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Autore: yllel    12/10/2013    6 recensioni
Dal testo:
[“Non mi stai ascoltando!” esclama lui, quasi spazientito. Lei scuote la testa decisa, anche se e’ sempre piu’ spaventata da quello che sta sentendo.
“Invece si, ho capito. Ti serve un contatto” replica.
Lui la fissa intensamente negli occhi.
“No. Non mi serve un contatto. Mi serve un collegamento”]
E’ cosi che e’ cominciata e a volte e’ stato difficile.
Ma ora, e’ ancora piu’ difficile.
E forse non ne vale piu’ neanche la pena.
Il seguito di “Insicurezze”: Sherlock e Molly, un arrivo inaspettato e un nuovo caso.
Genere: Angst, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ce l’ho fatta! Nuovo capitolo... scusate l’attesa, ma ho l’impressione che questa fanfic avra’ degli aggiornamenti non troppo ravvicinati nel tempo. Spero pero’ che vi piaccia e come al solito, procedo a ringraziare chi sta seguendo la storia e soprattutto chi ha recensito anche il capitolo precedente: Efy, IrregolarediBakerStreet, leloale e martiachan.
E come sempre, nessun personaggio mi appartiene e anche se mi stanno facendo penare un po’, scrivere di loro mi diverte molto.
 
 
OGNI SINGOLO ISTANTE
CAPITOLO QUATTRO
 
 
Sherlock Holmes apri’ gli occhi di scatto: raramente i suoi risvegli erano lenti o indugiavano negli ultimi scampoli di sonno, piu’ spesso invece i suoi sensi si riacutizzavano tutti  d’un colpo e in un secondo era nuovamente consapevole di cio’ che lo circondava, dell’orario e di ogni altro dettaglio degno di nota.
Quel particolare momento era di una straordinaria semplicita’, ovviamente: il suo sonno non era durato che qualche ora, la luce dei lampioni che penetrava attraverso le finestre e il buio in cui era immersa la stanza gli dicevano che era ancora notte e a giudicare dai rumori del traffico, l’alba era ancora lontana.
Piu’di tutto, pero’, Sherlock registro’ l’assenza di Molly accanto a lui e questo non gli piacque neanche un po’.
Rotolo’ verso l’altra meta’ del letto e affondo’ il naso nel cuscino accanto a lui, registrando il calore che ancora emanava dal materasso e il profumo del suo bagnoschiuma (quello che teneva in una borsa nascosta nell’armadio di quella stessa stanza, insieme al suo shampoo preferito e ad alcuni effetti personali): si era alzata da poco, quindi, e quando Sherlock udi’ un rumore provenire dal soggiorno e contemporaneamente registro’ la presenza dei suoi vestiti su una sedia, emise un inconsapevole sospiro di sollievo.
Lei non se ne era andata.
Sherlock sapeva di aver agito in maniera poco leale e in qualche modo codarda: naturalmente era a conoscenza del fatto che Molly volesse  parlare di cio’ che stava succedendo, glielo aveva scritto anche nei due messaggi a cui lui non aveva risposto, incapace in quel momento di assicurarle la sua disponibilita’ a comunicare... e quando le aveva chiesto
(pregato)
di venire a Baker Street aveva scelto di evitare ogni conversazione, perche’ sapeva che probabilmente si sarebbe trasformata in uno scontro.
Sherlock non voleva uno scontro. Voleva che le cose tornassero ad essere semplici come erano state all’inizio.
Ultimamente invece tutto si evolveva sempre un un litigio e l’arrivo di quella donna insopportabile, che chiaramente lo giudicava in modo negativo, non aveva fatto che acuire la sensazione di trovarsi incastrato in qualcosa piu’ grande di lui, che aveva sempre piu’ difficolta’ a gestire: era sicuramente frustrante non riuscire ad avere momenti di confronto senza essere sempre presi da qualcosa d’altro (da quando era tornato quattro mesi prima, il suo lavoro aveva avuto un’impennata pazzesca, tutti sembravano volere il grande Sherlock Holmes al loro servizio, tutti all’improvviso gli credevano e lo consideravano un genio e Sherlock stava lavorando senza sosta. Molly, dal canto suo, si sentiva in dovere di dimostrare di essere affidabile ai suoi superiori dopo averlo aiutato ad inscenare la sua morte: tra casi, turni notturni e sciocche scuse a John, le notti passate insieme negli ultimi tempi si potevano contare sulle dita di una mano), ma Sherlock sapeva che se anche il loro rapporto non fosse stato un segreto ben custodito, probabilmente le cose non sarebbero state diverse.
