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Autore: HisL0uis    08/10/2013    2 recensioni
dal prologo :
Fù in quel momento che , mentre Niall masticava ignaro di tutto , con le labbra umidicce che schioccavano rumorosamente , presi la mia decisione una volta per tutte : lo avrei lasciato .
Quell’ orsetto gommoso giallo aveva messo fine alla nostra relazione .
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson, Niall Horan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Regola numero 1

Mantieni un atteggiamento professionale

Sei mesi dopo «Anne, c’è qualcosa in te stamattina…», dice Louis, mentre

lotto per sfilarmi il cappotto e affrontare un’altra triste giornata all’agenzia
immobiliare Payne & Company. «Sembri… diversa».
«Non c’è niente di diverso in me, Lou», replico io. Tranne forse il fatto che –
non so come – dall’ultima volta che ho usato questo dannato cappotto ho messo
su cinque chili di ciccia sulle braccia, con queste alucce flaccide che mi ritrovo.
Altrimenti perché mi stringerebbe come una morsa sui bicipiti? È una lotta
faticosa uscire da quest’affare, proprio come lo è stata incastrarmici dentro questa
mattina.
«No no, c’è qualcosa», continua lui, imperterrito, mentre cerco disperatamente
di liberarmi dal soprabito. «È solo che non riesco a capire cosa… Ecco, non
dirmelo, lascia che ci arrivi da solo… sono gli stivali? Nuovi, vero?».
Faccio finta di non averlo sentito mentre con uno strattone riesco finalmente a
sfilare le braccia dal cappotto, lo lancio a caso in direzione dell’appendiabiti e
crollo, ansimante, alla mia scrivania. Far finta di non sentire è la tattica che usa
sempre mia sorella Charlie quando i gemelli fanno i capricci.
Quando si gettano a terra e urlano fino a diventare blu, cosa che fanno entrambi
molto spesso per un’ampia varietà di ragioni – che vanno dai Cheerios che non
sono abbastanza rotondi alla marmellata di fragole che non è abbastanza rossa –
Charlie fa finta di diventare temporaneamente sorda, tutto qui.
Certo, questo significa che spesso è costretta a fingere di essere sorda per la
maggior parte della settimana.
Però è un fatto universalmente riconosciuto che ignorare un bambino pestifero e
non considerarlo finché non cambia atteggiamento è un’ottima linea di condotta.
E Louis è un bambino troppo cresciuto che non riesce a comportarsi come si deve
nella maggior parte delle circostanze, quindi ritengo che questa regola si possa
applicare anche a lui.
«No, forse non sono gli stivali», riflette lui, cambiando approccio. «Allora è la
tua pelle… hai messo l’autoabbronzante? È per quello?».
Non vuole proprio mollare. Forse dovrei chiuderlo nello sgabuzzino per
punizione. Quello potrebbe funzionare.
Charlie mi garantisce che è un sistema infallibile, quando ignorano il fatto di
essere ignorati, cioè. Badate bene, Charlie stessa spesso si chiude nello
sgabuzzino da sola, per fumarsi una sigaretta in santa pace, in cerca di un po’ di
tranquillità… a volte dice che è l’unica cosa che l’aiuta a superare la giornata,
quello e le sue pilloline blu.
«Ti sto ignorando», dico ad alta voce, accendendo il computer. Continuo a
ignorarlo per un po’: il segreto è la costanza.
«No… non è la pelle». Mette una mano sotto il mento e comincia a tamburellare
con le dita sulla guancia, fingendo di essere assorto nei propri pensieri. «Cosa
potrebbe essere? Fammi pensare, fammi pensare…».
Alzo gli occhi al cielo; so esattamente dove andrà a parare.
«Potrebbe essere… non è che per caso sono… i capelli?».
Sorride scioccamente.
«Oh, vedi di crescere», borbotto io, e lui si lascia andare a una risata isterica per
questa scemenza. Okay, forse stamattina ho esagerato con la lacca, ma solo perché
mi sono svegliata tardi e non ho avuto tempo di fare una doccia. È tipico di lui
notare certe cose, è un tale metrosexual. Tiene persino un vasetto di gel per capelli
nel cassetto in alto, in caso di emergenze di styling.
