La
fine delle vacanze invernali era arrivata come ogni
anno troppo presto. Severus non poteva tuttavia lamentarsi, erano state
due
settimane tranquille. Non ci aveva sperato, soprattutto quando durante
il primo
pranzo dalla partenza del grosso degli studenti aveva intercettato le
inconfondibili chiome dei gemelli Weasley tra quelli rimasti al
castello. E
invece aveva potuto rilassarsi e dedicarsi alle sue faccende senza
dover
correre dietro a ragazzini pestiferi. Anche Raptor non gli aveva dato
problemi,
del resto era poco probabile che tentasse qualcosa prima del riinizio
delle
lezioni e il ritorno alla consueta confusione che regnava nella scuola;
ciononostante non gli era sfuggita la frequenza con cui lo sguardo del
professore di difesa cadeva su Hagrid.
Si
appoggiò alla finestra della torre est, e osservò
il
parco sottostante. Perché Silente si ostinasse ad affidare
la sicurezza della
pietra a quel babbeo del guardiacaccia, proprio non lo capiva, ma in
dieci anni
si era abituato alle stranezze del preside. Vide in lontananza le
carrozze che
riportavano gli studenti al castello. Poteva sentire il brusio delle
loro
chiacchere spensierate da quella distanza, o forse era solo la sua
immaginazione.
Chissà
se qualcuno di loro vedeva che cosa trainava le carrozze.
Trasse
un profondo respiro e innalzò le sue barriere
mentali, cercando di respingere i ricordi. Solo la sua
abilità con
l’Occlumanzia gli permetteva di rimanere lucido quando
pensieri scatenati dai
gesti più banali minacciavano di farlo sprofondare nella
spirale del rimorso e
dell’autocommiserazione. Come adesso. Ricordava perfettamente
la prima volta
che li aveva visti, il giorno che era tornato a Hogwarts col ruolo di
professore.
Odiava
i Thestral.
Vide
la folla di ragazzi salire verso il castello, e si
ricompose. Doveva tornare a fare il suo lavoro. E se c’era
una cosa che aveva
imparato presto, prima ancora di diventare professore in effetti, era
che gli
adolescenti sono prevedibili. Ogni studente è
così sicuro di essere speciale,
più furbo degli altri, da essere benedettamente ignaro di
quanto le sue bravate
appaiano monotone a un adulto.
C’erano
delle eccezioni naturalmente. Non poteva certo
dire in tutta coscienza che i due pestiferi gemelli pel di carota non
fossero
riusciti a sorprenderlo una volta o due. Ma alcune cose erano
tristemente
uguali anno dopo anno, e il rientro dalle vacanze era tra queste.
Puntualmente,
qualcuno dei suoi primini giungeva alla brillante conclusione che il
giorno del
rientro era perfetto per introdurre nel castello ogni genere di
articolo
illegale, visto che sicuramente nessuno si sarebbe degnato di
controllarli.
Anni di esperienza gli avevano insegnato che poteva evitare il tedioso
compito
di ispezionare ogni dormitorio scegliendo un solo studente come esempio
per gli
altri. Inutile dire che il fortunato di turno si ritrovava a svuotare
vasi da
notte per un mese, e quel giorno Severus non aveva dubbi sulla stanza
in cui
effettuare il sopralluogo.
Si
diresse verso i sotterranei, senza fretta, per dare
il tempo agli studenti di arrivare e cominciare a sistemare le loro
cose prima
di cena. Quando giunse alla Sala Comune, fu accolto dai ghigni
divertiti dei
due prefetti. Quello di Flint era particolarmente sentito, visto che
quattro
anni prima era stato lui a dover pulire i bagni per una settimana in
seguito al
suo abituale sopralluogo. Senza una parola, si diresse verso uno dei
dormitori
maschili e spalancò la porta.
Alzò
un sopracciglio allo spettacolo che gli si
presentò davanti. Tiger e Goyle non avevano perso tempo per
iniziare a
ingozzarsi: alzarono lo sguardo su di lui con le guance gonfie e la
bocca
sporca di cioccolato. Draco saltò come lo vide e si
spostò per nascondere
qualcosa alla sua vista, con un’espressione di colpevolezza
talmente evidente
che Piton si chiese se i suoi antenati non stessero vomitando nelle
loro tombe
sontuose.
