6
Il
Maestro
Fattore
K
Le
porte si chiusero. Ora era di nuovo da solo. Sapeva che quando le porte
si
fossero riaperte avrebbe avuto le risposte che cercava. Ormai solo
quello
contava. Certo, i ragazzi sembravano simpatici… ma erano
comunque degli
estranei.
Scott
aveva bisogno di capire perché quel luogo gli sembrava
così familiare. E che
significavano tutte quelle frasi lasciate così in sospeso?
Che gli stava
succedendo?
Ci
siamo, ragazzi.
Pensò, rivolto
alle voci.
Non
dovremmo essere qui, lo sai vero,
jushi? Era
la voce di pund.
Perché?
Sto cercando delle risposte, e
finalmente qualcuno mi potrà rispondere.
Stai
facendo il loro gioco. Ti hanno
spinto fino a qui e tu non hai nemmeno opposto resistenza!
No,
ho scelto io di venire qui!
O
ti sei lasciato convincere dalla bella
Helen?
Sta
zitto, adesso.
Che
pund avesse ragione? No, non doveva pensarci. In fondo era troppo
tardi. Non
contava più se avesse preso quella decisione da solo o no.
Ormai era lì. Se era
una trappola, avrebbe cercato una soluzione.
Per
un istante, un solo istante, pensò che in fondo non aveva
niente da perdere.
Niente esisteva, fuori di lì.
Le
porte dell’ascensore si aprirono. Scott quasi
desiderò che gar dicesse
qualcosa, ma era solo in quel momento. Fece un passò e si
trovò in una stanza
adatta ad un presidente. Dal pavimento di moquette, ai divani in pelle,
la
scrivania mastodontica, le pareti costellate di quadri, alla libreria
immacolata. Eppure sembrava troppo irreale per essere vero. Era solo
una
copertura. Come tutto quello che aveva visto fino a quel momento, anche
questa
stanza era sterile, precisa e funzionale.
Accanto
alla grande finestra, c’era un uomo, di spalle. Fuori il
panorama era
completamente anonimo: si vedevano altre costruzioni come quella in cui
si
trovava, una strada deserta, dei prati di un verde perfetto. Ma Scott
non aveva
tempo per quello. Ci concentrò sull’uomo. Il suo
completo sembrava impeccabile,
i capelli grigi ben ordinati.
“
Lieto di rivederti, jushi.”
Scott
si immobilizzò. Non sapeva cosa significasse, ma solo pund,
tora e gar lo
chiamavano in quel modo.
“
Chi
sei?”
“
Mi
chiamano Maestro, o Capo. A volte Boss. Non tengo molto alle
etichette.”
Quel
tipo non gli piaceva. Già dalla voce, dal movimento della
sua testa. Scott
aveva tutti i sensi allerta. Nella sua testa stava succedendo qualcosa.
Le voci
si stavano agitando. Le chiamò per nome, ma non risposero.
“
In
un certo senso” continuò il vecchio.
“Potremmo dire che se voi sei siete
fratelli… io sono vostro padre.”
Scott
cadde in ginocchio, la testa tra le mani. Gli sembrava stesse
esplodendo. In un
istante sparì tutto, la stanza, il vecchio, il mondo intero.
Il dolore era
ovunque.
Vai
via, andiamocene di qua! Strillò
pund.
No!
Voglio delle risposte!
Idiota,
qui non le troverai! Stai solo…
La
voce di pund si perse nel frastuono.
L’uomo,
il maestro, non si mosse affatto. Attese che si rimettesse in piedi poi
continuò: “ Contavamo di riaverti nella squadra,
Scott. Ci hai fatto penare non
poco.”
“
Io…
non sono in nessuna squadra! Voglio sapere che sta succedendo qui.
Vengo
aggredito su un pullman, vengo prelevato da
un’agente… finisco qui dentro e
tutti dicono di conoscermi!” urlò quasi Scott.
“
Era
tutto organizzato. Ian ti stava sorvegliando. La rapina era una messa
in scena.
Ti volevamo qui, Scott. Ancora non capisci quanto tu sia importante, ma
suppongo che sei venuto fin qui per scoprirlo, non è
vero?”
Scott
non rispose. Non gli era difficile credere che quella rapina fosse
fittizia.
“
Non
ricordi niente, vero?” chiese ancora il vecchio.
“
Cosa dovrei ricordare?” Un’altra fitta alla testa,
proprio in mezzo agli occhi.
Questa volta fu quasi più forte di prima.
“
Avresti
parecchio da ricordare.” Il maestro si voltò
lentamente. Lo fissò negli occhi.
Era quello lo sguardo! “ Per esempio che in questa stanza,
quasi cinque anni
fa, tu sei morto.”
Scott
sentì mancargli il respiro. Lasciò cadere ogni
barriera, aprì la bocca senza
voler dire niente. E in quel momento tutto cambiò.
