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Autore: millyray    12/10/2013    3 recensioni
Per chi odia le morti ingiuste anche se eroiche dove a sopravvivere sono i malvagi, perché le eccezioni esistono, esistono sempre. Per chi ama il trionfo degli amori, gli amori veri, quelli un po' platonici e un po' terreni, a volte anche scontati. Per chi odia i misteri e i segreti che si celano dietro gli occhi di qualcuno, ma ama l'aria tormentata che essi hanno.
Be', credo che siate nel posto giusto.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO OTTO – UNA SERATA… INDIMENTICABILE

Ho già capito chi sei, che cosa cerchi tu da me
che cosa vuoi di più da me
tu vuoi quel graffio al cuore che anch’io fortemente vorrei.

(Fuoco nel fuoco, E. Ramazzotti)

La ruota del Nucleo girò rumorosamente facendo spostare la porta di lato e Gwen entrò dentro quasi saltellando allegramente. Sembrava essere parecchio di buon umore quella mattina, forse una buona notizia o una piacevole nottata con Rhys.

“Buongiorno, ragazzi!” salutò in tono pimpante, ma tutto ciò che ricevette in cambio furono dei borbottii o dei grugniti. “Che allegria! Siete sempre così gioiosi?”

“La gioia è solo una effimera illusione di chi fugge dalla realtà”, sospirò Owen, concentrato a pulire i suoi attrezzi da lavoro e non facendo per niente caso a Gwen.

“Ci siamo dati al pessimismo Leopardiano, Owen?”

In quel momento la porta dell’ufficio di Jack si spalancò e ne uscirono Ianto e il Capitano. Quest’ultimo aveva uno strano sorrisetto sardonico dipinto sulle labbra, l’altro invece scese le scalette camminando a gambe larghe, una smorfia sulle labbra. Soltanto Gwen parve però accorgersene e a fatica trattenne una risata.

“Stamattina ho incontrato Andy”, sbottò allora la ragazza, sedendosi con un colpo di reni su un tavolino e accavallando le gambe.

“Oh adesso mi spiego il tuo buonumore”, la prese in giro Owen, uscendo dal suo laboratorio. “Rhys non ti basta più?”

Gwen gli lanciò un’occhiata omicida. “Idiota”, soffiò in direzione dell’amico, ma nemmeno la sua battuta le rovinò l’allegria. “Comunque, stavo dicendo…”, continuò allora, giocherellando con un cubo di Rubik. “Il dipartimento di polizia di Cardiff organizza una festa stasera e ci ha invitati”.

“E a cosa dobbiamo questo onore?” chiese ancora Owen che quella mattina sembrava grondare acido da tutti i pori quella mattina.

“Be’, dopotutto contribuiamo a tenere in ordine questo posto”, fu la risposta della ragazza che guardò in direzione di Jack ricevendo solo una scrollata di spalle. “Vi va di venire?”

“A una festa con degli sbirri sfigati?!” esclamò il dottore con fare sconvolto. “Non ci penso proprio”.

Gwen sbuffò, ma dopotutto non si aspettava certo che Owen accettasse di buon grado. “Tu, Jack?”

Il Capitano rimase un attimo a guardarla prima di rispondere. “Lo sai che la polizia non mi piace”.

“Ma anche io ero una poliziotta!”

Altra scrollata di spalle da parte di Jack.

“Tosh?” chiese questa volta la ex poliziotta, guardando in direzione di Toshiko e sperando di ricevere una risposta soddisfacente almeno da lei. Essendo anche lei una ragazza, contava nella complicità che correva tra ragazze.

“Le feste non fanno per me”, le rispose invece la giapponese, togliendosi gli occhiali da vista. E questa volta il buonumore di Gwen finì leggermente intaccato. “Immagino di non poter contare neanche su di te, Ianto”.

“Ho portato il mio completo migliore in tintoria la scorsa settimana”.

Certo, che avesse portato il suo completo migliore in tintoria ci stava, ma non credeva assolutamente che ne avesse solo uno. 