«Voi
due. Fuori» comandò imperioso, rivolto verso Tiger
e Goyle. I due esitarono un secondo, voltandosi a guardare Malfoy come
per
chiedere conferma, afferrarono due scatole di cioccorane dal letto e
uscirono.
Severus li osservò con la coda dell’occhio, e
quando la porta si fu chiusa alle
loro spalle sorrise.
«Allora,
Draco, stavi sistemando le tue cose?» domandò
mellifluo. Come previsto, gli occhi dell’undicenne guizzarono
verso il baule che
stava maldestramente cercando di nascondere.
Severus
fece un passo verso di lui. «Sono venuto per
assicurarmi che sia tutto in regola. Che ne dici di semplificarmi il
lavoro?
C’è qualcosa nel tuo baule che non dovrebbe
esserci?»
Il
ragazzino lo squadrò nervoso, ma poi sembrò
ricomporsi. Mise su una facciata arrogante e rispose calmo:
«No, signore».
Il
pozionista lo scrutò, diviso tra il sollievo nel
vedere che un minimo di capacità recitativa la possedeva e
il desiderio di
levargli quell’aria di sfida con una fattura. Resistette
all’impulso di
massaggiarsi le tempie. Aveva sempre saputo che il figlio di Lucius si
sarebbe
rivelato una piaga.
«Ti
avviso, Draco, se dovessi trovare qualcosa, anche
solo una caccabomba, per ogni minuto di tempo che ho sprecato nella
ricerca
sconterai una settimana in più di punizione». Come
previsto, l’aria sicura di
Malfoy vacillò. «Allora Draco? Devo mettermi a
cercare?»
Non
c’era bisogno di ricorrere alla Legimanzia, i
pensieri del ragazzo erano scritti nel suo viso appuntito e nelle
guance
insolitamente rosa. «Non c’è niente,
signore» disse ciononostante, con appena
un accenno di insicurezza nella voce. Scelta poco saggia.
Lentamente,
con gli occhi fissi sul ragazzino per
godersi al meglio la sua reazione, Severus sollevò la
bacchetta e disse
chiaramente: «Accio scopa di Malfoy». Il ragazzo
sbiancò completamente, e quando
una Nimbus sbucò da dietro il baule per andare a finire
nelle mani del
professore sembrò sul punto di farsela addosso.
«Fin
troppo prevedibile» commentò Severus con un ghigno
soddisfatto. «Direi che una settimana di punizione sia
d’obbligo. Tu che ne
pensi, signor Malfoy?»
«NO!»
strillò Draco, con grande sorpresa del
pozionista.
«Come
scusa?» sibilò minacciosamente Piton. Voleva
dargli l’opportunità di ritrattare, ma il
ragazzino sembrava fuori di sé.
«No,
no, non è giusto! Quella è la mia scopa e io ho
il
diritto di portarla qua. Non m’importa cosa dice il preside!
E lei, lei
dovrebbe essere d’accordo. Voglio dire, dovrei essere io! E
invece ha fatto
entrare in squadra quel francese! E lui può fare tutto, non
è vero? Le regole
non valgono per lui. No, lui è bravo a Quidditch, bravo in
pozioni, bravo in
tutto e nessuno sembra ricordare che lui è un pezzente e io
sono un Malfoy!
Sono un Malfoy e un Black, dovrei essere io a giocare nella squadra,
dovrei
avere il diritto di usare la mia scopa ogni volta che voglio. Io, non
lui!»
Il
pozionista ascoltò il piagnisteo con un sopracciglio
alzato, ma lo lasciò sfogare, chiedendosi se fosse normale
essere così
incoerenti a undici anni. Merlino, odiava insegnare. E come avesse
potuto
Lucius viziare in quel modo il figlio, Severus proprio non lo
concepiva.
Come
il marmocchio si fermò per riprendere fiato, Piton
decise di intervenire prima che ricominciasse. Voleva finire in fretta,
così
non avrebbe perso la cena e avrebbe anche avuto il tempo di passare per
il suo
studio per rilassarsi prima di scendere in Sala Grande.