Non erano i momenti rubati e il poco tempo a disposizione... era qualcosa di molto, molto piu’ profondo e la verita’ era che la situazione stava diventando difficile.
E la sensazione di non sapere come gestirla era qualcosa che lo disgustava profondamente e lo innervosiva: non gli piaceva non sapere come fare una cosa ma soprattutto, non gli piaceva l’espressione che Molly aveva sempre piu’ spesso negli occhi, un’espressione triste o scontenta.
Non gli piaceva la consapevolezza che lei volesse un cambiamento, perche’ lui non era pronto a un cambiamento; non gli piaceva l’idea di dover dimostrare chissa’ che cosa, di dover ammettere le sue debolezze e le sue insicurezze rispetto al loro rapporto. Era una cosa loro, era una cosa privata, non capiva come il fatto che potesse divenire di pubblico dominio potesse aiutarlo a gestire la marea di sensazioni e si... di emozioni che lo colpivano ogni volta che stavano insieme, ogni volta che realizzava cio’ che erano diventati l’uno per l’altra.
Dopo la cena di un mese prima, in cui era riuscito per l’ennesima volta ad offenderla, Sherlock aveva assicurato a Molly che non doveva avere alcun timore su quello che lui provava nei suoi confronti, ma il tempo stava rivelando tutta la sua immensa inabilita’ a gestire un rapporto e lei, tra le sue personali insicurezze e la sua pazienza agli sgoccioli, non riusciva piu’ ad aiutarlo e a rassicurarlo. D’altronde, a quanto pareva, la cosa era reciproca.
Fino a poco tempo prima le cose erano state  molto piu’ semplici...
D’altro canto, pero’, a quel tempo lui era “morto”.
Sherlock odiava ammetterlo, ma quella sera aveva usato il sesso come espediente per evitare di parlare.
Non che non gli avesse fatto piacere: era straordinario osservare come il corpo di Molly sembrasse essere sempre pronto a rispondere al suo, era straordinario pensare di poter raggiungere un livello cosi alto di intimita’ con un’altra persona, ma persino lui si rendeva conto che quello non poteva bastare.
Con uno scatto nervoso, scalcio’ via le coperte e si alzo’ alla ricerca della sua vestaglia ma non la trovo’ da nessuna parte.
Un sorriso lieve gli comparve sul volto.
Apri’ piano la porta della camera e vide Molly seduta sul divano, il trattato sulla psicopatologia dei criminali seriali che lui aveva comprato due giorni prima aperto davanti a lei.
Aveva indosso la sua vestaglia.
Molly registro’ quasi subito la sua presenza nella stanza e alzo’ il viso dal libro.
“Spero non ti dispiaccia” gli disse, non specificando se si riferisse alla vestaglia o all’oggetto che aveva tra le mani.
“No di certo” rispose lui, reprimendo l’impulso di dirle che l’unica cosa che gli dispiaceva veramente era di non essersi svegliato accando a lei. Poi realizzo’ che lei si stava quasi scusando di una cosa che invece avrebbe dovuto essere piu’ che naturale e questo lo irrito’: perche’ lei doveva sentirsi in colpa per aver indossato la sua vestaglia o aver letto un suo libro?
“Non riuscivo a dormire” la senti’ infatti dire, come se si sentisse in dovere di aggiungere una spiegazione.
“Non hai bisogno di giustificare il fatto che stai usando delle cose mie” le rispose Sherlock con un tono quasi scocciato.
“Non mi sto giustificando, ti sto spiegando. E poi questa e’ casa tua” commento’ altrettanto seccamente Molly, lasciando in sospeso la fine della frase.
E’ casa tua... non mia. Qui sono comunque un ospite.
Un silenzio teso scese nella stanza, tutta la tenerezza e la passione di poco prima ormai archiviate.
