possiamo provare gli schemi offensivi, senza di lui. Stiamo perdendo tempo in attesa di allenarci in maniera seria! Ehi, Connor!»
Puntò la mano verso uno dei giocatori, che stava provando una manovra difensiva.
«Più grinta, se non vuoi rimetterci le ossa contro Detroit! Con quella spinta al massimo smuoveresti una femminuccia, non un linebacker da centotrenta chili!» sbraitò, tornando a guardare Leo. «Questo è l’anno buono, me lo sento! Li voglio tutti concentrati sull’obiettivo!»
I Sentinels non arrivavano alla finale del superbowl da dieci anni [1]. Nei due anni precedenti si erano qualificati per i play-off, ma non erano riusciti ad andare oltre. McGinty credeva fermamente che quel traguardo fosse a portata di mano e non avrebbe tollerato intoppi durante la stagione.
Quindi meglio che ti sbrighi a portare le chiappe in campo, Shane.
«Ehi coach!» la voce di Falco lo richiamò. Correva verso di lui, cambiato di tutto punto. Il numero sedici spiccava in bianco sulla casacca rossa della divisa.
McGinty sollevò il braccio destro e picchiettò con l’indice sul quadrante dell’orologio.
«Alla buon’ora, Falco! Si può sapere che fine hai fatto?!» sbraitò contrariato.
«Io… Ho avuto problemi con l’auto» disse Shane tagliando corto.
Leo inarcò le sopracciglia guardandolo di sbieco.
«Problemi con la carrozzeria, immagino. Sempre la stessa scusa, Shane. Dovresti cambiarla, ogni tanto. Non sono mica rimbambito» il coach lo guardò con aria truce. «Muovi il culo, adesso, ti aspettano tutti da un’ora!»
Shane si limitò ad annuire, incassando il colpo. Calcò in testa il casco grigio, sistemandosi la griglia protettiva davanti al viso e corse verso gli altri giocatori, già schierati in campo.
«È un bravo ragazzo, Jimmy. Può capitare di far tardi».
Leo guardò Shane allontanarsi e sorrise.
«Lo so. Ma una strigliata ogni tanto non fa male. E poi, Shane è un ottimo incassatore». Leo alzò gli occhi al cielo con aria melodrammatica.
Non si poteva dire che Jimmy McGinty non avesse ragione. E Falco aveva tre commozioni cerebrali che lo provavano.

 

***

 

«Ecco il nostro quarterback!» Clifford fece un ampio gesto di saluto con la mano destra in direzione di Falco che si avvicinava.
«Gentiluomini, un applauso! Il numero sedici in campo, ma il numero uno nei vostri cuori! Shane Falco!» gridò Nigel alzando il casco prima in direzione di Falco e poi verso gli altri giocatori, che a loro volta accennarono a qualche applauso e a qualche grido disordinato e scimmiesco di benvenuto.
Shane scosse il capo ma non nascose un mezzo sorriso. Sapeva di essere un buon capitano per i suoi compagni di squadra. Ma soprattutto era fiero di essersi guadagnato la loro fiducia come amico.
«Ragazzi, finitela. Il coach è già abbastanza incazzato con me».
«Ma dov’eri?» Clifford lo guardò incrociando le braccia al petto.
«Dove vuoi che fosse?! Tra le cosce di Annabelle, è ovvio!» punzecchiò Nigel con tono malizioso, dando una gomitata all’alto ragazzo di colore.
Si sentirono un paio di risatine malamente nascoste da parte del resto della squadra. Partì qualche fischio di apprezzamento e dalle retrovie tuonò un “Touchdown Falco!”, al quale Shane alzò la mano destra in segno di stop.
«Piantala, Nigel. Il tuo è un chiodo fisso. E poi non sono affari tuoi» il suo tono di voce era adesso più duro, nel tentativo di mettere fine a quella storia. Si sistemò il velcro della chiusura del casco in un gesto stizzito.
«Ehi, amico, due anni fa l’hai baciata in diretta televisiva prima che giocassimo col Dallas! [2] E’ affare di mezza America oramai!»
Nigel alzò le spalle e rise, mettendosi poi in testa il casco.
Clifford annuì facendo l’occhiolino al gallese. Shane scosse il capo ed aprì le braccia con fare arrendevole, mentre sul suo volto si disegnava una punta di imbarazzo che lo portava a guardare ovunque tranne che i compagni di squadra.
«Non si può dire che abbia torto, Shane!»
«D’accordo, d’accordo, adesso basta impicciarvi dei fatti miei e giochiamo!» Falco riuscì infine a tagliar corto, schiarendosi poi la gola in un suono gutturale un paio di volte per levarsi dalla faccia quell’aria imbarazzata. «Proviamo il primo schema d’attacco. Deuce Left, Pro Zig 90 Jag [3]. Ok?»
«Ok!» fu l’unanime risposta della squadra.
Falco battè le mani l’una contro l’altra e andò a prendere il suo posto dietro il centro mediano [4]. I Sentinels erano pronti a mischiarsi di nuovo le ossa in campo.