«Finiscila con questa
scenata, Draco. Dovresti vergognarti di te stesso, i tuoi genitori
sarebbero
orripilati se ti vedessero adesso. Quanto a Montblanc, è
stata fatta
un’eccezione perché la squadra aveva disperato
bisogno di un valido cercatore.
Dovresti essere contento per la tua casa che Henri sia così
bravo. Questo non
fa certamente di lui un privilegiato, te lo posso assicurare».
Il
ragazzo, sembrò ricomporsi sentendo le sue parole,
ma dopo l’ultima frase i suoi lineamenti si distorsero in una
smorfia di
derisione. «Si certo, come no. A lui gli fate passare
tutto».
«Non
fare il bambino, sai che non è vero».
«Si
invece» sbottò Draco «Lei sta qua a
farmi una
predica solo perché ho portato il mio manico di scopa, come
se fosse chissà che
crimine, e nessuno dice niente a Montblanc che dall’inizio
dell’anno tiene un
serpente di un metro nel dormitorio! È assolutamente
ingiusto!»
Continuò
a blaterare, ma Piton non stava più
ascoltando. Montblanc. Un serpente. Di un metro. Una volta nel suo
ufficio
avrebbe avuto bisogno di una burrobirra, altroché.
«A
Montblanc ci penserò io» disse, interrompendo la
sequela di recriminazioni del giovane Malfoy. «Ma
ciò non cambia il fatto che
sei in punizione. E spero che sia l’ultima volta per
quest’anno. Ricordati che
il cognome che porti con tanto orgoglio comporta anche dei doveri, tra
cui il
mantenere un certo contegno, e non frignare come un moccioso di quattro
anni
per una scopa da corsa. Falla sparire entro domani mattina».
Senza aspettare la
replica, uscì dalla stanza e girò a destra, verso
l’altro dormitorio, seccato
dal fatto che rischiava di perdere la cena.
Entrò
nella stanza e fu lieto di vedere che Montblanc
era da solo. Evidentemente gli altri erano già scesi.
«Voleva
qualcosa signore? Stavo per scendere per il
banchetto» disse il ragazzo. Severus osservò la
sua posa, così diversa da
quella di Malfoy. Il ragazzo era tranquillo, eppure Piton poteva vedere
che si
stava chiedendo il motivo della visita e stava elaborando delle
ipotesi. Se
anche sospettava che fosse per il serpente, non mostrò segni
di nervosismo.
Non
aveva ancora deciso se gli piaceva Montblanc. Era
un vero prodigio e aveva senza alcun dubbio un brillante futuro davanti
a sé,
eppure nonostante l’indifferenza che mostrava, Piton non si
lasciava ingannare.
Il ragazzo era tutto fuorché modesto, e aveva fin troppa
faccia tosta, ma se
credeva di poter fare quello che voleva si sbagliava di grosso.
«Signor
Montblanc, per caso ha ancora la sua lettera di ammissione a
Hogwarts?»
Per
un istante, vide qualcosa negli occhi del
ragazzino. Confusione, sorpresa, paura. Durò un secondo, ma
il pozionista ne
rimase affascinato. Era la prima volta che coglieva
un’esitazione simile nel
ragazzo. Non si era aspettato questa reazione, evidentemente Montblanc
aveva
intuito dove voleva andare a parare. Encomiabile, davvero.
«Mi
scusi signore?» domandò Henri, come per prendere
tempo.
«La
lettera. Tirala fuori» ordinò Piton.
Con
espressione indecifrabile, il ragazzo gli diede le
spalle e prese a frugare nel suo baule. Severus approfittò
della sua
distrazione per osservare la stanza. Individuò subito quello
che cercava. Il
letto di Montblanc era sulla sinistra; davanti a lui, sul letto destro
del
letto, il ragazzo stava cercando nel baule, abbastanza lentamente da
fargli
pensare che stesse cercando di elaborare un piano. Il professore si
spostò
leggermente a sinistra, in modo da avere la visuale
dell’altro lato del
baldacchino, e scorse una teca di vetro che spuntava da sotto le
lenzuola.
