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Autore: IWishLiamPayne    07/10/2013    1 recensioni
Ho solo vent’anni eppure ho vissuto così tanto, tanto da poter morir domani e dire “mi sono goduta ogni attimo” .
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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L’odore di birra è forte, come un paio d’anni fa. Mi giro intorno e tutto è come una volta: i divanetti di velluto rosso tetro, le luci basse, il bancone di mogano lucidato da poco, ma pieno di sfregi come il viso di un pugile clandestino. C’è il tipico silenzio di tarda serata, rimane pur sempre un bar lurido nella periferia del sud dell’Inghilterra.
Mi giro un po’ intorno e in ogni angolo rivedo qualcosa di me. Lì, si, proprio lì, in quell’angolo, di muro sporco di vomito dopo sbronza, c’è buttata la mia verginità. Oh, invece lì, sul quel divanetto rosso in fondo, tra la porta sul resto e la porta per i cessi, ci sono le mie ripetute litigate con Sunny, il mio orgoglio poggiato sul tavolo, la mia testardaggine appesa al muro, il mio vomito nei bagni, le mie canne fumate sull’uscio dell’entrata.
Ho solo vent’anni eppure ho vissuto così tanto, tanto da poter morir domani e dire “mi sono goduta ogni attimo” ed entrare qui riporta tutto alla mente, troppi anni strazianti, troppe delusioni, troppe emozioni contrastanti. Questo luogo è stato il mio destino scosceso, il tormento dell’anima, penso soprattutto per quella di mia madre. Avevo sedici anni e passavo le mie notti qui, tutto per non entrare in quella casa demoniaca, con quei genitori pazzoidi e un fratello schizofrenico. Casa mia non la conoscevo, me ne sono andata via da lì a diciassette anni con venti sterline in tasca, un borsone con quattro pezze dentro e il mio rossetto rosso, la mia eyeliner, la mia lacca e le mie unghie finte. E nel cuore, se l’ho portato con me, non avevo niente, tanto che ho dovuto lavorare per riempirlo di cose, di sentimenti, contrapposti, sbagliati, negati, indirizzati a gente sbagliata, messi in cose sbagliate, non so, il mio cuore passò da un posto tetro e polveroso, pieno di ragnatele a un deposito di scarti, una discarica vuota dove tutti venivano a gettare le loro scorie radioattive e divenne pieno, pienissimo, quasi che scoppiava.
Mi siedo, sul solito divanetto, quello che da di spalle al finestrone alla fine della sala. Questa volta non mi butto su di esso come una bambina euforica, mi siedo con grazia, quella che ho potuto acquistare negli ultimi due anni. La mia gonna lunga nera tocca terra, la mia camicetta rossa mi copre il busto per bene, ho gli occhiali da sole neri nei capelli anche se sono le dieci passate di sera. Ho voglia di una birra, niente vodka, con quella ho davvero chiuso, mi ha portato fin a troppi guai, e mischiata con canne ed eroina, oh, le migliori nottate in ospedale della mia vita.
Vedo avvicinarsi il barista, avrà una cinquantina d’anni, sarà uno di quei falliti che si sono ridotti a lavorare qui diciotto ore al giorno per sei giorni alla settimana per massimo ottocento sterline. Sposto i capelli ondulati all’indietro, qui mi conoscevano come Bonny la mora, quella dagli occhi verdi, i fianchi larghi e un bel sorriso da bambina innocente. Ora sono molto diversa, dentro, fuori, dai capelli allo stile. I miei capelli ora sono biondi, non troppo lunghi, non penso mi riconoscano, tra i pochi visi che vedo qui non mi sembra di ricordare nessuno.
-Signora, cosa prende?- il tuo tono, stizzito, stufo, stanco, i suoi occhi bassi su quel foglio bianco. È sicuramente sveglio dalle prime ore dell’alba e i suoi occhi ancora devono trovare refrigerio dalla lunga giornata.
-Signorina- tento io di puntualizzare –una birra, comunque.- sorrido poggiando la mia borsa di pelle marrone sul tavolo.
-Da mangiare niente?- mi chiede il barista quasi stizzito dopo la mia piccola puntualizzazione.
