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Autore: Codivilla    11/10/2013    9 recensioni
Si dice che non sempre nella vita sia tutto rose e fiori.
Per Mya Mercer, giovane e unica figlia di Anthony Mercer, pare proprio che invece sia così. Bella, intelligente e ricca grazie alla società di proprietà della sua famiglia, la Mercer Pharma Inc., vive nel lusso dorato della New York benestante. Talentuosa musicista e cantante, allieva modello alla Juilliard School, la sua unica preoccupazione è l'esibirsi sempre al meglio alle serate di gala organizzate da suo padre. Legato sentimentalmente a lei, c'è William Spencer, facoltoso imprenditore londinese e maggior finanziatore della società stessa. Integerrimo e compìto come solo un Inglese sa essere, dotato di un innato charme e savoir fare, è d'altro canto ambizioso per natura e stacanovista sul lavoro, tanto da trascurare spesso tutto il resto, Mya compresa.
Tutto nelle loro vite sembra cambiare, in un battito di ciglia, quando una improvvisa tragedia farà da entr'acte ad una serie di inaspettate scoperte.
«Mya aveva tutto quello che una donna potesse desiderare: bellezza, talento, e l'amore incondizionato di un uomo che la chiamava 'Mimì' con la raffinatezza degna di un principe delle fiabe».
Genere: Drammatico, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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II - Minuet à deux

Il Minuetto di corte veniva danzato, solitamente, da una sola coppia.
Cominciava con una riverenza e proseguiva con una serie
di figure, composte da piccoli passi.

 