Montblanc finalmente si risollevò. Gli porse la lettera, ma
Piton non la prese.
Invece, sussurrò perentorio: «Leggila».
Henri
la riavvicinò a sé, e dopo avergli lanciato uno
sguardo incerto cominciò a leggere il messaggio della
vicepreside. Come ebbe
finito rialzò gli occhi su di lui, in attesa.
«Continua» ordinò Severus.
Perplesso,
il ragazzo lesse ad alta voce l’elenco dei
libri, interrompendosi di tanto in tanto per guardarlo, la confusione
evidente
nel suo viso. «Un telescopio. Una bilancia in ottone. Gli
allievi possono
portare anche un gufo, oppure un gatto, oppure un rospo. Oh»
esclamò
bloccandosi.
Severus
osservò con leggero divertimento la nuova gamma
di emozioni che passò per gli occhi del ragazzo.
Comprensione. Sollievo (ma
perché sollievo?), e nervosismo.
«Allora,
Montblanc? Mi sembra che la lettera sia
chiara. L’hai riletta tutta. Per caso hai trovato menzione
alla possibilità di
introdurre pericolosi serpenti nei dormitori?»
Il
ragazzo lo guardò con aria colpevole. «No,
signore»
disse, spostandosi con aria casuale e andando a frapporsi tra il
professore e
la teca. «Ma lasci che le spieghi. Zar non è
pericoloso. Lui…»
«Non
voglio sentire spiegazioni. Congratulazione, sei
nuovamente in punizione. Ora dammi il serpente».
«NO!»
urlò il ragazzo non appena Piton si sporse per
prendere il terrario.
Due
volte in un giorno. Questo non era mai successo.
Forse stava invecchiando. «Che cosa hai detto?»
sibilò.
«Zar
è mio amico, e non è affatto pericoloso! E poi
questa regola non la rispetta nessuno, in stazione c’era un
grifondoro con una
tarantola appresso!»
«Montblanc,
per oggi ho raggiunto la quota di
piagnistei che posso sopportare. Non m’interessa se pensi che
un serpente possa
essere un tenero animaletto da compagnia. Non puoi tenerlo. Ora fatti
da
parte». Allontanò il ragazzo con un gesto brusco,
senza tuttavia fargli male, e
sollevò la gabbia del serpente, che come aveva detto Malfoy
doveva essere lungo
quasi un metro.
Fu
un attimo. Si voltò per uscire, e quasi non si
accorse che il vetro della teca era scomparso. Il serpente si
lanciò verso il
suo collo, pronto ad azzannarlo, e Piton cercò di prendere
la bacchetta,
consapevole che non avrebbe mai fatto in tempo…. E poi il
serpente si fermò e
si ritirò, voltandosi verso Henri che stava…
No.
No.
Non era possibile. Sentì Montblanc sibilare, vide
il serpente strisciare verso di lui e salirgli sulle spalle. Vide Henri
accarezzare il rettile, proprio come…
No.
Guardò
il ragazzo in viso, quasi aspettandosi di vedere
i suoi lineamenti cambiare, i suoi occhi diventare ardenti e rossi. Ma
gli
occhi di Henri erano verdi come al solito. Verdi. Verdissimi.
Le
sue gambe cedettero. Si sedette sul letto. Vide il serpente
scendere dalle spalle del ragazzo, sentì lo sguardo di Henri
su di sé, ma non
gli prestò attenzione. Tenne i suoi occhi piantati sul
pavimento, persi nella
contemplazione di cose distanti.
Sciocco,
sciocco Severus,
spaventato da qualche sibilo emesso da un
undicenne.
Stupido,
stupido cuore,
che perde un battito ogni volta che si
trova davanti a un paio di banalissimi occhi verdi. No, non banali.
Verde
acceso, brillante, come il più mortale dei veleni, come la
maledizione che
tolse la luce a due paia di occhi molto simili.
No.
Ringraziando
l’esistenza dell’Occlumanzia, si
concentrò
sulle sue difese, respingendo quei pensieri deliranti. Dopo aver
ripreso
controllo di sé, un’altra emozione lo invase.
