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Autore: Carlos Olivera    10/10/2013    2 recensioni
Una storia nata dalla Round Robin Threads Of Fate, ed ambientata parallelamente ad essa.
E' trascorso un anno da quando Eric Flyer ha sconfitto Valopingius e fermato i piani di suo nonno, discolpandosi dalle accuse a suo carico ed ottenendo la qualifica di Hunter a tutti gli effetti.
Molte cose sono cambiate in questi 12 mesi, e anche lui un po', così sua madre decide di raccomandarlo al suo amico Kaien perché sia inserito nel progetto di scambio culturale che l'Accademia Cross si accinge ad iniziare. Eric vi si trasferisce con una cert'ansia, sia perchè nella scuola si trova la sua eterna nemesi, sia perchè alla Cross è determinata a studiare anche la persona alla quale tiene maggiormente al mondo, e che disgraziatamente attira i vampiri come le mosche con il miele.
Ma la tranquillità durerà poco. Suo nonno Augusto, infatti, non solo non ha rinunciato al suo disegno di creare con le sue mani la prossima tappa dell'evoluzione dei vampiri, ma non ha neanche dimenticato come Kaname, e soprattutto Eric, abbiano fatto naufragare miseramente il suo primo piano. Ma questa volta, Eric potrà contare su un gran numero di compagni ed alleati.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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21

 

 

Finite le vacanze estive riprese la scuola, e con essa la solita routine quotidiana fatta di studio, lezioni, e qualche breve momento di relax.

Eric ormai si era adattato alla sua classe e al suo ruolo, e per quanto potesse sembrare incredibile anche con Kaname le cose sembravano essersi riappacificate almeno un po’.

Sembrava tutto tranquillo, ma in realtà gli animi di coloro che sapevano erano ancora turbati da quanto accaduto durante il meeting all’Hotel Aurora, soprattutto alla luce delle prove raccolte nei giorni successivi all’incontro.

In tutta la zona circostante l’albergo erano stati rinvenuti degli strani marchingegni ridotti in pezzi, di provenienza sconosciuta, simili a grosse mine anticarro. Non era stato possibile stabilire cosa fossero o quale fosse il loro scopo, ma il ritrovamento dei resti di una specie di campo base in una radura che dominava la valle aveva dato a tutti la prova che quella anormale ondata di Livello E era stata appositamente organizzata.

Il difficile era capirne le ragioni.

Secondo alcuni si era trattato di un tentativo di mandare a monte l’incontro di chiarificazione, ma per gli hunter più esperti, Yagari ed Eric su tutti, le motivazioni erano altre, per quanto il fine potesse essere simile.

«Se volete sapere come la penso.» aveva detto preoccupato Yagari «Si è trattato di una specie di prova generale. Un test.»

«O di una deliberata dimostrazione di pericolosità.» aveva ipotizzato a su volta Flyer «Chi è stato responsabile di tutto questo ha voluto farci capire che ha i mezzi e le conoscenze per fare cose fino ad ora reputate impossibili, come controllare i Livello E.»

«In ogni caso.» aveva sentenziato il direttore «Il significato di tutto questo è uno solo. Sta succedendo qualcosa là fuori. Qualcosa di grosso. E quanto accaduto all’hotel è stato solo l’antipasto. Un assaggio di quello che deve accadere».

Per questo motivo, gli animi erano particolarmente tesi.

Nessuno voleva rovinare quanto la riunione aveva generato, e forse anche per questo la presidentessa dell’associazione aveva ordinato di non svolgere indagini ufficiali, probabilmente per non alimentare timori e sospetti in un momento così delicato.

L’arrivo di Lynette fu salutato con un certo sollievo da parte di Eric. Ora aveva una persona di fiducia in più ad affiancare Zero ed Emma nella day class, il che lo faceva stare molto più tranquillo.

Per una volta, nonostante il senso di pace sospesa che pervadeva l’ambiente, sembrava che tutto stesse andando per il meglio.

Con l’autunno arrivò anche il tempo delle nuove matricole, e se la Night Class poteva dirsi ormai al completo, esclusa Lynette la Day Class aveva ancora bisogno di qualche altro innesto.

In particolare si vociferava di due prossime ammissioni, due ragazze stando alle voci di corridoio, entrambe piuttosto attraenti, e la cosa non aveva fatto altro che accendere come una lampadina le fantasie perverse di Peter.