Mi do una rapida occhiata nello specchio che tengo sulla scrivania per poter
controllare di non avere la metà del pranzo incastrata tra i denti. La situazione è
peggiore di quel che avevo pensato: ho cercato di cotonate il groviglio che avevo
in testa per creare una cofana discreta, ma il risultato non è elegante come avevo
sperato. Sembra che un animale molto peloso e decisamente stecchito si sia
acquattato sulla mia testa e che sia già subentrato il rigor mortis. È un disastro.
È tutta colpa di quella Demi Lovato, che dà alla gente la falsa speranza di poterle
assomigliare.
Non succederà mai, non importa quanta lacca usi.
«Posso toccarli?», dice Louis con finta eccitazione, sghignazzando. «Sai com’è,
per vedere se si muovono».
«Perlomeno io li ho, i capelli, Wiliam», contrattacco io, «a differenza di te…»,
cercò la parola perfetta per ferirlo, «…Crapapelata».
«Ehi!». Si afferra il petto all’altezza del cuore, come se gli avessi provocato una
ferita grave, e io cerco di non ridere.
E ho fatto centro con due colpi ben assestati. Uno: Lou è suscettibile riguardo
ai suoi capelli – da quando ha perso un capello la scorsa settimana ha cominciato a esaminarsi la testa ogni giorno per controllare l’arretramento dell’attaccatura dei
capelli. Due: il nome per esteso di Louis è Louis Wiliam, ma lui preferisce farsi
chiamare Lou perché crede che suoni più sexy. Gli piace credere di essere uno
stallone: se ne va in giro con pantaloni troppo stretti, per mettere in evidenza il
bel sedere che si ritrova, e si considera un dio del sesso. Beve persino il
caffè da una tazza speciale con su scritto “Strafigo” con gli stencil (o almeno lo
faceva finché non ho giocherellato con la Dymo e non ho cambiato la scritta con
“Ho un culo da urlo”).
La considero una mia responsabilità ricordare a Louis quanto sia lontano
dall’essere uno strafigo. Molto, molto lontano. Per essere uno stallone uno deve
fare regolarmente sesso con molte donne e il suo record in quel campo è piuttosto
desolante. Certo, a sentire lui, fa sesso in continuazione… almeno tre volte a
settimana con donne disponibili che – dice – gli cascano ai piedi negli squallidi
locali che frequenta, ma ci sono pochissime prove che sia davvero così. Sicuro,
deve essere un bell’impegno ingegnarsi a cercare nomi fittizi per tutte le
splendide ragazze che a quanto pare lo trovano irresistibile, ma io devo ancora
vedere la prova schiacciante del suo leggendario magnetismo sessuale o del suo
successo con le “gallinelle”, come le chiama lui.
Per esempio, nessuna di queste conquiste è mai venuta in ufficio a cercarlo e lui
non riceve mai telefonate misteriose da donne con la voce sensuale. Anzi, non
riceve mai nessuna telefonata, se si esclude sua madre che lo avvisa quando ha
finito di stirargli la roba e vuole sapere quando andrà a cena da lei. Louis è il
classico esempio del cocco di mamma, e fiero di esserlo, una cosa per cui mi
piace tormentarlo di continuo… o perlomeno è stato così finché non ho
conosciuto sua madre. È un tantino inquietante.
«Mi hai ferito, Anne». Fa una faccia triste, afflitta. «Mi hai ferito
profondamente».
«Oh, sta’ zitto, scemo». Rido, facendogli una boccaccia.
«Hai cominciato tu».
So che la mia frecciatina non lo sfiora minimamente. Questo continuo
battibeccare è una piccola tradizione tra noi.
È cominciata il mio primo giorno alla Payne, cinque anni fa, ed è continuata più
o meno senza sosta fin da allora. Io arrivo, Louis commenta come sono vestita, il
mio aspetto – e qualche volta persino il mio profumo –, io lo mando a quel paese
e poi continuiamo la nostra giornata. Sebbene curioso, è un confortante rituale che
apprezzo molto in questi tempi di desolazione e incertezza in cui nessuno sa cosa
ci aspetta dietro l’angolo. A detta dei giornali, nel nostro futuro ci sono
disoccupazione, strani virus e un possibile Armageddon, così insultarci a vicenda
è una cosa su cui Lou e io possiamo fare affidamento, anche se a quanto pare il
mondo intero sta precipitando da uno strapiombo cosmico.