Sherlock senti’ aumentare la sua irritazione: perche’ doveva bastare cosi poco a cancellare tutto quello che avevano vissuto fino a poche ora prima?
Era frustrante.
Frustrante.
“Avro’ necessita’ di alcuni elementi in piu’ per il mio esperimento” replico’, scegliendo di cambiare argomento.
Molly sembro’ sul punto di rispondere qualcosa, ma poi nei suoi occhi comparve uno sguardo rassegnato e si alzo’, appoggiando con calma il libro sul tavolino di fronte a se’.
“Aspetta, prendo il telefono e mi segno degli appunti” rovisto’ all’interno della sua borsa e trovo’ il cellulare. Emise un piccolo gemito contrariato non appena lo schermo si illumino’.
“Accidenti, l’avevo in modalita’ silenziosa. Zia Emily ha chiamato tre volte. E’ tardi, ma forse e’ meglio che provi a contattarla”
Sherlock si irrigidi’.
“Puo’ sicuramente aspettare fino a domani, non credi?” domando’.
Molly alzo’ gli occhi verso di lui con aria sorpresa: non solo il suo tono, ma anche la smorfia sul suo viso indicavano il profondo fastidio di Sherlock.
“Perche’ i tuoi preziosi esperimenti sono piu’ importanti?” gli chiese incredula.
Lui strinse le labbra.
“Perche’ tu adesso sei qui, con me” replico’.
Molly scosse la testa.
“E questo preclude il fatto che io possa sentirla? Ti rendi conto di quanto suoni pretenzioso?” il tono della sua voce si fece piu’ nervoso.
Sherlock senti’ la sua irritazione trasformarsi in vera rabbia: tutta quella discussione non aveva alcun senso.
“E’ tardi, l’hai detto anche tu.  Sono quasi le due di notte... Quella donna non puo’ aspettare fino a domani mattina?” domando’ alzando un po’ la voce.
Molly fece un profondo respiro nel tentativo di dominarsi.
Quella donna” inizio’ a denti strettie’ una delle poche persone di famiglia che mi sono rimaste, non potresti cercare di essere piu’ conciliante?”
“Non mi sembra che lei ci abbia provato con me. E perche’ mai io dovrei farlo, comunque?”
“Perche’ e’ mia zia, Sherlock! Perche’ le voglio bene! Perche’ e’ la mia famiglia!” sbotto’ Molly alzando le braccia al cielo.
Sherlock le si avvicino’, sul viso un’espressione furente.
“E questo automaticamente fa si che io debba impegnarmi a farmela piacere? Mi sembra un meccanismo alquanto assurdo e inutile, Molly! E non funziona certo in tutte le famiglie!”
Lei si morse un labbro e nei suoi occhi passo’ un lampo di incertezza.
“A me... a me piace pensare di piacere a Mycroft!” disse infine con una voce piu’ dimessa.
Il nome del fratello contribui’ ad aumentare il nervosismo di Sherlock, che  fece una smorfia di scherno.
“A Mycroft non piace nessuno, Molly. Non capisco perche’ tu dovresti costituire un’eccezione” replico’ in tono piatto.
Lui registro’ il suo sguardo ferito nel momento stesso in cui le parole finirono di uscire dalla sua bocca: maledizione, era per questo che odiava tanto discutere, finiva sempre per dire qualcosa di oltremodo sbagliato. Non aveva davvero avuto l’intenzione di dirle questa cosa, non era neanche la verita’. Era stato crudele senza motivo: sapeva che, per qualche strano e contorto motivo, Molly teneva al giudizio di Mycroft e lui non era mai stato scortese quelle poche volte in cui si erano incontrati, l’aveva addirittura ringraziata quando...
“Mi... dispiace. Non intendevo...” comincio’ a dirle, nella speranza di poter rimediare in qualche modo al suo errore.
“Lascia stare” disse piano Molly tornando a guardare il cellulare.
“Molly...”
Ma lei non lo stava gia’ piu’ ascoltando, un orecchio premuto al telefono.
“Pronto? Mi scusi...” Sherlock pote’ vedere la sua fronte aggrottarsi per la confusione “ho chiamato il cellulare della dottoressa Hastings, con chi sto parlando? Che cosa?? Quando? E come sta?”