Essere circondato da così tante belle ragazze in uniforme era già un sogno per lui, ma per quante le avesse attorno non gli bastava mai: ne voleva sempre di più.

Un pomeriggio era in sala professori, assieme a Yagari, lui per smontare dal proprio turno nella sezione diurna ed il bel tenebroso per prepararsi all’inizio di quella notturna, quando delle voci di corridoio tra gli studenti portarono la notizia che le due nuove reclute fossero infine arrivate, e avessero già preso alloggio nel dormitorio della Day Class.

«Se vuoi scusarmi.» esclamò Peter scappando via come un bambino la mattina di natale.

Recuperato il binocolo dal suo armadietto raggiunse in pochi attimi il dormitorio diurno, raggiungendo uno dei suoi tanti punti di osservazione in cima ad un albero sul lato sinistro dell’edificio.

Non fu una scelta difficile da prendere, visto e considerato che le uniche stanze per ragazze con dei posti rimasti liberi avevano le finestre affacciate su quel lato, e sapendo anche quali erano non ebbe problemi a localizzarle.

Rise sotto i denti nel vedere che una di quelle due imprudenti aveva lasciato le tende aperte, e già pregustava ciò che avrebbe visto.

Fu un’attesa abbastanza lunga, ma ciò che vide comparire ad un certo punto fu più che sufficiente a compensare il tempo speso ad aspettare.

La ragazza in questione non si era fatta vedere perché era in bagno, e come aprì la porta rivelandosi in una quasi totale nudità, coperta solamente da un leggero asciugamano, Peter rischiò un dissanguamento. Non poteva vederla in faccia per via dell’angolazione, ma quel didietro così sodo e compatto, e così superbamente e imprudentemente lasciato per buona parte scoperto avrebbe fatto la gioia di qualunque feticista.

«Sì, sì.» disse  infilandosi due tamponi nel naso «Questa sì che è roba buona».

Era così eccitato che per poco non cadde dal ramo, e posato il binocolo sfoderò la sua fidata fotocamera con teleobiettivo da 400mm per scattare foto degne della migliore rivista a luci rosse. Era così acceso dall’idea che impiegò qualche istante per localizzare nuovamente la finestra giusta, e grande fu la sua già sovreccitata soddisfazione quando vide il petto della ignota ragazza vicino come non lo era mai stato.

Stava per scattare, la bava alla bocca e i tamponi ormai saltati, quando qualcosa oscurò incomprensibilmente l’immagine; sembrava quasi di stare osservando l’interno di un lungo tubo, metallico e seghettato.

«Ehi, ma cosa…».

Per fortuna era pur sempre un soldato ed un cecchino, e perciò i riflessi non gli mancavano. Come udì il gracchiare sordo di un tamburo che girava su sé stesso fece appena in tempo a piegarsi in un ponte da WWE. Il proiettile, uno solo, non gli perforò la testa, ma sbriciolò il suo gioiello elettronico passandolo da parte a parte, e lui, per lo spavento, precipitò a terra fracassandosi sul selciato.

«Ma chi è che fa scherzi simili…» mugugnò ancora blu per il terrore

«Non sei cambiato per niente.» sentenziò una voce dall’alto «Sei sempre il solito impenitente maniaco».

Peter spalancò la bocca.

«Questa voce…».

Alzato lo sguardo, i suoi occhi si posarono su di una lunga e fluente chioma rosso fuoco, che cingeva superbamente due occhi color smeraldo a loro volta cornice del volto pulito, ben proporzionato, di una giovane ragazza dai tratti vagamente anglosassoni.

Aveva il corpo, su cui dominavano forme generose, coperto da un quadrato di asciugamano, e in mano teneva un piccolo ma modernissimo revolver ancora fumante.

«Ashley!?».

Era proprio lei, Ashley Lancaster.

Peter ricordava ancora l’ultima volta che l’aveva vista, ormai un paio d’anni prima, nel cortile di un liceo inglese, dopo averla salvata all’ultimo momento da un attacco di quei Livello E succhiatori di sangue, e per quanto avesse già imparato a temere il suo carattere talvolta così irruente e di poche parole mai si sarebbe aspettato di venire accolto a colpi di pistola.

«Criminale! Ti rendi conto che potevi colpirmi?»

«Figuriamoci. Uno come te non muore neanche se lo ammazzi».