 

***

 

Vittoria chinò in avanti il busto e posò entrambe le mani sulle cosce, respirando affannata. Riprese fiato e guardò poi l’orologio al polso. Dieci minuti. Si poteva fare di meglio.
Si tastò la parte bassa del torace, con la mano sinistra, rialzandosi; la sua milza chiedeva pietà. Non era più in forma come qualche anno prima. O, quantomeno, non aveva più la stessa resistenza nella corsa.
Forse dovrei riprendere a fare jogging.
Trasse un profondo respiro, divaricò leggermente le gambe e stiracchiò le braccia verso l’alto, inarcando la schiena. La sua colonna vertebrale scricchiolò terribilmente. Quando si rilassò, un ansito spontaneo di benessere fuoriuscì dalle sue labbra. Alzò la testa sulla propria destra, dove si parava la costruzione del Nextel Stadium. Alta, piuttosto impressionante a vedersi. Su una grossa insegna c’era raffigurato il simbolo dei Washington Sentinels: una “W” blu su sfondo rosso, contenuta in un ovale dal bordo blu, e attraversata da un pallone da football che sfrecciava, anch’esso dello stesso colore blu della lettera. Si incamminò verso i cancelli d’ingresso aperti. Appeso alle sbarre c’era un cartello di media grandezza. Vittoria si fermò a leggerlo, sollevando il naso per aria.
Provini per le cheerleader, oggi, ore 4.30 pm. Presso il lato ovest del campo.
Un mezzo sorriso apparve sul suo volto. Ci sarebbe stato da divertirsi. Varcò la soglia del cancello e si incamminò all’interno, seguendo i cartelli che indicavano la via di accesso al campo da gioco.
Quando si ritrovò a posare i piedi sull’erba verde brillante del campo, tagliata e curata, su cui spiccavano le linee bianche di demarcazione dei confini e delle linee delle yarde, non potè fare a meno di restare piacevolmente impressionata. Ne valutò le dimensioni; doveva essere lungo più o meno quanto un classico campo da calcio, ma era sicuramente più stretto. Ad occhio, le tribune avrebbero stipato un mucchio di gente; forse un numero che sfiorava le novantamila persone [5].