Un
urlo disumano gli esplose nella testa. Sentì qualcosa che
gli squarciava il
petto. Urlò, senza nemmeno accorgersene. Non capì
niente di quello che stava
succedendo. Sentiva pund che urlava… e anche tora.
Sentì il mondo rovesciarsi e
perse l’orientamento.
Si
alzò in piedi senza aver intenzione di farlo. Fece un passo.
Poi capì.
Fatti
da parte, jushi!
Era
gar! Aveva preso il controllo del suo corpo! E Scott si fece da parte,
troppo
confuso per sapere cosa fare.
Si
avvicinò alla scrivania. Sentiva la rabbia di gar bruciargli
la pelle. Afferrò
la scrivania e la scagliò contro la parete, come se fosse di
carta. “ Ci
rivediamo, bastardo!”
“
Vedo che ci sei anche tu, gar”
Gar
si lanciò in avanti per afferrarlo, quando tora
gridò:
no
è un’illusione! È sulla destra, contro
il muro
pund!
Prendilo!
Tuonò gar.
Pund
apparve all’improvviso e la mente di Scott si
paralizzò. Era un fantasma! Non
poteva distinguere le sue fattezze, era evanescente. Sembrava indossare
degli
stracci che pensavano da ogni parte, ma era impossibile capire altro.
In una
mano stringeva una katana.
Un
attimo dopo vide il maestro contro il muro, nel punto che aveva
indicato tora.
Era come apparso dal nulla. Era spaventato.
Colpiscilo!
La
spada di pund gli trafisse un braccio. Il maestro urlò. Gar
rise. In un attimo
gli fu addosso.
“
È
la tua ora bastardo! Ho aspettato questo momento da molto
più di una vita!” lo
afferrò per la gola e lo sollevò contro la
parete.
Il
maestro cercò di divincolarsi, ma la stretta era troppo
forte. Riuscì a
sussurrare qualcosa. “Scott… Scott…
ascoltami…”
“
Taci!” tuonò gar.
“
Se
mi… uccide… non saprai mai… la
verità”
Che
devo fare?
Urlò Scott, ma
solo nella sua mente.
“
Ritorna… in te… scaccialo! Non farlo…
decidere… per te…”
Scott
si concentrò con tutte le due forze. Gli era venuta
un’idea. Era folle, certo,
ma ormai la follia sembrava la norma lì dentro.
Dimenticò tutto il resto. I
rumori, le voci, gli odori. Tutto. E all’improvviso si
trovò di nuovo nel suo
caffé. Era sempre la stessa ora, un tardo pomeriggio
primaverile. Con un enorme
sforzo, costrinse le voci a presentarsi lì. Erano di nuovo
sedute dietro di
lui.
No!
È un assassino, un mostro! Ti userò
per i suoi scopi e poi ti ucciderà! Lo ha già
fatto anche con te! Urlò
pund
Lasciaci
andare, jushi.
No!
Voi non siete niente! Voglio delle
risposte e le avrò a modo mio!
Ti
ha già ucciso una volta! Come puoi
fidarti ancora!?
Era tora. Aveva ragione. Ma non gli serviva saperlo.
Improvvisamente
la stanza cambiò. Divenne una prigione. Tre brande, le
sbarre di ferro.
Aspetterete
qui.
Disse
semplicemente. Era ora di tornare.
Ritornò
in sé dopo qualche minuto. Era a terra, doveva essere
svenuto. Del maestro non
c’era traccia. Si alzò e si guardò
intorno. Provò l’impulso di mettere a posto
la scrivania, ma non lo fece. Nella sua testa le voci tacevano e
stavolta era
un bene. Non avrebbe mai immaginato che fossero capaci di tanto!
Sentì
il rumore di una porta che si apriva e si voltò subito. Era
un uomo sulla
trentina, in un completo grigio molto professionale. Più che
un agente sembrava
un agente immobiliare.
“
Io
sono l’agente Resk. Tu devi essere Scott. Ho dato
un’occhiata alla tua cartella
prima di venire. È la procedura.”
Spiegò l’agente. Poi lanciò
un’occhiata alla
scrivania che era finita contro la parete.
“
Mi
sa che sederci alla scrivania sia fuori discussione. Che ne dici del
divano?”
disse, sfoggiando un mezzo sorriso. No, non sembrava affatto un agente.
Si
sedettero sul divano. Quello era ancora più strano. Sembrava
una discussione
così formale.
“
Dov’è il Maestro?”
“
Non
saprei. Sono qui da sette anni e non l’ho mai
visto.” Disse l’agente Resk.
“
Ma
era qui qualche minuto fa! Ci ho parlato! Ho… sì
comunque era qui.”