“Certo che siete proprio deprimenti”, concluse alla fine Gwen, scendo dal tavolo. “Pensate solo al lavoro. Potreste divertirvi una volta tanto”. Poi tirò fuori dalla tasca qualcosa di rettangolare e lo buttò sul tavolino. “Vi lascio qui i biglietti nel caso cambiaste idea”. E abbandonò la stanza a passo di marcia.

 

Ianto chiuse la comunicazione con la pizzeria da cui erano soliti ordinare il pranzo e poggiò il telefono sul tavolo più vicino. Poi vide i biglietti per la festa di polizia di quella sera e li prese in mano, osservandoli con attenzione.

“Però, non mi sembra una cattiva idea andare alla festa”, disse, dopo un po’. “Qui c’è scritto che sarà servito un buffet e che ci sarà una pista da ballo”.

“Ancora peggio. Non so ballare”, rispose Owen, seduto su una sedia a rigirarsi i pollici. Era indeciso tra il tornare a casa o il restare lì. Non c’era molto da fare quel giorno a Torchwood, la Fessura non aveva mostrato segnali di alcun genere e non c’erano stati avvistamenti di alieni o altro. Stava perdendo tempo lì. Però anche tornare a casa non avrebbe cambiato molto.

“Non devi ballare per forza”, gli fece notare Ianto. “E’ dai tempi del liceo che non vado a una festa in cui si balla”.

Jack, allora, distolse gli occhi da dei documenti che stava leggendo e li puntò sul compagno.

“Io all’ultimo ballo del liceo ci sono andato con una certa Jessica”, ricordò il dottore. “Ma poi mi sono fatto la sua migliore amica nei bagni della scuola”.
Ianto lo guardò con una strana espressione, ma non disse niente. si limitò a riporre i biglietti sul tavolo e a girare sui tacchi.

“Ianto!?” lo chiamò il Capitano, buttandosi contro lo schienale della sedia. “Vorresti andarci?”

“Intendi… alla festa della polizia?”

“Sì”.

Il ragazzo non seppe che cosa rispondere. Come mai Jack gli faceva quella domanda? Forse era una domanda a trabocchetto o qualcosa… alla fine, comunque, optò per la verità. “Be’, non mi dispiacerebbe. Ma non è così importante”. Poi si allontanò per andare a prendere le pizze.

 

Durante il pranzo, Owen si cimentò nel raccontare altri episodi dei tempi in cui andava al liceo, senza tralasciare niente, nemmeno quante ragazze si era fatto. Solo Gwen e Tosh lo stavano ascoltando, la prima divertita e l’altra piuttosto infastidita.
Jack sembrava perso nei suoi pensieri, mentre Ianto era troppo impegnato a divorare la sua pizza.

“E poi qualcuno aveva fatto uno scherzo a questa ragazza piena di brufoli, dicendole che io avevo una cotta per lei”, fece una pausa per mangiare un boccone di pizza, poi continuò. “e ha avuto il coraggio di chiedermi di uscire. Credo che abbia passato un’intera settimana a piangere, quando ha capito cosa le avevano fatto”.

“Sei proprio uno stronzo”, commentò Gwen cercando di trattenere le risate.

“Sì, lo ero. Ma da allora lei ha imparato a fidarsi meno della gente”.

Il dottore si zittì e nessun altro prese la parola. Dopo un po’, però, Jack scorse lo sguardo sui suoi compagni e assottigliò lo sguardo, perplesso. “Ianto, hai intenzione di mangiarti anche il cartone?”  Tutti gli sguardi si puntarono su Ianto che a sua volta alzò gli occhi con un pezzo di crosta in mano. Aveva mangiato tutta la sua pizza in poco tempo, cosa che faceva raramente perché l’avanzava quasi sempre, e ora si stava divorando anche le briciole.

“No, è solo che ho fame”.

Il Capitano non parve del tutto convinto, ma scrollò le spalle e decise di lasciar perdere.

“Spero che tu non sia troppo pieno. Andiamo a caccia di Weevil”.

 

“E’ da un quarto d’ora che camminiamo e ancora non ce n’è traccia”, si lamentò Ianto, puntando la torcia attorno a sé, sulle pareti sporche e piene di muffa.  Era divertente cacciare i  Weevil, ma non quando bisognava infilarsi nelle fognature. Poi doveva riempirsi di profumo per non puzzare di merda.