Si mise a percorrerne il perimetro, fermandosi poi vicino alle panchine e prendendo posto su una di queste. Si sedette con le gambe incrociate all’indiana, i gomiti puntati sull’interno delle ginocchia e le mani protese in avanti, con le dita intrecciate fra loro. Per il momento, nessuno sembrava curarsi di lei. Erano tutti presi da quello che succedeva in campo, ove era in corso un allenamento. La giovane donna scrutò per un po’ la disposizione dei giocatori, che guadagnavano terreno e punti o ne perdevano a suon di spintoni e placcaggi. Qualche altro giocatore si allenava a parte, a bordo campo, sollevando dei sandbag [6] o spingendo dei grossi e pesanti macchinari simili a sacchi per il pugilato; ancora altri provavano dei calci alla palla ovale, e fra questi un biondino smilzo che - Vittoria lo notò immediatamente - tirava tranquillamente boccate da una sigaretta fra un calcio e l’altro. D’un tratto, un concitato concerto di versi e grida la riportò di nuovo con gli occhi in mezzo al campo. Uno dei giocatori era stato placcato e gli altri, invece di alzarsi per farlo respirare, gli si buttavano addosso di proposito, con tutta l’aria di spassarsela un mondo.
Danno tutta l’idea di un branco di scimmie selvatiche. Che casino.
C’era qualcuno che sembrava pensarla esattamente come lei.
«Vogliamo piantarla e giocare seriamente a football?!»
Un uomo con un cappellino di paglia e i baffi grigi, a qualche metro di distanza, stava riportando all’ordine quegli scalmanati. Vittoria sorrise osservando i modi di fare di quell’uomo. Stringeva nella destra dei fogli arrotolati a mo’ di cannocchiale e li usava per indicare le posizioni ai giocatori. Quando qualcuno di essi faceva un movimento sbagliato, li batteva sul palmo della sinistra con forza, come a voler scaricare la tensione. Non riusciva a smettere di osservarlo. Si concentrò talmente tanto a studiare quegli atteggiamenti così carismatici che a un certo punto le sembrò di essere fuori dal tempo e dallo spazio.
«Ehi! La fila è dall’altra parte del campo!»
Una voce femminile la riportò sul pianeta Terra. Sbattè le palpebre un paio di volte e ruotò il capo in direzione di essa. Una ragazza magra, alta e slanciata, dai capelli castani a caschetto con la frangetta, la guardava fissa col capo appena inclinato e un mezzo sorriso sulle labbra. La osservò per un lungo attimo. Aveva un bel viso proporzionato su cui spiccavano gli occhi, castani anch’essi, e le labbra sottili ma delineate. Forse, notò, aveva le orecchie leggermente a sventola. Indossava una maglietta azzurra a maniche lunghe tagliata sotto il seno, così che lasciasse scoperto il ventre piatto, sopra un pantalone nero largo e scarpe da ginnastica. Oltre che un infinità di bracciali al polso destro ed un orologio al polso sinistro. Fra le mani, stringeva una cartellina azzurra.
Lo sguardo di Vittoria si spostò poi dall’altro lato del campo, dove vide una nutrita schiera di ragazze in attesa, fra le quali si avvide di alcune presenze estremamente meritevoli di nota. Un tripudio di more, bionde e rosse. Ce n’era per tutti i gusti. Ed erano tutte tremendamente alte. Tornò a guardare la ragazza che le aveva rivolto la parola. Stava ancora sorridendo.
«Anche se a dirti la verità, credo che ti toccherà tornare domani. Non mi aspettavo tutte queste ragazze» disse quest’ultima, con un lieve sospiro. «Fino a sera riuscirò, forse, a fare i provini solo a metà di loro» aggiunse, facendo spallucce.
Vittoria sorrise a sua volta e sciolse l’intreccio delle gambe, alzandosi dalla panchina.
«Immagino che sia un gran bel daffare» tornò per un attimo a guardare l’uomo coi baffi che ancora dava istruzioni concitate ai giocatori in campo. «Quello è Jimmy McGinty?» chiese poi, indicandolo con un cenno del capo.
«Sì, il coach» la ragazza annuì. «Ma non ci siamo presentate. Io sono Annabelle» aggiunse, tendendole la mano destra.
«Vittoria. Piacere» Vittoria strinse la mano della ragazza per poi lasciarla.
«Bel nome» la ragazza pareva compiaciuta «Ad ogni modo, io devo iniziare i provini» guardò per un attimo i giocatori che continuavano a provare gli schemi di gioco. «Vieni anche tu, magari resta del tempo… e nel frattempo potrai continuare a goderti l’allenamento» le fece un occhiolino, sorridendo ed avviandosi verso la schiera di ragazze che l’attendevano.
«Aspetta…» cominciò Vittoria, ma la ragazza s’era già allontanata. Scosse il capo e puntò le mani sui fianchi. Dette uno sguardo al campo, cogliendo il momento esatto in cui un giocatore stava effettuando un bel passaggio verso uno dei suoi compagni. Sbuffò leggermente e si incamminò nella direzione presa da Annabelle.
Non le pareva il momento giusto di rivelare che in realtà lei di football non capiva assolutamente un accidenti.

 

