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Autore: Neryssa    07/10/2013    4 recensioni
Sulla strada che dai Monti Azzurri porta al Decumano Ovest scorre un lungo fiume dalle acque limpide e vivaci, poco profonde ma difficili a guadarsi; e seguendone il corso verso Nord, si giunge ai Colli di Vesproscuro, un modesto gruppo di dolci declivi che si stende per appena un miglio e mezzo o poco più. Thorin non li ha mai visitati, né durante le sue lunghe traversate della Terra di Mezzo né durante la permanenza sui Monti Azzurri. E se fosse per lui una giornata di lavoro alla fucina non andrebbe di certo sprecata per una scampagnata sulle colline! Ma da qualche tempo Fíli ha cominciato a cogliere al volo ogni possibile scusa, anche la più futile, per sgattaiolare nei boschi, e Thorin sa che i passi di suo nipote sono inevitabilmente rivolti verso quei Colli misteriosi.
Gli ultimi anni sui Monti Azzurri prima della partenza di Thorin, Fíli e Kíli con il resto della Compagnia, in un vortice di incontri, fughe e sentimenti contrastanti vissuto all'ombra dei Colli di Vespruscuro, nel cuore dei quali sorge una bella casetta di pietre e legno, abitata da...
Genere: Sentimentale, Slice of life, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Fili, Kili, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: Triangolo
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2 (prima parte)-La casa, le lepri, la marmellata di ribes e la fucina

2 (prima parte)-La casa, le lepri, la marmellata di ribes e la fucina

 