Furia.
Quel
ragazzino. Quel marmocchio col moccio al naso aveva osato….
Si
alzò di scatto e con soddisfazione vide Montblanc
arretrare. C’era paura adesso negli occhi del ragazzo.
«Sarai espulso per
questo» sibilò Piton.
«No,
non sono stato io!» strillò il ragazzo
«Non so
come sia successo, il vetro è semplicemente
scomparso!»
«Semplicemente
scomparso?» ripeté il pozionista,
furioso come non mai. Afferrò il braccio del ragazzo e lo
tirò a sé, piantando
gli occhi dentro i suoi, incurante dei suoi disperati tentativi di
liberarsi.
Entrò nella mente del ragazzo, spazzando via le sue deboli
barriere. Registrò
distrattamente che Henri sembrava sapere esattamente cosa stava
facendo, ma ci
avrebbe pensato più tardi. Le emozioni del primino non lo
stupirono, gliele
aveva lette in faccia pochi istanti prima. Non ebbe molta
difficoltà a trovare
quello che stava cercando, il ricordo era ancora fresco.
Vide
sé stesso afferrare il terrario. Vide il serpente uscire.
Sentì la sorpresa di
Montblanc e le parole che aveva urlato: “No Zar,
fermati”. Sentì il sollievo
del ragazzo quando il rettile ubbidì, la preoccupazione per
lui, Piton, pallido
e sconvolto. Sentì Montblanc mormorare: ”il vetro.
Cosa diavolo è successo al
vetro?”. Poi
però un’ondata di magia potentissima lo
scagliò
lontano dall’undicenne, mandandolo a finire contro la parete
e interrompendo il
contatto visivo.
«STIA
FUORI DALLA MIA TESTA!» urlò Henri, pallido e
spaventato.
Severus
si rialzò in piedi. Notò che il ragazzo aveva
la bacchetta puntata contro di lui, la stessa bacchetta che prima stava
sul
comodino. Non era stato Montblanc a far sparire il vetro. Ma allora
come?
«Metti giù la bacchetta»
sussurrò.
«Lei
non aveva il diritto» urlò Henri, senza dargli
ascolto.
«Avevo
tutto il diritto!» gridò Piton, sentendo la
rabbia montare nuovamente. «Il tuo serpente mi ha aggredito,
e tu non hai idea
del guaio in cui ti trovi. Abbassa la bacchetta ora,
e ci sarà ancora una possibilità per te
di restare in questa
scuola».
Per
un’istante, credette che il ragazzo avrebbe osato
lanciargli contro un incantesimo, ma poi parve calmarsi e tornare a
ragionare.
Abbassò la bacchetta, e Severus tirò mentalmente
un respiro di sollievo. Le
cose erano decisamente degenerate. Si sentiva indolenzito nel punto
dove aveva
sbattuto, e si accorse con una fitta di rimorso che si stavano formando
dei
lividi sul polso di Henri. «Fai scendere il serpente
lì» disse con calma, visto
che il dannato rettile era tornato ad acciambellarsi attorno alle
spalle del
ragazzo.
«Non
provi a fargli del male» sussurrò Henri,
supplicante.
Si
trattenne dal sbuffare. «Montblanc, il tuo
animaletto per poco non mi azzannava» gli fece notare.
«Solo
perché lei lo stava portando via»
replicò il
ragazzo. «L’ha percepita come un nemico».
«Sentimento
ricambiato. Non ho intenzione di
avvicinarmi finché quel coso sarà a piede
libero» prese il terrario e lo
riparò, poi si rivolse verso Henri «Fallo entrare
prima che la mia pazienza si
esaurisca. Non gli farò del male, per ora».
Il
ragazzo esitò, ma infine prese il serpente con
delicatezza e lo appoggiò al suolo. Sibilò
qualcosa e l’animale entrò nel
terrario. Henri si risollevò in piedi, in attesa.
«I
tuoi compagni sanno che sei rettilofono?» chiese
Severus dopo qualche minuto di silenzio carico di tensione.
«No,
non lo sa nessuno».
