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Autore: distantmemory    05/10/2013    5 recensioni
Una studentessa modello, una cheerleader, un giocatore di rugby e un criminale che non hanno nulla in comune, che non hanno mai interagito, si ritroveranno a dover affrontare una strana avventura insieme, coinvolgendo anche i loro amici e "rovinando" le vite altrui (e le proprie).
{Coppie principali: AleHeather e Duncney || Coppie secondarie: DawnxScott, MikexZoey, HeatherxJosé, CourtneyxScott, DuncanxGwen, TrentxGwen || Personaggi secondari: Gwen, Scott, Dawn, Josè, Carlos, Trent ed altri}
Genere: Commedia, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alejandro, Courtney, Duncan, Heather, Un po' tutti | Coppie: Alejandro/Heather, Duncan/Courtney
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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Non un gran bel primo giorno di scuola.



Mi dirigo a grandi passi verso il mio armadietto, sicuro di me e non guardando nessuno, semplicemente sto a testa alta e cammino al centro del corridoio consapevole di essere fissato da tutte le ragazze. E mentre sorrido soddisfatto mi chiedo dove si trovi il mio armadietto.
Durante questi mesi di vacanza non ho studiato molto, anzi, direi che non ho studiato per niente, e non ho tenuto allenato il mio cervello in nessun altro modo. Mi sono divertito ad uscire con una ragazza diversa ogni settimana e a fare sport senza farmi sorprendere da mio fratello. Non avrei sopportato di sentirmi dire ancora una volta che non avrei mai raggiunto la sua posizione, e invece sì, la raggiungerò, e i miei genitori toglieranno la macchina ad Josè e la regaleranno a me. Ma prima di utilizzarla dovrò ricordarmi di farla lavare e pulire per bene, non voglio mica sedermi sul luogo d’incontro e di unione di mio fratello e della sua fidanzata.
Credo di ricordare dove si trovi il mio armadietto, così giro a destra noncurante della campanella che sta suonando e so di aver raggiunto il posto giusto quando vedo Josè che fa a pugni con un pezzo di metallo. Scorgo dietro di lui altre due figure ma non ci faccio tanto caso perché sto correndo verso il mio armadietto, sperando di arrivare prima che mio fratello lo distrugga definitivamente. Gli metto una mano sul braccio e lo strattono, poi lo spingo mettendogli le mani sul petto.
« Che cazzo stai facendo? » urlo. Lancio qualche sguardo a destra e a sinistra per controllare se c’è qualcuno nei paraggi, ma la maggior parte degli studenti è già in classe, gli unici ad essersi girati sono due ragazzi fermi sulla soglia della loro classe. Mio fratello ghigna e faccio per dargli un pugno, deciso a fare ciò che lui ha fatto al mio armadietto che ormai quasi penzola.
« È ciò che gli ho detto io quando l’ho visto. Ho cercato di fermarlo. » dice un’altra voce alle mie spalle, e la riconosco subito. Mi giro e osservo Carlos, mio fratello, più piccolo di me di un anno. Noto che accanto a lui c’è una ragazza, alta e magra, con i capelli corti e neri. Assomiglia molto alla fidanzata di Josè, poi ricordo: è sua sorella, Akiko, e mi è sempre stata più simpatica di Eva o come cavolo si chiama. Mi sta rivolgendo uno sguardo quasi affettuoso, come se anche lei sia costretta a subire le stesse angherie dalla sorella.
« Non avresti dovuto. » replica Josè.
« Già, non avresti dovuto, perché oggi è il tuo primo giorno di scuola e non puoi cercare di risolvere i nostri problemi. Farai tardi. » dico io, e lancio uno sguardo minaccioso a mio fratello maggiore. Mi chiedo come si possa essere tanto egoisti e pensare solo a se stessi. Spesso mi chiedo in che condizioni mi troverei se Carlos non fosse mai nato. Probabilmente sarei in un letto d’ospedale insieme ad Josè. « Su, vai in classe. »
« Ma voi finirete per picchiarvi! »
« No, ti prometto che non ci picchieremo. Vero, Josè? »
« Mhmh. » è tutto ciò che fuoriesce dalla bocca di Josè, quindi Carlos non è convinto e rimane lì di fronte.
« Farai fare tardi anche ad Akiko. » dico quindi, e sorrido. Mio fratello minore sembra risvegliarsi da un coma, quindi prende per la mano la ragazza e lei fa un gesto a mo’ di saluto verso di me, mentre sembra che Josè non le sia molto a genio. Come biasimarla? Li seguo con lo sguardo, quasi felice nel profondo perché so che Carlos è innamorato di Akiko da due anni.
« Vado in classe anch’io. » sussurra il ragazzo che mi è accanto, ma lo fermo prendendolo per il polso.
« No, tu non vai da nessuna parte. » sibilo con le sopracciglia aggrottate.
« Scusami? La mia ragazza mi sta aspettando, vedi? E poi mi farai fare tardi, mi metteranno in punizione e dirò alla mamma che è stata colpa tua, il che è vero. » dice sorridendo. Io mi giro e vedo una ragazza poggiata agli armadietti in fondo. Sta battendo il piede a terra ed è a braccia conserte mentre fissa mio fratello. No, non sta fissando lui, bensì me, e sembra che lo faccia con uno sguardo di sfida misto ad odio.
« Bene, va’ pure dalla tua puttanella personale. » Gli lascio il polso e lo guardo soddisfatto. « Ma la mamma verrà a sapere che hai rotto il mio armadietto. »
« Oh, per favore. » dice Josè facendo qualche passo in avanti, poi si gira. « Credi davvero che la mamma avrà fiducia in te? Se ne avesse, ti avrebbe già comprato una macchina. » Si volta di nuovo e si incammina verso la sua ragazza, che lo bacia e poi lo prende per la mano, e mi guarda un’ultima volta come per dirmi “Mi sono presa il fratello migliore”. Li osservo mentre prendo i miei libri e poi spariscono dalla mia vista. Oh, Eva cara, ti pentirai di aver scelto quel fratello.


