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Autore: mikybiky    01/04/2008    4 recensioni
Perfetto. Il controllore ci ha buttati giù dal pullman, perché siamo sprovvisti di biglietto.
Meraviglioso.
E ora cosa faccio?
Non so dove sono, non ho idea di come cavolo farò a tornare a casa, ho pochi soldi con me e per di più sono qui con un austriaco che sa giusto spiccicare tre parole di italiano!

Cosa fareste voi se vi trovaste bloccati in una città ignota con un ragazzo che parla solo il tedesco??
Le cose che succcedono nella fic sono un po' improbabili, ma è un'opera di fantasia.
Genere: Generale, Commedia, Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Una giornata di peripezie'
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21. Knockin’ on heaven’s door


Calde lacrime mi rigano il volto.
Stefan sta continuando a suonare e le note della canzone mi penetrano come lame nello stomaco. Questa canzone la conosco, è Knocking on Heaven’s Door di Bob Dylan rifatta dai Guns’n’roses. Mia mamma la cantava sempre a mio fratello, quando era piccolino. Poi, quando lui è cresciuto, ha imparato gli accordi e me la suonava sempre, quando ero triste. Io la cantavo, così facevamo il coretto. Poi entrava mio papà. Noi trattenevamo il fiato, per paura che ci sgridasse. Ma lui sorrideva, si sedeva e iniziava a cantarla con me. Quando lui e Alessio erano ancora in buoni rapporti diceva sempre che un giorno avrebbe comprato a mio fratello una chitarra elettrica, così avrebbe potuto suonare la canzone come si deve, soprattutto l’assolo. E così fece. Questo è uno dei ricordi più belli che ho, ne ho il quadretto in mente: noi tre seduti sul letto a suonare e a cantare.
Dopo un po’, guidata dai ricordi, inizio a cantare. Le lacrime mi accecano gli occhi. Stefan mi sorride. Dopo pochi minuti un uomo suoi quaranta segue il mio esempio, ricopiato da due ragazzi timorosi. Allora anche Stefan si mette a cantare. Altra gente si avvicina, curiosa, e segue il coretto. Stiamo andando veramente bene.
Chiudendo gli occhi, mi sembra di essere di nuovo una quattordicenne dai capelli scapigliati, seduta sul letto dal copriletto blu, accanto a mio fratello, che ha la chitarra in mano. Sorrido e canto. La vita va ancora bene, sono ancora felice, tutto fila ancora per il verso giusto.
Le note iniziano a farsi più calde, e non mi fanno più male: ora mi cullano, mi coccolano. Vorrei che questa melodia non finisse mai. Vorrei che continuasse, permettendoci di cantare fin che vogliamo.

Mama put my guns in the ground
I can't shoot them anymore
That cold black cloud is comin' down
Feels like I'm knockin' on heaven's door…