Molly si porto’ la mano libera fra i capelli e ve la fece passare attraverso con un movimento di frustrazione.
“Si, si, certo. Sto arrivando”
Riattacco’ e si diresse in camera da letto.
Sherlock la segui’ e la vide cominciare a raccogliere i vestiti per prepararsi ad uscire.
“Che succede?”
Molly parlo’ senza smettere di muoversi.
“La zia e’ stata aggredita al ritorno nella sua stanza d’hotel. Pare che ci fosse un ladro in camera, che quando e’ arrivata l’ha scansata per scappare e l’ha fatta cadere. Non sembra essere niente di grave, la sua amica con cui ho parlato mi ha assicurato che sta bene, solo una botta. Vado in ospedale, e’ al pronto soccorso”
“Ti accompagno”
“No” rispose brusca Molly, finendo di infilarsi il maglione.
Lui rimase a guardarla interdetto dalla soglia della camera.
“No” ripete’ lei, questa volta in un tono piu’ pacato “hai ragione. Voi due... non vi piacete. Si creerebbe una situazione di tensione e io non voglio. Non e’ proprio quello di cui c’e’ bisogno in questo  momento. E poi sarebbe oltremodo sospetto, se ci presentassimo insieme” fece una smorfia dopo aver pronunciato queste parole e lo oltrepasso’ per uscire dalla stanza.
Sherlock rimase a guardarla senza piu’ parlare mentre lei si infilava sciarpa e cappotto e chiamava un taxi.
Poi Molly usci’ chiudendo piano la porta dietro di se’: Martha Hudson aveva il sonno pesante ma non si poteva mai dire, la prudenza non era mai troppa.
Sherlock registro’ con un moto di fastidio misto a dispiacere che lei non l’aveva nemmeno salutato.
 
***
 
La voce di Emily guido’ Molly fino al letto in corsia su cui era stata sistemata.
“Quante volte ve lo devo ripetere? Sto bene e sono anche un medico, lo saprei mille volte meglio di voi se ci fosse qualcosa che non va. Facevo diagnosi quando ancora lei usava il pannolino, dottore! Lasciatemi uscire!”
“Signora Hastings...” comincio’ la voce frustrata di un giovane medico.
Dottoressa Hastings...” replico’ Emily con un tono di ammonimento.
“Dottoressa Hastings...” riprese con un sospiro il suo interlocutore.
Molly osservo’ con pieta’  lo specializzando che stava cercando di ragionare con sua zia e decise di andare  in suo soccorso.
“Zia Emily?”
La donna la vide e le rivolse un sorriso smagliante.
“Oh, cara! Ciao! Non dirmi che ti hanno disturbato per questa sciocchezza... Anna!” sbotto’ rivolgendosi a una donna circa della sua eta’ che le era accanto “Hai disturbato mia nipote per questa sciocchezza?”
L’amica che evidentemente aveva avvertito Molly si limito’ a scuotere le spalle e a sorridere: era una donna piccola e rotondetta con corti capelli bianchi e un’espressione simpatica sul viso.
“Lei ha ricevuto un colpo alla testa...” tento’ di nuovo di farsi sentire il giovane medico “un trauma cranico puo’ essere sempre-”
“Oh... non vuole proprio stare zitto, vero?” si lamento’ Emily, degnandolo appena di un’occhiata per poi riprendere a parlare “Molly cara, e’ stato un piccolo incidente e io sto benissimo. Anna non avrebbe dovuto farti preoccupare. Naturalmente faro’ pervenire le mie lamentele al direttore dell’albergo per la straordinaria carenza di sicurezza della struttura, ma ti assicuro che non mi sono fatta nulla. Ora, se questo giovanotto si decidesse a firmare la mia dimissione, potremmo tutti andare a farci una bella dormita”
In un ultimo strenuo tentativo di riaffermare la sua professionalita’, il medico riprese a recitare le sue raccomandazioni.
“Dovete osservare ogni minimo segno di  nausea o vertigini, sfalsamento delle pupille o confusione...”