“Ancora questo e poi puoi levare le tende, Nano della malora!” banfò Brid, gettando con malagrazia sul tappeto di foglie il grosso ramo di faggio che si era trascinata dietro per un lungo tratto di bosco; Fíli si ravviò i capelli biondi dietro le spalle, rivolgendole un’occhiata che voleva sembrare ferita ma che invece parve soltanto scettica, e si terse il sudore dalla fronte con il dorso di una mano.
“E ora che avrei fatto, per meritarmi un appellativo simile?” domandò, divertito. Brid sbuffò.
“Mi perseguiti, ecco cosa!”.
“Ma se ti sto aiutando con i lavori pesanti?!”.
“Bella scusa! Chi te l’ha chiesto, poi?”. Con il piglio infastidito di chi non riesce a levarsi di torno una mosca molesta, Brid gli afferrò i lunghi baffi intrecciati e vi diede uno strattone, ignorando platealmente l’ululato dolorante in cui il povero Nano proruppe.
“La verità è che sei soltanto un ficcanaso che non ha niente di meglio da fare che importunare le povere fanciulle che vagano per i boschi! Ti ritrovo tutti i giorni qui, o dovunque decida di spostarmi per cercare della legna da ardere, e non serve a niente correre da una parte all’altra dei Colli di Vesproscuro, perché tanto poi mi trovi lo stesso! Come un segugio!”.
“La vuoi smettere di procurarmi dolore fisico ogni volta che ti arrabbi?” rantolò Fíli in tono offeso, massaggiandosi con delicatezza l’attaccatura dei baffi. Per tutta risposta, Brid gli rivolse un’occhiata di fuoco.
“Ah! Si lamenta, lui!” sbottò teatralmente, strappandogli di mano i ciocchi già tagliati e gettandoli in una gerla di vimini. “La prima volta che ci siamo visti mi hai lanciato un uovo in faccia, e nonostante mi abbia fatto male non ho certo piagnucolato come una donnicciola!”.
Fíli tacque di colpo, e inaspettatamente si adombrò: Brid intuì che nonostante si fosse scusato più volte e lei avesse provveduto ognuna di esse a zittirlo con un brusco ‘Non importa’, il ricordo dell’incidente continuava a metterlo a disagio. Si sentì in colpa per averlo fatto sentire inadeguato, e, maldestra almeno quanto lo era stato lui stesso nel lanciarle malamente l’uovo, si affrettò a cercare di rimediare.
“Bah, sia come sia, la verità è che sei un ficcanaso rompiscatole con il fiuto di un segugio e la faccia da schiaffi” mugugnò impacciata, evitando accuratamente lo sguardo azzurro del Nano. “Un giorno o l’altro mi toccherà addestrarti a trovare le trifole, così magari tiro su un po’ di quattrini al mercato di Pietraforata…e se il tuo bel nasino dovesse trovarne a sufficienza potrei addirittura spingermi fino a Brea!”.
“Se davvero fossi soltanto un ficcanaso non te ne verrebbe nulla in tasca, non credi?” ridacchiò Fíli, riprendendo ad aiutarla nell’ammucchiare i ciocchi nella gerla. “Me ne starei qui ad assillarti con domande sul tuo passato e sulla tua famiglia, mentre tu passeresti il tuo tempo a tagliare la legna e a progettare la mia morte in modo da farla sembrare un tragico incidente…”. Brid smise improvvisamente di rampognare e si voltò quel tanto che bastava per guardarlo in viso: al suo sguardo sconcertato, Fíli rispose con un sorriso smagliante, candido e innocente come quello di un bambino.
“Invece ti sto aiutando con il lavoro sporco, anche se tu continui a prendermi in giro e a tirarmi i baffi. Non merito forse un premio?”.
“Mmmh”. Mentre terminava di sistemare la legna nella gerla, Brid parve pensarci su per un momento: non era sicura che quel Nano fosse davvero così candido e gentile come si mostrava, ma, in fin dei conti, se le cose si fossero messe male avrebbe sempre potuto recuperare una roncola e mozzargli una mano senza troppi complimenti. Che aveva da temere?
“Hai ragione, sei stato fin troppo gentile” concesse quindi, in tono conciliante. “Perciò prendi una gerla e andiamo: se quella sciagurata di Lila non è rimasta uccisa dal gatto sono abbastanza sicura che sia sulla buona strada per mettere in tavola il pranzo”. Fíli trasecolò.
“Cosa? Mi…mi stai…voglio dire, vuoi che io mangi con voi?” tartagliò attonito, in un’espressione di tale stupore che Brid temette di doverlo aiutare a recuperare la propria mandibola, una volta che si fosse accorto di averla lasciata cadere. Così scelse di fare finta di niente, e, inarcato un sopracciglio e puntatesi le mani ai fianchi, lo guardò in tralice.
“Beh? Tra i Nani un invito a pranzo equivale forse ad una minaccia di morte o ad un insulto?” domandò con un filo d’ironia e un sorrisetto che costrinsero Fíli a recuperare un minimo di contegno.
“Diavolo, no! È solo che non me l’aspettavo!” sbuffò facendo spallucce, e in un batter d’occhio si era caricato in spalla la gerla colma di legna. “Avanti, donna-orso, fammi strada! Magari tua sorella sarà più ben disposta nei confronti di colui che ha tagliato legna al posto suo per tutta la mattina…”.
Il soprannome ‘donna-orso’ non piacque particolarmente a quella strana fanciulla che aveva incontrato appena qualche giorno prima, ma inspiegabilmente il sentirla protestare vivacemente minacciandolo di ritorsioni irripetibili lo fece sorridere: Brid non la smetteva mai di mugugnare e aveva un carattere tremendo, ma sotto sotto era contenta di averlo intorno. E questo Fíli lo sapeva. 

