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Autore: syontai    11/10/2013    16 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 3

Tè, tè, sempre e solo tè

“Forza entra!” la incitò l’uomo, alzando di poco il cilindro in testa in segno di saluto. Violetta non se lo fece ripetere due volte, ed entrò tutta intirizzita per il freddo e l’umidità della pioggia. Le pareti della casa, che consisteva in un’unica stanza, erano di un arancione acceso. La stanza era piccola, ma accogliente: al centro, un tavolo di legno rettangolare era apparecchiato con tazze e teiere in porcellana bianca, e alcuni vassoi d’argento pieni di biscotti. La tovaglia rossa era piena di briciole e di macchie. Un ghiro era seduto su una sedia, facendo penzolare la sua coda, mentre una lepre alta quanto un uomo e in posizione eretta stava sorseggiando una tazza di tè fumante; indossava una camicia azzurra tutta sbottonata, che lasciava intravedere il suo petto pieno di pelo di un bianco candido. Il ghiro invece sulla testa portava un berretto da notte verde e ronfava tranquillamente. “Chi abbiamo qui?” chiese la lepre con un leggero tic all’occhio. La sua mano tremava, come se fosse costantemente sovreccitato, facendo colare gran parte del liquido ambrato per terra o sulla camicia. “Mi chiamo Violetta, piacere” disse Violetta gentilmente, avvicinandosi e tendendo la mano, dall’altra parte del tavolo. L’animale la guardò buffamente per poi osservare molto semplicemente: “I tuoi capelli gocciolano”. Violetta rimase un po’ imbarazzata per quell’osservazione. “Lo so, purtroppo sono tutta bagnata a causa della pioggia” si giustificò con un timido sorriso. “Basta chiacchiere o ci perderemo l’ora del tè!” esclamò il Cappellaio, prendendo una sedia e mettendola vicino al camino, sul capo della tavola. “Come se il Tempo scappasse via…” sbuffò la lepre. “Sei sempre il solito brontolone! Abbiamo ospiti” lo riprese Beto con un sorriso a trentadue denti. L’uomo con lo strano cilindro e l’abbigliamento bizzarro prese una tazzina bianca e una teiera, poi con un gesto frettoloso versò del tè, rovesciandone buona parte sulla tovaglia. “Del tè per te” disse porgendole la tazza con un piattino. “Non ti ho ancora presentato i miei compari!” strillò, portandosi una mano sulla fronte come se avesse dimenticato la cosa più importante del mondo. “Lui è la Lepre Marzolina” disse indicando la lepre, che aveva cominciato a far vibrare i baffi non appena si fu sentito chiamato in ballo. “E quello che sta dormendo è il Ghiro, tra poco dovrebbe svegliarsi…” ipotizzò l’uomo, tirando fuori dalla tasca un cipollotto d’oro e controllando l’ora. La ragazza si sporse con lo sguardo e notò che quell’orologio non aveva le lancette. Impossibile. Come avrebbe fatto a controllare l’ora? Il Ghiro emise un lungo sbadiglio e aprì lentamente gli occhietti neri e ravvicinati. Fece schioccare la lingua sul palato, ancora assonnato. “Che bello, il Ghiro si è svegliato!” esclamò il Cappellaio Matto, battendo le mani felice. “Che ore sono?” chiese Violetta, buttando l’occhio verso la finestra per controllare il tempo atmosferico. “Le cinque, ed è proprio l’ora del tè” disse la Lepre, senza controllare l’orologio sulla parete che segnava proprio le cinque. “Come hai fatto ad indovinare?” chiese nuovamente incuriosita. “Sono sempre le cinque in questa casa!” ribatté Beto, versando il tè in due tazzine contemporaneamente. “Non è possibile, il tempo scorre, non si può fermare” lo corresse Violetta con tono di superiorità. Questi tre personaggi la infastidivano sempre di più. “Vuol dire che non hai mai offeso il Tempo. Con noi si è arrabbiato a morte!” disse il Cappellaio, rabbuiandosi di colpo. “Non è stata colpa mia, è stata colpa del Ghiro!” esclamò subito la Lepre, alzando le mani. Il Ghiro in tutta risposta sbadigliò nuovamente, poi avvicinò