E poi nemmeno io prendo sul serio le sue battutine, perché so che, al di là delle
prese in giro, Louis è proprio un bravo ragazzo e farebbe di tutto per aiutare chi è
in difficoltà. Non che abbia intenzione di fargli sapere che lo penso,
naturalmente… la sua testa è già abbastanza montata così.
Mi volto verso il computer e un’ondata di terrore mi travolge. Di sicuro sarà
un’altra giornata orribile, in cui cercherò di riempire otto ore fingendo di essere
occupata. Un tempo mi piaceva lavorare qui, ma da quando il mercato
immobiliare è andato in malora questo ufficio non è più il posto allegro di una
volta. Ai vecchi tempi, la gente gettava soldi in giro come se fossero passati di
moda, e non dovevi neanche impegnarti per vendere una casa, perché si vendeva
da sola. Qualche anno fa i clienti facevano la fila, supplicandoti di vendergli
qualunque cosa, ma adesso che il boom ha ceduto il passo al fallimento, gli
acquirenti sono più rari dei denti di una gallina e bisogna praticamente buttarsi
sulle macchine sportive per suscitare un briciolo di interesse per qualcosa. Ed è
proprio questo che stanno facendo alcuni venditori, tanto sono disperati.
Macchine, barche, tv al plasma… nominate qualunque cosa e loro proveranno a
venderla se ciò significa concludere l’accordo alla svelta. La scorsa settimana un
venditore disperato si è persino offerto di cedere in comproprietà un attico a
Marbella pur di liberarsi di un appartamento che aveva acquistato come
investimento nel centro cittadino.
Ne ho viste di tutti i colori da quando il mercato è imploso e sfortunatamente, il
più delle volte, persino queste tattiche non producono alcun risultato: la gente non
sta comprando nulla e nemmeno la lusinga di roba gratis la persuaderà a separarsi
dai suoi contanti. In compenso, chiunque voglia comprare non riesce a ottenere un
finanziamento dalle banche. Lou e io abbiamo passato molte ore ad analizzare in
modo inclemente questi banchieri e a fantasticare su quale sarebbe la giusta
punizione per aver rifiutato ipoteche a potenziali compratori. È un gioco
divertente, decidere quali mezzi di tortura potremmo usare (la ruota resta la mia
preferita) e, cosa più importante, aiuta passare il tempo.
Negli ultimi mesi “passare il tempo” è diventato l’obiettivo principale delle mie
giornate perché, invece di vendere davvero qualcosa, adesso mi dedico perlopiù
ad archiviare immobili, in continuazione. Louis è determinato a guardare il lato
positivo… ma del resto, come gli dico sempre, essere stupidamente ottimista è la
sua occupazione principale.
Ora, invece di godersi il brivido della vendita, si concentra per trarre piacere in
altri modi… perlopiù molestando sessualmente chi osa venire in ufficio, incluso il
postino. Per fortuna il postino – un simpatico ometto di mezza età di nome Oscar,
che ha sette figli, una moglie e due amichette – la prende con una risata.
Intanto Liam, il nostro capo, se ne sta quasi tutto il giorno con lo sguardo
perso nel vuoto. È sprofondato in una brutta depressione da quando il mercato è
collassato. Nemmeno Louis riesce a tirarlo su di morale mandandogli estratti dai
siti porno. Niente riesce a strappargli un sorriso; anche se Lou continua a fare del
suo meglio.
La sua teoria è che Liam, ora più che mai, abbia bisogno di vedere tettone
ossigenate che se la spassano tra loro. Continua a dire che sta solo cercando di
rendersi utile, ma sappiamo entrambi che non funziona, perché Liam ha ancora
lo sguardo fisso nel vuoto per la preoccupazione e lo stress dovuti al lavoro. Non
posso dire di biasimarlo: come molte altre società in giro, l’agenzia ha problemi
seri. Abbiamo ottantanove case invendute sul mercato, e novantanove locali da
affittare. Siamo in una fase di stallo e, grazie alla crisi economica, è poco
probabile che ne usciremo a breve termine. Per usare un termine altamente
tecnico del gergo immobiliare, siamo fottuti.