Rialzatosi, Peter si arrampicò come un ragno lungo la parete del dormitorio fino alla stanza di Ashley, che lo guardò con aria di sfida.

«Sono passati due anni, ma sei sempre lo stesso. Quant’è che ti deciderai a crescere?»

«Sono io che faccio le domande. Prima di tutto, che ci fai con una pistola? Non eri quella che odiava le armi?»

«Un detective deve sempre avere un’arma con se. E comunque, è caricata con proiettili speciali anti-vampiro. O forse mi sono dimenticata di avvisarti?»

«Ma sentila, ogni detective. Ha risolto un paio di casi da scolaretta, e già si atteggia a nuova Sherlock Holmes.»

«Per tua informazione, sono stata inviata in Giappone su richiesta del Primo Ministro in persona. Poi, già che ero qui, ho chiesto a mia madre di fare qualche telefonata per essere ammessa a questa scuola. Dopo aver saputo tutte quelle cose sui vampiri mi incuriosiva l’idea di frequentarla.»

«Dì un po’ ma pensi di essere in uno dei tuoi circoli studenteschi? Qui è pieno di vampiri.»

«E di esseri umani. Non vedo cosa ci sia di male.»

«Non vedo cosa ci sia di male.» ringhiò Peter grattandosi in ogni dove «Questa mi farà venire l’allergia!»

«Ad ogni modo, il direttore Cross mi ha incaricato di tenerti d’occhio. Vuole assicurarsi che tu sia concentrato solo sul tuo lavoro, e ho tutte le intenzioni di svolgere questo compito con la massima efficienza».

Peter chinò il capo avvilito. Il suo divertimento era ufficialmente finito.

Però, per qualche motivo, una parte di lui era quasi felice di aver rivisto Ashley, e il perché non riusciva proprio a capirlo.

 

Izumi era in sala musica, intenta a destreggiarsi con l’arpa celtica.

Emma gliel’aveva messa in mano perché trovava avesse delle belle dita, lunghe e sottili, adatte a sfiorare le corde facendole tintinnare giusto quel tanto per far loro emettere il migliore dei suoni, ma ci era voluto un po’ di tempo per riuscire a prenderci la mano.

Suonare le era sempre venuto facile, perché amava la musica e l’aveva coltivata fin da bambina, anche se non riusciva a ricordare bene il motivo che l’aveva spinta ad incominciare, visto che nessun altro nella sua famiglia poteva definirsi un intenditore.

I consigli di Emma le erano stati molti utili, e grazie a lei aveva potuto esprimersi come mai nella sua vita, prima nel flauto, sia giapponese che orientale, poi nel pianoforte ed ora nell’arpa celtica. Ovviamente in nessuno dei tre era al livello della sua sempai, se non forse nel flauto, ma Emma non faceva che ripeterle quanto grandi fossero i suoi margini di miglioramento.

In quel momento stava eseguendo una partitura che aveva trovato per caso tra una pila di vecchi fogli già qualche tempo prima, e anche se le ci era voluto un po’ per memorizzarla ora riusciva ad eseguirla alla perfezione, tenendo gli occhi chiusi per aiutarsi a tenere il tempo e le note.

Lasciandosi guidare dal semplice tocco delle corde giunse al termine del testo, e prima ancora di poter risollevare lo sguardo sentì un singolo batter di mani a coronamento della sua prima, vera esecuzione all’arpa celtica.

«Sei brava.» disse una ragazza pressappoco della sua età, forse di un anno più grande, capelli arancio scuro elegantemente raccolti in una crocchia nobiliare e occhi blu dolci come quelli di una madre. «Io ho preso delle lezioni, ma non sono mai stata capace di suonare come te.»

«In realtà sono ancora solo una principiante.» rispose Izumi un po’ imbarazzata «Devo impegnarmi ancora molto se voglio sperare di raggiungere un livello appena decente».

Si alzò dalla sedia facendosi incontro alla nuova venuta, la quale le porse educatamente la mano.

Era così bello guardarla negli occhi: infondeva sicurezza.

«Mi chiamo Silvye. Silvye Kuznezov. Mi sono appena trasferita.»

«Izumi Asakura. Felice di conoscerti.»

«Un giorno mi piacerebbe suonare con te. Sei davvero brava, anche se non te ne rendi conto.»