***



La campanella è suonata da pochi minuti e mi meraviglio tanto quanto la professoressa quando faccio la mia comparsa in classe, puntualmente. Vorrei dire che è una specie di regalo per il primo giorno di scuola, ma la mia bocca si ritrova indaffarata e impossibilitata nel parlare perché la mia ragazza mi è appena corsa in contro e mi sta baciando.
« È da quasi un mese che non ti vedo. » dice Gwen quando si stacca. Bé, in effetti non l’ho chiamata spesso in estate. In realtà, non mi è mai neanche passata per la mente l’idea di chiamarla e di chiedere come stava, né avevo intenzione di uscire con lei.
« Mi dispiace. Mia madre mi ha messo in punizione, sai com’è. » mi giustifico, ma la dark mi guarda dubbiosa.
« E da quand’è che tu ti fai comandare da qualcun altro? » chiede sarcastica, poi sorride. « E va bene, ti perdono, non voglio sentire altre stupide scuse. Per rimediare oggi usciamo, intesi? » Non posso credere che la ragazza mi stia guardando con un po’ di rabbia. Dovrebbe essere grata al cielo perché fidanzata con me.
« Vorrei, ma non posso. » dico. Faccio un passo in avanti ma Gwen mi blocca la strada e non mi fa passare. Vorrei tanto levarmela di torno. Non per qualcosa di personale, ma c’è un bel posticino in fondo alla classe e non vorrei farmelo scappare.
« Ultimamente sei strano. Ho fatto qualcosa di male? »
Sospiro mentalmente. Potrei sorbirmi di tutto, ma non le domande smielate e voltastomaco che ogni fidanzato fa alla propria fidanzata o viceversa. E poi non so nemmeno perché mi sia fidanzato. Certo, Gwen è stupenda, ma io non sono fatto per le relazioni, eppure non voglio lasciarla. Non ancora, perché in fondo sto bene con lei e lei sta bene con me. È sempre stata innamorata di me e solo quando me lo dichiarò avevo capito che anche lei piaceva a me, e forse, preso dalla foga del momento, avevo deciso di intraprendere una vera storia. Solo dopo sette mesi – sono costretto da Gwen a ricordare la data del nostro fidanzamento – mi sono reso conto che non mi va proprio giù.
« No, non hai fatto niente. Assolutamente niente. È solo che… sono in punizione! Già, sono in punizione. » mi scuso, ma poi ricordo. Io sono davvero in punizione, e per la prima volta ringrazio nonsochi per esserlo. « Una grande scocciatura. » La ragazza mi guarda dubbiosa, ancora, e mi dico che odio quel suo sguardo dubbioso.
« E perché sei in punizione? » chiede.
« Sinceramente, non lo so. Una tipa mi si è avvicinata e con la scusa di essere la preside del consiglio studentesco mi ha messo in punizione. » rispondo e le sorrido. In fondo non sto mentendo, e mi meraviglio di me stesso una seconda volta nella stessa giornata.
Lei ricambia il sorriso e mi da un bacio frettoloso. « Bene, allora falle vedere chi sei, Nelson. »
Oh, ci puoi scommettere.