“Ne troveremo uno, vedrai”, cercò di incoraggiarlo Jack che apriva la strada camminando davanti, mentre l’altro seguiva lo svolazzo del suo lungo cappotto grigio.

“Certo. Non vedono l’ora di…”.

“Shhh!” lo zittì allora il Capitano, portando un indice alle labbra e tendendo le orecchie in ascolto. Anche Ianto si mise sull’attenti e gli parve di udire, a pochi metri da loro, il tipico ringhio basso dei Weevil. “Mi sa che ce n’è uno nei paraggi”, bisbigliò, appiattendosi contro il muro. Poi prese a camminare, sempre strisciando contro la parete, finché non arrivò a una svolta nel cui mezzo c’era proprio un Weevil intento ad annusare qualcosa.

“Ehi! Fermo là”.

L’alieno si guardò attorno come in preda al panico, cercando una via di fuga. Jack approfittò di quel momento per saltargli addosso. Cercò di dargli una scossa, ma quello lo disarmò con una potente manata e lo fece cadere a terra. Allora Jack lo prese per le gambe e lo buttò anche lui, salendogli a cavalcioni. Ma il Weevil non demordeva e si difendeva con tutte le sue forze. In poco tempo riuscì a mettere in difficoltà il suo assalitore e a invertire le posizioni. Proprio quando il Capitano si prese un pugno sulla mascella, Ianto afferrò il mostro per le spalle e lo allontanò da lui, lanciandolo contro il muro. Gli assestò un paio di pugni facendolo svenire.
Poi si voltò verso Jack e lo aiutò ad alzarsi.

“Bel lavoro”, gli disse il Capitano sorridendo, piegato in due per riprendere fiato.

“Tu hai fatto il grosso del lavoro”, rispose Ianto, avvicinandosi a lui e pulendogli con un dito il sangue che usciva da una ferita al labbro. Tanto in poco tempo sarebbe guarita. Jack gli prese il dito sporco in mano e leccò via il sangue in modo molto suadente, senza mai interrompere il contatto visivo col ragazzo che si sentì i brividi correre lungo la schiena e una piacevole sensazione nel basso ventre.

Cercò di allontanarsi velocemente ma ciò gli causò un leggero capogiro e gli parve che tutto il corridoio attorno a lui avesse preso a girare. Jack, accorgendosene, lo afferrò per le spalle e lo guardò preoccupato. “Stai bene?”

Ianto alzò gli occhi stanchi su di lui. “Sì, è stato solo un attimo”.

“Sicuro?”

“Certo! Sto bene”. Il ragazzo gli sorrise per rassicurarlo e poi andò verso il Weevil svenuto. Jack non fece altre domande anche se era chiaro che Ianto non stava bene. Era da un po’ di giorni che sembrava avere dei capogiri e rischiava di svenire. E poi gli si leggeva nello sguardo che qualcosa gli dava fastidio. Avrebbe dovuto insistere di più, fare qualcosa però…

“Forza! Andiamo via”.

 

I due uomini risalirono in superficie, Jack con il Weevil buttato su una spalla e Ianto che questa volta apriva la strada. Raggiunsero il Suv in completo silenzio e posarono l’alieno nel bagagliaio, legato come un salame.
Poi si accomodarono anche loro, il Capitano al posto di guida e il suo compagno accanto a lui dal lato del passeggero. Stava per allacciare la cintura, quando il più vecchio gli prese una mano e, avvicinatosi, lo baciò. Ianto, anche se non se lo era aspettato minimamente, lo lasciò fare e socchiuse la bocca per fargli spazio. Dopotutto non era raro che Jack lo baciasse così, senza alcun motivo, come se una vocina nella sua testa glielo ordinasse. O come se, dai suoi baci, dipendesse la sua intera esistenza.
Ma non si fermarono lì. Jack riuscì a slacciargli la cravatta senza che l’altro nemmeno se ne accorgesse, Ianto la vide soltanto volare contro il parabrezza. Poi cominciò ad armeggiare coi bottoni della sua camicia, scorrendogli la mano fredda sul petto.
Poi si ritrovarono sdraiati sul sedile posteriore, senza neanche ricordarsi di come ci erano arrivati, Ianto sotto e Jack sopra di lui. Si baciavano, si accarezzavano, si godevano ogni centimetro dei loro corpi e poco importava se si trovassero in un parcheggio dove, anche se a quell’ora poco affollato, correvano il rischio di essere visti. Non tralasciavano nessun preliminare, non lo facevano da quando… be’, da quando si erano messi insieme, ufficialmente. Perché ora non si trattava più di semplice sesso, non erano solo i loro corpi a unirsi. Era… tutto.