«Se pensi davvero che io sia così brava, aspetta di sentire la mia sempai. Lei è molto più in gamba di me».

Neanche a farlo apposta in quel momento Emma entrò nell’aula di musica, e prima ancora di conoscere l’identità della nuova arrivata si accorse subito, solo osservandola, che doveva essere di origini russe.

«Vengo dalla Repubblica dell’Est.» disse Silvye stringendo la mano anche a lei.

Nel momento in cui la toccò Emma avvertì qualcosa di strano, piegando gli occhi in una espressione enigmatica, ma cercò di non darlo a vedere.

«Lo immaginavo.» disse invece «Sai com’è, i russi ormai li riconosco a naso.»

«È stato un piacere fare la vostra conoscenza. E spero che un giorno mi permetterete di entrare a far parte del vostro gruppo musicale.» e detto questo se ne andò, seguita con lo sguardo da Emma

«Qualcosa non và, Emma-sempai?» domandò Izumi notando la sua espressione preoccupata

«Sarà stata solo un’impressione.» tagliò corto lei «Allora? Volevi parlarmi se non sbaglio. Che cosa c’è?».

Izumi tergiversò, guardandosi attorno per diversi secondi.

«Ho riflettuto molto su quello che è successo alle terme, e su quello che ha detto Nagisa.

Lei ha ragione. Per tutto questo tempo non sono stata altro che un peso per lui.»

«Un peso molto piacevole da portare.» ironizzò Emma col suo solito spirito «A giudicare da come ti guarda.»

«Ha rischiato di morire per colpa mia! Per proteggermi! Lo capisci, Emma? Ho dentro di me qualcosa capace di proteggere chiunque mi stia intorno dai vampiri. Io, una persona come tutte le altre, potrei fare esattamente le stesse cose che fa Eric. Potrei proteggere le persone, e proteggere me stessa.

Non è egocentrismo, né ambizione personale. Voglio solo smettere di essere un peso per gli altri, e fare la mia parte».

Emma restò un momento sorpresa. Aveva capito da tempo quanto Izumi fosse audace e caparbia, ma che potesse arrivare a tanto non se lo sarebbe mai aspettato.

«Posso anche essere d’accordo sulla volontà, ma stai trascurando un dettaglio importante. Tu non sei Izanagi, ma solo il suo fodero. Quando si è mai visto un fodero usare l’arma che custodisce? Il tuo compito è solo quello di tenerla buona per evitare che massacri ogni singolo vampiro di questo mondo, ma le tue capacità finiscono qui.

Certo, ti dà indubbiamente delle capacità, come quella di guarire rapidamente da ogni ferita, ma se lo fa è solo per preservarsi. Perché senza di te, lei scomparirebbe.

Non la puoi estrarre. E non la puoi usare».

Di tutta risposta Izumi alzò il palmo destro, e ad Emma cadde la mascella quando vide un alone  bluastro simile a nebbia comparire dal nulla tutto attorno alla mano.

Era poco più di un bagliore, che oltretutto scomparve quasi subito, ma più che sufficiente a lasciare senza parole persino una hunter navigata come lei.

«Ma cosa…»

«Ha iniziato a succedere subito dopo il ritorno dalle terme. È ovvio che ogni volta che qualcuno estrae Izanagi, il suo potere si rafforza, al punto che ormai il mio corpo non riesce più a trattenerlo.»

«Oh, mio Dio.» balbettò la Kretzner, per poi sforzarsi di riacquistare il controllo «E insomma tu che cosa vorresti?».

Di nuovo Izumi temporeggiò, ma quando tornò a fissare Emma i suoi occhi erano pieni di una luce che la sua sempai non le aveva mai visto.

«Insegnami a combattere, Emma-sempai».

Ancora una volta Emma pensò di aver sentito male.

«Scusa, credo di non aver capito bene. Tu… vuoi imparare a combattere?»

«Se è vero che Izanagi diventa sempre più potente man mano che viene usata, allora significa che più imparerò a controllare il suo potere maggiore sarà la forza che potrò sfruttare. Hai detto che mi considera solo uno scudo. Il nostro è un rapporto simbiotico. Finché vivo io, vive anche lei.  Allora, se è così, non esiterà a concedermi i suoi poteri se li userò per difendermi, perché in questo modo difenderò anche lei».

Emma si passò una mano sulla fronte come sconsolata.