Alla fine la melodia cessa e tutti smettono di cantare. Pian piano, la gente applaude e lancia qualche monetina all’interno della custodia nera. Poi, man mano, si allontana, lasciando me e Stefan soli.
Io lo guardo, con alcune lacrime ancora sulle guance. Poi scoppio a piangere e lui, avvicinandosi, mi abbraccia.
Ora so tutto, ora capisco tutto: ora so perché ce l’ho a morte con Stefan e perché non sopporto che non parli italiano. Ma non è colpa sua. Lui parla tedesco, è la sua lingua madre. Non è la causa della disgrazia che mi è piombata sulla testa. L’odio nei suoi confronti era solamente la rabbia repressa che mi portavo dentro da due anni, ormai. Papà odiava che io studiassi tedesco, solo tedesco.
Io ho voluto dimenticare tutto quanto. La mamma anche. Noi non ne parliamo mai. È l’unico modo grazie al quale riusciamo ad andare avanti. Ma il papà mi manca tanto, e Alessio anche… forse dovrei andare a trovarlo.
Due anni… due anni sono passati.
Quell’anno Camilla fu bocciata, io, per il rotto della cuffia, fui promossa. L’anno successivo rimasi in terza, in classe con Camilla. E conobbi Arianna, l’amica più leale e sincera che ho. Con lei mi sfogai, piansi, buttai fuori tutta la rabbia che avevo. Mi è servito.
Quando mi riprendo, Stefan mi passa un fazzoletto e io mi soffio il naso.
- Coraggio - mi dice.
- È tutto a posto - rispondo io, asciugandomi le lacrime.
Stefan mi guarda comprensivo.
- È solo un ricordo. Va tutto bene. -
Mi asciugo le ultime lacrime poi mi alzo.
- Allora - dico - vogliamo vedere quanti soldi abbiamo racimolato? -
Stefan si alza con me e ci avviciniamo alla custodia nera. Ci sono monete e banconote… inizio a raccoglierle tutte per contarle.
Dopo un po’ li contiamo ancora una vota, per assicurarci di non avere sbagliato.
Io e Stefan ci guardiamo.
- Stefan… - dico, incredula.
- Noi… noi… - balbetta lui.
Abbiamo raccolto ventidue euro! Con due canzoni! Undici euro a canzone! È incredibile! Tutto quanto in una decina di minuti!
- Ventidue euro! - ripeto, incredula.
- Ventidue euro! - rincara lui.
Rimettiamo la chitarra nella custodia e decido di riportarla al negoziante. Camminiamo un po’, e nel frattempo penso a che cosa potremmo fare con questi soldi.
- Stefan - dico - è ovvio che il taxi non riusciamo a prenderlo fino a Brescia… -
- Ehm… -
Mi volto verso Stefan solo per notare il solito punto di domanda fluttuante sulla sua testa.
- Ho capito - gli dico, alzando gli occhi la cielo. - “No - taxi - fino - a - Brescia”. Chiaro? -
- Sì. Perché kein taxi? -
- Perché venti euro sono pochi. Però potremmo arrivare fino ad un certo punto, poi vedere quello che riusciamo a fare. -
Raggiungiamo il venditore ambulante.
- Io könnte Camilla anrufen - azzarda Stefan.
Io mi blocco di scatto, poi lo guardo negli occhi.
- Sì, potresti farlo - dico - tu andrai a casa con lei, così mi libererò di te. Io in macchina con lei non ci vado. Neanche se fossi morta. Punto. -
Stefan mi guarda interdetto, poi proseguiamo. Quando raggiungiamo il negozio di chitarre, io mi vergogno a riportarla dentro.
- Ehm… Stefan, puoi riportarla te? -
Lui mi guarda.
- Perché? -
- Così… -
Lui prende in mano la chitarra e la riporta dentro. Io osservo la scena: il ragazzo lo guarda stupito, prende lo strumento in mano, lo fissa incredulo, poi Stefan esce senza dire una parola.
- Io fatto… - dice.
- Sì - rispondo io - tu sei fatto. Forza andiamo. -
Senza comprendere la risposta che gli ho dato, mi segue e cammina lungo il marciapiede. Devo trovare un taxi al più presto. Saranno quasi le sei. Strano che mia mamma non mi abbia ancora chiamata.
Driiin; driiin.
Ecco: parli del diavolo…