“Quale parte in cui le dicevo della mia laurea in medicina le e’ sfuggita, insomma?” lo interruppe annoiata Emily.
“Zia!” esclamo’ Molly con tono fermo, facendo calare il silenzio nella corsia e guadagnandosi l’attenzione di tutti.
Annuendo soddisfatta, la ragazza riprese a parlare.
“Dottore, la ringrazio infinitamente. Suppongo che le analisi di routine siano gia’ state eseguite?”
“Tac, analisi del sangue e dei riflessi pupillari e muscolari” annui’ il medico, contento di poter finalmente spiegare il suo operato.
Emily si limito’ a roteare gli occhi, ma Molly annui’ di nuovo.
“Bene, la ringrazio infinitamente. Sono la nipote della signora, che ora la ringraziera’ di cuore per la sua gentilezza e la sua pazienza. Le assicuro che stanotte stara’ con me e mi accertero’ che non abbia nessun problema. Non e’ vero, zia?” il tono era dolce, ma lo sguardo era deciso.
Emily rimase in silenzio per qualche secondo con fare imbronciato, poi capitolo’.
“La ringrazio per le sue inutili ma sicuramente attente cure, Dottore” dichiaro’ con un sorriso che chiariva che non si sarebbe spinta oltre.
Molly chino’ il capo rassegnata.
In quel momento nel corridoio apparve un buffo ometto alto non piu’ di un metro e sessanta con un bel paio di baffi e una lucida pelata. Aveva un paio di occhiali da vista spessi come il fondo di un bicchiere e osservo’ il gruppo con aria stupita.
“Emily... stiamo andandocene? Dubito che riusciremo a trovare del te decente, in questo posto”
“Siamo in un ospedale, Donald... io l’avevo detto che dovevamo insistere perche’ ce ne preparasse un po’ la cucina dell’albergo prima di venire qui con il taxi. Era il minimo che potessero fare, visto che hanno fatto entrare un malfattore nella mia stanza!”
“Un momento” si intromise Molly “non sei venuta in ambulanza?”
“E perche’ avrei dovuto?” chiese sinceramente stupita Emily “Cara, ti presento Anna Stoller e Donald Custer, i mie vecchi compagni di universita’. Loro mi hanno accompagnata qui, eravamo reduci dalla nostra cena insieme. E ora” dichiaro’, balzando giu dal lettino e infilandosi il cappotto che prontamente l’amico le aveva appoggiato sulle spalle “andiamocene di qua. Gli ospedali dove io non lavoro non mi sono mai piaciuti”
Lo specializzando si affretto’ ad allontanarsi.
I tre amici si avviarono con passo allegro verso l’uscita.
Molly Hooper si chiese tristemente cosa quella notte avesse ancora da riservarle... scuotendo piano la testa si disse che era probabilmente in procinto di scoprirlo.
Dopotutto, non si era appena offerta di badare a zia Emily per le prossime ore?
 
***
 
“Naturalmente non andremo al tuo appartamento, cara” dichiaro’ Emily subito dopo che il taxi li ebbe caricati tutti e quattro.
Appunto.
“Zia...” comincio’ Molly in tono stanco, ma fu subito interrotta.
“Staro’ nell’albergo di Anna e Donald, vero?” guardo’ interrogativamente i due amici, che si affrettarono ad annuire solennemente.
Il taxista accolse con un cenno l’indirizzo della struttura e mise in moto la macchina.
“Bene, la questione e’ risolta. Cosi non saro’ sola e tu sarai tranquilla, ma non posso pensare davvero di disturbarti visto che tra poco inizi un nuovo turno di lavoro. Hai l’aria di una che non ha dormito molto, stanotte”
Molly si senti’ arrossire.
“Ehm... ecco io... ho lavorato fino a tardi e poi ho avuto problemi ad addormentarmi” dichiaro’.
In fondo era la verita’, ma ovviamente il punto era un altro.
“Zia Emily? Non trovi un po’ strano che un tuo amico venga ucciso e che il giorno stesso della sua morte tu abbia trovato un ladro in camera?”
La donna la guardo’ stupita.