Molti mesi prima
 
Lo scrosciare cristallino dell’acqua corrente di rubinetto era il modo migliore per svegliarsi definitivamente. Fresca e chiara, passata più volte sul viso, nel tentativo di attenuare i segni marcati di una notte decisamente priva di sonno. William si fregò il volto con l’asciugamano, tamponando le gocce che scorrevano lente, intorpidite come lui stesso si sentiva. L’enorme specchio, che troneggiava sul lavabo nero del bagno in stile moderno, gli restituì un’immagine che oramai conosceva fin troppo bene. Un’occhiata più attenta a quel limpido riflesso fece sì che si bloccasse improvvisamente, come preso in contropiede, quando si accorse che dietro le sue spalle, sulla quella superficie liscia, si disegnava la figura di Mya. Appoggiata allo stipite della porta. Completamente nuda, a parte che per un paio di mutandine di pizzo nero semitrasparente. Quasi si stupì che avesse potuto indossarle di nuovo. Ricordava nettamente di avergliele praticamente strappate di dosso, appena poche ore prima. Le sorrise guardandola negli occhi attraverso il riflesso dello specchio.
«Posso considerarmi… perdonato?»
La ragazza sospirò incrociando le braccia davanti al seno nudo. Rimase in silenzio per un lungo attimo durante il quale squadrò l’immagine del suo uomo. Alla soglia dei quarant’anni, l’aspetto fisico di William Spencer gli rendeva finanche troppa giustizia, facendolo apparire più giovane di quanto in realtà non fosse. Alto e slanciato, imperioso nei suoi quasi due metri di altezza, manteneva il fisico asciutto di quando era ragazzo. Niente muscoli più di quelli che fossero strettamente necessari. Quasi miracolosamente, non mostrava il minimo segno di cedimento, nemmeno quel filo di pancia che a un uomo della sua età nessuno avrebbe mai negato.
«Oh, Will. Finirà come sempre. Ti perdonerò adesso e fra due giorni litigheremo di nuovo».
Mosse qualche passo in avanti. Gli occhi verde scuro di William, attraverso lo specchio, guizzarono di un lampo malizioso sotto le folte sopracciglia che gli conferivano un’aria fin troppo seria e composta, insieme ai tratti decisi e squadrati del volto.
«Litigherei altre mille volte solo per poter fare pace come ieri sera, Mimì».
Un ampio sorriso si distese sulle labbra rosse di Mya, a quelle parole. Appariva raffinato, forse senza neanche sforzarsi, perfino quando azzardava qualche eccitante provocazione, velata o meno che fosse. Un grosso contributo veniva, probabilmente, dal suo accento marcatamente britannico, mai contaminato in maniera alcuna, nonostante i tanti anni passati dall’altra parte dell’Atlantico. La ragazza azzerò la distanza che li separava, circondandogli il torace con le braccia, premendo i seni sulla sua schiena e posando il capo sulle sue spalle, quasi cercando rifugio dietro quella imponente figura. Sotto i suoi polpastrelli percepiva il freddo del suo corpo. Aveva la carnagione chiara tipica di un nord-europeo, talmente delicata da costringerlo, quando andavano al mare, a cospargersi di crema solare per non ustionarsi. Eppure, ogni volta che facevano l’amore, quel candore marmoreo pareva ardere come fuoco sopito per troppo tempo sotto la cenere. Ogni volta, questo cambiamento la stupiva e la eccitava. Solo in quei momenti lui pareva perdere, almeno in parte, quella compostezza tipicamente britannica che lo contraddistingueva.
«A dirla tutta, non credo di essere già pronta a firmare il trattato di pace, stavolta» mormorò la ragazza, in un soffio sul suo collo. Una ben nota sensazione d’irrequietezza si fece spazio nell’animo di William. Si voltò, traendola a sé con fare possessivo. I parecchi centimetri di differenza fra le loro altezze lo costrinsero a chinare il capo sul suo collo per poterlo sfiorare con un bacio.
«Farò tardi».
«Per una volta, non morirà nessuno».
Mya aveva ancora addosso il sapore della notte, sulla pelle leggermente salata. Profumava di passione e voluttà. Si dava a lui ogni volta anima e corpo e sembrava non stancarsi mai del suo amore. Quindici anni li separavano nelle date di nascita all’anagrafe, ma lui pareva non accusarli affatto, né sentirsi a disagio per questo. Fresca e giovane, senza veli appositamente per provocarlo, era il sogno di ogni uomo. E la tensione che percepiva all’altezza dell’inguine, sotto la stoffa leggera dei pantaloni del pigiama, unico indumento che aveva indosso, era per William come un vero campanello d’allarme. Quando lei catturò le sue labbra, chiedendo un bacio che non aveva nulla di casto, fece una enorme fatica nel riuscire a contenersi e a porvi fine.
«Devo andare. Questa sera, promesso».
Le sorrise, accarezzandole una guancia, per poi dirigersi velocemente fuori dal bagno. La ragazza lo osservò allontanarsi. Sbuffò increspando le labbra. Strinse il bordo del lavabo fra le mani, puntando con forza sulle braccia e incassando la testa dentro le spalle. Respirò profondamente. Quando rialzò lo sguardo, un paio di occhi chiari, azzurri come il mare la osservarono di rimando.
«Questa sera. Certo».
Distese lentamente i tratti del volto, rilassandosi e tornando in camera. William armeggiava nello spogliatoio adiacente, preparandosi per la giornata. Mya sapeva già che il suo aspetto sarebbe stato impeccabile. Come sempre.
Gettò un’occhiata al letto disfatto, spostando poi lo sguardo al comodino, sul quale era posato un CD accanto ad un’unica, singola rosa bianca. Prese il CD e lo fece scivolare nel lettore dell’impianto stereo. I Guns N’ Roses ruppero il silenzio della stanza da letto. Sulle note di “Paradise City”, appena poche ore prima, era stata lei a raggiungere il paradiso.
Si lasciò cadere sul letto ed accostò la rosa alle narici, aspirandone il dolce profumo.
Sì. William sapeva decisamente come farsi perdonare.
 