Il ragazzo si aggrappò con una mano ai capelli del Capitano, mentre questi gli mordicchiava il collo, e premette il naso contro la sua spalla, assaporandone il profumo, quel profumo che possedeva soltanto Jack, quel profumo che non se ne andava nemmeno quando odorava di sudore o di fognature. Ma lui non odorava mai di sudore o fognature, quel profumo era sempre lo stesso, inebriante, invadente, eccitante…
Si lasciò sfuggire un sospiro. Non avrebbe resistito ancora a lungo. E Jack, come se lo avesse capito, in poco tempo fu dentro di lui, completamente, senza lasciargli il tempo di prepararsi. Non lo faceva mai, lui era così: veloce e intenso.
Ianto cercò di tenere al minimo i gemiti. Accarezzava il petto del Capitano mentre questi si muoveva su e giù, delicatamente per non fargli male.

Infine, raggiunsero l’orgasmo nello stesso momento e fu come… come aver trovato qualcosa che cercavano da tanto tempo.
Jack si lasciò cadere sul compagno, una mano poggiata sulla sua spalla e la testa sul suo petto. “Ti amo, Ianto Jones”, gli soffiò all’orecchio. Ianto avrebbe tanto voluto piangere, piangere per la gioia, quella gioia talmente forte da essere addirittura opprimente, quella gioia che ti schiaccia sotto il suo peso.

Tutto andava bene, ora. Era con Jack, in quell’auto, c’erano soltanto loro due e tutto andava bene. Il loro mondo era racchiuso lì dentro.

 

Alla fine ci erano andati a quella festa alla centrale di polizia. Gwen ancora non aveva capito come avevano fatto a cambiare idea in così poco tempo, ma non era questo che contava. Non sapeva perché, ma nutriva grandi speranze per quella serata, come se qualcosa di speciale sarebbe dovuto avvenire.

La verità era che Ianto aveva solo espresso un piccolo desiderio di andarci e Jack, inspiegabilmente, aveva acconsentito ad accompagnarlo. Quel giorno il Capitano era stato particolarmente dolce e accondiscendente nei suoi confronti e, per quanto il ragazzo tentasse di non farci caso, non poteva fare a meno di pensare al perché e di sentirsi anche piuttosto contento.

Poi aveva deciso di unirsi anche Toshiko, tanto per conoscere altra gente, aveva detto. E infine si era convinto anche Owen, ma solo perché gli amici lo avevano provocato dicendogli che era asociale e che si vergognava.

E così avevano varcato la porta della centrale sotto gli occhi di tutti. In fondo, non accadeva tutti i giorni che il team di Torchwood si unisse alla gente comune. Tutti bene o male conoscevano quell’organizzazione e l’aura di mistero che vi alleggiava e c’era chi ne era piuttosto attratto e chi preferiva invece non porre troppe domande. Ma, quella sera, più di qualche occhio cadde sui cinque personaggi che, in qualche strano modo, si presentavano diversi dagli altri, e non tanto per i vestiti o per il modo di parlare, quelli erano assolutamente normali, ma per gli sguardi che avevano, per le espressioni, il modo di porsi, di affrontare quella determinata situazione quotidiana. Stonavano in mezzo a tutti quei poliziotti in borghese con i loro rispettivi compagni. O forse erano gli altri a stonare.

“Allora, Gwen, non mi presenti ai tuoi amici?” chiese un ragazzo biondino e piuttosto magro, avvicinandosi a Gwen e ai suoi compagni di lavoro.

“Oh, ciao, Andy. Loro sono Jack, Ianto, Toshiko e Owen. Ragazzi, lui è Andy”, presentò Gwen, contenta come una bimba il giorno di Natale.