«Allora… come ti vanno davvero le cose?», chiede Lou in tono sdolcinato,
scivolando verso di me a bordo della sua sedia con le ruote. «Hai conosciuto
qualcuno di interessante durante il weekend, vero?».
È la stessa battuta che usa ogni lunedì mattina da quando ho rotto con Niall. È
convinto che abbia bisogno di uscire e darmi da fare, prima di ritornare vergine e
dimenticarmi come si fa. Non vuole sentire che sono rimasta a casa da sola, a
guardare le repliche di Friends (di tanto in tanto immagino di essere Jennifer
Aniston nella quarta serie, quando aveva quelle extension bionde e la pancia
piatta come una tavola). Però mi piace stare a casa: l’appartamento che Liam
mi affitta come parte del mio stipendio è così comodo. È in un condominio in cui
ha investito con un imprenditore locale ed è stato come la manna dal cielo quando
ho lasciato Niall. Liam mi chiede una bazzecola di differenza, cosa di cui gli
sono davvero grata: cercare di pagare un affitto intero con uno stipendio non più
rimpinguato dalle provvigioni sarebbe stato impossibile.
«Ho passato un bel weekend», rispondo.
«E dài, non lesinare sui dettagli. Hai conosciuto un tizio in città e lo hai esaurito
a suon di sesso selvaggio, vero?», suggerisce Louis, facendomi l’occhiolino. «Hai
bisogno di un caffè forte per stare sveglia?» «No, grazie», replico impassibile.
«Credo che me la caverò».
Il caffè è l’ultima cosa che voglio. Il mio stomaco è già abbastanza incline alla
nausea per l’ansia di non sapere cosa ci riserverà il domani. Non sono certa
di riuscire a sopportare un’altra ora in cui fingo di essere occupata, mentre
archivio di nuovo ogni proprietà in vendita.
«Non mi chiedi com’è stato il mio weekend?», mi domanda imbronciato Louis.
Non vede l’ora di raccontarmi la roba succosa: le sue gesta notturne.
«Com’è andato il tuo weekend, Lou?», chiedo obbediente.
A Louis piace raccontarmi delle sue conquiste fittizie ogni lunedì mattina, e di
solito cerco di ignorarlo. Visto che non ho nulla di urgente di cui occuparmi al
momento, però, sono disposta a dargli corda per un po’. Ho proprio bisogno che
qualcuno mi tiri su di morale e una storiella su una delle sue altamente
improbabili relazioni potrebbe andare.
«Be’», si avvicina, «non sei l’unica ad aver avuto un weekend sfrenato, non so
se mi spiego».
Gonfia il petto.
«Anch’io sono piuttosto distrutto».
«Sul serio?», dico, cercando di sembrare completamente disinteressata.
«Già». Si sporge sulla scrivania per raccontarmi di più.
«Ho conosciuto questa pollastra australiana sabato sera.
Era una vera furia».
«Lasciami indovinare… era un’hostess, vero?» «Sì, come fai a saperlo?». Louis
non coglie il sarcasmo nella mia voce.
«Fammi pensare, Lou. Potrebbe essere perché quasi tutte le donne con cui
presumibilmente finisci a letto sono delle hostess?».
Lui mi sorride, soddisfatto di sé. Crede fermamente di essere una leggenda e io
do la colpa a sua madre per aver gonfiato il suo ego.
«Le bamboline con il trolley mi adorano, Anne, che posso farci? Forse perché
le porto ad altitudini straordinarie… l’hai capita?». Ruggisce per la battuta ormai
ben collaudata.
Dio lo benedica: Lou crede di essere un grande comico.
È convinto di poter dare del filo da torcere a Graham Norton, se solo volesse.
«Continua», dico con un sospiro.