MAMMA

spuntano le corna.
- Stefan - dico - zittisciti. -
- Eh? -
Gli faccio segno di fare silenzio, mentre rispondo al cellulare, deglutendo.
- Pronto? -
Ciao tesoro” dice la mamma con tranquillità. “Come stai?”
Io rimango sbigottita.
- Ehm… bene - rispondo.
Te la senti di tornare a casa a piedi o ti devo venire a prendere?”
Ma di che diamine sta parlando? Oddio, non avrà scoperto che io sono a Bergamo, vero?
- No, ce la faccio da sola… - dico, con il cuore in gola.
Bene. Io sto per arrivare.”
Perfetto!
- Mamma… -
Arianna mi ha detto che sei rimasta a casa sua perché ti sei sentita male.”
Arianna le ha detto cosa? Io adoro quella ragazza!
- Sì, ora sto meglio - dico, sollevata.
Mi chiamava ancora da scuola, mentre tu eri in bagno. Aveva appena finito il corso di danza.”
- Ma Arianna non ha il corso di danza, oggi è tornata a casa… -
Taci, Alice, taci!
Ma… come? Tu non eri con lei?”
Sono una cretina.
- Certo che ero con lei - dico, nel tentativo di risistemare le cose. - Solo che… credo di avere la febbre. Mi gira la testa e sto straparlando. -
La mamma indugia prima di rispondere.
Allora non stai meglio, ora; va là, ti vengo a prendere.”
- No! - esclamo, di scatto. - Ehm… mi porta a casa Arianna. -
Oh, non c’è bisogno che si sprechino” dice la mamma.
- No, sul serio, tu torni a casa stanca. Anzi, mi hanno proposto di restare a cena. -
Mhm… d’accordo, però non fare tardi.”
Bé, lo spero!
- Non, ti preoccupare. Che cosa ci faceva Arianna a scuola? -
“…”
- Il corso di danza, ovvio. Sì, sto straparlando. -
Sono una cretina!
Era lì con Camilla.”
Come? Come? Come?
- Come sarebbe a dire che era lì con Camilla? - chiedo, acida.
Non lo so, le ho sentite parlare” risponde la mamma.
- E che cosa dicevano? - indago.
Camilla ha detto che siete state interrogate assieme in matematica. A proposito, come è andata?”
Mi paralizzo. E ora? Non posso dirle del quattro, ma se le dico che ho preso sei lei vorrà vedere il voto sul libretto, e non posso neanche far finta che non l’abbia scritto. Oddio!
- Ehm… deve finire di interrogarmi - dico, tentando di risultare credibile.
E perché prima non me l’hai detto?”
- Perché avevo paura di non riuscire a prendere un sette pieno” dico, pomposa. Quando andavo bene a scuola facevo così. Dopo la bocciatura non mi sono più ripresa.
Vedi di non tornare a casa con un sei” dice la mamma, severa. “Devi recuperare assolutamente il cinque!”
Deglutisco.
- Okay, mamma, ora devo andare. -
Okay. A dopo, allora. Ciao.”
- Mamma. -
Dimmi.”
- Domani… voglio venire con te. -
Dove?” domanda la mamma, senza capire.
- A trovare Alessio. -
C’è un attimo di silenzio. Lei ci va tutti i giorni a trovare Alessio. E domani gli farò una bella sorpresa.
Certo che puoi venire, tesoro… lui mi domanda sempre di te.”
Sorrido, mentre una lacrima mi scende sulla guancia.
- Ti voglio bene, mamma. A dopo, ciao. -
Termino la conversazione, poi frugo nelle tasche. Da qualche parte ho ancora il biglietto sul quale ho preso appunti, mentre chiamavo uno di quei numeri strani… eccolo, l’ho trovato.
Afferro il cellulare e digito il numero. Quando qualcuno risponde, chiedo se c’è un taxi, dico il nome della via in cui mi trovo (c’è un cartello vicino a me) e il numero civico della casa che ho dietro.
- Bene - dico, alla fine.
- Allora? - mi chiede Stefan.
- Il taxi sta per arrivare - rispondo io. - Quindi mettiti comodo. -




Kein: nessuno.
(Ich) könnte Camilla anrufen: potrei chiamare Camilla.

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Eccomi tornata! Ho aggiornato alla svelta? =D Purtroppo il prossimo ci metterà un po’ ad arrivare, ma pazientate! Tanto arriverà!
Ringrazio SoporAeternus, sasamy e Miranda per avere aggiunto la storia ai preferiti! =D
E poi i miei soliti recensitori, senza i quali non potrei vivere!!
Kokky;
Shio;
Lely1441;
Little Jewel;
La_LaUrEtTa;
Jess_91;
ehy_Lyla;
blackout.
  
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