“E così sei tu il famoso Andy!” esclamò Jack, esuberante come sempre, stringendo la mano al poliziotto.

“Famoso?”

“Certo. Sentiamo tanto parlare di te”, continuò ad infierire il Capitano, non badando affatto alle gomitate di Gwen.

“Davvero?” Il povero Andy aveva un’espressione proprio perplessa e incredula. Sembrava che questo fatto fosse per lui piuttosto improbabile. “E che cosa si dice di me?”

“Andy!” intervenne Gwen allora per non peggiorare la situazione e lanciò un’occhiata omicida a Jack dietro di lei. “Dov’è la tua accompagnatrice? Perché non me la presenti?”

Il ragazzo abbassò lo sguardo e si guardò i piedi come imbarazzato. “Ecco io… veramente… non sono venuto con nessuno”.

“Vuoi dire che sei qui da solo?!” esclamò la ragazza, esagerando l’espressione sconvolta. “Ma come?”

Ogni altra risposta o protesta venne interrotta in quel momento dall’arrivo di Rhys che teneva in mano due bicchieri di champagne. “Ragazzi, volete anche voi qualcosa?” chiese, più per essere educato che non perché volesse veramente andare a prendere qualcosa agli amici di sua moglie che, doveva confessarlo, non gli andavano molto a genio.

“Sì, vorrei uno di quei drink con l’oliva dentro, se non ti dispiace”, rispose Jack, guardando Rhys con sguardo quasi provocatorio. A volte si divertiva a prenderlo in giro o a farlo esasperare. Ianto alzò gli occhi al cielo. “Te lo porto io”, si offrì, più che altro per fuggire da tutta quella pantomima.

Raggiunse il tavolo del buffet destreggiandosi come un equilibrista tra le varie persone, cercando di non scontrarsi con nessuno, e tirò un sospiro di sollievo. E, completamente dimentico della bibita per Jack, si mise a mangiare tutto quello che gli capitava a tiro.
Forse non era stata una buona idea venire lì, pensò, mettendo in bocca un pezzettino di formaggio. C’erano troppe persone, la stanza era troppo affollata e a lui non erano mai piaciuti i luoghi troppo affollati, come non gli era mai piaciuto stare in mezzo a tanta gente.
Si infilò in bocca due o tre noccioline. Ma che cosa aveva sperato di ottenere? Una serata piacevole e romantica con Jack?
Sospirò tra sé e sé addentando un cetriolo.

“Ehi, hai parecchia fame oggi”, sentì esclamare una voce dietro di lui. Si voltò trovandosi davanti Tosh che gli sorrideva cordiale, come sempre.

Ianto abbassò lo sguardo sul cetriolo che teneva in mano. Non gli erano mai piaciuti i cetrioli, però quello era buono. Poi si accorse di aver finito anche tutto il piatto delle noccioline.
Forse doveva andarci piano col cibo.

Finì di mangiare quel cetriolo e si allontanò senza dire niente. Raggiunse di nuovo Jack, trovandolo circondato da un gruppetto di donne che lo guardavano affascinate e divertite mentre lo ascoltavano raccontare uno dei suoi aneddoti stravaganti. Ma probabilmente non capivano molto di quello che diceva, troppo impegnate a fare altro. Una si era addirittura slacciata il primo bottone della camicia.

A Ianto venne voglia di trascinarlo via per un orecchio. Non ci aveva messo molto a fare amicizia. Possibile che riuscisse ad attirare tutti quei sguardi in così poco tempo?

“Ne hai ancora per molto?” gli chiese in tono piuttosto acido e infastidito.

Jack si voltò verso di lui e lo guardò con cipiglio incuriosito. Poi appoggiò le mani sulle spalle di due donne e, guardandole provocante, sospirò: “Scusate, ma c’è qualcun altro che richiama la mia attenzione”. E, prendendo Ianto per la vita, lo baciò sotto gli sguardi di tutte quelle signore che rimasero piuttosto attonite e sconvolte.