«Saprai
di certo che è una dote molto rara. Serpeverde
era un rettilofono».
Il
ragazzo scrollò le spalle. «Non era
l’unico grande
mago con questo dono» si lasciò sfuggire, prima di
mordersi le labbra, pentito.
Di
nuovo arrabbiato, Piton chiese, sarcastico: «Ah si?
E chi per esempio?» sfidandolo a rispondergli, a pronunciare
quel nome….
«Merlino».
Lo
aveva sussurrato a voce così bassa che per un
secondo Severus pensò di esserselo immaginato. Di sicuro non
era la risposta che
si era aspettato. «Dove hai sentito che Merlino fosse un
rettilofono?» chiese,
stupito.
«Io…
l’ho letto in un libro».
«Una
lettura sicuramente interessante» commentò
ironico.
«E la tua abilità da dove viene?»
«A
quanto ne so, avevo un antenato rettilofono. Ho
preso da lui. Non tutti i rettilofoni erano maghi celebri come
Serpeverde o
Merlino».
Severus
annuì, pensieroso. Poteva essere la verità? Non
sapeva molto sull’argomento, ma era una spiegazione
plausibile. Si chiese però
se Montblanc avesse percepito il nome che aleggiava nell’aria
dall’inizio della
conversazione, se avesse dedotto quali pensieri gli erano passati nella
mente.
Ipotesi assurde, fantasiose. Terribili. Scosse il capo. Si chiese se
dovesse
parlarne con Albus. Sicuramente il preside avrebbe voluto sapere che
c’era un
altro rettilofono in Gran Bretagna. Guardò il ragazzo. Uno
dei suoi serpeverde,
che aveva il compito di proteggere. A Silente non sarebbe piaciuto
scoprire
dell’abilità di Montblanc, soprattutto se avesse
saputo del suo interesse per
il terzo piano. Si chiese se anche Albus avrebbe avuto il suo stesso
pensiero.
Non era come se non ci fossero donne abbastanza fanatiche per fare una
cosa del
genere, bastava pensare a Bellatrix. Ma il Signore Oscuro non aveva
certo alcun
interesse a riempire l’Europa di suoi bastardi, e non era il
tipo che indugiava
in certi… passatempi. Il solo pensiero lo riempì
di disgusto. No, probabilmente
stava solo diventando paranoico, e Montblanc aveva detto la
verità e la
spiegazione per il suo dono era davvero così semplice,
così scontata. E se lo
avesse detto ad Albus, sarebbe venuto meno ai suoi doveri di capocasa
per
niente. No, non avrebbe parlato con il preside, non prima di aver
indagato
sulla faccenda.
«Non
puoi tenere il serpente».
Henri
si tese nuovamente e parve sul punto di
rimettersi a urlare, ma poi sembrò calmarsi. Di nuovo, Piton
si chiese se il
ragazzo non stesse già studiando per diventare un
occlumante. «Non è pericoloso,
posso parlargli, posso controllarlo» disse il ragazzo.
«Ci
sono comunque delle regole…»
«Ma
io ci parlo! Zar è mio amico, il mio confidente,
non un semplice famiglio. Non le permetterò di portarlo
via».
Severus
guardò l’animale, acciambellato a terra e
apparentemente tranquillo. Con un sospiro, chiese: «Quanto
diventerà grande?»
«Sei
metri credo. Forse un po’ di più».
La
risposta sincera lo stupì, ma si ricompose subito.
Aveva già notato che Henri era uno diretto, e aveva il
potere di spiazzare il
pozionista, abituato com’era a districarsi tra le sottili
allusioni e i giochi
di mezze verità tipici dei serpeverde. Non che Montblanc
mancasse di
sottigliezza. Sembrava usare sincerità come tattica e
sorprendentemente,
funzionava.
«Ti
renderai conto che non potrai tenerlo, sarà più
lungo del tuo letto».
«Non
crescerà mica stanotte! Quando succederà
troverò
un’altra soluzione, ma per ora non creerà
problemi, glielo prometto».