L’agente
sorrise. “ Era una proiezione. Solo l’ennesima
prova, suppongo. Il maestro ci
ha lasciati molti anni fa. Ora non sappiamo dove si trovi. Ma non ti
preoccupare, ha i suoi modi per mettersi in contatto con noi.”
Scott
aprì la bocca per dire qualcosa, ma la richiuse. Aveva
davvero pensato che il
Maestro si fosse fatto aggredire così facilmente?
“
Ad
ogni modo, siamo qui per parlare di te. Avrai molte cose da chiedermi,
suppongo.”
“Sono
già stato qui?” chiese Scott.
“
Sei
arrivato qui cinque anni fa. Sei arrivato insieme a Helen, Iago, Ian e
Karen. Sei
stato il caso più eclatante degli ultimi anni.”
“
Un
caso?” gli sembrava irreale parlare con uno sconosciuto che
sapeva così tante
cose su di lui.
“
Secondo i medici eri malato, ma non hanno mai capito che malattia
fosse. Ma essendo
orfano, non hai certo avuto il parere di molti specialisti. Il punto
era che
non eri affatto malato. Il tuo corpo stava reagendo al fattore
K.”
L’espressione
di Scott bastò per rendere chiaro che non aveva mai del
fattore K.
“
Avrai visto in tv o almeno avrai sentito parlare di persone che
riescono a fare
calcoli a mente di decine di cifre… oppure di gente che
riesce a ricordare
tutto dopo una semplice occhiata. Il fattore K è un gene che
permette di
sviluppare una determinata abilità in modo a volte
sorprendente.
“Ma
finora non sappiamo da cosa derivi questo gene. Non è
ereditario. Sembra
svegliarsi spontaneamente in determinati individui.
“
A
volte gli effetti sono praticamente inconsistenti. Maggiore resistenza,
vista
migliore… niente di eclatante. Questi sono i casi di livello
0. Gradualmente si
assistono a fenomeni più o meno interessanti. Fino ad
arrivare agli agenti. In
loro il fattore K ha raggiunto un livello a cui è difficile
nascondere gli
effetti. Un ragazzo che con un pugno può schiantare
un’auto in moto oppure una
ragazzina che rimane sott’acqua per più di cinque
ore non sono cose che passano
inosservate.
“
Se
sono fortunate, queste persone incontrano noi e scelgono di seguirci.
Se non lo
sono, be’… diventano un problema.”
Era
abbastanza chiaro. Pazzesco, ma chiaro.
“
Anche io sono un agente, in questo senso?” chiese.
“
Non
proprio. Tu e gli altri cinque ragazzi che conosci siete…
fuori scala, per così
dire.”
“
Che
significa?”
“
Che
le vostre capacità vanno ben oltre lo sviluppo delle
potenzialità del corpo e
del cervello umano. Voi siete in grado di manipolare la materia e
chissà
cos’altro.”
“
Siamo solo noi sei a poterlo fare?”
“
Il
Maestro sapeva farlo. Sa farlo tutt’ora. Ma non sappiamo
quanti ce ne sono come
voi. Voi sei vi avevamo sotto controllo da molto tempo, dalla comparsa
dei
primi sintomi.”
“
Ma
stavamo parlando di te. Ti portarono qui che eri quasi morto. Negli
altri
ragazzi lo sviluppo del fattore K non aveva portato conseguenze
fisiche. Nel
tuo caso, per qualche motivo, le funzioni vitali stavano rapidamente
svanendo.
I nostri medici provarono delle tecniche mai sperimentate prima, ma fu
tutto
inutile.
“
Nel
laboratorio dove stavano cercando di curarti accadde qualcosa di
inconcepibile.
In qualche modo, hai ucciso diciotto uomini, prima di cadere a terra
morto.”
“
Com’è possibile che io sia morto? Ci deve essere
un’altra spiegazione.”
“
Sì,
ci sono diverse ipotesi. Ma quel giorno, eri morto davvero. Il tuo
cadavere fu
deposto con tutti gli altri. Fu il Maestro a ordinare di riportarti in
laboratorio. Tenemmo in attività il tuo corpo… il
tuo cadavere potremmo dire.
L’encefalogramma rimase piatto per quattro anni. Poi ti
svegliasti e chiedesti
da mangiare.” L’agente rise, e Scott avrebbe riso
con lui, se non fosse stato
troppo scosso da quello che stava sentendo.
“
Con
questo il mio ruolo è concluso.” Disse
l’agente, alzandosi in piedi.
“
Un
attimo! Ho ancora un sacco di domande!”
“
Prova a farne una.”
“
Perché dovrei restare qui?”
“
Perché lì fuori c’è qualcuno
che ti cerca. Che cerca quelli come te. Quelli
come noi. Ed è meglio
non farsi
trovare impreparati da quella gente. Domani comincerai
l’allenamento.
Divertiti, Scott. Qui non è così male come
sembra.”