la zampa sul tavolo, prendendo un biscotto alle mandorle; lo avvicinò alla bocca e cominciò a mangiucchiarlo con estrema lentezza. “Il Ghiro non ha nulla da dire?” chiese la ragazza, decidendosi a sorseggiare il tè: era bollente e aveva un vago retrogusto dolce e zuccherato, come di miele. “Il Ghiro ha sempre qualcosa da dire. Dai, Ghiro, raccontale una storia, di quelle che prendono. E non tirare fuori battutacce sul Tempo, siamo stati puniti abbastanza” esclamò allegramente Beto, rizzandosi sulla sedia e prendendo anche lui un biscotto con gocce di cioccolato. La Lepre batté furiosamente il piede sul legno del pavimento. “Svelto, svelto, svelto!” lo esortò quest’ultima, prendendo una tazza di tè e bevendone il contenuto in un solo sorso. “Allora, si…” cominciò il Ghiro con la voce ancora impastata dal sonno. Violetta poggiò i gomiti sul tavolo e il mento sui palmi delle mani, pronta ad ascoltare interessata. “C’era una volta una bambina dai capelli dorati...” esordì con un piccolo sbadiglio. “No, no, e ancora no!” si intromise il Cappellaio Matto. “Non aveva i capelli fatti d’oro. Era solo bionda” lo corresse pignolo. “Ma era ovvio, l’avevo capito” disse Violetta, un po’ scocciata per quell’interruzione. “Puoi riprendere, gentilmente?” chiese educatamente. “Certo, certo…quindi c’era questa bambina con i capelli dorati, ma non per questo fatti d’oro. Si è inoltrata nel bosco dove ha incontrato lo Stregatto…”. “Camilla!” lo interruppe Violetta senza volere, parlando ad alta voce. “Shhhh!” la zittirono la Lepre e Beto all’unisono. “Si, Camilla, lo Stregatto…questa bambina si chiamava Alice. Si, proprio Alice. Alice era una persona davvero speciale, che dopo varie disavventure finì a corte dalla Regina di Cuori, che l’aveva invitata a una partita a croquet. Solo che il fenicottero rosa non voleva ascoltare la povera bambina, quindi…”. “Fenicottero rosa?” lo interruppe di nuovo. “Ragazzina, se mi facessi finire la storia, forse ti sarebbe tutto più chiaro” disse il Ghiro sempre più seccato. “Volevo solo capire cosa c’entrasse il fenicottero rosa con la partita a croquet” si giustificò la ragazza abbandonando la posa rilassata e irrigidendosi per l’imbarazzo. “Che ragazza senza cervello!” si intromise la Lepre. “Sapete come mai le fette biscottate cadono sempre con la faccia imburrata sul pavimento?” chiese all’improvviso Beto. I tre iniziarono un’accesa discussione su quanto fossero buone le fette biscottate, ma mentre il Ghiro protendeva per la marmellata, la Lepre sosteneva che solo il miele potesse accompagnare degnamente quella bontà di frumento. “No, no, e ancora no. Il burro con la sua cremosità è indispensabile” sentenziò con tono serio, salendo sul tavolo e cominciando a declamare le doti del burro, re della colazione perfetta. Violetta si ritrovò in mezzo a una conversazione stupida e senza alcun senso: nessuno dei tre avrebbe mai desistito dalle sue posizioni. E la storia ormai se la poteva anche sognare. Sbuffò impercettibilmente e si alzò lentamente, per affacciarsi alla finestra, mentre le parole dei tre le bombardavano il cervello. Finalmente sembrava aver smesso di piovere, e un timido sole era spuntato, facendo brillare il manto erboso che circondava la casetta di legno. “Vi ringrazio per l’ospitalità, io ora me ne andrei” disse Violetta, rivolgendosi ai suoi ospiti, i quali continuarono a non prestargli attenzione, troppo presi a litigare. La lepre aveva cominciato a lanciare tazzine ovunque, riducendole in frammenti una dopo l’altra. Beto aveva versato il tè addosso al Ghiro per farlo tacere. “E’ stato un…ehm…piacere?” sussurrò poco convinta, aprendo la porta di legno. Uscì e un odore di selvatico le diede per qualche secondo un senso di stordimento. Era pronta a riprendere il cammino, e questa volta sperava vivamente di non dover incontrare altri tipi strani.