 

 

La porta si spalancò di colpo, girò sui cardini e andò a sbattere rumorosamente contro la parete: Kíli entrò con fare baldanzoso nella modesta casetta che l’aveva visto nascere, del tutto dimentico degli stivali infangati che lasciarono una lunga scia di orme sudicie sul pavimento di legno; i suoi passi pesanti riecheggiarono indisturbati tra le mura senza che alcun rumore giungesse in risposta, così decise di concedersi una capatina in cucina, alla ricerca di qualcosa da mettere sotto ai denti di nascosto: sgattaiolò nemmeno troppo furtivamente lungo la stanza, gettò una rapida occhiata tutt’intorno e puntò dritto alla credenza accanto al camino, quella in cui sua madre era solita riporre le sparute leccornie che raramente si lasciava convincere a comprare. Spalancò le piccole ante di legno intagliato e adocchiò con un sorriso furbesco il barattolo di ceramica bianca e blu, del tutto simile ad un bambino che si appropria di una sedia per mangiare la marmellata all’insaputa degli adulti. In realtà Kíli non aveva bisogno di nessunissima sedia per arraffare i biscotti, e aveva anche superato da un po’ l’età in cui un gesto tanto sciocco gli sarebbe stato perdonato con una smorfia e qualche sbuffo contrariato, ma questa consapevolezza non lo fermò: sporgendo un braccio afferrò il coperchio e lo ripose sul fondo della credenza, cacciando immediatamente una mano nella bocca scura del barattolo, alla spasmodica ricerca di un biscotto…
“KÍLI!” tuonò improvvisamente una voce possente dal timbro familiare, e il povero Kíli si ritrovò, proprio malgrado, a sobbalzare come un ladro colto in flagrante. Da qualche parte dentro alla propria testa, sentì una vocetta fastidiosa ricordagli che, in effetti, in quel momento non doveva apparire troppo lontano dalla comune immagine del ladro colto sul fatto, ma la ricacciò prepotentemente da dov’era venuta e quella si mise a tacere.
Suo zio Thorin, le maniche della camicia arrotolate sbrigativamente sui gomiti e i lunghi capelli striati d’argento raccolti in una coda, lo fissava dalla porta con evidente disappunto, con gli occhi chiari che trasmettevano la stessa impetuosità del mare in tempesta; Kíli si sentì inspiegabilmente piccolo e stupido, al suo cospetto, tremendamente in colpa per una sciocchezza di poco conto come essere appena stato sorpreso a rubare qualche biscotto.
“Tho…Thorin!” si costrinse a tartagliare, ritirando di scatto la mano dalla credenza. “Come…come mai non sei alla fucina?”. Gli occhi blu di Thorin dardeggiarono verso di lui, e la sua figura parve ingigantirsi.
“Ci sono stato fino ad ora. E comunque non vedo perché dovrei rendere conto a te di cosa ci faccio qui, ragazzo”. Kíli si diede mentalmente dell’idiota, e ripromettendosi di non fornirgli altri pretesti per rimproverarlo fece per cambiare discorso.
“Sai dov’è la mamma? La…la stavo cercando, dovrei dirle una co…”.
“Fíli non è con te?” lo interruppe Thorin, accigliandosi: parve accorgersi dell’assenza dell’altro nipote soltanto in quel momento, e come se la cosa lo stupisse dimenticò momentaneamente di aver pizzicato Kíli a rovistare nella credenza, furtivo come un furetto e silenzioso come un Olifante. Da parte sua, Kíli lo fissò di rimando, stranito.
“No…”.