***


«Va bene, ragazzi! Basta così per oggi!»
A quelle parole di McGinty, Clifford buttò fuori l’aria dai polmoni e alzò le braccia in alto con fare liberatorio per poi strappare il nastro di velcro che teneva fermo il casco.
«Per fortuna! Altri dieci minuti e avrei chiesto un dannatissimo time out!»
«Il solito mollaccione. E tu saresti un giocatore di football?» Nigel lo schernì attraversando il campo con la sua solita camminata spensierata. Portava sulla spalla, appesa sull’indice della destra, l’intera sua divisa completa delle protezioni, come un modello di un catalogo che per una foto lasciasse scivolare a quel modo una giacca sulla schiena. Era evidente che l’aveva indossata, dato che la maglia era stropicciata. Forse per i soli primi dieci minuti dell’allenamento.
«Senti chi parla! Si fa fatica a prendere a calci la palla, vero Nigel?» rimbeccò Clifford. «Quella dovresti mettertela addosso, non portarla a spasso» aggiunse indicando la divisa del gallese.
«Ehi, pesa dannatamente, e poi fa caldo. Non devo proteggermi da bestioni inferociti, io… al contrario di Shane!»
Nigel puntò il mento verso Falco che si stava togliendo il casco in quel momento, passandosi la mano destra fra i capelli umidi di sudore. Respirava a bocca aperta riprendendo fiato. Al dire di Nigel reclinò la testa indietro deglutendo un quintale di saliva, fermandosi presso i due. Un giocatore grosso come un armadio, nel passare accanto a lui, gli assestò una manata poderosa sulla schiena. Per poco non gli mozzò il poco fiato che gli restava.
«Per oggi siamo stati fin troppo buoni! Al prossimo allenamento te ne diamo di più, Falco!» disse con un allegro vocione baritonale.
«Grazie per la gentilezza, Jack» riuscì ad articolare Shane, con la voce roca, facendogli l’occhiolino e alzando il pollice della mano destra.
«Ehi, ma era oggi il giorno dei provini per le cheerleader?!»
La domanda di Nigel era rivolta a Shane, ma se i suoi occhi erano puntati da tutt’altra parte. Stava passando ai raggi X ogni singolo esemplare femminile che vedeva dall’altro lato del campo.
«Sì. Donna e Kim hanno trovato lavoro e non hanno più tempo per la squadra».
Anche gli occhi di Shane erano fissi su quel gruppetto di fanciulle, ma si soffermarono su una sola di esse. Annabelle, che stava battendo le mani nel tentativo disperato di dare il tempo giusto ad una aspirante particolarmente scoordinata. Sorrise a quella vista.
«Che peccato!» Clifford scosse il capo. «Donna mi piaceva proprio! Comunque, corro a farmi la doccia. Ho un appuntamento con una tipa e sono già in ritardo. Ci vediamo stasera all’End-Zone!» aggiunse, avviandosi di corsa verso gli spogliatoi.
«Al diavolo Donna, Franklin! Guarda là quanto ben di Dio!» Nigel si fregò le mani. Poi, all’improvviso, dette una gomitata a Shane. «Ehi, devi assolutamente convincere Annabelle a prendere quella, nella squadra!»
Falco sobbalzò dolorante alla gomitata, l’ennesima botta del pomeriggio.
«Quale?»
«Quella! Con i capelli legati!»
Nigel indicò un punto preciso sul lato ovest del campo. Shane rivolse lo sguardo in quella direzione. La ragazza in questione era un po’ in disparte rispetto al resto del gruppo. Stava appoggiata con la schiena al muro delle tribune, a braccia incrociate sotto il petto, un piede puntato indietro sul cemento, apparentemente intenta ad osservare proprio Annabelle.
«Sembra un po’ bassina» fu il suo commento, accompagnato da un’alzata di spalle.
«Sì, ma hai visto che tette?!»
«Tu sei malato, amico mio! Ma non pensi ad altro?!»
Shane gli diede una spinta, ridendo. Tornò ad osservare la ragazza, socchiudendo gli occhi per inquadrarla meglio. Nigel non aveva tutti i torti. A dispetto dell’altezza, la maglietta nera a maniche corte che la ragazza indossava rivelava forme prosperose, su una vita stretta e sinuosa. Non avrebbe potuto dir nulla sulle gambe, coperte dal pantalone ampio di una tuta grigia, ma il giovane notò le braccia toniche ed allenate, bianche come il marmo, esattamente come candida era la carnagione del suo viso. In quel candore i capelli castani raccolti in una coda lunga quasi fino a metà schiena spiccavano particolarmente.
«Io vado a fare conoscenza. Vieni con me?» Nigel tornò finalmente a guardare Shane, dopo aver studiato ogni particolare della ragazza.
«Io vado a farmi una doccia. E anche tu dovresti» Shane annusò l’aria. «Puzzi di sudore. Da far schifo».
«Alle donne piace l’uomo sudato. Dicono che sia afrodisiaco».
«Come vuoi. Buona fortuna!» Shane sollevò il casco verso di lui in segno di saluto e s’incamminò verso gli spogliatoi.
«Alle volte sei proprio noioso. Lo sai, vero, Falco?!»
Nigel gli gridò dietro di rimando mentre si allontanava. Ruotò poi il capo, puntando nuovamente gli occhi sulla ragazza.
«Olè, olè olè olè…» canticchiò sommessamente, dirigendosi verso di lei.

