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Autore: unicorn_inthemind    07/10/2013    3 recensioni
[Mermaid!AU]
In un'epoca indefinita, mentre le navi solcano ancora i mari scontrandosi con letali mostri marini, Rei Ryugazaki è un giovane con i piedi troppo per terra per credere all'esistenza di tali creature.
Un libro di mitologia marina, capitatogli in mano per caso, lo porterà a conoscere degli esseri per cui si spingerà in un viaggio quasi suicida per mare.
Sirene, le aveva chiamate quel pescatore - belle e fatali - ma Rei non gli aveva creduto. Era disposto persino a raggiungere la Grotta Verde e ritornare pur di dimostrare l'inesistenza di quelle creature.
Ma se quei mostri, quelle leggende, si rivelassero veri?
[...]
«Non sono una sirena, sono un tritone. Tri-to-ne.» protestò Nagisa agitando leggermente infastidito la coda color porpora.
Rei sbatté più volte le palpebre, non poteva essere vero. «Non è possibile.»
«Ma ti ho salvato dal Kraken, Rei-chan.»
«Non è possibile.»
«Ho curato le tue ferite con la mag-...»
Rei scosse la testa, risdraiandosi e chiudendo gli occhi con forza.
«La magia non esiste, e nemmeno tu. Sto delirando perché ho bevuto troppa acqua del mare. Quando mi sveglierò non ci sarai.» e si rifiutò di riaprire gli occhi.
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nagisa Hazuki, Rei Ryugazaki, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Blu scuro, blu chiaro.


Nagisa lo aveva lasciato stare, a Rei, quando lui aveva chiuso gli occhi dicendo che quello che vedeva era tutta un’illusione. Una follia.
Ma Rei non era folle: Nagisa era lì, con la sua coda, le alghe curative tra le ciocche bionde e una smorfia sfatta. C’era rimasto male.
Forse era stato il troppo entusiasmo con cui aveva rivelato la sua natura a far retrocedere l’altro.
O forse aveva sbagliato fin dall’inizio, usando con sin troppa leggerezza la sua Abilità. Affondò una mano tra i capelli bagnati e strappò via un pezzo delle sue alghe. Erano la sua Abilità, erano nate e cresciute con lui, le aveva usate per curare le sue ferite e quelle dei suoi amici. Erano parte integrante di lui stesso, naturali come potevano esserlo un braccio o un occhio.
Aveva solo innocentemente usato le sue risorse con la normalità con cui le usava di solito. Non ci aveva pensato al fatto che Rei fosse solo un umano.

Ogni sirena o tritone al mondo aveva un’Abilità dei più svariati tipi. Ed esse si manifestavano in varie forme: alghe – come Nagisa -, perle, lische, conchiglie... intrecciate o posate tra i capelli del loro possessore.
L’Abilità di Nagisa era quella della Cura.
Ma esistevano anche Abilità di Attacco, Difesa, Richiamo e Potenziamento che, aggiunta anche l’Abilità di Cura, formavano le cinque punte della Stella Reale. Solo l’Imperatore possedeva la Stella, nel cui centro risiedeva il potere di dominare gli Oceani; nessuna Abilità poteva competere con quella dell’Imperatore, forse solo le Abilità di tutti i Principi, combinate assieme, potevano donargli filo da torcere. Perché i Principi – figli dell’Imperatore e dell’acqua stessa – possedevano il dono di poter dominare i flutti dei territori su cui governavano.

Ma non era all’Imperatore o al suo Principe, ai quali stava disobbedendo aiutando un umano, che Nagisa pensava in quel momento: il giovane si concentrava unicamente sul volto disteso di Rei e sulle ciocche umide e scure attaccate alla sua fronte.
Sospirò. Rei non dava segni di voler riaprire gli occhi, al contrario sembrava essersi addormentato. Il suo respiro era divenuto lungo e regolare, sottile.
«Scusa, Rei-chan.» sussurrò Nagisa, poi ritornò nel suo elemento naturale.
Nuotò piano, distratto, il viso contratto in un pensiero preoccupante.
E se Rei non avesse voluto più vederlo? Come avrebbe fatto da solo, su un’isola deserta, a un passo dall’immensità dell’acqua?
Dopotutto era solo un umano, non un Figlio dell’Oceano.
Nagisa scosse la testa tentando di simulare un sorriso. Lui non doveva abbattersi, doveva sorridere e guardare il lato positivo delle cose. Essere felice e far felici gli altri, distendere le loro preoccupazioni: era una sorta di missione.
Avrebbe fatto in modo che Rei credesse in lui, che si fidasse di lui.
 