“Perché dovrebbe, Thorin? Stamattina è uscito di corsa dicendo che l’avresti battuto sull’incudine per essere arrivato in ritardo alla fucina!”. Con gli occhi blu illuminati di una luce divertita e un cestino pieno di mele e ciuffi di erbe aromatiche appeso al braccio, Dís fece capolino da dietro la spalla del fratello, fissandolo di sotto in su con l’espressione curiosa e al contempo sospettosa di chi si sente lasciato un passo indietro rispetto agli altri.
“Infatti avrei dovuto” rispose il Nano, in tono burbero. “Se non è qui sarà sicuramente da Dwalin a dare fastidio”.
Senza pensarci due volte, Kíli approfittò dell’arrivo di Dís per cavarsi d’impiccio con lo zio. 
“Madre!” trillò, facendosi incontro alla Nana come un cucciolo festoso, “Stavo giusto per venire a cercarti! Non sono riuscito a cacciare niente, questa mattina, e mi chiedevo se…”.
Niente?” fece Dís, fingendosi scandalizzata. “Ti sembra il caso di trotterellare in giro tutto contento, anche se te ne sei tornato a casa a mani vuote? E pensare che Fíli è stato così bravo, l’altro giorno, a prendere quattro lepri!”.
“Certo, le avrà rubate a qualcuno…” mugugnò scontrosamente il giovane Nano, ignorando che il fratello se le fosse viste lanciare addosso da una boscaiola in preda alla furia omicida.
“Come se tuo fratello fosse un inguaribile mascalzone come te!” lo rimbeccò immediatamente la madre, mentre Thorin si concedeva di sbuffare una risatina. “Quindi secondo te cosa dovrei mettere in tavola questa sera? Sentiamo!”.
Forse fu l’occhiatina complice che sua madre lanciò a Thorin, oppure il sorrisetto a stento trattenuto dallo zio, ma alla fine Kíli non ci cascò: dopo un primo momento di sgomento volse verso sua madre uno sguardo offeso, borbottando che non era il caso di prenderlo in giro.
“Questo lo decido io, Kíli figlio di Díli! Che cos’è quell’orrore sul pavimento?” fece la Nana per tutta risposta, additando retorica le scie di fango che riconducevano senza possibilità di scampo agli stivali del figlio. Kíli deglutì.
“Ehm…strisce decorative?” azzardò con un sorrisino teso, e la mano di Dís gli volò sulla nuca.
“Razza di incivile! Levati subito gli stivali e pulisci questo pasticcio, che io ho da fare!”.
“Ho bisogno di lui alla fucina, Dís” intervenne Thorin, guardando il volto del nipote illuminarsi della speranza di scampare alla punizione. “Almeno finché quell’altro tuo figlio sciagurato non si degna di tornare. Lascia tutto così, pulirà quando saremo di ritorno”. Dís rivolse un’occhiata indecifrabile a Thorin e parve sul punto di obiettare, ma poi annuì sbrigativamente.
“D’accordo, ma prima di cena passate al fiume: se già adesso puzzi come un caprone non oso immaginare come sarai ridotto stasera, fratello! E adesso fuori, che ho da rimediare una cena dal niente!”. Ignorando platealmente l’occhiata scandalizzata del fratello (che fino alla fine dei suoi giorni avrebbe ostinatamente negato di aver passato il resto della giornata a controllare se il proprio odore fosse effettivamente tanto repellente), Dís li spinse a viva forza fuori dalla porta di casa, tirandosela dietro senza troppe cerimonie. Thorin rimase fermo per un momento a contemplare l’uscio sbarrato, come a volersi capacitare del fatto che sua sorella l’avesse realmente messo alla porta. Fu la voce di Kíli a riscuoterlo.
“Zio, ma veramente non sappiamo dove sia finito Fíli?”.
“Zitto tu, che non hai portato niente per cena!” sbottò il Nano, assestandogli un’altra sberla sulla nuca. “E adesso cammina, abbiamo del lavoro da fare!”.