***



« Scusami. Scusatemi. Permesso. Cavolo, vuoi levarti di torno? » mi ritrovo a sbraitare in giro per i corridoi, perché questi stupidi ragazzacci non hanno intenzione di farmi passare, e io non posso arrivare in ritardo in classe il primo giorno di scuola. Ma finalmente ci arrivo, quindi mi giro e guardo in cagnesco ogni ragazzo che mi è di fronte. « Se non volete fare una brutta fine, vi consiglio di andare nelle vostre classi. Adesso! » urlo, e così tutti mi voltano le spalle spaventati e fanno ciò che gli ho ordinato, ma comunque con molta gentilezza. « E non correte per i corridoi! »
E così mi chiudo tranquillamente la porta alle spalle e osservo gli alunni della classe di cui faccio parte con soddisfazione. Loro sì che fanno il proprio dovere. Alcune volte mi ritrovo a chiedermi se è grazie a me se ora sono così educati ed intelligenti e studiosi e ben volenterosi, e mi rispondo che è solo grazie a me.
Faccio qualche passo fino a posizionarmi accanto al professor Lewis, che in realtà sembra un adolescente e potrebbe benissimo essere scambiato per uno studente. Gli sorrido. « Professor Lewis. » gli faccio cenno e lui ricambia il sorriso, poi fa un cenno con la mano e mi fa capire che posso parlare. « Sono lieta di vedere come tutti voi siate cambiati, ovviamente in meglio. L’anno precedente è stato pieno di cambiamenti, di aspettative realizzate, tutto è andato per il meglio e questo è solo grazie a voi – e a me, ovviamente – e credo che anche voi siate stati felici di essere ritenuti la classe migliore dell’Istituto, quindi quest’anno ci impegneremo a far ancora del nostro meglio, se si può anche meglio dell’anno scorso, e come capoclasse ma anche preside del consiglio studentesco posso dire che… »
« Davvero un bel discorso, signorina Barlow. Mi rende felice udire le vostre belle parole, ma ho una sola ora quest’oggi e non vorrei perder tempo. » mi interrompe il professore.
« Oh, sì, va bene. Certo. Avrete di sicuro un sacco di compiti da svolgere, problemi da risolvere, e poi dovrete anche sistemare la biblioteca. Sa, ho già messo in punizione un ragazzo. Non è mai troppo presto per far rispettare le regole, e le leggi… »
« No, no, scusatemi signorina Barlow, come avete detto? » Questa volta gli lancio uno sguardo truce. Come si permette di interrompermi persino una seconda volta? Ma ritorno subito in me. Per mantenere il mio incarico di capoclasse e preside devo avere la simpatia di tutti i professori.
« Ho messo in punizione un ragazzaccio. Non vedo quale sia il problema. » dico scrollando le spalle. « È per caso contrario al dovere di rispettare le regole? » chiedo, alzando un sopracciglio.
« Certo che no, ma oggi… oggi non posso occuparmi delle punizioni, né della biblioteca. Non posso occuparmi di nulla. »
« E quale sarebbe il motivo? » domando. Non posso credere che neanche i professori ora eseguano i propri doveri.
« Problemi personali. Oggi non posso proprio. Non potrebbe rimandare la punizione a domani? »
« Ma è per caso impazzito? Così facendo quel criminale penserà di potermi fregare, e nessuno può fregarmi! » strillo sbattendo una mano sulla cattedra. « Come vuole provvedere? »
« Bé, vuol dire che della biblioteca oggi se ne occuperà qualcun altro. »
« Ma nessuno può occuparsi della biblioteca se non lei. Nessuno la conosce, nessuno sa come comportarsi con le punizione, nessuno… »
« Allora oggi se ne occuperà lei. » conclude il professore, e la mia espressione furiosa si trasforma in un’espressione sorpresa e ancor più furiosa.
« Non può farmi questo! Sono solo una ragazzina, non posso tenere a bada un gruppo di criminali! »
« Sì invece che può, e se non è in grado di farlo ciò significa che non è in grado neanche di essere la preside del consiglio studentesco. » aggiunge Lewis mentre fa il giro della cattedra e ci si siede davanti, rivolgendo le spalle alla lavagna e guardandomi con le mani unite sotto al mento. Io gli lancio uno sguardo arrabbiato ma riprendo subito il mio grande sorriso.
« Bene, professor Smith, si sorprenderà di quanto sia capace di tenere a bada quei ragazzacci e di essere la preside del consiglio studentesco! » dico con orgoglio, poi scivolo lontano dalla scrivania e mi dirigo a testa alta verso il mio banco.


