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Autore: Black Spirit    11/10/2013    3 recensioni
Noi siamo i fuochi di mezzanotte.
Noi siamo le ombre.
Noi siamo i morti.
Noi siamo gli invisibili.
Noi solo noi.
Solo noi possiamo tornare.
O almeno loro.
Io sono solo il nuovo.
Io sono solo il novellino.
Io Duncan Nelson, il punk, il duro qui non so dove mettere le mani.
E lei...
Lei è una dodici.
Lei è speciale.
Lei è potente.
Lei è Gwen.
Genere: Malinconico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Duncan, Gwen, Trent , Un po' tutti | Coppie: Duncan/Gwen, Trent/Gwen
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale
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Dopo che la giovane e imbronciata, o forse è meglio dire arrabbiata, ragazza davanti a me ha finalmente finito di urlarmi contro con tutto il fiato che aveva in corpo e una rabbia che non credevo nemmeno umanamente possibile.

Si è accorta che sono praticamente bagnato fino al midollo osseo mi ha obbligato minacciandomi di buttarmi fuori a calci, o peggio, perché le stavo inzuppando il morbidissimo tappeto che sembrava essere un insieme di pezzi di altri tappeti di colori diversi, ad ammettere a denti stretti che...

“Non sono riuscito a procurarmi da solo dei vestiti usando quello stupidissimo armadio ok?”

Lei fece un mezzo sorriso, cosa che in qualche modo mi riscaldò profondamente il cuore e si diresse ridacchiando fra se e se, probabilmente per il mio orgoglio che sapeva di star ferendo profondamente facendo facilmente quello che io non ero stato capace di fare, verso il suo enorme armadio in legno e così mentre lei camminava tranquilla in un certo senso felice io potei tranquillamente osservare la stanza che lei non mi aveva dato il tempo di guardare prima.

Era veramente molto bella...

Come la sua padrona.

Duncan no!
Non fare lo sdolcinato, ok?

Vuoi vedere la sua stanza?
Bene guarda la sua stanza ma ti azzardare a pensare a quanto sia bella la proprietaria, ok?

Ok.

Focalizzai la mia attenzione sulla sua bella camera e cercai di coglierne anche il minimo e più piccolo particolare.

Le pareti erano state dipinte di un incredibile tonalità di viola, che notai subito che se veniva colpita dalla luce giusta nel momento giusto diventava di un colore veramente speciale a metà fra il blu e il viola stesso; non ero capace con la mia poca conoscenza in questo campo di dire quale esso fosse, non ero abbastanza esperto di colori come lei sembrava essere visto che era riuscita a trovare quello.

L'arredamento era quasi tutto in legno di ciliegio, che riconobbi solo perché era anche quello che era stato usato per la mia stanza, tranne una scrivania con il ripiano in vetro fatta in modo molto particolare e simile al tappeto, era un insieme di pezzi di vetro di tantissimi colori diversi attaccati l'uno con l'altro e sopra c'era un enorme quantità di materiale da disegno di tutti i tipi immaginabili che erano stati impilati uno sopra l'altro in equilibrio precario e un bellissimo computer portatile nero e lucido come i suoi capelli, il letto era su una base in legno con sopra un enorme trapunta bianca ricamata e degli enormi cuscini dall'aria molto morbida dello stesso colore della trapunta ma con varie fantasie di linee che formavano varie immagini diverse ma tutte rigorosamente nere, in un angolo della sua enorme stanza vicino a una gigantesca anzi forse è meglio dire enorme finestra che dava su un cielo di un azzurro incredibile, con delle tende di un bellissimo verde foresta con sopra dei disegnini neri simili a quelli dei cuscini che rappresentavano tutti delle piccole foglie, c'era un enorme, anzi gigantesco, cavalletto con sopra uno stupendo dipinto che però era stato lasciato a metà dove si riuscivano a distinguere solo dei bellissimi occhi di un verde molto intenso e degli spettinati capelli scuri che arrivavano fino al collo, ma era un altra la cosa che mi aveva colpito di più in quella stupenda o forse è meglio dire incredibile camera...
Una delle pareti era completamente, interamente ricoperta da foto, testi di canzoni, disegni, immagini e fogli vari incollate una sopra l'altra con del nastro adesivo trasparente che arrivavano fino al soffitto coprendo completamente il muro.

Mi avvicinai alla parete in questione e notai subito una foto di Gwen insieme al ragazzo dai capelli rossi, erano al mare Gwen aveva una pinna da squalo attaccata alla schiena e rideva come non mai nel suo bel bikini nero mentre il ragazzo la schizzava con l'aria a metà fra quella di chi ha appena avuto un infarto e quella di uno che si diverte un mondo, accanto c'era la copertina di un film “Lo squalo”; passai a un altra foto che raffigurava i due ragazzi insieme, era un immagine con Gwen tranquillamente addormentata sulla spalla di lui e il ragazzo che la guardava con aria amorevole, sotto c'era la copertina del film “Saw”; guardai la foto che c'era subito dopo, lì c'era Gwen in toga nera con in mano quella che sembrava essere una laurea e il ragazzo la teneva in braccio come se nulla fosse con una toga uguale alla sua e un sorriso che gli arrivava da un orecchio all'altro, sorridevano tutti e due felici di una felicità che speravo di vedere dal vivo un giorno sul viso della giovane ragazza...

Avrei potuto continuare per ore e ore a guardare quelle foto ma qualcuno mi aveva interrotto.