-Mmh, ora che mi ci fa pensare- prendo una piccola pausa –non mi dispiacerebbe una porzione di chips fritte.- sorrido di nuovo, quasi per farlo innervosire. La mia indole quasi malvagia non è andata via, con i miei sorrisi voglio mandare in tilt la sanità mentale di quel poveraccio, fargli capire che io sono qui e lo tengo sotto schiaffo con le mie decisioni. Mi piace mantenere il potere, mi fa sentire felice, e io non sono quasi mai felice.
Lo vedo allontanarsi sbuffando e mi lascio andare in una piccola risata. Accavallo le gambe sotto il tavolo e passo le mie dita sotto gli occhi quasi per eliminare la matita nera della lima inferiore che sicuramente sarà colata con questo caldo asfissiante.
È metà agosto e sono quasi alla fine del mio viaggio di memorie. Sono tornata qui in Inghilterra per ricordare, anche se fa male. Devo chiudere col passato, una volta per tutte, non basta mettere punti, virgole, parentesi, cambiare pagina, capitolo o libro, devo stravolgere tutto, devo prendere il libro del mio passato e bruciarlo, nascondere le ceneri, non voglio più ricordare, la notte ancora non dormo per gli incubi, i ricordi insaturi che tornano alla mente, quando chiudo gli occhi, sembra sempre un paradiso oscuro dove non c’è via di scampo e la mattina faccio sempre a pugni con lo specchio e il correttore diventa il mio migliore amico, devo nascondere le occhiaie.
In questo momento mi manca l’Irlanda, la mia nuova casa, la mia vera casa, lì mi trovo davvero bene e nessuno sa dal mio passato.
Mi alzo, vado al bagno, devo sciacquarmi il viso, fa troppo caldo e i due ventilatori che sono in questo bar non servono ad un eremito cazzo. Ricordo quale delle due porte è, ci entro spedita, e noto che sono sempre tenuti male, sporcizia ovunque. Apro la manopola dell’acqua, la faccio scorrere un po’, poi unisco le mani e le poggio sotto all’acqua, poi le porto al volto e faccio toccare il liquido cristallino con la carne. Mi guardo allo specchio, quel poco di mascara rimasto è colato, prendo un fazzoletto dalla mia borsa, mi asciugo il viso e mando via le tracce di nero da esso. Ora sono struccata, non mi piaccio e cerco nella borsa il mio mascara, metto solo quello, fa troppo caldo per metter altro. Esco dal bagno e torno al mio tavolo, noto che la birra è arrivata insieme alla chips. Mi siedo, prendo la birra e porto il bordo del boccale alle labbra, è ghiacciata, come piace a me. Assaggio le chips, sono bollenti, mi ustiono quasi la bocca, le finisco dopo poco, proprio come la birra. Rimango seduta per un po’a fissare il vuoto, sento salire l’ansia e non so il perché, il passato è l’unica scusa, decido di alzare a andare a prendere una boccata d’aria.
Sospiro di sollievo appena sono fuori, ormai è quasi mezzanotte e si intravedono le stelle. C’è luna piena, è bellissima, come Sunny. La luna mi ricorda lei, quel sorriso candido, quei capelli lucenti, quegli occhi azzurri, è bellissima, o meglio, lo era.
Mi incammino verso la panchina sotto al lampione che antecede uno spiazzato di terre immenso, desolato. Mi siedo, ho lo sguardo assente, sta salendo qualcosa in me, sono i ricordi di Sunny. Sto per piangere, lo so, stanno arrivando le lacrime, sto cercando di tenerle a freno, niente viso bagnato, stop. Ho bisogno di scrivere. Poso la borsa sulla panchina e prendo l’agenda con una penna. Incrocio le gambe sulla panchina e metto l’agenda su di essa. Scrivere è l’unico modo per mandare via i pensieri cattivi e subito ricordo, ricordo tutto quello che mi è successo negli ultimi quattro anni, i quattro anni più brutti di sempre.

 
 

 

 

 

-buon giorno o buona sera o quel che sia a tutti. questa storia che sto scrivendo per me ha un significato ben profondo, voglio che sia una delle mie prime storie serie, voglio renderla magica e spero che possa piacere.

vi chiedo un piacete, recensite in tanti, voglio sapere il vostro parere, i vostri consigli, quello che avete da insegnarmi.

baci. xx

@iwishliampayne-

  
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