«Oh, okay». Sembra deluso dalla mia reazione incolore a quello che lui
ritiene umorismo brillante. Ma si riprende piuttosto in fretta. «Allora, dunque,
siamo a letto e non indovinerai mai cosa mi ha chiesto».
Mi sorride di nuovo a trentadue denti, e io cerco di non sorridere in risposta.
Non voglio incoraggiarlo troppo, anche se sono solo un tantino interessata. I suoi
racconti, anche se completamente inventati, di solito sono esilaranti.
Ma non lo informerei mai di questo, naturalmente.
«Fammi pensare… È voluta andare nei Paesi Bassi?» «Eh?». Non ha afferrato la
mia battuta e decido di non provare a spiegargliela.
«Non so cosa ti ha chiesto», mi arrendo. «Dimmelo tu».
«Okay. Be’, mi ha chiesto di far finta di essere Crocodile Dundee!» «Crocodile
Dundee?» «Sì. Come in quel film, hai presente quel tizio che viveva in Australia e
combatteva a mani nude con coccodrilli feroci?» «Sì, mi ricordo quel film». Dio,
ma come fa a inventarsi certa roba?
«Allora, lei ha questo cappello, capito? Sai, come quello di Crocodile Dundee».
«Un wallaby hat?» «Proprio quello!». Sorride raggiante. «Allora lo metto e
comincio a entrare nella parte, capito?» «Non proprio, ma vai avanti».
Il pensiero di Lou con in testa un wallaby hat e nient’altro addosso è piuttosto
inquietante.
Cerco di cancellare quell’immagine dalla mente.
«Comunque, sono lì che faccio la lotta con un cuscino, fingendo che sia un
coccodrillo divoracristiani».
«Facevi finta che il cuscino fosse un coccodrillo?» «Sì, stavo improvvisando,
sai, per dare un po’ di pepe alla situazione».
«Giusto».
«Allora, me ne sto lì a dare una lezione al cuscino, gridandogli contro e
dicendogli che ha i giorni contati, quando questa pollastra esce di testa».
«Esce di testa?» «Sì, comincia a gemere e mugolare… è stata una cosa davvero
animalesca».
«E poi cos’è successo?». Sto aspettando la battuta finale.
Forse un branco di hostess è saltato fuori dall’armadio e ha illustrato le
procedure di sicurezza completamente nudo?
«Be’, lo abbiamo fatto, naturalmente». Louis sembra confuso.
«E allora, tutto qui? Questa è la tua grande storia? Tu che hai fatto finta di essere
Crocodile Dundee e hai fatto sesso con un’hostess?» «Be’, sì». Mi sorride. «Non
è fantastico? Riesco a malapena a camminare stamattina… mi ha quasi
disintegrato, cavolo!» «Ed è tutto qui?».
Sembra deluso dal fatto che non sono più impressionata.
«Sì, tutto qui. Perché, tu cos’hai fatto?» «Non so di che parli». Di certo non
voglio toccare l’argomento.
«Be’, ovviamente hai avuto un weekend più sfrenato del mio». Lou sembra
devastato all’idea di non essere il maschio più sessualmente avventuroso del
pianeta. Gli piace pensare di essere il Re delle Notti di Sesso Sfrenato; è per
questo che si fa fare la ceretta alla schiena da Ultimate Wax Off ogni quattro
settimane. Lui nega, naturalmente, ma io so che è vero. L’ho visto uscire da lì più
di una volta.
«No, non direi», mormoro io, armeggiando nervosamente con la tastiera del
computer.
«No, dài, raccontamelo. Fammi indovinare…». Comincia a rallegrarsi. «Forse
hai giocato a Tarzan e Jane con qualche sconosciuto?».
Mi concentro sullo schermo.
«Aha!». Lou trafigge l’aria tra noi con il dito indice. «Se mai c’è stato uno
sguardo colpevole, eccolo qui! Ci ho preso in pieno, vero?» «Non essere
ridicolo». Nonostante i miei sforzi, sento il calore raggiungermi il viso.
Ovviamente, questa è l’unica mattina in cui non ho avuto tempo di usare il
correttore speciale verde, quello che nasconde i capillari rotti e il rossore alle
guance.
«Oh, Maggie, stai arrossendo! Dio, cos’hai combinato?
