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Autore: syontai    14/10/2013    14 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 4

Un nuovo arrivo a corte



Era a cavallo dietro il giovane, che aveva sentito essere chiamato dagli altri due uomini Leon, o principe. Si strinse forte alla sua vita, poiché non era mai stata a cavallo ed aveva una paura tremenda. Leon sembrava scocciato da quel contatto così ravvicinato, ma non diede segni di fastidio né disse una parola. Il suo sguardo faceva intuire che era preso da altri pensieri, sembrava molto concentrato. “Dove mi stai portando?” chiese Violetta, rompendo il lungo silenzio. Leon non rispose, lo fece al suo posto l’uomo che galoppava alla sua destra su un baio marrone: “La stiamo portando al Castello di Cuori, signorina, dove la Regina deciderà della sua sorte”. “Secondo me la manda dritta nelle miniere di diamanti” sghignazzò l’altro poco dietro. Violetta rabbrividì: lavori forzati? Regina? Miniere? Che fine aveva fatto? Quel mondo la stava spaventando sempre di più, inoltre avvicinandosi all’enorme castello che iniziava a stagliarsi dopo aver raggiunto il limitare della foresta sentiva un profondo senso di inquietudine. La malvagità emanata da quella struttura si intrufolò nella sua mente. Il Castello di cuori era un enorme edificio, provvisto di due cinta murarie, una interna collegata direttamente alle pareti scoscese, e una più esterna, costituita da enormi blocchi di pietra squadrati di un grigio cupo. Il castello era il cuore di quell’enorme costruzione, con le sue due torrette laterali innalzate fino al cielo, e alcuni finestroni di vetro colorato di rosso e nero lungo le pareti. Sul tetto e sulle due cinte murarie numerose sentinelle facevano i turni per sorvegliare la pianura che si estendeva davanti e dietro. La posizione non sembrava molto svantaggiosa nonostante fosse costruito sulla pianura, poiché a sud e a ovest era circondato dalla foresta intricata. Più avanzavano più il castello sembrava imporsi minaccioso, cercando di invadere gli spazi celesti sopra le loro teste. Una sentinella li osservò dall’alto e mandò l’ordine di far aprire il  gigantesco portone in ferro battuto che si stagliava di fronte a loro.
Un rumore di serrature arrugginite e di ingranaggi che giravano senza sosta riempì quel silenzio insopportabile, lasciando intravedere uno spiraglio del cortile interno del castello.Non appena furono entrati Violetta si lasciò scappare un’ esclamazione di meraviglia, osservando i numerosi giardini che si estendevano quasi non avessero mai fine. Una via di ghiaia bianca portava all’ingresso sorvegliato da numerose guardie, anticipato da un piccolo tunnel scavato nella cinta muraria interna. Sopra di esso c’erano calderoni di peltro utilizzati per respingere i nemici con l’olio bollente. La strada principale si diramava al centro del cortile in due strade: a destra attraversava un piccolo boschetto che doveva portare in qualche altra zona, mentre a sinistra conduceva alle scuderie, come si poteva notare in lontananza, e ad una distesa polverosa con ammonticchiati numerosi manichini. Un campo di combattimento per allenarsi, molto probabilmente. La strada principale comunque sia si diffondeva anche sotto forma di stradine polverose lungo tutto il cortile, dove si trovavano numerosi cespugli ornati con rose rosse e piante di ogni tipo che creavano una piacevole ombra e frescura. Leon fece un cenno e due guardie accorsero per aiutarla a scendere da cavallo; il giovane scese subito dopo con un balzo, facendo smuovere un po’ di ghiaia. Le afferrò il braccio con forza. “Ahi!” esclamò Violetta con una smorfia di dolore. Non sembrò fare caso alla forza della presa e non le chiese scusa, non fece assolutamente niente. Solo dopo un po’ ammorbidì la stretta, e lei lo ringraziò con lo sguardo. Camminarono fino a raggiungere l’ingresso, ai cui lati troneggiavano due statue a grandezza d’uomo. Sulla sinistra sedeva sul trono un uomo giovane con uno sguardo rassicurante; portava una corona in pietra lavorata finemente, e con il braccio steso lungo il trono stringeva una rosa nella mano sinistra. La destra invece era impegnata a sorreggere uno scettro. Sulla destra una donna dallo sguardo ammaliatore era in piedi, con una gonna finemente lavorata; su di essa erano incisi numerosi cuori in cerchio: addirittura erano state scolpite le pieghe del vestito. Sembrava porgere all’osservatore con le mani unite un cuore, realizzato con un cristallo scurissimo. Le porte di legno si aprirono lasciando intravedere l’ingresso. Violetta seguì Leon e i due uomini al suo interno e subito rimase incantata dalla scena che si trovò di fronte.
