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Autore: aniasolary    12/10/2013    9 recensioni
(Storia da revisionare)
Young Adult con elementi sovrannaturali e di Mistero.
In un pomeriggio assolato, le urla di una bambina oscurano il cielo; lei è un'arma, lei non potrà mai vivere, lei non può fare altro che nascondersi.
Anni dopo, un ragazzo trova la sua fotografia fra i documenti di suo padre. Un padre assente, troppo lontano da tutto e da tutti, così preso dai documenti fra cui c'è quella fotografia.
Sei appena venuto a conoscenza della presenza di un burrone. Vai a vederlo. Non ti aspetti che ci cadrai dentro.
Quella ragazza.
Quell'arma.
Quel ragazzo.
Il suo mondo.
Sogni spezzati.
L'amore difficile.
Vite in sospeso.
Amicizie distanti.
Vite rimaste indietro.
Vite in pericolo.
Buio.
Speranza.
Ed un uomo nell'ombra.
Genere: Mistero, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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until 12

until

Illustrazione di presa da Google.

Grafica dell'immagine a cura di Honey Essentials.

Ne è vietato il riutilizzo. Tutti i diritti riservati.

12.

Pesi e ricordi

1995

È una canzone dei Depeche Mode, quella che viene fuori dal juke box del locale. Qualcuno la canticchia ma, dopo l'ennesima giornata di studio intenso, vorrei solo che tutti se ne stessero in silenzio. 

Vorrei solo, per una volta, dimenticare quello che con il buio del cielo affiora sempre.

Lascio del soldi sul tavolo del locale e mi alzo. Mi dirigo verso la porta d'uscita stringendomi nel cappotto, fuori farò freddo.

«Joe, vai già via?»

Mi fermo. Sento qualcosa salirmi lungo la schiena, come le se la sua voce fosse una mano che mi accarezza, che mi dice di restare. Mi volto.

Mi guarda con le braccia conserte sotto il seno, i capelli castano mogano che le scendono a onde sulle spalle.

«Ciao, Candy.»

«Cassie,» mi corregge con un sorriso che mi fa diventare la gambe molli.

«Candy.»

Io la chiamo così. Lei, dal profumo di caffè dove si sente anche il sapore del latte; i suoi occhi color nocciola mi scrutano. 

«Stasera finisco prima, quindi alle dieci mi puoi aspettare.» Mi riserva un sorriso. C'è il sole, qui dentro, ed io mi chiedo come faccia ad essere così solare, così viva.

Ma io non sono abbastanza solare, non sono abbastanza vivo.

«Stasera non posso.»

«Che cosa c’è? » La sua voce è sottile. «C’è qualcosa che non va? »

«Lascia perdere… »

«Io… »

«Ci vediamo, Candy.»

Spingo la porta a vetro e mi ritrovo fuori, colpito dal freddo glaciale che fa parte della mia vita da quando sono qui, sconfinato, imprigionato, isolato, solo per sempre e non perché sono lontano da quella che dovrebbe essere la mia casa. E' così dappertutto. Nessuno mi ha mai capito, nessuno ci riuscirà. Nessuno vorrà mai ascoltarmi. E Cassie...

«Joe, » mi chiama, scorgo preoccupazione nella sua voce e anche se non voglio far altro che andare via, mi volto e la guardo e vorrei solo che tutto il resto scomparisse, vorrei scomparire io per non fare quello che faccio ogni giorno, da quando c’è lei. Perché lei non merita quello che potrei farle se sapesse. Non merita quello che le sto facendo, anche se non lo sa. Non lo sa, ma io le strappo via la felicità in quel modo che lei crede sia l’unico per essere felici insieme. 

I capelli castani, lunghi, gli occhi grandi, nocciola liquida, il viso dai tratti decisi, imperlati di malinconia.

Lei è la mia Cassidy Grace.

«Joe, io ti amo.» Me lo dice con lo straccio stretto al petto, il grembiule rosa della caffetteria addosso sporco di salsa, il viso sciupato dalle spiegazioni che non le ho mai dato.

Prendo le sue parole nel cuore che sento di non avere. Che non vorrei avere più.

 

Oggi.

Sono passati così tanti anni. Lascio cadere la forchetta nel piatto con la salsa e mi lascio andare sulla sedia.