 

 

“…mentre quella palla di lardo tigrato laggiù è Ferumbras, il gatto più antipatico e rompiscatole del mondo!”. Lila terminò le presentazioni gesticolando in direzione del grosso felino appollaiato sull’ampio davanzale di una finestra tonda, intento a lappare del latte da una ciotolina; come se avesse compreso le parole della fanciulla, il gattone levò la grossa testa verso di loro e soffiò risentito, con i tondi occhi gialli che sembravano mandare lampi d’odio. Fíli lo guardò sconcertato, chiedendosi per quale ragione qualcuno dovesse tenersi in casa una bestia scorbutica come quella; Lila sembrò intuire i suoi dubbi e si affrettò a rispondere.
“Mamma gli era affezionatissima: lo salvò dalla piena del Lhûn quando aveva soltanto poche settimane e gli diede il nome dello Hobbit di cui era innamorata da ragazzina” spiegò, mentre un lieve sorriso malinconico le distendeva il volto. “È per questo che ce lo teniamo. Nostra madre gli voleva bene come se fosse stato nostro fratello”.
“Hai detto…uno Hobbit?” domandò il giovane Nano, ansioso di evitare l’argomento ‘perché parli di tua madre al passato’. Lila annuì.
“Anche mamma lo era. Eccola là, Camelia Boffin” disse, indicando dei due grossi quadri dalla cornice ovale appesi accanto alla porta d’ingresso: Camelia Boffin, una Hobbit dalle paffute guance rosee e i riccioli castani tra cui si intravvedevano appena le singolari orecchie a punta, sorrideva allegramente accanto al ritratto di un Uomo con i capelli scuri e gli stessi occhi chiari di Lila, dall’espressione seria ma gentile.
“Ecco perché siete tanto basse!” esclamò stupito Fíli, guardandola con tanto d’occhi: Lila ebbe la curiosa impressione di dialogare con un bambino barbuto, ma la ricacciò subito indietro, combattuta tra il mettersi a ridere o rabbrividire sconcertata.
“Sì, io e mia sorella siamo piccoline” concesse, sorridendo deliziata nel sentire il giovane Nano borbottare goffamente qualche scusa per il proprio comportamento sfacciato “E mangiamo di continuo. Insomma, io mangio di continuo, Brid un po’ meno…comunque tutto questo è per dire che siamo mezze Hobbit!”.
“Lila, ma ancora non l’hai fatto sedere?” vociò Brid dalle scale, ricomparendo sulla porta della cucina con indosso una camicia maschile decisamente grande e un paio di pantaloni troppo lunghi avvoltolati alle caviglie, mentre si sistemava un cinturone di pelle in vita; Fíli pensò che con ogni probabilità quegli abiti fossero un tempo appartenuti all’Uomo del ritratto, e che non le rendessero un minimo di giustizia, ma vederla così infagottata in troppa stoffa gli fece quasi tenerezza.
“E che ha le gambe di pasta frolla?” sbottò Lila, punta sul vivo. “Gli stavo soltanto presentando mamma e papà!”.
“Ah, e li hai trovati simpatici?” scherzò la minore, rivolta all’ospite.
“Molto!” rise lui, avvicinandosi alla tavola apparecchiata che attendeva soltanto loro.
“Delizioso! E di Ferumbras non dici niente, Lila?”. Lila la ignorò cordialmente e si mise a spignattare intorno al camino.
“A dire il vero mi ha presentato anche lui…ma non mene ha parlato in modo troppo lusinghiero” confessò Fíli, scostando una sedia dal tavolo e facendole cenno di prendere posto: Brid gli sorrise timidamente, estranea a quel tipo di gentilezze, e si affrettò ad accettare l’invito.
“Grazie” sussurrò impacciata, e lui le sorrise di rimando.
“AAAAAAH!” strillò Lila ricomparendo con un grosso paiolo fumante e il canovaccio che utilizzava per proteggersi le mani dalla maniglia incandescente che sembrava gemere e lamentarsi per il calore: Fíli si accorse di lei all’ultimo, e incurante di Brid che la rimbrottava aspramente definendola ‘esagerata’ e la conseguente risposta piccata di Lila, si scansò come se si fosse trovato sulla strada di una mandria di cavalli imbizzarriti. Poco ci mancò che inciampasse nella gamba di una sedia e ruzzolasse sul pavimento, ma com’era accaduto la prima volta che aveva rischiato di inciampare in Ferumbras, all’ultimo riuscì a salvarsi aggrappandosi al bordo del tavolo, ritrovandosi miracolosamente ben saldo sulle gambe senza nemmeno essersi tirato addosso tovaglia, piatti, posate e quant’altro.
“Per Mahal, che riflessi che ci vogliono, con voi!” annaspò, lasciandosi cadere pesantemente sulla sedia che gli era quasi costata la dignità; soltanto quando fu seduto e tranquillo si accorse che le due sorelle stavano di nuovo battibeccando.
“Ma che fai, mi ammazzi il Nano? E poi la legna chi la taglia?”.
“Giovane di belle speranze, guarda che il tuo Nano si stava ammazzando bell’e che da solo! Io sono solo passata con la pentola…”.
“Come no! E guarda caso tu e la tua leggiadria proprio dalla sua parte dovevate passare?! Per l’amor di Eru, Lila, vuoi trattarlo come si deve, per favore? È un ospite!”.
“Sì, sì, e qui dentro c’è la gallina che l’altro giorno non si muoveva!” ululò Lila battendo il mestolo contro il paiolo colmo di stufato. “Ringrazia ‘me e la mia leggiadria’ se ora è commestibile, non il Nano taglialegna!”.
“Tu e la tua leggiadria siete come la marmellata di ribes: vi si apprezza soltanto se vi si conosce bene!”.
Inspiegabilmente, Fíli si ritrovò a sorridere e poi a ridere prima ancora di accorgersene e la sua risata si fece così tonante che riuscì a sovrastare il battibecco concitato delle due, costringendole ad interrompersi almeno per chiedergli se si sentisse bene e se, rosso in viso com’era, non volesse bere qualcosa.