“Chiamatemi Leon!” strillò una donna, seduta su un trono dorato. Un valletto al suo lato sinistro annuì e uscì di corsa dalla stanza ampia e luminosa, mentre quello alla sua destra continuava a reggere in mano uno specchietto con una cornice argentata. La donna si specchiò con superbia, mettendosi di profilo per far risaltare il suo naso piccolo e raffinato; si aggiustò la corona tempestata di rubini sul capo, esibendo uno dei suoi migliori sorrisi. I capelli castani e corti a caschetto risplendevano lisci come la seta grazie all’uso di numerosi balsami. Il suo volto era privo di rughe dovute all’età, sembrava al di fuori del tempo. Indossava un abito rosso scuro, con una collana di perle nere come la pece. Rivolse per un secondo lo sguardo alla sua mano, dove portava un anello della casata reale dei Cuori. Le porte si aprirono ed entrò un giovane ragazzo dai capelli castano corti, e degli occhi verdi profondi, ma apparentemente inespressivi. Il principe Leon avanzava sicuro di sé, come gli aveva insegnato la madre. Essere temuti per essere rispettati, era quella la prima regola del suo codice cavalleresco. Il suo sguardo incuteva proprio timore, odio e malvagità. Indossava un paio di pantaloni di cuoio nero, con il fodero della spada sempre in cuoio, allacciato alla cintura, anch’essa nera, che seguiva ogni suo passo. Una tunica rossa di seta leggermente scollata ricadeva morbidamente lungo il busto, lasciando comunque intravedere il suo fisico di guerriero. Sopra di essa portava un gilè in pelle marrone con alcuni simboli ricamati; il più significativo era un cuore nero ricamato all’altezza del petto. Non appena ebbe squadrato tutte le guardie della sala che si erano inchinate al suo cospetto, rivolse un rapido inchino alla Regina di Cuori per poi tornare a fissarla negli occhi scuri e cattivi. “Figliolo” disse la regina con un cenno della mano, per convincerlo ad avvicinarsi. Il ragazzo obbedì e si portò più avanti con cautela. “Madre” sussurrò, prendendo la sua mano e baciandola senza interrompere il contatto visivo. “Sua madre, Jade Lafontaine, regina di Cuori,  l’ha convocata per un compito di assoluta importanza, signorino Leon” spiegò il valletto che l’aveva chiamato, posizionandosi nuovamente alla sinistra della regina. “Attendo ordini” ribatté il principe freddamente, facendo scattare lo sguardo sullo specchio e incantandosi per qualche momento ad osservare il suo riflesso. “Leon, caro figliolo, erede del mio modesto regno, ancora una volta la stabilità del nostro comando è sotto una seria minaccia” esordì con tono serio. Leon annuì, intuendo già quale fosse il suo compito. Uccidere. Non faceva altro da quando aveva compiuto tredici anni, da quando era stato costretto a pugnalare il suo migliore amico, perché sospettato di tradimento nei confronti della corona. Le prime notti le aveva passate piangendo, mentre nella mente scorrevano velocemente le immagini dello sguardo privo di vita di quel ragazzino. Ma dopo…nulla. Aveva imparato a soffocare il dolore, a sopprimere i sensi di colpa, e la parte che avrebbe potuto rendere a suo avviso debole un uomo. “Di chi si tratta?” chiese semplicemente, posando la mano destra sull’elsa della spada. “Facundo Mirales, apparentemente un semplice contadino. Si è rifiutato di pagare le tasse più di una volta e sospettiamo sia coinvolto con quelli della rivolta. Si trova nel villaggio a pochi metri dal castello. Portalo nel bosco che circonda questa fortezza a ovest e uccidilo” gli ordinò con noncuranza la Regina. “Ogni tuo desiderio è un ordine, madre” esclamò Leon, facendo un altro piccolo inchino e voltandosi.