«Hai finito, Joe? »

«Sì, angioletto.» Mi prende il piatto che sta davanti a me e la odio, la odio per quel tutto che ho biascicato a Cassidy in quella sera fredda di novembre. Yvonne si volta e mette i piatti nel lavandino, e mi chiedo perché la fortuna sta sempre dalla parte sbagliata. Mi chiedo perché i ricordi tornano se non mi appartengono più. «Quindi hai fatto quello che ti ho chiesto. »

«Oh sì, Joe.» La sua voce ha quel tono alto e raro dei suoi sorrisi. «Ho fatto del mio meglio. Sono andata da Sarah, le ho detto tutto e poi al momento giusto mi sono avvicinata a Martin. Lui mi ha respinto, ma Sarah aveva già visto. E poi lei è un tipo... mhm...»

«Non ti interrompere.»

«Ehm… silenzioso, » aggiunge, nervosa. «Silenzioso. »

«Non credi che possa fare scenate? »

«Credo che cercherà di evitarlo.»

Bevo un altro sorso di vino.

«Sempre che lui non insista,» continua Yvonne.

Oh, lo farà. Il bicchiere mi scivola di mano e va in frantumi sul pavimento, Yvonne sussulta e si volta di scatto, con gli occhi gonfi di notte passate a studiare per prendere una cazzo di voto buono e non essere rimandata. Mi alzo, lei resta immobile, ghiacciata in quello che non so che farò. 

Cammino sui vetri, sento lo scricchiolio sotto le scarpe, la sensazione di poter nel poter fare questo a chi dovrà pagare.

Sarah non è mai stata in pericolo.

Martin è in pericolo da quando è nato.

***

Poso le mani sulle sua spalle – pelle e tessuto sottile, odore già conosciuto – e la spingo via, mi pulisco la bocca e sputo per terra. 

Mi ha baciato, ecco cosa ha fatto.

«Ma che cazzo?!» Mi ha baciato. Una volta nella mia mente il suo nome era Ivy, adesso so come si chiama: Yvonne.

Deglutisco. Sarah… Sudo freddo, Sarah, mi volto. Lei è già lontana, sta correndo via e mi sento il sangue denso nella lenta incertezza che mi attanaglia la gola. 

«Perché fai così? » La voce di Yvonne è come la ricordavo: alta, sottile. «L’altra volta non hai reagito in questo modo.»

Alzo le braccia a toccarmi la nuca. 

«Pensavi che me ne fossi dimenticata, eh, Scott?» Batte gli stivali sull'asfalto, scuote la testa e se ne va con quel modo di camminare in cui i capelli le ondeggiano.

Non riesco più a pensare alla cosa senza senso che è appena successa. Stringo la penna fra le mani e il cuore mi batte ancora più veloce. 

Corro a casa. Sento lo stomaco che si ribalta, mi fa salire il pranzo, sento l’acido nella gola, le cose in cui non voglio credere. 

JS. Non ci credo. JS. Non ci credo. 

Quell’uomo ha voluto che quel giorno Sarah facesse del male a Julia. 

JS.

Mio padre.

Arrivo a casa, mi apre Doreen; so che è lei, ma non la guardo nemmeno.

«Martin stai bene? »

No.

«Dov’è? »

«Chi? »

Quell’uomo.

Non riesco a parlare.

JS.

«Papà. » Deglutisco. «Non mi avevi detto che tornava oggi? »

Doreen avvicina a me, sull'uscio della porta di una casa che non ho mai sentito mia, una cosa in cui potrei ancora perdermi fra i lunghi corridoi, una casa in cui forse non riuscirò più nemmeno a dormire... a meno che non ci sia Doreen a canticchiare mentre fa le pulizie.

«Io penso che tu abbia la febbre.» Doreen posa una mano sulla mia fronte, mi accorgo di essere sudato al suo tocco freddo di detersivi, viso preoccupato, riccioli alzati. A meno che non ci sia Sarah. Sarah, e solo lei e la sua vita è una scartoffia di cose non dette, non sentite, non avute per colpa sua. JS. 

«Martin, che cosa… »

«Doreen, dov’è? »

«È tornato stamani, ma adesso è in ufficio. Ha molto lavoro arretrato… »

Perché è andato via? Per cosa? C’entra Sarah?

Ovviamente sì.

«Martin, non ti senti bene… che cosa ti è successo? »

Scuoto la testa.

Mio padre. Mio padre ha rovinato la vita alla ragazza che amo.

«Niente. »

Mio padre conserva dei documenti su Sarah. Mio padre si chiama Joseph Scott. Mio padre ha una penna con la sigla del suo nome. E non posso, non posso fidarmi di lui.

Doreen mi guarda con quegli occhi scuri che sono la mia radiografia personale.

«Niente, sul serio. »

«Riguarda i colloqui con i professori, per caso? »

Me ne sono anche dimenticato.