 

Miriam uscì dalla toilette e si avvicinò al lavandino. Aprì il rubinetto dell’acqua lasciandola scorrere sulle mani e nel frattempo si dette un’occhiata allo specchio. La matita nera sotto l’occhio stava andando via, forse era meglio metterne ancora un po’. E magari sistemare il rossetto. Doveva ammettere che si stava piuttosto divertendo quella sera. Credeva che si sarebbe annoiata e che avrebbe dovuto sopportare battute dal pessimo gusto e donne che spettegolavano su ogni persona. E invece no, gli amici e i colleghi di David erano piuttosto simpatici.

Finì di lavarsi le mani e strappò un po’ di carta dall’aggeggio posto accanto al lavandino. Si sistemò il trucco e si rassettò un poco la gonna. Si voltò, pronta a tornare alla festa, quando rimase paralizzata sul posto nel vedere la figura che le stava in piedi davanti. Uno strano essere alto, magro, con uno smoking addosso, la testa ovale. Non aveva né gli occhi né la bocca, ma due lunghe corna in cima al capo su cui stavano due grosse pupille bianche.
Doveva essere una maschera, per forza.

“Chi…  chi sei?” chiese Miriam, con la bocca completamente secca per lo spavento appena preso. “Perché sei vestito così?”

Ma la creatura continuava a non rispondere. Se ne stava lì in piedi a osservarla come se la volesse analizzare per bene.

“Sei venuto con qualcuno? Vuoi che…”, continuò la ragazza, correndo con lo sguardo alla porta. Forse se si muoveva velocemente riusciva a fuggire. Ma cosa mai poteva essere? Sicuramente un uomo con la maschera, ma perché conciarsi così? Voleva uccidere qualcuno? Era un serial killer? O semplicemente voleva divertirsi alle spalle di qualcuno con un orribile scherzo.

Mosse un primo passo in laterale per fuggire via, ma quel mostro, improvvisamente, allungò una mano e la infilò dritta nel petto di Miriam, squarciandola come fosse fatta di cartapesta. La ragazza non fece in tempo nemmeno a tirare un ultimo respiro che quello le estrasse il cuore staccandolo da tutti i suoi tubi e canali e se lo portò alla bocca, addentandolo. Miriam cadde a terra come una bambola rotta, il sangue che sgorgava dal suo petto e dalla bocca.

 

Il capo del dipartimento era stato il primo ad accorrere, attirato dalle grida della moglie che aveva trovato il cadavere di una ragazza riverso sul pavimento del bagno e grondante sangue.
Quando vide che cos’era successo, cercò di tenere i curiosi il più lontano possibile. Anche il team di Torchwood aveva raggiunto il luogo del crimine, entrando subito all’opera. Owen, approfittando della confusione che si era creata, ebbe qualche minuto per esaminare il corpo.

“Non ha altre ferite oltre a questa sul petto. E oltretutto il taglio non sembra essere stato fatto da un bisturi, sembra più uno squarcio, la pelle è strappata. E le hanno portato via il cuore”. Alzò lo sguardo su Jack, come attendendo istruzioni.

“Sappiamo chi è la vittima?” chiese Toshiko.

“Si chiama Miriam”, rispose Ianto, appoggiato allo stipite della porta, completamente impassibile. ”Forse è la fidanzata di quel poliziotto biondo con la maglietta dei Rolling Stones”.

“David! Oh no!” esclamò Gwen, portandosi le mani alla bocca.

In quel momento sopraggiunse anche Andy. “Allora, è un caso per Torchwood?” chiese in tono sprezzante.

“Potrebbe esserlo”.

“Non fare la vaga con me, Gwen!” quasi gridò in direzione della ex collega.

“Cosa vuoi che ti dica, Andy! Ero giù con te, non so cosa sia successo!”

Un altro poliziotto, allora, ordinò anche a loro di allontanarsi da lì per lasciare le prove il più intatte possibile. Il capo era già andato a cercare di calmare gli altri. Non aveva intenzione di dire dell’omicidio, tanto la notizia sarebbe trapelata in ogni caso. Quelli che avevano raggiunto il bagno avevano visto la scena, o quantomeno avevano capito.
Si ipotizzava che l’assassino fosse ancora lì, magari uno dei presenti o qualcuno che si era infiltrato senza invito, perciò fino a nuovo ordine sarebbero dovuti rimanere tutti lì e non allontanarsi per nessun motivo.