 

 

Quella sera imbrunì presto, sui Monti Azzurri: appena dopo il tramonto uno spesso strato di bruma risalì dalla terra per fermarsi ad aleggiare a mezz’aria, e lo spettacolo delle lanterne e della luce delle candele che filtrava dalle finestre delle case illuminando un poco del paesaggio silvestre dei monti, infiammato dai colori autunnali, mentre gli esuli figli di Durin ancora lavoravano, contribuì a rendere l’atmosfera quasi surreale, facendo apparire la piccola valle come il paesaggio di un altro mondo.
“Posso sapere dove te ne vai di nascosto, quando dici a tua madre di essere con me alla fucina mentre a me dici di essere nei prati con Kíli?” fu il benvenuto di suo zio, quando si affacciò sulla fucina dalla porta: senza nemmeno voltarsi, Thorin aveva percepito la sua presenza alle spalle. Non era la prima volta che succedeva, e Fíli si sentì persino un po’ umiliato dall’abilità che suo zio dimostrava nel prevedere ogni sua mossa, ma decise di non darlo a vedere. E di non confessare.
“Da…nessuna parte” tentò di mantenere un tono convincente, e probabilmente ci riuscì. Thorin Scudodiquercia, però, era sempre stato come un padre per lui, e vedeva ben più lontano di quanto Fíli fosse disposto ad ammettere.
“Vorresti prenderti gioco di me, ragazzo?” domandò infatti, interrompendo per un attimo di temprare la lama a cui si era alacremente dedicato per gran parte del pomeriggio per lanciargli un’occhiata che sembrò un po’ offesa e un po’ divertita. “Una cosa come questa me la sarei aspettata da quella peste di tuo fratello, non da te: non sei bravo a mentire. E fino a qualche minuto fa non sei mai stato nemmeno incline a farlo”.
“Avanti, zio!” sbuffò infastidito il giovane Nano, rifuggendo il suo sguardo “So badare a me stesso! Non c’è bisogno che tu e la mamma mi controlliate ogni momento!”.
Thorin sospirò, stanco e nemmeno troppo ansioso di imbarcarsi in una discussione da padre apprensivo con il più responsabile dei propri nipoti; posò la lama e le tenaglie sul bordo del barile colmo d’acqua fumante e tese le spalle, beandosi per qualche breve istante dell’appagante sensazione di avere ancora tutti i muscoli della schiena perfettamente funzionanti.
“Senti, Fíli…” cominciò poi, passandosi una mano sul volto stanco, “Per quanto mi riguarda puoi andartene in giro quanto ti pare, oramai sei adulto e non sarò certo io a dirti cosa devi fare quando sei libero dai tuoi impegni”. Fíli si chiese perché Thorin avesse posto l’accento su quell’ultima condizione, ma poi il presentimento che Kíli non si fosse presentato alla fucina per tutto il giorno lo colse come un fulmine a ciel sereno, e immediatamente si sentì in colpa.
“Thorin, io…ti chiedo scusa, se Kíli…”.