“Questi dovrebbero starti abbastanza bene, sono i vestiti che uso per dipingere quindi sono un pochino macchiati, puoi cambiarti qui e mettere i vestiti bagnati... Per me li puoi buttare dalla finestra ma se ci tieni puoi tenerli in mano, ora cambiati. Non guarderò”

Feci come mi ha detto ed indossai la maglietta nera con delle macchie di vernice azzurra sui pettorali e i jeans blu scuro pieni di strappi che lei mi aveva appena dato, quando mi girai a guardarla vidi che osservava le foto come avevo fatto io pochi minuti prima.

“Come si chiama?”
Sembrò cadere dalle nuvole ma quando mi aspettavo di essere buttato fuori a calci il più velocemente possibile lei mi rispose.

“Scott... Mio marito si chiama Scott”

M-Marito?
Ha detto proprio marito?

Segui il suo sguardo e vidi una foto di lei e del giovane dai capelli rossi.

Lei in un bellissimo abito bianco.

Lui in smoking.

Mentre si baciavano.

La foto del loro matrimonio.

Solo in quel momento notai l'anello d'oro che portava al dito.

Gwen.

Gwen è sposata.

Ma la cosa incredibile in quel momento non era che fosse sposata ma che stava piangendo.

Senza pensarci nemmeno la strinsi forte a me e anche se all'inizio si dimenava alla fine si lasciò andare piangendo disperata e inzuppandomi la maglietta con le sue lacrime.

La trascinai verso il letto e la feci sedere in modo che iniziasse a calmarsi almeno un po'.

Pianse per quella che mi sembrò un eternità in cui mi sentii esplodere perché non potevo aiutarla.

Perché non ero io suo marito.

Perché non ero io la persona di cui aveva bisogno in quel momento.

Perché non ero Scott.

Dopo un po' si ricompose e si mise seduta a gambe incrociate.

La scrutai per un po' e poi le feci una domanda.

“Gwen... Te la senti di parlarmene?”

Lei annuii.

“Ok. Raccontami tutto”

La ragazza fece un profondo sospiro e cominciò a parlare lentamente.

“Prima di finire in questo posto io avevo una bella vita. Io e Scott eravamo felicemente sposati da due anni, ci eravamo conosciuti al liceo, lui era un ragazzo problematico e scorbutico ma nel profondo con un cuore d'oro e io ero la dark asociale che aspirava a una borsa di studio per il college e che sembrava vivesse nel laboratorio d'arte. Un giorno la preside ci convocò entrambi nel suo ufficio e mi chiese di diventare la tutor privata di Scott, io rifiutai ma lei mi disse che mi avrebbe fatta bocciare se non lo avessi fatto... Quindi io e Scott iniziammo a vederci ogni giorno per le ripetizioni. All'inizio studiavamo e basta ma poi iniziammo a parlare e diventammo amici. Quando Scott e io ci diplomammo lui mi bacio per la gioia... E da quel momento non ci siamo più separati”

Una lacrima le rigò il viso ma lei la raccolse quasi subito.

“Ti ho detto che sono morta in un incidente, giusto?”

Io annuii.

“Non ti ho detto che tipo di incidente però... Io sono morta per salvare mio marito, per salvare Scott. Stava per venire investito da un auto e io... Ho preso il suo posto. L'ho spinto via ma non ho fatto in tempo a spostarmi a mia volta... Sono morta dopo meno di tre mesi di coma. Lui veniva a trovarmi ogni giorno in ospedale... Ogni giorno veniva a piangere per me e ogni giorno io non potevo fare altro che guardarlo e piangere a mia volta. Piangevo per lui, piangevo per me...”

Abbassò lo sguardo ma continuò a parlare lo stesso.

“E piangevo per nostro figlio”

Sospirò ancora ma riprese quasi subito a parlare.

“Non sapevo di essere incinta quando ho avuto l'incidente. Lo scoprirono i medici solo quando arrivai in ospedale ma era troppo tardi e per questo anche se era poco probabile che mi risvegliassi mi indussero un coma farmacologico. Ma non basto morì lo stesso e mi portai via mio figlio”

Rimasi di sasso.

La guardai per un minuto poi la strinsi ancora me.

Questa volta più forte.

Ma non per darle conforto o almeno non solo per questo.

Questa volta volevo prendere forza io stesso

Perché stavo per fare qualcosa di veramente doloroso per me e per lei.

Perché io sapevo chi c'era al volante dell'auto che l'aveva portata via dalla sua vita.

Che l'aveva portata via da suo marito.

Che l'aveva portata via da suo figlio.

Dal suo mondo.

“Posso... Posso raccontarti una cosa Gwen?”

Lei mi guardò per un po' e alla fine annuii.

“Io so chi c'era al volante di quella macchina. C'era.. C'era mia sorella...”

Sospirai a mia volta ma prima che lei mi interrompesse avevo già ripreso a parlare.

“Si chiamava Isabella ma noi la chiamavamo Izzy, soffriva di seri disturbi mentali ma noi non lo sapevamo o non volevamo ammetterlo... Quel giorno avevamo avuto un brutto litigio e lei se ne era andata via in macchina anche se non aveva ancora avuto la patente... Ed ha avuto un incidente. Il tuo incidente. Si è costituita quando ha saputo che eri morta... È finita in prigione e si è suicidata un mese dopo... Sappi che non ti chiedo di perdonarla, ti chiedo solo di non odiarla perché non sapeva nemmeno quello che faceva”

Detto questo iniziai a piangere anche io e sta volta fu lei a stringere me.

Forse in fin dei conti non mi odiava.

  
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