 

La polizia si stava già dando da fare interrogando i presenti pur non contando di scoprire qualcosa. Anche Torchwood stava facendo la propria parte, a modo proprio. Owen e Ianto chiedevano agli invitati se avessero notato qualcosa di strano, studiando i loro volti per capire se in realtà qualcosa di strano era presente in loro, mentre Gwen, Jack e Tosh erano impegnati a guardare in giro.

La giapponese era entrata in quello che pareva essere un ufficio. Sicuramente ci lavoravano parecchi agenti, a giudicare dalla presenza di quattro scrivanie e del disordine che vi regnava. Rimase qualche secondo sulla soglia a guardarsi intorno. Poi si addentrò tra i tavoli a controllare, tanto per essere sicura che non ci fosse niente che non andava. Jack era convinto che si trattasse di un alieno, ma lei sperava che fosse solo un terribile serial killer. Almeno per una volta non sarebbe toccato a Torchwood risolvere tutto.
Ad un tratto, però, i suoi tacchi inciamparono in una sostanza appiccicaticcia, come una chewing gum. La ragazza tornò sui suoi passi e scoprì la suola sporca di nero. Si inginocchiò a terra e osservò la roba scura che macchiava il pavimento. Sembrava uno strano liquido, come una piccola macchia di petrolio. Invece, quando lo toccò, scoprì che era solido, anche se molle. Prese una provetta dalla borsa e ne raccolse un po’. In seguito sarebbe andata al suv per inserirlo nel computer e controllare di cosa si trattava.

 

“Allora, di cosa si tratta questa volta?” chiese Rhys con uno strano sorrisetto divertito sulle labbra. “Un alieno che mangia cuori? Un vampiro?”

“Rhys! Non esistono i vampiri!” gli ricordò Gwen in tono quasi sconvolto. Non capiva che cosa ci fosse di così divertente; una ragazza era appena morta e c’era un alieno che minacciava tutti loro. O forse era un serial killer. Il che era peggio. O magari no.

“Questo lo dici tu”.

La ragazza sbuffò e richiuse violentemente l’armadietto che aveva aperto. Quella ricerca si stava prospettando inconcludente. Che cosa speravano di trovare lì? Conosceva quasi tutti i poliziotti che lavoravano in quella centrale, non sospettava di nessuno di loro.

“Oh mio Dio! Chi è che legge queste riviste?!” esclamò ad un tratto suo marito, sfoggiandole davanti una rivista con una ragazza in bikini sulla copertina. “Scommetto che è di Andy”.

“Rhys, per favore, smettila. Non siamo qui per ficcare il naso nelle cose degli altri”, lo redarguì lei.

“A me invece sembra proprio di sì”.

 

“Signore, che ci fa qui?”

Jack si bloccò in mezzo al corridoio e si voltò verso l’uomo che l’aveva chiamato. Era il capo della polizia e non sembrava avere un’aria molto felice. 

 “Cercavo… ehm… il bagno”. Sorrise affabilmente il Capitano con l’espressione più innocente possibile.

“Non è su questo piano. E comunque nessuno le ha dato il permesso di muoversi”.

L’altro alzò gli occhi al cielo. Possibile che la polizia dovesse essere così noiosa? E soprattutto, perché doveva rispettare tutte queste regole? Grazie al cielo Gwen non era così.

“Sì, d’accordo”, rispose. “Vado”. E fece il saluto militare, senza smettere di sorridere. Almeno era riuscito a controllare quel piano. Per fortuna la centrale non era molto grande; contava in Gwen e Tosh.

 

“Jack!”

Jack si infilò in bocca una nocciolina, quando sentì una voce trafelata chiamarlo da dietro le spalle. Si voltò, incontrando la figura di Toshiko che gli veniva incontro con il portatile in mano.

“Avevi ragione. È un alieno!” quasi urlò la ragazza, ricordandosi all’ultimo momento di non parlare troppo forte perché la sala da ballo era piena di persone. Gli altri membri del Torchwood si radunarono attorno ai due. “Ho esaminato la sostanza che ho trovato e guarda un po’ cos’è uscito…”.