 
La coda nera scivolava nell’acqua, seguita a ruota dal movimento dei fianchi, delle spalle larghe e un lieve ondeggiare della testa da sopra a sotto, come uno strascico del movimento del resto del corpo. Coda nera, grossa e robusta al pari di quella di un’orca, il ventre bianco.
«Non ho visto Nagisa oggi.» sussurrò Makoto, pur di spezzare il silenzio ovattato tra lui e il ragazzo al suo fianco. Nessuna risposta.
Guardò con dolcezza il ragazzo alla sua sinistra, i capelli neri ondeggiavano placidi nella corrente. Aveva lo sguardo perso avanti a sé; uno sconosciuto, a prima vista, lo avrebbe preso per strano, con quella sua aria d’indifferenza totale. Come se le piccole bolle tra le sue ciocche scure fossero solo le figlie neonate d’una bolla ben più grande, invisibile, che avvolgeva il giovane chiudendolo in un mondo tutto suo. Ma Haruka ascoltava, lo faceva anche quando sembrava preso da tutt’altro. E parlava – poco – ma centrava sempre il punto, non sprecava fiato per errare.
«Dici che lo incontriamo, Haru?»
Haruka si limitò ad alzare il suo sguardo sull’altro, i suoi occhi blu profondi come abissi ricordavano a Makoto l’acqua che li accoglieva come una madre nel suo grembo. Tra le sue braccia. Ai suoi figli, i Figli dell’Oceano.
La coda grigio-azzurra di Haru lo spinse più avanti di poco, «È lì.» sussurrò semplicemente, indicando con lo sguardo una figura rossastra che si muoveva nell’immenso sfondo blu.
«Nagisa-kun.» urlò Makoto per attirare l’attenzione del ragazzo, le mani avanti al viso nel tentativo di amplificare il suono della voce.
E ancora: «Nagisa-kun!».
Nagisa si girò dopo poco, agitando ampiamente un braccio sopra la testa.
Cosa ci faceva tutto solo a zonzo da quelle parti? Nagisa era un tipo curioso, gironzolava in lungo e in largo e si eccitava per ogni cosa. Era nella sua natura infantile.
Ma Makoto era preoccupato, erano troppo vicini alla costa; lui e Haru ci si erano spinti per caso, Haru seguiva l’acqua e Makoto non poteva che stargli dietro per controllare che non si cacciasse nei guai. Ma Nagisa?
 

“Nagisa-kun.”
Nagisa sussultò nel sentirsi chiamato, preso e strappato dai suoi pensieri da una voce nota. Tutte le sue elucubrazioni su Rei furono accantonate nel sollevare lo sguardo.
“Nagisa-kun!”
Nagisa si girò, gli occhi ridotti a due fessure per mettere meglio a fuoco le figure lontane che gli venivano incontro.
«Mako-chan...» sussurrò, prima di abbandonare del tutto i pensieri su Rei e sbracciarsi per verso lui e il ragazzo al suo fianco che aveva riconosciuto come Haruka.
«Mako-chan! Haru-chan!» esultò una volta reincontrati i suoi amici.
«Cosa ci fai vicino alla costa?»
Nagisa rimase un attimo titubante, non voleva condividere con loro il segreto del giovane che aveva portato in salvo sull’isola lì vicina. Rei che apriva gli occhi, li sbatteva confuso, il rossore del suo imbarazzo, il suo stupore, la sua confusione: voleva tenerli egoisticamente solo per sè.
E poi Makoto e Haru si sarebbero preoccupati, lo avrebbero costretto a scacciare l’umano perché era pericoloso.
Ma Rei non credeva alla sua – alla loro - esistenza, come poteva essere un pericolo?
Si limitò a mettere su un sorriso e dire: «Giravo!» enfatizzando la cosa con un giro su se stesso a braccia spalancate. Makoto rise leggermente, Haru si limitò ad abbozzare un sorriso per poi distogliere lo sguardo e guardarsi attorno.
«È strana.» disse solo.
«Cosa?» Makoto lo conosceva, una piccola frase apparentemente senza senso poteva, in realtà, nascondere qualcosa di ben più grande e complesso. E non un qualcosa a caso.
«L’acqua. Si muove in modo strano; come se fosse accaduto qualcosa...»