Si avviò lungo il buio corridoio solo con i suoi pensieri. Non c’era niente di più semplice e allo stesso tempo di più difficile che porre fine alla vita di una persona. Da piccolo anche solo il pensiero di uccidere qualcuno gli faceva tremare la mano che stringeva l’elsa della spada, ma grazie al continuo allenamento a cui la madre l’aveva sottoposto per farlo diventare il perfetto assassino e guerriero, non provava più nulla. Nulla di nulla. Era solo un gesto come un altro, niente di più. Il suo unico pensiero di rimorso era rivolto ai cari dell’assassinato; perché ci sono sempre persone che piangono la scomparsa di una vita. La vita di un uomo non è separata dalle altre, ma crea numerosi legami, intrecci. E’ come se ogni anima fosse una luce, e da essa scaturissero fili bianchi e lucidi,  che si vanno ad intrecciare con altri fili, con altre luci, con altre anime. Solo la sua anima poteva definirsi sola. Era continuamente solo; ma lui amava la solitudine, la vedeva come l’unico strumento per non provare compassione nei confronti del genere umano, o in generale di un essere vivente qualsiasi. Una macchina perfetta. Un ingranaggio solitario. Una luce priva di legami destinata a giacere nell’abisso più oscuro. Con quei pensieri che ormai lo accompagnavano quasi ogni giorno, scese la scalinata di pietra, scorrendo con la mano il ruvido corrimano, che portava alla sala d’ingresso. Calpestò con i suoi stivali in pelle neri i tappeti rossi e neri, facendo segno alle guardie di aprirgli la porta. La luce invase l’ingresso, fino a quando il giovane non decise di varcare la soglia. Si avviò velocemente alle scuderie alla destra del cortile del palazzo. “Signore…il suo cavallo è pronto” disse un umile stalliere, facendo un inchino. Leon annuì e montò il suo cavallo, un andaluso nero come la notte. “Buono, Settedicuori, buono” disse piano, carezzandogli il muso e dandogli una zolletta di zucchero. Preparò le briglie con calma, mentre continuava ad accarezzare la testa del suo destriero. Qualche minuto dopo il giovane cavaliere, accompagnato da altri due uomini, si diresse al galoppo verso il villaggio in questione. Il povero Facundo non poteva minimamente immaginare cosa il destino avesse riservato per lui.  
Violetta continuò a camminare, fino a quando finalmente i suoi piedi poggiarono su un sentiero rosso di pietra. “Ce l’ho fatta!” strillò entusiasta, avendo quasi perso la speranza. Seguì il sentiero con cura, finché gli alberi non si fecero sempre più radi, lasciando intravedere pezzi di cielo ampi. Il cinguettio degli uccelli la mise di buon umore, e sembrava che finalmente tutto stesse procedendo per il verso giusto. Non fosse per il fatto che si trovava in un mondo totalmente privo di senso e ordine, dove piante e animali parlavano, un mondo pieno di pazzi. D’un tratto il nitrito di un cavallo destò la sua attenzione. Si avvicinò e si nascose dietro un albero, osservando la scena: un uomo era in ginocchio, mentre un ragazzo castano con gli occhi verdi, il più bello che avesse mai visto, lo guardava dall’alto in basso, estraendo la spada. Ma cosa stava succedendo? Era abbastanza vicina per poter udire il discorso. “La prego, non ho fatto nulla di male. Non ho potuto pagare perché il raccolto non è stato buono!” si lagnò l’uomo con la voce tremante. “Sei accusato anche di tradimento nei confronti della corona” precisò il ragazzo dagli occhi verdi con uno sguardo severo e freddo. Le faceva venire i brividi quell’espressione, ma continuò ad osservare, affacciandosi di poco dal tronco dell’albero. I due uomini lo afferrarono per le braccia, e lo fecero alzare. “Facundo Mirales, io, principe di Cuori, futuro re di questo regno, eseguo l’esecuzione che mi è stata affidata” ribatté, sguainando la spada, che brillò, illuminata dalla luce del sole. Violetta rimase impietrita: non era possibile; quel ragazzo, che poteva avere si e no qualche anno in più di lei, stava per uccidere un uomo, trafiggendolo. Doveva intervenire…ma come? Non vedeva nessun modo per salvare quel povero contadino. Leon senza battere ciglio con un rapido colpo infilzò l’uomo all’altezza dello stomaco. Dalla bocca dell’uomo uscì un rivolo di sangue, mentre lo guardava con stupore e paura, quindi il povero contadino cadde a terra morto. Violetta chiuse gli occhi, mentre sentì il tonfo del corpo. Una lacrima le solcò il viso: come poteva una persona essere tanto crudele con un proprio simile? Non riusciva a trovare una spiegazione plausibile, né voleva farlo. Quando riaprì gli occhi, si perse ad osservare incredula gli occhi del giovane, che ancora non mostravano alcun rimorso per quell’ignobile azione. Estrasse la spada dal cadavere, e tirò fuori un fazzoletto candido con cui cominciò a pulire la lama. “Non gli hai fatto nemmeno dire le ultime parole” ghignò uno dei due uomini, che stava trascinando il corpo, lontano da quel luogo per abbandonarlo nel folto della foresta. “Avrebbe detto le solite cose che dicono tutti. Pensate a mia moglie, ai miei figli…le solite sciocchezze senza valore” esclamò Leon con amarezza. Violetta arretrò piano per non farsi sentire, ancora scossa per quell’esecuzione così crudele. Era inorridita…quel principe era una persona senza cuore. Aveva i brividi e stava tremando per la paura, mentre le scene della morte del contadino affollavano la sua mente con un impeto tale da stordirla. Inavvertitamente calpestò un ramo, rischiando anche di inciampare. Leon drizzò l’orecchio: “C’è qualcuno”. Fece una corsa verso il luogo da dove aveva sentito il rumore, ma non vide nessuno.