Il Capitano lesse velocemente i dati al computer e ad un tratto impallidì di colpo. “Non è possibile”.

“Che cosa?” chiese Ianto.

“Si tratta di un Wheepul”.

“Un che?!”

“Sono tra le creature più letali che ci siano nell’universo”.

“Li hai già visti?”

“Sì, ma credevo che non ce ne fossero più. Ti strappano il cuore dal petto con le loro stesse mani. Non conoscono emozioni né niente, sanno solo cos’è la carne. Non puoi scappare di fronte a loro, puoi solo ucciderli o… morire”.

“Ti strappano il cuore?!” esclamò Rhys sconvolto. Pareva che avesse afferrato soltanto quello della spiegazione. “Come sarebbe a dire che ti strappano il cuore? E per cosa?”

“Per mangiarselo”, rispose Jack come fosse la cosa più ovvia del mondo.

“Ehi, non sentite puzza di bruciato?” chiese ad un tratto la voce di un giovane poliziotto, fermo al centro della stanza.

Ad un tratto, come se quella fosse stata una parola d’ordine, comparve di nuovo la stessa creatura che aveva ucciso Miriam in quella maniera brutale. Era identico, alto, con lo smoking, senza occhi né bocca, le corna in cima alla testa.

Qualcuno urlò ma nessuno ebbe il coraggio di muoversi.

“State tutti fermi!” ordinò Jack gridando forte per farsi udire da tutti. “Non muovetevi se volete salvarvi”.

Ma il poliziotto che aveva parlato prima, ignorando completamente il suggerimento, cercò di filarsela via di corsa, terrorizzato come probabilmente non lo era mai stato in vita sua. Il Wheepul però non gli lasciò alcuno scampo: con un gesto quasi impercettibile, gli infilò la mano nel petto e gli estrasse il cuore.

Soltanto allora si scatenò il panico più completo; la gente cominciò a correre via spaventata, le donne urlavano, qualcuno cercava di riportare la calma, ma invano. Tutti si addossarono alle porte, le quali però parevano bloccate.

Il Capitano, notando che il Wheepul era parecchio confuso, estrasse la pistola e, con un colpo ben mirato, gli sparò in testa, spargendo ovunque il suo cervello. O quello che vi era contenuto.

 

“Be’, direi che poteva andare peggio”, commentò Gwen, alla fine della serata. Dopo quella brutta avventura con l’alieno, i partecipanti alla festa avevano deciso di tornarsene a casa e di dimenticare quell’esperienza. Due morti e un attacco alieno avevano tolto a tutti la voglia di festeggiare. Peccato però che fossero crollati tutti a dormire prima di poter raggiungere le proprie auto, colpa di un po’ di champagne e qualche pillola di Retcon.

“Avremo mai una giornata normale?” chiese Tosh, già indovinando la risposta.

“Sai il lavoro che facciamo. La normalità ormai non esiste più da noi”.

In quel momento li raggiunse anche Ianto, sedendosi accanto a Jack che lo guardò per qualche secondo e gli prese la mano.

“Tutto bene?” gli chiese, senza farsi udire dagli altri.

“Sì, sto bene”, rispose il ragazzo. Non vedeva l’ora, però, di tornarsene a casa e farsi una bella dormita.

 

 

MILLY’S SPACE

Buonasera, bella gente! Non mi dilungo troppo perché sto per uscire.

Vi ricordo solo di andare a visitare la mia pagina Facebook (Milly’s Space), ci trovate un sacco di cose carine, e di lasciarmi qualche recensione. Noto con dispiacere che sono diminuite. Spero ciò non sia dovuto al calo di interesse per questa storia, alla quale io tengo molto. Se così fosse ditemelo apertamente, accetto anche le critiche, lo sapete : )

Bacioni e alla prossima.

M.

PUFFOLA_LILY: io comica?? Ahaha, semmai lo era mia mamma xD Non ti preoccupare, presto si scoprirà qualcosa del passato di Ianto e hai ragione, non sarà affatto piacevole. Io però vorrei sapere di più anche del passato di Jack. Spero che Davies faccia una serie anche su di lui ^^ io non saprei dove metterci le mani, sinceramente. Spero di risentirti, un bacio. Milly.

  
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