“Certo che no, cara. Evidentemente quel delinquente stava cercando qualcosa, ma ti assicuro che il caro Edward non mi aveva dato nulla. Non ci eravamo ancora neppure visti! La faccenda si sta facendo un po’ complicata ma anche molto interessante, non trovate anche voi?” disse rivolgendosi con un tono eccitato di nuovo ai due amici, che si limitarono ad annuire ancora.
Molly capitolo’, troppo stanca per poter anche solo ribattere che non era il caso di prendere la situazione alla leggera.
“Ok, ma piu’ tardi ci risentiamo e voglio che passi una notte tranquilla. Avvertirai anche l’ispettore Lestrade” dichiaro’ con fermezza, decidendosi poi a condividere i risultati delle analisi che aveva condotto.
“Ipercalcemia...” considero’ un attimo dopo zia Emily “astuto. Complicato ma astuto. Povero Edward... chissa’ in che cosa era coinvolto...”
Il resto del viaggio si svolse in silenzio fino a che non arrivarono all’hotel.
Dopo aver salutato i tre, Molly diede l’indirizzo del suo appartamento all’autista: per un attimo ebbe la tentazione di chiedere di essere portata a Baker Street, ma la scaccio’ subito; controllo’ il suo cellulare, ma come aveva previsto non c’erano chiamate perse o sms in entrata: ripenso’ alle parole di Sherlock e le venne un nodo alla gola.
Potevano anche essergli sfuggite in un momento di rabbia, ma le aveva comunque pronunciate.
E le avevano fatto molto male.
 
***
 
I risultati sui medicinali di Edward St. James arrivarono nel primo pomeriggio e Molly li rilesse stupita piu’ di una volta, prima di rassegnarsi al fatto che quel caso era sempre piu’ confusionario.
Nessuno dei farmaci presenti nella stanza e che il professore prendeva abitualmente era stato adulterato, il che significava che il calcio era stato somministrato in qualche altro modo.
“Dovremo indagare in un’altra direzione” ammise Lestrade, prima di cominciare a giocherellare con un vetrino appoggiato sul tavolo di Molly “abbiamo contattato le autorita’ della cittadina dove si era ritirato a vivere dopo il pensionamento, ma quelli fanno gli gnorri. Assicurano tutta la disponibilta’ e la collaborazione di cui abbiamo bisogno, ma hanno fatto chiaramente intendere di ritenere il caso una nostra responsabilita’, visto che e’ morto qui”
“Cosa ti ha detto zia Emily a proposito dell’aggressione?”
L’uomo la guardo’ confuso.
“Aggressione?”
Molly emise un gemito: quella mattina si era svegliata tardi ed era subito corsa al lavoro, dove la aspettavano un’immensa mole di scartoffie da compilare e un’autopsia urgente; aveva davvero davvero sperato che la zia avesse fatto quello che le aveva detto e avesse contattato la polizia.
Prese il cellulare e fece partire la chiamata.
“Pronto?” rispose una voce gentile.
Evidentemente non zia Emily.
“Anna, giusto?” comincio’ Molly, cercando di restare calma “sono la nipote di Emily. Avrei urgente bisogno di parlare con lei... me la puo’ passare per favore?”
“Ehm... al momento no, cara”
“E perche’ no, di grazia?” sbotto’ Molly, incapace ormai di dominare l’irritazione.
“E’ uscita, ma ha detto che non ci avrebbe messo molto. E che il cellulare non le sarebbe servito... ecco perche’ l’ha lasciato qui e ho risposto io!” ribatte’ Anna con tono gioviale.
“Uscita? E’ reduce da una commozione celebrale, non doveva uscire!”
“Oh... ma mi ha assicurato che stava bene, cara. E sai bene com’e’, quando si mette in testa qualcosa” Anna sembro’ improvvisamente molto dispiaciuta e Molly si senti’ in colpa.
“Va bene... va bene. Posso almeno sapere dove e’ andata?” chiese con un sospiro.
“Adesso che ci penso, ha detto una cosa strana. Ma sono sicura di aver proprio capito bene”
“Strana in che senso?” domando’ Molly di nuovo sul chi vive.
“Ha detto che stava andando ad incontrare l’unico consulente investigativo al mondo. E’ strano, non pensavo nemmeno esistesse un lavoro con quel nome”
 
 
 
  
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