 

***


«Ciao, splendore!»
Vittoria inarcò un sopracciglio. Lo smilzo biondino in canottiera bianca e pantaloncini rossi che le si era avvicinato aveva lasciato cadere a terra con un tonfo, a peso morto, quella che sembrava essere una divisa completa da football. Lo riconobbe immediatamente. Era quello che poco prima, fra una sigaretta e l’altra, prendeva a calci la palla ovale.
«Prego?» articolò, in tono neutro.
Non era la prima volta che aveva a che fare con quel genere di conversazione. Sapeva anche che non sarebbe stata l’ultima. Ci era abituata.
Nigel si avvicinò di un altro paio di passi ed indicò con un cenno del capo Annabelle, ancora tutta intenta a selezionare le ragazze. Non era arrivata neanche a metà fino a quel momento e pareva anche che nessuna delle aspiranti cheerleader fosse all’altezza delle aspettative.
«Se vuoi posso metterci una buona parola, con lei. Così non devi fare neanche il provino» si prodigò in un sorriso che pretendeva di essere sexy, ma risultava alquanto buffo su quel viso affilato e pallido. «Io sono Nigel. Il Piede. Kicker dei Sentinels» aggiunse impettito, inclinando un poco il busto ed appoggiandosi con la mano sinistra al muretto accanto alla spalla di Vittoria. La ragazza lo squadrò da capo a piedi con aria truce. Storse leggermente il naso quando l’odore acre di sudore di quel tipo le giunse alle narici.
«Ho un’idea migliore. Se vuoi, posso mettere io una buona parola col mio personal trainer. Così magari inizi a somigliare a un vero giocatore di football. Ciao, Piede».
Vittoria staccò la schiena dal muretto e si incamminò verso l’uscita dal campo, senza attendere replica alcuna. Nigel restò impalato, preso in contropiede. Ruotò il capo per osservarla mentre si allontanava. Chinò la testa verso il basso, annusando la propria ascella sinistra. Non puzzava poi così tanto!
«Che caratterino. E pure con un bel lato B» si raddrizzò, ficcandosi entrambe le mani nelle tasche dei pantaloni, mentre osservava il fondoschiena della ragazza. «Peccato. Non sa cosa si è persa!»
Recuperò da terra l’uniforme e fece dietro-front, incamminandosi verso gli spogliatoi mentre, contraendo il bicipite destro in una posa da body-builder, si auto compiaceva di sé stesso. Un vero chiodo d’acciaio, non c’era dubbio!

 

_________ ₰ _________



 

Note:
[1]
 Licenza libera dell'autrice. Niente di quanto riportato è assimilabile a qualcosa di realmente accaduto, poichè persino le squadre portano nomi completamente di fantasia.

[2] Il film 'Le Riserve' ha, fra le scene più famose, quella del bacio fra Shane ed Annabelle, commentata in diretta dai cronisti storici del football John Madden e Pat Summerall (VIDEO della scena, per i curiosi).
[3] Gli schemi utilizzati nel football hanno nomi che variano da squadra a squadra, molto fantasiosi ed incomprensibili per chi non faccia parte della squadra stessa. Quelli citati nel testo sono presi dal film.
[4] Giocatore che passa all'indietro la palla ovale al quarterback, dando inizio all'azione offensiva.
[5] Il vero stadio di Washington può contenere fino ad 85.000 persone.
[6] Grossi sacchi pieni di sabbia utilizzati per rafforzare la spinta in avanti.

 

_________ ₰ _________
 

 

- Angolo Autrice:
Dopo un'infinità di tempo, causa esame tostissimo e un po' di problemi familiari, eccomi qui ad aggiornare.
Qualche pennellata aggiuntiva sul carattere dei protagonisti, un po' di sano sport e di 'cheerleading style', in questo capitolo. Un pizzico di piacioneria del nostro beneamato biondino gallese e... Falco sudato. Che volete di più dalla vita?
Vi lascio recapiti vari per contatti, curiosità, e anche rotture di scatole:
Facebook
La Canonica del Vicario (Gruppo Facebook)
Ask.fm
Grazie a chiunque passerà di qui e si fermerà a leggere. 


   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Le Riserve / Vai alla pagina dell'autore: Codivilla