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Autore: Tessnip    14/10/2013    1 recensioni
Mia madre dice che l'amore rende bugiardi. E mia madre non mente.
Non può farlo.
Perchè mia madre è la Regina della Corte Seelie, e le fate non mentono mai.
Dunque le fate non possono amare.
Sono Paradisaeidae, e quello che ti chiedo è di rendermi capace di farlo.
A Magnus Bane, sommo stregone di Brooklyn.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
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Indosso ancora questo abito assurdo mentre mi fisso nello specchio di camera mia. Non ne voglio sapere di toglierlo. Non voglio proprio pensare che il domani sta per arrivare e forse, non togliendolo, tarderò di un altro pò la sensazione di ansia. Non so se alle altre fate capita la stessa cosa: immagino che una fata non sia preoccupata del suo successo, di solito.
E allora perché non voglio togliermi questo vestito?
- Vi siete innamorata della vostra immagine, Principessa?
Incontro lo sguardo comprensivo di Astrapia, nello specchio. Uno sguardo intimo e familiare. Quello si che potrebbe essere lo sguardo di una madre, penso.
- Come è stata la tua prova, Astrapia?
Si appoggia sul mio letto e mi fa cenno di sedermi accanto a lei.
- Sapete, Principessa, che i precetti con cui siete cresciuta sono molto più rigidi di quelli di una fata comune? Una Reale deve essere irreprensibile in maniera categorica, per questo non invidio il vostro ruolo. Non so quanto sia utile rivelarvelo, ma una fata comune non si fa troppi problemi riguardo ai suoi sentimenti. Nonostante i sentimenti di una fata siano completamente, irrimediabilmente distorti: siamo un miscuglio di Bianco e Nero, e questo ci rende anime grigie, in quanto per natura non ricerchiamo il Bene o il Male. 
Siamo pericolose  per questo motivo, e non c'è niente che si possa fare per cambiare la nostra essenza.  La nostra è una fortuna e una condanna, e con l'esperienza imparerete che questo sarà in parte godimento, in parte dolore.
Conosco a memoria i vostri libri, Principessa, ma dovete capire che questo è ciò che vi renderà sempre completamente, assolutamente diversa dalle vostre eroine.
Non è la prima volta di questa giornata che sono senza parole. Mi sento infranta come lo specchio che ruppi da bambina, sconcertata eppure capita, forse per la prima volta. Astrapia mi conosce davvero, e per il mio bene mi ha confessato la terribile verità del mio essere. 
Non che non la sapessi già.
- Ho sempre pensato che fosse la volontà a rendermi ciò che volevo. A farmi protendere verso il bianco o il nero. E tu, Astrapia, tu sei uno dei motivi per cui continuo a sperare.
Astrapia mi da un bacio sulla fronte prima di uscire dalla mia stanza. 
A quel punto lascio scorrere le lacrime senza asciugarle.

Central Park sembra un pugno verde in un grosso macchinario grigio.
Il sole splende ed io mi guardo intorno senza paura di essere notata dai mondani: la Regina ha pensato ad un incantesimo di protezione. 
Le fate sono abituate ad organizzare ogni singolo minuto della loro vita di eventi e feste, per questo non avrei mai pensato che la Prova della Prima Apparizione consistesse nell'essere letteralmente buttata fuori dalla Corte, per tornare una volta completata la Missione di Persuasione.
E con solo una regola: ristrutturare la facciata del proprio volto per farla diventare un'impalcatura senza anima. Un dannato teatrino, ecco come la vedo io.
Non sono mai uscita senza accompagnatori, ed essere circondata da tutti questi mondani che non mi possono vedere mi fa sentire la cosa più sola del mondo.
Li osservo, mentre mi accorgo di quanto queste persone sembrino diversi dagli eroi dei miei racconti. Sembrano così disincantati, mentre corrono di qua e di la senza un motivo preciso, la frenesia che scorre nelle loro vene come l'ossigeno.
Poi però mi accorgo delle ragazze che, sedute sul prato, accarezzano il loro cane avvolte da un feeling silenzioso che le lega all'animale, dei bambini che vogliono farsi prendere in braccio dai genitori ( genitori veri, non allevatori), delle coppie che vivono storie d'amore, incasinandole come solo dei mondani riescono a fare.

E l'invidia solletica una piccolissima parte della mia anima.
Non credo che vorrei essere come loro, io amo quello che sono, credo solo che vorrei provare come provano loro, sentire quello che sentono loro. Quella cosa che ti rende uno di quegli stupidi che sorridono alla vita, e piangono, e soffrono, e amano, e vivono.