«Izumi… tu non sei fatta per combattere.» disse quasi con rassegnazione «Non saresti mai capace di uccidere qualcuno. Non è nella tua natura.»

«Lo hai detto tu stessa. I Livello E di fatto sono già morti. Porre fine alle loro misere esistenze è un atto di gran lunga più umano rispetto al lasciarli vivere.

E in ogni caso, io non ho alcuna intenzione di usare questo potere per uccidere. Io voglio aiutare le persone che ne hanno bisogno. Voglio poter fare la mia parte. Ma privare qualcuno della vita sarà sempre e comunque la soluzione più estrema, non quella preferibile. Se esisterà anche una sola speranza di risolvere uno scontro senza dover privare qualcuno della vita, io non esiterò a correre il rischio».

Emma non riusciva a capire se quella ragazza fosse molto forte, molto testarda o solo molto stupida.

Era evidente che ormai aveva capito che esistevano anche i vampiri pericolosi, eppure una parte di lei sembrava voler cercare a tutti i costi di convincersi che non tutti erano malvagi, e che poteva esistere coesistenza.

Probabilmente Eric si sarebbe tappato le orecchie, ma se lei ci credeva fino a tal punto non c’era motivo per costringerla con la forza a pensare il contrario.

Giratasi, si avviò verso la porta, e per un momento Izumi pensò di aver fallito.

«Avanti.» si sentì invece dire «Vediamo che sai fare».

Izumi trasalì, poi, al settimo cielo, seguì Emma fuori dalla stanza.

 

Yori si sentiva sola da quando Yuki aveva lasciato la scuola.

Aveva provato a convincere sia lei che il direttore che i suoi genitori a far trasferire anche lei in quel collegio dei monti della Francia, ma per un motivo o per l’altro non le era stato possibile seguire l’amica, e stando al risultato della sua domanda di ammissione non le sarebbe stato possibile farlo almeno fino alla fine dell’anno, il che, rapportando i mesi di studio giapponesi con quelli europei, le avrebbe lasciato sì e no qualche mese da spendere in compagnia di Yuki.

Troppo poco per giustificare un simile viaggio, così l’unica scelta era aspettare, nella speranza che concluso quell’anno di studi Yuki tornasse.

Nel frattempo cercava di arrangiarsi come poteva. Si era fatta nominare vicepresidente del comitato studentesco della Day Class, con Kageyama alla presidenza, e passava le sue giornate a mediare i vari problemi che occorrevano talvolta tra gli studenti navigati e i partecipanti al progetto di scambio.

Ormai erano quasi otto mesi che quel progetto andava avanti, e bene o male le cose erano andate sempre bene, ma l’arrivo inaspettato di altre due matricole le aveva scombussolato i piani.

Trovava impossibile che due studentesse, oltretutto straniere, potessero riuscire a mettersi in pari quando mancava meno di un semestre alla conclusione dell’anno.

Da vicepresidente del comitato aveva intenzione di tenere la media, e con essa il prestigio, della sezione diurna il più alta possibile, e con la Kreutzner che ci metteva del suo nell’inanellare votacci uno dietro l’altro non poteva permettersi altri perdigiorno, soprattutto ora che le prestazioni di Asakura si erano un po’ abbassate.

I risultati ottenuti dalle due ragazze agli esami d’ammissione l’avevano tranquillizzata, ma avrebbe aspettato l’esito dei primi compiti per decidere sul serio.

Neanche a farlo apposta, attraversando il giardino diretta verso il dormitorio sole Yori si imbatté casualmente in una delle matricole in questione, Silvye, la ragazza della Repubblica dell’Est. Era rannicchiata a terra a destra di un viottolo, e le dava la schiena, come attratta da qualcosa.

In giro non c’era nessuno, visto che tutte le ragazze si erano già precipitate ai cancelli della Night mentre i maschi erano corsi nel loro dormitorio a masticare imprecazioni.

Incuriosita, si avvicinò.

«Qualcosa non và?» le chiese, salvo poi scoprire che Silvye stava guardando solo una farfalla delicatamente posata sullo stelo di una margherita.

Silvie si girò verso di lei, guardandola amichevole.

«Scusa.» si affrettò a dire Yori «Non volevo disturbare.» poi le cadde l’occhio sulla farfalla.

Aveva le ali di un colore rosso vivo, quasi sanguigno, e nonostante la presenza di due umani non sembrava avere alcuna paura, seguitando a lasciarsi guardare senza quasi muoversi.