*** 
 
«Mi chiedo come diamine fai ogni volta ad evitare che ti prenda a calci in culo. Io lo farei, e mi divertirei pure!»
William sorrise, armeggiando col volante della sua Porsche con estrema disinvoltura. Manovrava con una sola mano mentre con l’altra teneva accostato all’orecchio il cellulare.
«Ho i miei assi nella manica, e non li rivelerò certo a te. Piuttosto, non dimenticarti di domani».
«Tranquillo. Ti ho mai dato modo di dubitare di me?»
«A dire il vero no».
Parcheggiò agevolmente nel suo posto macchina riservato, proprio davanti all’ingresso del palazzo degli uffici della Mercer Pharma Incorporated, fra una Mercedes e una Lamborghini.
«Esatto. Sei il tipico esempio di ossessivo-compulsivo, quando si tratta di lavoro, Will. Dammi tregua, ogni tanto».
«Fai le cose per bene, Mike, solo questo».
Nel tono rilassato dell’Inglese spiccava una punta di estrema serietà.
«Ti ripeto. Non devi preoccuparti».
In realtà William sapeva bene di poter dormire tra due guanciali, quando si trattava di Mike. Tuttavia voleva sentirselo dire, ogni volta. E come per tutte le volte, quando ebbe chiuso la telefonata, seppe di potersi concentrare sulla propria giornata in tranquillità. Scese dalla macchina, avviandosi verso l’interno della costruzione.
Il palazzo in cui erano siti gli uffici della Mercer Pharma Inc. si trovava nel cuore dell’Upper East Side. Imponente alla vista, la costruzione in stile moderno lasciava poco spazio all’immaginazione in merito alla sua destinazione d’uso. Fin dall’androne principale, lastricato di marmo, troneggiava infatti il nome della società, una delle più note nell’ambito della ricerca, della produzione e del commercio di farmaci destinati alla grande distribuzione. Il presidente, Anthony Mercer, l’aveva fondata trent’anni prima, e da allora era fiorita fino a diventare il colosso commerciale che nella Grande Mela era ben noto a tutti. Parte di quel successo era stato anche merito di William, per dirla tutta; il suo fiuto per gli affari si era rivelato estremamente azzeccato, quando si era deciso ad investire a favore della società gran parte del proprio capitale. Gli introiti che adesso gli tornavano indietro superavano largamente la quantità di denaro investita inizialmente.
Per di più, col vecchio Mercer era nata una sorta di immediata simpatia. In pochi anni, non solo era diventato direttore dell’amministrazione della società, ma era riuscito perfino a far breccia nel cuore dell’unica figlia del noto magnate. Anche se qualche mala lingua insinuava, velatamente, che fosse stato lo stesso Mercer a spingere Mya fra le braccia di quell’uomo integerrimo e dannatamente bravo nel trovare sempre nuovi finanziatori che acquisivano le azioni della società. William Spencer era una garanzia, in quel campo. Il suo brillante curriculum, culminante in una laurea in Economia ad Oxford correlata da una serie di dottorati e master, ne era una validissima testimonianza.
«Buongiorno, signor Spencer».
La voce della sua segretaria personale l’accolse cortese ed allegra come sempre.
«Novità, Sandy?»
Sandra, questo era il nome della minuta ragazza dai corti capelli biondi a caschetto, in piedi accanto alla porta del suo ufficio, in un perfetto tailleur blu scuro e con un tablet sotto il braccio. Lavorava per lui ormai da tempo e non faceva neanche più caso al fatto che il suo principale non le augurasse il buongiorno di rimando. Era fatto così. Lei aveva imparato come la cosa che più gli premeva fosse l’essere sempre puntuale, preciso ed impeccabile nel suo lavoro. Anche quella mattina aveva spaccato il secondo, entrando in ufficio nell’attimo immediatamente successivo a quello in cui lei aveva posato una tazza di tè caldo sulla scrivania di pesante legno scuro.
«Gli investitori cinesi confermano l’acquisto delle azioni. Il signor Smith si scusa, ma non potrà essere presente alla riunione del personale amministrativo, questo pomeriggio. Ha avuto un lutto in famiglia».
William inarcò un sopracciglio, prendendo posto alla scrivania ed accostando alle labbra la tazza di tè.
«Ho saputo. Brutto affare», si limitò a commentare. «Cos’altro?»
«Dal Modern confermano la prenotazione per il mese prossimo. Jennifer si sta occupando di tutto come al solito».
L’Inglese annuì, apparentemente molto soddisfatto, sorseggiando discretamente il liquido dal colore aranciato, ma lievemente opaco. Da buon britannico, William beveva il tè esclusivamente addizionato di latte.
«Bene. I miei appuntamenti di oggi?»
Sandra picchiettò velocemente i polpastrelli sullo schermo piatto del tablet.
«Sono quindici, in totale», sollevò lo sguardo dallo schermo fissando l’uomo dietro la scrivania. «Il primo è il signor…» diede una nuova, rapidissima occhiata allo schermo.  «…Sandbourne. Lo faccio entrare?»
William annuì, posando la tazza sul tavolo, ancora piena a metà. Sandra si limitò a portarla via, senza dire altro. Sapeva per esperienza che lui non finiva mai il suo tè della mattina. E che, probabilmente, anche per quel giorno quella mezza tazza di tè gli sarebbe dovuta durare come sostentamento fino alla sera.
 