Negli occhi di Nagisa le immagini del Kraken e della nave che affondava, degli umani divorati dal mostro e Rei che, salvo per poco, si arrendeva all’Oceano si affollarono così potenti che il ragazzo ebbe paura che potessero sgorgargli fuori dalle pupille. E anche Mako-chan e Haru-chan avrebbero saputo.
«Haru-chan, sono sicuro che non è successo niente!»
«Ma, Nagi-ku-...»
«Nulla nulla nulla!» ritornò all’attacco Nagisa, muovendo le braccia e la coda freneticamente; ma Mako e Haru non l’ascoltavano più, si erano guardati, si erano capiti e poi Haruka era scivolato via, Makoto dietro di lui lo seguiva in silenzio.

Solo, sotto il blu schiacciate dell’Oceano, il piccolo tritone non sentiva il peso di tutta quell’acqua, così come un piccolo uomo non sente sulle sue spalle il peso del Cielo, anche se di un azzurro soffocante.
Nagisa tornò a girare a vuoto, senza sapere cosa fare o dove andare; seguì la barriera corallina e poi strusciò il ventre contro il fondo piatto e spoglio dell’Oceano: come un amante che risale dai floridi seni della compagna alla lunga linea liscia e pacifica del collo, certo d’incontrarne alla fine le labbra.
E quelle labbra si dischiusero infine docili, isole gemelle, la sabbia bianca della più grande emergeva dall’acqua come un manto puro, e proseguiva sino a fondersi col peccato della terra bruna, lì dove i primi alberi segnavano l’inizio di una piccola foresta.

Nagisa salì sulla terraferma, strisciando sullo stomaco con i gomiti per allontanarsi dall’acqua. Una volta all’aria, infatti, la coda mutò in pochi secondi in un paio di gambe toniche e snelle, lasciando quello che un attimo prima era un tritone come un semplice umano nudo come un verme, la guancia premuta contro la sabbia fine.
Nagisa non poté far altro che continuare a girare per l’isola fino alla noia più totale, quando si decise a tornare da Rei. Si sarebbe già dovuto svegliare, dato che erano passate un paio d’ore.
Attendeva, Nagisa, solo quello. Attendeva di rivedere gli immensi occhi viola di Rei, che narravano di luoghi a lui proibiti: e proprio per questo magnifici, nella bellezza del loro mistero.
Tornò all’isola.
 
 
«Rei-chan!» chiamò emergendo con il capo fuori dall’acqua «Rei-chaaaan!» chiamò ancora, ma Rei continuava a dormire. Steso su un fianco sui sassolini piccoli e grigi della spiaggia continuava a tenere gli occhi ben chiusi, per escludere al meglio il mondo esterno dai suoi sogni.
Nagisa aveva già raggiunto la riva ed era a pochi colpi di coda dalla sabbia asciutta, quando si sentì afferrare e tirare indietro da una grande mano aggrappatasi al suo avambraccio. Sentì un vuoto aprirsi nello stomaco mentre veniva tirato indietro, in acqua, la sua vista fu sconvolta e dove un attimo prima vedeva sabbia e un giovane dai capelli blu, addormentato, ora si ergeva solo una muraglia d’Oceano.

«Nagisa-kun, cosa fai?! Quello è un umano!»
Ma Nagisa potè solo pensare che, in confronto al blu cupo dei capelli di Rei, l’Oceano sembrava sin troppo chiaro.



Angolo autrice:
Ed ecco qui il capitolo quattro, lo so che è corto... ma fa nulla, quello che andava detto in questo capitolo è stato detto! (Ho una specie di "tabella di marcia" io XD)
Finalmente entrano in scena due "nuovi" personaggi, e chi potevano essere se non Makoto e Haruka?! Come era ovvio che fosse, la coda di Makoto è quella di un'orca e quella di Haru - non è ancora stato detto esplicitamente - è quella di un delfino. Ma anche questo appare ovvio.
Se vogliamo essere più precisi quella di Nagisa è una coda molto simile a quella di un pesce rosso, ho fatto una ricerca per trovare "il tipo di coda che dico io" e l'ho ritrovata in quella del Ryukin [link].

Come avevo già anticipato, il capitolo cinque arriverà in ritardo, mi scuso in anticipo.
Allora... secondo voi chi è che ha "aggredito" Nagisa? Makoto, Haruka o un altro nuovo personaggio ancora? Uno già presente in Free! o un OC?
Chissà se mi arriveranno vostre risposte ^--^
Baci miei amati lettori,
Uni.
   
 
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