«È davvero bellissima.»

«Solitamente, le farfalle sono considerate belle e passionali. Agli occhi dei più sono sinonimo di bellezza, sensualità, sfuggevolezza. È la manifestazione dell’effimero insito in ogni cosa bella. Tutto ciò che è bello, come le ali di una farfalla, non dura.

Sarà anche per questo che, in alcune culture, la farfalla è associata alla morte. Per il popolo Emishi le farfalle erano le anime delle creature che attendevano il momento di nascere, ma nella cultura cinese esse sono in realtà la manifestazione delle anime dei morti».

Silvie si alzò, volgendosi verso Yori, proprio un attimo prima che quella delicata farfalla fosse ghermita e divorata da una mantide religiosa comparsa dal nulla alla base del fiore.

C’era qualcosa di strano, di magnetico, nei suoi occhi, così chiari e allo stesso tempo così misteriosi. Yori si rese ben presto conto di non riuscire ad ignorarli, né, per quanto ci provasse, di non guardarli. Era come se fossero l’unica cosa esistente in tutto l’universo, l’unico elemento del creato degno della sua attenzione.

Così come aveva perso il controllo dei suoi occhi, nello spazio di poco tempo Yori si accorse di aver smarrito anche quello del suo corpo. La cartellina che aveva in mano cadde a terra, inzuppando dell’umidità dell’autunno i fogli che si sparsero tutto attorno, la sua bocca si piegò in una espressione come di stupore, il tutto mentre Silvye si avvicinava lentamente a lei continuando a guardarla.

«La mente umana non è poi così dissimile da una fragile e leggiadra farfalla.» disse carezzandole una guancia «Così meravigliosa, ma allo stesso tempo così fragile ed effimera.» e detto questo avvicinò le sue labbra a quelle della ragazza, sfiorandole leggermente, un tocco appena percettibile e fugace come un bacio rubato ad un’amante fuggevole.

Yori sobbalzò, ma non si lamentò, né cercò di rifuggire quel contatto mai sperimentato.

 

Nello stesso momento, Kageyama procedeva a passo spedito verso il dormitorio luna, con in mano un mazzo di fiori freschi.

Il brutto incidente accaduto alle terme gli bruciava ancora, così come gli bruciava l’essere stato considerato un pervertito guardone dalla sua dolce Ruka.

Voleva farsi perdonare, e per riuscirci aveva dato fondo al suo fondo cassa, pagando oro per poter ottenere il bouquet più sontuoso e sfavillante possibile.

Meditava di andare da lei, porgerglielo e scusarsi, nella speranza che fosse sufficiente per farsi perdonare.

Non avrebbe negato quello che aveva fatto, primo perché sarebbe stato inutile, e secondo perché sapeva di essere nel torto, visto che nessuno lo aveva costretto a sbirciare in quel buco.

Era talmente preso dalla paura di quello che lei avrebbe potuto dirgli o non dirgli che quasi non si accorse di Yori, immobile come una statua a lato del vialetto che stava percorrendo, un po’ nascosta tra gli alberi.

«Yori, che ci fai qui? Pensavo fossi già tornata al dormitorio».

Fece a malapena in tempo ad avvicinarsi, che quando non le era ancora a portata di braccio una seconda figura si palesò da dietro di lei, l’espressione amorevolmente sinistra e le labbra piegate in un sorriso.

Aveva davvero degli occhi bellissimi.

 

 

Nota dell’Autore

Eccomi!^_^

Sono qui!

Sono tornato!

Beh, in effetti è stata un’assenza più breve rispetto all’ultima, ma un’assenza ciò non di meno. Il che significa che devo in ogni caso scusarmi, nella speranza che sia sufficiente.

Allora, che ve ne pare?

Con l’arrivo di queste ultime tre figure abbiamo ormai abbondantemente superato la metà della vicenda, e ci avviamo a grandi passi verso il clou della storia, fatto di eventi pirotecnici, un po’ di sano splatter e tanta, tanta azione.

Ancora per un po’ non accadrà nulla di tutto questo, ma tranquilli, non sarà un’attesa molto lunga.

Ringrazio tutti coloro che seguono questa storia, nella speranza che le lunghe attese non risultino troppo sfibranti.

A presto!^_^

Carlos Olivera

  
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