Mi chiedo quando incontrerò un abitante del Mondo Nascosto, e continuo a sperare di non trovarmi di fronte ad un mago o un vampiro, freddi calcolatori (da quello che mi hanno insegnato). Vorrei la persona più ingenua del mondo, di quelle che si abbindolano con uno sguardo seducente o un vestito aderente.
Non sono coraggiosa, lo so. Ma almeno ammetto ciò che i coraggiosi non ammetterebbero mai, e che gli stupidi nemmeno penserebbero.
Poi avviene tutto molto velocemente: mi accorgo di essere osservata, e se qualcuno può vedermi significa che è un Nascosto. 
Mi volto a guardare in ogni direzione con discrezione, senza dimostrarmi agitata. Poi scorgo un'immagine scura che mi fissa da un ponticello di legno bianco, eretto sopra un fiumiciattolo dalle dimensioni ridicole. Devo buttarmi, agire subito.
Fisso lo sguardo sulla figura, avvicinandomi al piccolo ponte.
Ora la sagoma incappucciata guarda verso l'acqua, evidentemente colto di sorpresa.
Mi aggiusto inutilmente il vestito della Presentazione, già immacolato, che lo stilista ha ritenuto perfetto per questa prova. Ripenso alle occhiate indagatrici di Violith e mi sembra di nuovo di essere nuda.

All'Atheneo ho imparato uno schema d'azione rigido, un metodo preciso per utilizzare la persuasione manipolando il linguaggio, verbale e non, in modo da risultare accattivante al punto di raggiungere i miei obiettivi.
Consiste in pose lente e aggraziate, sguardi sprezzanti e parole taglienti. In pratica mi basta qualche secondo di conversazione per capire verso quali direzioni emotive posso incanalare il discorso, per far leva sul lato più sensibile.
Scorgo armi ovunque, nascoste dentro anfibi e giacche di pelle. E rune.
Nephilim. Evviva.
Il cacciatore ha i capelli scuri, ma non capisco bene di che colore siano, dato che sono coperti dal cappuccio. 
In questo tripudio di nero, però colgo un corpo snello e una pelle chiara.
Cerco il suo viso con lo sguardo fiero. 
Devo, devo, devo essere una visione incantata.
Non mi basta che in me colga una bella fata, il mio fine è la conquista, per quanto patetico possa sembrare. Di certo in un romanzo interpreterei l'antagonista. Dopotutto mi rendo conto che questa prospettiva rispecchia la realtà, perché a me non importa se le mie azioni avranno ripercussioni negative sulla vita di questa persona. A me non deve importare.
Cerco di tirare fuori il tono più seducente che io conosca.
"Cosa porta un Nephilim al confine di una Corte Fatata?"
Quando il cacciatore si volta verso di me, riconosco nei suoi tratti somatici un'origine orientale: i suoi occhi, due pozzi scuri, hanno un accenno al taglio a mandorla,  e il naso piccolo, le labbra piene e i capelli lisci confermano la mia ipotesi, sebbene la forma del viso somigli più a quella europea. Deve essere il frutto dell'unione di due culture, quindi parto dal presupposto che abbia una mente aperta e un'arguzia che solo il mix di due realtà può creare.
Sorride in una maniera così spontanea da far vacillare la mia sicurezza. Sembra così spensierato.
"Cos'è, un indovinello o una domanda interessata?" scrolla le spalle. "Ti avviso, le risposte potrebbero essere completamente diverse."
I nephilim non sono così… gioiosi. Per come la vedo io, sono persone legate al triste destino di difendere il Mondo dalle Tenebre senza alcuna gloria. Tipo degli spazzini sovrannaturali. Un pò sfigati, a dirla tutta.
Ma lui mi sta quasi scaldando, con quello sguardo vivo.
Mi rendo conto di non avere sotto controllo la mia mimica facciale, un primo errore che potrebbe costarmi caro. La perplessità ormai si è impadronita di me, ma tento di trasformare la mia curiosità nella possibilità di capire come posso far breccia nel suo cuore per costringerlo ad un incantesimo.
Soppeso le parole, mirate ad una reazione programmata.
"Dal tuo sorriso presumo che cacciare i demoni sia diventata improvvisamente un'attività divertente."
Non si fa prendere alla sprovvista, ma mi guarda come se la risposta fosse ovvia.
"Sono meteoropatico, e trovo che il sole e una bella compagnia siano un binomio irresistibile."
Amore. Questo è l'incantesimo che può far breccia su di lui.
Le fate non mentono: sarà questo l'incantesimo che rivelerò al Buleyterion quando farò rapporto della prova.
Fin troppo facile. Sorrido, porgendogli la mano in un'usanza che di fatato ha ben poco, per ingannarlo circa i miei propositi.
"Sono Paradiseide". 
"Come scusa?" Adesso è lui ad avere uno sguardo perplesso.
Rimango sbigottita, sembra quasi che mi stia prendendo in giro. Affilo lo sguardo, anche se il sorriso non tarda ad allargarsi.
"Paradiseide, vuoi lo spelling?" Una fata non dovrebbe rispondere così, credo. Poco male, sono anche una principessa, e le principesse rispondono esattamente così.
Pare ridere sotto i baffi.
"Per l'Angelo, la tua vita sociale deve essere un disastro, con questo nome!"
Certo, non è la reazione che speravo di fronte alla mia prima presentazione dopo la Nomina, ma questa volta calcolo bene la mia reazione.
Rido toccando note decisamente civettuole, ricordando che il mio scopo è flirtare con lui e che probabilmente abboccherà come un perfetto nephilim idiota.
"Non è esatto, ma vorrei sapere da che pulpito arriva questo affronto."
A questo punto è lui a porgermi la mano, che non tardo a stringere con delicatezza decisa.
"Sono Jared Penhallow, e persino il mio cognome è più semplice del tuo, fata."

  
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