***



Mi fermo a pochi passi dalla mia classe e mi metto con le spalle al muro, lo sguardo basso e cerco di nascondere il sorriso stampato sulle labbra. Sto solo fingendo di essere arrabbiata con Josè perché adoro sentire le sue scuse.
« Eddai, Heather, guardami. Così mi fai stare male. » dice con voce implorante, e io sorrido ancora di più. Alcuni ciuffi di capelli lunghi cadono davanti al mio viso e lascio che sia il mio ragazzo a fermarli dietro l’orecchio. La campanella è suonata da un pezzo ma non mi importa. Se fosse per me, il mattino non verrei proprio a scuola, ma mi farei accompagnare da Josè solo il pomeriggio per gli allenamenti pomeridiani. Amo essere la capo cheerleader, e amo ancora di più vedere le mie compagne impegnarsi e soffrire mentre cercando di raggiungere i miei livelli. Patetiche.
« La prossima volta impari a farmi aspettare. Le ragazze non si fanno aspettare, quante volte devo dirtelo? » ripeto una milionesima volta, fingendo di essere offesa. Ovviamente Josè sa che sto scherzando e sta al gioco. Alcune volte facciamo così, fingiamo di essere una coppia smielata che fa venire il diabete, forse per prendere in giro i fidanzatini così, e noi non siamo affatto così. Eppure alcune volte mi capita di immaginare Josè e me come una coppia normale, due semplici ragazzi, non la capo cheerleader e il quarterback di rugby, abbracciati e felici, e solo per qualche secondo quell’immagine mi piace ma la faccio svanire subito dalla mia mente. La mia vita è perfetta, mi ripeto, anche se spesso mi chiedo se Josè mi abbia mai tradito. Io mi sono fatta solo scappare qualche occhiata fugace con altri ragazzi e uno o due baci, ma nulla di più, mentre il mio fidanzato non è famoso per essere il ragazzo più sincero della scuola.
Josè sorride e mi prende un braccio, avvicina la mia mano alla sua bocca e me la riscalda con dei piccoli e soffici baci. « Lo sai, è colpa di mio fratello, come sempre. » si giustifica. Io mi mordo un labbro e mi faccio scappare ciò che ho sempre pensato ma che non ho mai avuto il coraggio di dire.
« Alejandro, Alejandro e Alejandro. È sempre colpa sua. Non ti è mai passato per la testa che forse i problemi li crei tu? La settimana scorsa hai preso dei poster dalla sua camera e li hai bruciati, così, senza un motivo, e oggi gli stavi per distruggere l’armadietto. Perché lo tratti così male? » domando quasi con un tono dispiaciuto per suo fratello, un ragazzo con la quale non ho mai parlato e non ho mai avuto intenzione di parlare. Ho scambiato qualche parola con Carlos, il più piccolo, solo perché è a casa mia ogni giorni e Akiko me ne parla sempre. Mi racconta di com’è bravo a calcio, a scuola, nel disegno, con i bambini, come si comporta educatamente con la mamma, e io sono costretta ad ascoltarla, ed ho capito che è completamente diverso da Josè, e spesso mi sono chiesta se anche il secondo Burromuerto abbia un carattere tutto suo.
Josè mi guarda sbalordito e mi lascia il braccio, poi fa qualche passo all’indietro, come se avesse ricevuto uno schiaffo forte. Ora quello offeso è lui, e non finge di esserlo. « Cosa ti importa di mio fratello? È un bambino, Heather. È più ingenuo di Carlos. »
« Non mi importa nulla di tuo fratello, ma mi importa di te. Così rovini la tua vita e quella di Alejandro e anche quella di Carlos, e nessuno se lo merita. O almeno non tu. Finirai nei guai se continui di questo passo, e io non voglio. » concludo, posando finalmente i miei occhi su di lui. Lui deglutisce e si guarda intorno, come se non sappia dove si trovi.
« Io torno in classe. » dice, guardando a terra e con una mano tra i suoi folti capelli che tanto mi piace accarezzare. « Ci vediamo dopo. » conclude. Io aspetto che mi baci, ma lui si limita a sorridermi e poi mi volta le spalle e si incammina per il corridoio.
Io stringo un pugno ma mi dico che ho fatto la cosa giusta. Era da mesi che questa cosa mi tormentava, e io non posso continuare a vedere la vita del mio ragazzo dipendere da quella del suo fratello. Forse non se ne rende conto, ma tormentare Alejandro è passato in primo piano per lui, superando persino me.
« Di tuo fratello non me ne importa un accidente! » urlo, dicendo una cosa ovvio ma che Josè pare non aver capito. Lui non si gira, continua a camminare con le spalle abbassate e io sospiro, poi decido di entrare in classe.
Come avevo previsto, Alejandro ha finito per rovinare anche la mia vita.
   
 
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