Doveva essere roba vietata ai minori! Non è che per caso l’hai filmata, vero?».
Sembra decisamente eccitato.
Il telefono squilla e io sollevo con gratitudine la cornetta prima di essere
costretta a rispondergli. «Payne & Company, come posso esserle utile?», dico,
mettendo più entusiasmo possibile nella voce. Potrebbe essere l’unica chiamata
che ricevo in tutta la giornata, quindi è di vitale importanza apparire amichevole e
disponibile. Non che faccia alcuna differenza, naturalmente: il mercato è defunto,
quindi in un modo o nell’altro sembrare amichevole e disponibile con tutta
probabilità non ha la minima importanza.
«Sono Christina De La Mount ».
La voce in linea è secca e professionale e il cuore mi crolla a terra, facendo
“ciao ciao” allo stomaco contratto durante il suo tragitto verso il basso. Christina De La Mount è la più grande stronza della città, forse dell’intera nazione. Da mesi
ormai cerca di vendere quel suo orribile palazzo, senza successo, e dire che non è
contenta della situazione è un eufemismo. È stato costruito all’apice del boom dei
primi anni Novanta ed è la più orripilante ostentazione di ricchezza che abbia mai
visto. Ed è tutto dire, perché ci sono un sacco di templi del cattivo gusto da queste
parti.
I nove bagni di Christina sono decorati con rubinetti placcati in oro, nella cucina fatta
su misura le superfici di lavoro sono di marmo tagliato a mano e, come le piace
ricordarmi ogni volta che parliamo, ci sono pavimenti di solido mogano per tutta
la casa. Lou adesso la chiama Solido Mogano De La Mount, tra le altre cose.
Christina ha pagato una somma di denaro scandalosa a un borioso designer di interni
per raggiungere quella che lei ritiene l’apoteosi del lusso, ma il problema è che
tutto questo “glamour” non è riuscito ad attrarre neanche una sola offerta da
potenziali acquirenti. Ci sono state delle visite, ma l’opulenza degli interni –
sommata all’allucinante prezzo richiesto – non ha suscitato il minimo interesse.
Christina crede che sia tutta colpa mia, e non teme di farmelo sapere. Mi chiama
spesso per rimproverarmi perché crede che non abbia portato abbastanza clienti.
Non ho presentato in modo adeguato sul mercato quel suo orribile palazzo. Non
ho incalzato con efficacia i potenziali acquirenti. L’unica ragione per cui la sua
casa è ancora sul mercato, a quanto pare, è la mia incompetenza e non ha niente a
che vedere con i suoi agghiaccianti gusti in materia di arredo e con i cinque
milioni di euro da lei richiesti. Se fosse per Rita, io dovrei scarpinare su e giù per
la strada con un cartello sandwich addosso, per pubblicizzare la sua casa
ventiquattr’ore al giorno. Anche così probabilmente non sarebbe soddisfatta,
perché Christina è una figlia del boom economico irlandese che non capisce perché
non può ottenere quello che vuole – cosa che è sempre riuscita a fare in passato.
In silenzio mi maledico per essere stata così ansiosa di rispondere a questa
chiamata. Perché non ho lasciato che la prendesse Louis? È molto più bravo di me
a gestire Christina… soprattutto perché lei va in brodo di giuggiole per il suo fascino
ogni singola volta. Quello che lei non sa è che ogni volta che lui la incanta a suon
di parole e la rassicura che il suo raffinato palazzo verrà venduto molto presto,
mima il gesto di infilarsi due dita in gola e vomitare.
«Buongiorno, Christina», dico cercando di sembrare professionale.
«Parlo con Anny?» «Anne», la correggo.
Christina non ricorda mai il mio nome. So che lo fa di proposito per partire con il
piede sbagliato.
«Abbiamo ricevuto delle richieste per River House?», chiede freddamente,
andando dritta al sodo. Christina non bada ai convenevoli. Le piace anche usare il
“noi” regale… come in “non abbiamo provato con sufficiente impegno” o
“dobbiamo fare meglio”.