*** 

Mya poggiò i gomiti sul tavolo, in un atteggiamento che dall’esterno risultava estremamente poco raffinato e poco consono allo sfarzo e alla raffinatezza del salone dove stava attendendo ormai da tre ore. Si prese il viso fra le mani e sbuffò spazientita. L’orologio appeso alla parete segnava le dieci di sera. Il display del suo cellulare era ancora illuminato dopo la chiamata che aveva ricevuto.
“Mi dispiace immensamente, signorina Mya. Il signor Spencer manda le sue scuse”.
“Non preoccuparti, Sandra. Cerca di non strapazzarti troppo. Buonanotte”.
Chiuse gli occhi e si massaggiò le tempie. Doveva aspettarselo. Le candele che aveva sistemato sul tavolo erano ormai consumate per più di metà e la cena, fredda, era buona da dare in pasto agli alani da guardia di suo padre.
«Porta pazienza, Mya. Se lavora fino a tardi, lo fa anche per te».
La ragazza si sentì toccare dolcemente la spalla e si voltò, trovandosi di fronte il viso anziano e provato dagli anni di una donna dai tratti estremamente gentili, bassa e un po’ curva in avanti, con i capelli argentei raccolti in una crocchia severa sulla nuca. Era vestita completamente di nero, a parte per il pizzo bianco della camicetta.
«Oh, tata Betty! Lo so bene, ma…» sospirò tristemente. «È sempre così, ogni volta. E ogni volta mi illudo che possa essere diverso».
Gli occhi neri della vecchina assunsero una piega malinconica, mentre osservavano il volto della ragazza. Mya era il ritratto di sua madre, in ogni lineamento, specie nelle labbra piene e morbide e nella forma ovale del viso. Anche i capelli neri erano un regalo materno. Solo quegli occhi grandi, azzurro mare, adesso offuscati dalla tristezza, testimoniavano la sua appartenenza ai Mercer. Elizabeth, o tata Betty come la chiamavano tutti in casa, l’aveva vista crescere e diventare la splendida donna che era. Quella sera, in quell’abitino bianco scollato sulla schiena, semplice e grazioso, lei pensava che fosse più bella che mai.
«Neanche tuo padre è rientrato. Sai come sono queste riunioni, piccina. Vanno sempre per le lunghe, non dare tutta la colpa a lui. Sono certa che non lo fa apposta».
Mya sorrise mestamente. Tata Betty cercava sempre di risollevarle il morale, in qualche modo. Ma quella sera lei non sembrava affatto disposta a farsi consolare.
«Verrò sempre dopo quei maledetti soldi» scandì, arrabbiata, scattando in piedi e rivolgendo gli occhi alla tavola, ancora allestita con la tovaglia di lino bianco e le porcellane decorate a mano. Storse la bocca, disgustata. Avrebbe preferito mangiare un hamburger con patatine insieme a William, piuttosto che "filets de poisson poché au vin" sola come un cane. «Me ne vado a letto, Tata. Buonanotte».
Elizabeth annuì, osservandola lasciare il salone. Quella casa era tanto grande quanto vuota. Lo sapeva bene, lei, che da venticinque anni silenziosamente la abitava, una donnina discreta e benevola che sapeva esattamente quando far sentire la propria presenza. Di solito, ciò avveniva proprio quando Mya ne aveva maggior bisogno. Ma stavolta, le sembrava che qualsiasi cosa potesse dire non avrebbe fatto altro che peggiorare la situazione.
«Riposati, bambina. Domani andrà meglio» mormorò fra sé e sé, scuotendo il capo, addolorata nel vedere la sua pupilla così affranta. Mya aveva tutto quello che una donna potesse desiderare: bellezza, talento, e l'amore incondizionato di un uomo che la chiamava 'Mimì' con la raffinatezza degna di un principe delle fiabe.
Un uomo che però, puntualmente, veniva meno alle sue promesse.

 

 
ANGOLO AUTRICE:

 

Lo so, lo so che William ve lo immaginavate completamente perfetto.
Ma qualche difettuccio pur doveva averlo, questo ometto.
C'è un po' di stonatura, in questo minuetto, ma a volte i toni dissonanti creano la musica più bella.
Io mi immedesimo nella povera Mya e devo dirvi che il consiglio 
di prenderlo a calci nel sedere non mi suona proprio inappropriato... non trovate?
Chiedo scusa per eventuali errori o frasi obbrobriose; 
è stato scritto di getto. Se c'è qualcosa che non va, ditemelo.

Vi lascio recapiti vari per contatti/insulti/complimenti (?)/rotture di scatole:
Pagina Facebook: Codivilla Vicariosessantanove Efp
Gruppo Facebook: La Canonica del Vicario
Ask: Chiedi e (forse) ti sarà detto

Alla prossima e grazie a chiunque passi di qui.

       


 
   
 
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