«Ehm… Ah, già. » Doreen... Vorrei tanto che fossero i colloqui. Vorrei tanto essere preoccupato per quella F che ho preso perché con Cameron non studio mai. «Giusto.» Vorrei aver incontrato Sarah a una festa di quelle che fanno d’estate, in cui non ti ricordi che giorno è dormi fino a tardi la mattina dopo, le ragazze ridono con le gonne corte e un bicchiere di coca in mano. Vorrei aver dovuto fare il deficiente per farmi guardare, senza doverla salvare dal guscio di se stessa. «Ci vai tu, 'Reen? »

«E chi altro dovrebbe andare, sai che tuo padre è sempre impegnato e poi… »

E poi quel giorno ho visto la sua foto e ho sentito che dovevo conoscerla. Non conosco mio padre, almeno conosco lei. E l’ho guardata con la paura negli occhi suoi, azzurri e bellissimi, in un giorno settimanale, grigio di scuola, noioso e nuvoloso.


«Ti do un bicchiere di spremuta, quella fa sempre bene. »

***

Doreen ha appena chiuso la porta; si è messa addosso dei jeans non male insieme ad un’altra maglietta non male e si è sistemata i capelli in un modo non male. Mi chiede sempre come sta quando deve incontrare i professori, come se dovesse andare ad un appuntamento. L’unica cosa che vorrei è che diano per scontato che sia davvero mia madre. Solo che poi a un certo punto la chiamano “Signora Scott” e lei fa “No, non sono sua madre. Sono…” L’unica persona a cui importa di lui, a parte qualche altra mosca bianca. E poi finisce che anche i professori sanno che in questa casa sono solo per la maggior parte delle volte.

Apro il cassetto della cucina così forte che mi cade sulle gambe; lo afferro, in modo da non far scivolare le chiavi, lo rimetto a posto e mi metto a cercare. Questa non è, questa non è, questa non è. Troppo, grande, troppo piccola. Avrà messo una serratura speciale per quella porta? Forse devo aspettarmi di tutto. Da un estraneo, perché mio padre non è altro che questo, è quello che normalmente si fa. Aspettarsi qualunque cosa.

Alla fine le provo tutte.

Questa no.

Questa nemmeno.

E nemmeno questa.

E questa.

Questa.

Cazzo, dai.

E questa.

E questa.

E questa.

Non ce la faccio.

Cazzo, deve essere questa.

Questa.

La porta si apre. Le domande si oscurano per un istante in un migliaio di lettere dell'alfabeto che si infrangono nel mio cervello, mentre sento il legno della porta cigolare, guardo il buio della stanza e, affannato come se non avessi più fiato, resto fermo sulla soglia.

Poi accendo la luce.

Odio tutto questo.

Faccio un passo avanti.

Non può essere la mia casa.

Un altro passo.

Non può essere il posto in cui vivo.

Mi avvicino alla scrivania in legno scuro di questa camera ordinata in modo quasi maniacale, sposto i vari fogli che mi trovo davanti e trovo subito il documento con la sua foto. Che altro ci sarà, qui dentro? In questi cassetti, in questi altri fogli, fra i libri, e nel suo ufficio… So che è stato lui. E per questo non devo chiedergli niente, non devo farne nemmeno una parola. Se parlassi… non voglio nemmeno immaginarlo. Chissà che cosa potrebbe fare per mettere fuori il figlio diciottenne... Chiamare Sarah e obbligarla a usare quello che sa fare su di me? Ne sarebbe capace, anche se lei non lo farebbe. Lei non lo farebbe.

Faccio qualche fotocopia, ho lo strano presentimento che possa tornare da un momento all'altro; prendo quelli originali e li metto dove li ho trovati, poi prendo le fotocopie e le sistemo fra le pagine del libro di Chimica.

Respiro. Sì, devo solo respirare, calmarmi. Non posso raccontare niente a nessuno. Niente a Cameron. Niente a Doreen. Sarah ha fin troppi pesi. 

Devo affidare tutto a me stesso.

*

*

*

*

Ciao a tutti :) Questo è un capitolo di passaggio per la storia ma comunque indispensabile. D'ora in poi troveremo molto più spesso delle parti dal punto di vista di Joe, le trovo davvero indispensabili per capire il suo personaggio come io l'ho inteso :) Prima di tutto, ringrazio voi che recensite e mi leggete sempre, e sono davvero felice per il fatto che continuano ad aumentare le persone che inseriscono la storia fra le seguite e le preferite <3 Grazie mille, davvero! *-* 

Al prossimo capitolo e grazie di cuore.

Un bacio

Ania :)

   
 
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