«Mi lasci controllare, Christina», rispondo, il più educatamente possibile. «Vado a
prendere il fascicolo. Mi dia solo un minuto». La metto in attesa prima che possa
controbattere e cerco di pensare.
Devo guadagnare tempo. So perfettamente che non c’è stata una singola
richiesta dall’ultima volta che abbiamo parlato prima del weekend. Anche Christina lo
sa, perché se ci fosse stato anche solo un briciolo di speranza l’avrei chiamata e
glielo avrei detto subito. Mi chiedo se sia il momento di prendere il toro per le
corna, insistere perché renda più sobri gli interni troppo sfarzosi e abbassi il
prezzo di partenza. Allora sì che potremmo ricevere qualche proposta. E
dobbiamo anche fare qualcosa per il nome, quella è una questione fondamentale:
anche se si chiama River House, quell’ammasso imponente non è affatto vicino al
fiume. L’acqua più vicina – un irrisorio fiumiciattolo che si prosciuga ogni estate
– è almeno a una ventina di chilometri di distanza, una cosa per cui i pochi
potenziali acquirenti che hanno visitato la casa nei mesi scorsi si sono
enormemente risentiti. L’unica ragione per cui si chiama River House è che a
Christina sembrava maestoso. Si è persino fatta fare una lastra di pietra calcarea con il
nome inciso a mano e l’ha messa accanto al cancello elettrico personalizzato.
Vorrei avere il coraggio di dire tutto questo a Christina, ma so che se lo facessi lei
andrebbe su tutte le furie – di nuovo – e non sono dell’umore giusto per ascoltare
le sue scenate stamattina. E poi non è che abbia davvero bisogno di vendere la
proprietà: ha ereditato milioni alla morte dello zio, quindi non ha nemmeno un
mutuo da estinguere. È in una posizione di gran lunga migliore rispetto ad alcuni
altri venditori che cercano disperatamente di sbarazzarsi di case che non possono
più permettersi. Forse se cercassi di parlarle usando un po’ di tatto – lanciandole
giusto qualche suggerimento – reagirebbe meglio.
Apro la sua pratica e noto subito un postit in cima alla pagina. Quasi non riesco
a crederci: sembra che Lou abbia ricevuto una telefonata venerdì, mentre io ero
fuori per un sopralluogo. Il suo scarabocchio è a malapena leggibile, così non
riesco a capire cosa ci sia scritto, ma il mio cuore batte forte per la speranza.
Forse le cose andranno per il meglio. Forse qualcuno vuole vederla. Louis sta
parlando all’altra linea e non posso rischiare di tenere Christina in attesa molto a lungo,
quindi non ho tempo di interrogarlo sulla richiesta. Dovrò bluffare, dire che c’è
stata una richiesta e che riceverà i dettagli da Lou più tardi.
«Christina?». Premo il pulsante per prendere di nuovo la linea.
«Sì, sto aspettando. Devo dire che non mi stupisce essere lasciata in attesa. Se
lei fosse una vera professionista avrebbe saputo l’esatta situazione di River House
senza dover consultare alcuna pratica».
Resisto all’impulso di sbatterle il telefono in faccia. È davvero una megera.
«Pare che qualcuno sia interessato alla proprietà», continuo, imponendomi di
non sembrare stizzita. «Secondo quanto riportato sulla pratica, abbiamo ricevuto
una chiamata venerdì».
«Davvero?». Rita si rianima. «Perché non mi ha contattata immediatamente?
Avrei dovuto essere informata!» «Be’, non ne sapevo nulla. Devo solo parlare
con…».
Prima che possa finire, mi interrompe in malo modo: «Non voglio ascoltare
nessuna delle sue scuse, Anny. La pago per occuparsi di River House, giusto?
Questa interruzione nelle comunicazioni è di un’ estrema incompetenza ». Il suo
tono è glaciale.
«Ero fuori sede per lavoro, Christiana», ribatto, cercando di restare calma. «Louis ha
risposto alla chiamata, quindi devo solo chiedere a lui i dettagli».
«Capisco». La sua voce è meno severa: ha un debole per Lou, questo è poco ma
sicuro.
«Mi aggiorno e la richiamo non appena possibile».