Violetta nel frattempo aveva cominciato a correre senza fermarsi con il cuore in gola. Sentiva un rumore di passi dietro, e aveva paura che quell’assassino volesse mettere a tacere anche lei. Non voleva morire. Voleva solo tornare a casa e poter riabbracciare suo padre. I passi si fecero sempre più vicini. Il fruscio delle foglie che cadevano si confondeva col rumore sordo degli stivali che colpivano con forza il sentiero rosso. Non ce l’avrebbe fatta, ormai era la fine di tutto. Si ricordò delle parole del saggio tasso: come poteva credere che quel ragazzo avesse la capacità di mostrare compassione, se non sembrava nemmeno un essere umano? Abbandonò il sentiero, cercando di raggiungere il folto della foresta per potersi nascondere; magari sarebbe riuscita a riottenere ospitalità dal Cappellaio Matto. Non mosse nemmeno qualche passo fuori dal sentiero che si sentì stringere il braccio con forza, e una voce fredda rimbombò nella sua testa: “Voltati”. Violetta deglutì e lentamente si voltò, cercando di mascherare la sua paura. Forse non sapeva che lei aveva visto, forse poteva ancora sperare di salvarsi. La prima cosa che avvertì fu la punta acuminata della spada puntata alla sua gola, e lo sguardo indagatore del giovane. La lama era ancora insanguinata per l’uccisione di Facundo, e il freddo della punta metallica le diede l’impressione che sarebbe morta di lì a qualche secondo. Ma anche in quel momento non poté non rimanere incantata dall’innaturale bellezza di quel giovane. “E adesso, se non vuoi morire, rispondi: chi sei tu? E cosa ci fai qui?” chiese Leon, guardandola con interesse. Indubbiamente la bellezza di quella ragazza avrebbe potuto incantare chiunque, ma non lui. Lui non aveva un cuore. Il principe di Cuori senza cuore. Che buffa coincidenza… Improvvisamente però per la prima volta, guardandola dritta negli occhi, sentì che la sua sicurezza stava subendo una leggera incrinatura. Non sarebbe riuscito ad ucciderla. E non sapeva il perché; non riusciva nemmeno lontanamente a immaginarlo. 







NOTA AUTORE: eccomi, come tutti i venerdì, pronto con un nuovo capitolo. Allora...Beto è un pazzo xD Comunque la scena del té mi piace un sacco e non è proprio senza senso. In un certo senso costituisce una critica alle discussioni inutili anche per le cose più stupide (quanto mi senso profondo...anche no xD). Violetta è l'unica che sembra conservare un briciolo di cervello in questo mondo di matti O.o Ma veniamo al mio personaggio preferito di questa ff: Leon. Leon, figlio di Jade, regina di cuori, è un personaggio particolare. Un assassino spietato e crudele, ma assolutamente non banale. Ha una storia alle spalle che lo hanno portato a comportarsi in questo modo, e questo penso che vi sia chiaro dalla sua descrizione durante il colloquio. Il primo incontro con Violetta è tutt'altro che allegro e felice :O Una spada puntata alla gola non promette molto bene, ma i due in un certo senso sono affascinati dall'altro, in un modo che non si sanno ancora spiegare (soprattutto Leon, come vedremo in seguito). Povero Facuno Mirales, un povero contadino, che riassume bene il clima dittatoriale che governa il regno di Cuori. Comunque, anche se accennata, la storia di Leon è stata lasciata volutamente vaga, perché si, e basta xD Per il resto, lascio a voi i commenti. Buona lettura a tutti e alla prossima ;D 
P.S: approfitto di questa capitolo e questa nota autore che io e una ragazza di EFP (tale 
MileyCyrus), in realtà più costei di me (visto che sono super impegnato...'mazza), abbiamo aperto un forum sulla Leonetta e più in generale sulla serie (ma soprattutto sulla Leonetta e Jortini). E' ancora agli inizi, però pensavamo fosse un'idea simpatica quella di scambiarci opinioni e roba simile, permettendo magari anche ai più timidi (tipo io...naaaah. Ok, in realtà si xD), di scambiarci opinioni e roba del genere. Per chi fosse interessato this is the site (è ancora agli inizi, ma chissà :D): http://leonettaitalianforum.forumcommunity.net/
  
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