“Fammi finire” lo interruppe Thorin bruscamente, ma senza un accenno di risentimento né di rimprovero. “Tua madre ha quasi scoperto che stamattina le hai mentito per non farle sapere dove stavi andando. E tu lo sai cosa succede quando tua madre perde di vista te o Kíli” aggiunse il Nano in tono lugubre, e suo malgrado Fíli rabbrividì. Dís sarebbe stata capace di rivoltare la Terra di Mezzo come un calzino, per ritrovare lui o suo fratello, e nemmeno Thorin in quel caso si sarebbe salvato dalla furia tempestosa della sorella, che l’avrebbe senza dubbio sospettato come loro complice. Non ci voleva un genio per capire che quel giorno aveva sfiorato la catastrofe, e dato che non era uno stupido, Fíli lo capì al volo.
“Zio, mi dispiace tanto!” fece, con gli occhi spalancati per il terrore e il cuore che traboccava sincerità, e Thorin annuì.
“Lo apprezzo, Fíli figlio di Díli, nipote ingrato. Quindi credimi se ti dico che non è per controllarti, ma la prossima volta almeno cerca di avvisare quando vuoi che qualcuno ti copra in modo soddisfacente!”.
Fíli rimase interdetto, come intontito da quanto si era appena sentito dire: Thorin lo stava davvero aiutando a sfuggire alla dispotica Dís?
Cercò in fretta lo sguardo dello zio, e quando lo vide sorridere guardandolo di sottecchi non seppe resistere alla tentazione di scoppiare in una risata fragorosa, mentre gli si avvicinava e si offriva di finire il lavoro al posto suo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*NOTE*
Salve, popolo di EFP! :D Eccomi di ritorno con il primo aggiornamento, un capitolo denso di novità! Incontriamo Thorin, Dìs, Kìli e scopriamo qualcosa sui genitori di Lila e Brid, finalmente spiegandoci che razza di creature siano :) ah, e naturalmente scopriamo anche com'è andata afinire la storia delle lepri e qualcosa su Ferumbras XD GATTACCIO FETENTE! Non vi anticipo nulla, ma vi assicuro che la metà dei risvolti tragicomici di questa Fiction saranno dovuti a lui. Oh yes. In ogni caso, vi è piaciuto Thorin nei panni dello zio burbero ma accondiscendente? E Fìli in quelli del boscaiolo impacciato? Fosse per me li adotterei di corsa entrambi, altrochè! E vi dirò di più aggiungerei alla lista pure Kìli e me li porterei tutti e tre in Giamaica, giusto per gradire! Vabbè, torniamo seri.
Vi lascio immaginare la mia gioia nel riscontrare, giorno dopo giorno, che il mio esordio non è stato lasciato passare e salutato con la manina, come se nulla fosse successo :) ringrazio infinitamente le anime pie che mi hanno scritto (che la MAJESTITUDINE sia con voi, mie care!) e chiunque abbia inserito il primo capitolo tra le preferite e le seguite! Naturalmente un 'GRAZIE' è d'obbligo anche per coloro che si sono limitati a leggere silenziosamente...spero di non deludere nessuno di voi, con i prossimi aggiornamenti! :D
Grazie ancora di tutto, e alla prossima!





  
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