«Si assicuri di farlo, Anny», dice, tirando altezzosamente su col naso.
«Altrimenti sarò costretta a rivolgermi altrove per i miei affari. Sono molto
insoddisfatta del livello del vostro servizio. Ci aspettiamo di meglio».
Riattacca e io scaravento il ricevitore al suo posto.
«Mi chiamo Anne, stupida vacca!», urlo in direzione del telefono.
«Anne, perché così eccitata?». Lou inarca un sopracciglio nella mia
direzione. «Non che mi lamenti. Non c’è niente che adori di più del vederti
accaldata e sudata».
«Chiudi il becco, Wiliam, o ti denuncio per molestie», sbotto in tono scontroso.
Solido Mogano è riuscita a mettermi di un umore peggiore di prima.
«Non vedo l’ora, cara. O, se preferisci, possiamo giocare al tribunale. Io farò il
giudice e tu puoi essere una ragazza molto cattiva… che ne pensi? Ecco, non dico
che sarebbe eccitante come giocare a Tarzan e Jane, ma farò del mio meglio».
Si lecca le labbra in modo impudente e io non posso fare a meno di ridere,
nonostante il cattivo umore.
«Anne, Louis». Proprio in quel momento, Liam appare davanti a noi, ha il
viso pallido, quasi spettrale. Nelle ultime settimane il suo aspetto è diventato
sempre più malaticcio… ma oggi sembra proprio uno straccio.
«Ti senti bene, Liam?», gli chiede Lou.
«Non proprio», risponde Liam, con voce roca. «In realtà devo parlare con
entrambi. Potete venire nel mio ufficio, per favore?».
Scompare immediatamente, senza aggiungere una parola.
Louis e io ci guardiamo in preda all’ansia prima di alzarci in silenzio dalle nostre
sedie. Cerco di impedire al panico che sento nel petto di travolgermi, ma so che
probabilmente ci siamo. Non è abitudine di Liam chiamarci nel suo ufficio e,
dalla sua espressione, non sembra sul punto di offrirci dei bonus di rendimento e
macchine aziendali.
«Testa alta, Anne», mi sussurra Louis, afferrandomi la mano. «Forse non è
quello che pensi. E anche se fosse, non è la fine del mondo».
Gli rivolgo un sorriso e annuisco, ma mi sembra di fluttuare sopra il mio corpo,
di osservare la scena dall’alto. Se Liam ci ha chiamati per dirci che il nostro
lavoro è andato, per come la vedo io è la fine del mondo.
Ho già lasciato l’uomo che tutti consideravano l’amore della mia vita. Mamma e
papà erano così sconvolti quando alla fine gliel’ho detto che sono dovuti andare in
vacanza a Marbella per riprendersi. Come accoglieranno questa notizia? E poi c’è
Charlie. Ho passato mesi ad ascoltarla mentre insisteva sull’enorme sbaglio che
avevo fatto lasciando Niall… Lei dice che è un “ottimo partito” e che è
assolutamente insostituibile, specie alla mia veneranda età. Non ho mai pensato
che avere 27 anni fosse così male, ma del resto non mi ero resa conto che a
quanto pare è l’esatta età in cui ogni uomo decente smette di guardarti. Charlie si
è affrettata a informarmi della cosa, dice che è per questo che si tiene stretta
Josh per la vita, anche se l’ha abbandonata nel momento di maggior
difficoltà.
Adesso non solo sarò senza un uomo, ma pure senza lavoro. Una vera
tragedia… il che tecnicamente significa che sono un’eroina tragica. Ironia della
sorte, nemmeno questo pensiero è sufficiente a rallegrarmi mentre incespico alla
cieca verso l’ufficio di Liam per sentire quale sarà il mio destino.

CIAO RAGAZZE !

FINALMENTE HO AGGIONATO !
Avverto che non sarò regolare con gli aggiornamenti perchè vorrei ricevere un tot. di recensioni prima, quindi tu che sei lì se vuoi leggere il continuo della mia storia fai una recensione di più di 10 parlole ^o^
Così vi lascio ciao ragazze. CREDITI BANNER: https://www.facebook.com/pages/Graphic-Worldϟ/369699706475620
  
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