«Molto
bene» cedette Severus. «Ma non dovranno esserci
incidenti, e voglio che tu tenga la tua abilità segreta. Lo
dico per te»
aggiunse, guardandolo dritto negli occhi «Rischi di attirare
attenzione
indesiderata».
Il
ragazzo annuì, e il volto gli si distese in un mezzo
sorriso.
Distrutto,
Severus lasciò il dormitorio. Gli parve di
udire un «grazie» esalato dal ragazzo, ma non se ne
curò. Al diavolo la cena e
la burrobirra! Quella sera aveva bisogno di un FireWhisky.
Non
appena Piton ebbe lasciato la stanza, Harry si
buttò sul letto e prese a sbattere la testa contro il
cuscino.
Stupido.
Stupido. Stupido.
Ma
come aveva fatto Piton a scoprire Zar? Probabilmente
i suoi compagni di dormitorio avevano fatto la spia. Nott, o magari
Zabini. Ma
non aveva importanza ora. Poteva prendersela solo con se stesso,
avrebbe dovuto
gestire meglio la situazione. Aveva fatto il nome di Merlino! Stupido,
stupidissimo. Come se non fosse abbastanza grave che Piton avesse
scoperto che
era rettilofono! E lui gli aveva quasi detto da dove veniva il dono.
Avrebbe
scoperto la verità? Sarebbe stato in grado di risalire nei
secoli fino ai fasti
della famiglia Montblanc, e da lì scoprire del suo famoso
antenato? Lavr c’era
riuscito, ma lui aveva risorse di cui il pozionista sicuramente non
disponeva.
E il segreto più importante, quello era al sicuro. Non
c’era verso che Piton
scoprisse il collegamento tra i Montblanc e Lily Evans.
E
che importanza aveva in fondo se anche Silente in
persona avesse scoperto che discendeva da Merlino? Non era una cosa che
doveva
nascondere per forza. Aveva scelto il cognome Montblanc proprio per
rivendicare
il suo lignaggio, dopotutto.
Rincuorato,
si sollevò a sedere. Rimaneva ancora una
questione da chiarire. Aprì il terrario, e lasciò
che Zar si sistemasse sul
letto.
"Zar, cosa è successo
prima?" chiese accarezzando la
testa del serpente.
"Non
permetterò a nessuno di portarmi
via dal padroncino" replicò l’animale,
sollevandosi alla sua altezza.
Harry
si lasciò sfuggire un sorriso. "Beh, è
commovente sapere che ci tieni a me, soprattutto considerato che ogni
volta che
parliamo mi tratti come un idiota." Sospirò. "Vorrei solo capire come hai
fatto ad uscire dal terrario. Devo aver fatto una magia accidentale, ma
come è
possibile che non me ne sia reso conto?"
"Il
padroncino avrebbe dovuto liberarmi
quando l’uomo ha minacciato di portarmi via. Visto che il
padroncino non è stato abbastanza
sveglio, ci ho pensato da solo".
"Pensato
da solo? Che intendi dire?"
domandò il ragazzo, smettendo di accarezzarlo.
"Ho tolto il vetro"
"Perché pensi che non possa?" lo derise il serpente.
Harry non rispose. Ci doveva essere un’altra spiegazione. Aveva letto diversi libri sui serpenti magici. Venivano chiamati così perché erano più intelligenti di quelli comuni, e alcuni avevano delle capacità particolari. Sapeva per esempio che il veleno degli Agares come Zar aveva le stesse proprietà di quello del basilisco. Ma fare delle vere e proprie magie?
"Il
padroncino sembra sorpreso".
"I serpenti
non possono… voglio dire, come
fai ad usare la magia?"
"Il padroncino come fa?" rigirò
la domanda il
rettile.
A
Harry venne da rispondere che ovviamente lui era un
mago, ma si bloccò, capendo cosa gli stesse realmente
chiedendo il suo
famiglio. Se gli umani, gli elfi, i goblin potevano usare la magia,
perché lo
scioccava tanto l’idea che anche Zar potesse? Merlino sapeva
che l’intelligenza
non gli mancava. Eppure…D’un tratto si
ricordò lette diverse anni
prima.
Alcuni
testi greci e romani riportano la teoria che i demoni siano la sorgente
stessa
della magia… Se questo sia stato progettato volontariamente
è opinabile.
Considerata la natura di questi esseri, è probabile che la
loro magia si sia
riversata sul mondo spontaneamente, senza che uno di essi abbia
consciamente
deciso di donarla ai mortali.
Quando
era arrivato a Hogwarts era rimasto sorpreso
nello scoprire di essere più potente dei suoi compagni. Le
difficoltà incontrate dagli altri studenti
nell’eseguire magie che a lui
apparivano facili lo avevano lasciato attonito. Era innegabilmente
migliore di loro, ma non si mai chiesto da dove venisse il suo potere.
Dopotutto, era il
discendente di Merlino, e l’unico a essere mai sopravvissuto
all’Anatema
mortale; ma ora si chiese se non ci fosse dell’altro, se
sarebbe stato così
potente se Lavr non lo avesse mai salvato dai Dursley. L’idea
lo metteva a
disagio. Si sentiva quasi un parassita.
Si
riscosse da quei pensieri. Era solo un’ipotesi in
fondo, e se anche fosse stato vero, non cambiava quello che era, non
sminuiva
le sue capacità.
“Si,
invece” disse
una vocina dentro di lui “perché
significherebbe che quella che credevi la tua essenza è solo
frutto del caso”
"E' per via
di Lavr?" sussurrò il ragazzo,
sapendo la risposta eppure sperando con tutto se stesso di sbagliarsi.
"Il Dio emana potere".
Non
era una negazione, ma nemmeno una conferma
esplicita. Harry sospirò. Avrebbe affrontato il discorso con
Lavr quando lo
avrebbe rivisto, e nel frattempo avrebbe evitato di rimuginare sulla
faccenda.
"Aspetta un secondo"
realizzò ad un tratto. "Hai
usato altre volte la magia per uscire dal terrario?"
Il serpente ridacchiò.
«Oh
Grindewald!»
esclamò Harry, lasciandosi nuovamente
cadere sul letto e coprendosi il viso con le mani. "E se ti vedessero?"
"Ma non mi dire" commentò il ragazzo, sarcastico "Avrei dovuto lasciare che ti portassero via. Visto che dici che sono il tuo padroncino, non dovresti obbedirmi?"
Zar sembrò pensarci su. "No. Obbedirò al padroncino quando lui sarà degno".
"Come pensavo" si
rassegnò il ragazzo.
Guardò l’ora. La cena stava quasi per finire. Si
chiese se visto che era tardi
per andare a mangiare non fosse il caso di approfittare
dell’assenza dei suoi
compagni per vendicarsi della soffiata a Piton, ma dismise
l’idea. Non era
certo che Zabini o Nott avessero fatto la spia. Guardando la stanza
vuota, però
si accorse che c’era qualcosa per terra. Si
avvicinò. Era l’agenda di Philippe,
probabilmente era caduta durante il confronto con Piton. La raccolse e
fece per
rimetterla nella borsa del compagno, ma la curiosità lo
trattenne. Aveva notato
che Philippe teneva l’agenda sempre con se, e spesso la
consultava con fare
furtivo.
Sentendosi leggermente in colpa, l’aprì. Le pagine erano bianche, ad eccezione di alcune colorate di rosso. Harry le sfogliò, chiedendosi il significato. Sembrava esserci una pagina colorata per ogni mese. Con la fronte aggrottata, rimise l’agenda al suo posto.
Nota
importante: Harry non sa che Voldemort era rettilofono. Nei libri si
vede chiaramente che sono poche le informazioni sul signore oscuro note
al grande pubblico, per così dire. Penso che solo la cerchia
più stretta dei mangiamorte ne fosse a conoscenza, oltre
naturalmente a Silente e alcuni membri dell'ordine. Veles lo sa,
e in uno dei primi capitoli l'ha detto a Lavr, ma il demone
non ha mai sentito l'esigenza di riferirlo a Harry, perché
pensa che non abbia niente a che fare con lui e non gli ha mai parlato
molto di Voldemort. Penso fosse importante chiarirlo, soprattutto per
il futuro :) Alla prossima.