Un enorme salone con in cima un lampadario di cristallo tempestato di diamanti, che catturò sin da subito la sua attenzione, si mostrò in tutto il suo splendore. La sala era circolare, e le pareti erano realizzate con numerosi materiali preziosi, che ricoprivano tutte le sfumature del rosso e del nero. In fondo alla sala, una scalinata in marmo bianco si stagliava di fronte a lei; i gradini erano larghi all’inizio, ma poi si assottigliavano sempre di più, accentuando il senso prospettico. Il corrimano era realizzato con cura, e appoggiava direttamente su alcune colonnine anch’esse di marmo bianco. Una volta superata la scalinata un portone bianco segnava la fine del percorso. Sulla destra e sulla sinistra della sala c’erano due porte; da quella sulla sinistra provenivano rumori di pentole e passi, quindi Violetta intuì che una volta oltrepassata vi fossero le cucine. Per un momento rivolse la sua attenzione al pavimento e rimase meravigliata alla vista di un mosaico maestoso, che rappresentava due enormi rose rosse che si intrecciavano. Leon le fece cenno di salire la scalinata e la ragazza obbedì agli ordini. Ogni gradino aumentava il suo senso di impotenza e perdizione. Era in un luogo sconosciuto, quasi fiabesco, che però le metteva inquietudine. Non vedeva l’ora di andarsene, ma qualcosa le diceva che uscire da quelle mura sarebbe stato quasi impossibile, se non su ordine della regina. E se fosse uscita dal castello sarebbe stato sicuramente per essere portata a lavorare nelle miniere del regno. Leon la guardava con la coda nell’occhio per studiare le sue reazioni, avanzando al suo fianco. Non sapeva perché, ma temeva profondamente quella ragazza, temeva quello sguardo così ricco di curiosità e paura. Sentiva quasi la complessità di emozioni che le impossessavano il corpo. Si accorse subito del fatto che le mani le stavano tremando. Sentì il forte impulso di mollare la presa su di lei, e di ordinarle di scappare, un impulso che tenne a freno con molta fatica. “Mi succederà qualcosa di brutto?” chiese Violetta, con lo sguardo che lo supplicava. Leon la fissò negli occhi ancora una volta, poi si voltò dall’altra parte come se stesse ponderando bene cosa dirle. “Non lo so…” rispose con tono impassibile. Violetta si fermò, come se improvvisamente fosse diventata di pietra. “Ho paura” disse semplicemente, mentre una lacrima scese lungo il suo viso. Lui ne aveva di più…era terrorizzato da quello strano desiderio di consolarla. No, non voleva. Lei era una prigioniera come tante, ed era compito della regina decidere della sua sorte. Le fece cenno di continuare a camminare. Violetta deglutì e annuì venendogli dietro, questa volta senza essere costretta da nessuno; sapeva benissimo che non aveva altra scelta. Alla fine della scalinata a destra e a sinistra si estendevano due corridoi esattamente identici. Leon girò verso sinistra  e lei fece lo stesso. Si ritrovò in un lungo corridoio illuminato unicamente da qualche rada finestrella e dal fuoco tremolante delle torce. Mentre avanzava vedeva un’infinità di porte in legno affiancarsi. A metà del corridoio una scalinata sulla destra, sembrava portare ad un piano ancora superiore. Sulla sinistra c’era un massiccio portone in quercia. Due battenti di bronzo a forma di cuore brillavano della luce di una fiaccola lì vicino. Sul portone vi erano incise alcune scene di battaglie. In basso a sinistra però c’era una scena particolare. Sedute su un tavolo c’erano due donne e al centro una ragazzina che teneva in mano due corone. Le due donne la guardavano con tono afflitto e rancoroso. Non capiva cosa volesse dire. In alto sulla pietra era stata scolpita la scritta ‘Γνῶθι σεαυτόν’. “Conosci te stesso” sussurrò lei con un sorriso. Leon rimase a fissarla abbastanza stupito delle sue conoscenze del greco. “Socrate” esclamò continuando a fissare quelle parole. Il principe annuì, poi le ordinò con un movimento del braccio di seguirlo. “Cosa c’è dietro quella porta?” chiese con una certa curiosità. Leon continuò a guardare dritto davanti a lei. Perché si ostinava a cercare di intavolare una conversazione? Non aveva paura di ciò che le sarebbe accaduto? “La biblioteca del castello”. “Che bello, una biblioteca! Io amo leggere” disse la ragazza, alzando lo sguardo sul soffitto in pietra. Il principe non riusciva a resistere, doveva chiederglielo: “Non hai più paura?”. Violetta lo guardò tristemente: “Certo che ne ho. Tantissima. Ma questo cambierebbe la mia situazione?”. Alogico e insensato, ma stranamente vero. Quella ragazza aveva ragione, eppure si sentiva incuriosito: voleva sapere di più sul suo conto. Per un momento sentì un leggero senso di dispiacere per le sorti della prigioniera pervadergli l’animo, ma lo represse subito. La sua era una luce priva di legami e così sarebbe rimasta per sempre. E non era stato costretto a vivere quella condizione, l’aveva scelta lui stesso.
Il portone di bronzo dorato si aprì, cedendo lo spazio ad un salone da ricevimento. Quella era la sala del trono. Un tappeto nero si stendeva dall’entrata e conduceva di fronte a un piccolo rialzamento dove era situato il trono. Il primo pensiero di Violetta alla vista della regina fu che l’impressione iniziale che aveva avuto sul castello si poteva benissimo riflettere sul suo proprietario. Quella donna emanava malvagità dallo sguardo e da ogni suo movimento lento. Il pavimento era di basalto e le pareti della stanza circolare erano nere come la pece. Tutt’intorno erano appese torce e fiaccole che illuminavano quella stanza che le diede l’impressione di essere finita in una mare di petrolio. Si fecero largo, accompagnati dalle guardie della sala del trono, fino a quando non arrivarono a qualche metro dal trono, quindi si inchinarono. Violetta era rimasta in piedi non sapendo come comportarsi. “Che insolenza! Tagliatele la testa” disse senza pensarci due volte con uno sbadiglio. Violetta sentì un groppo in gola e le lacrime accumularsi piano, aspettando il loro momento per uscire copiose. “Madre, non sapete ancora di cosa è accusata” tentò di difenderla il principe alzando il capo con uno sguardo nervoso.  “Ed è importante che io lo sappia?” tuonò con la sua voce stridula la regina, offesa dal tentativo del figlio di tenerle testa. Non era mai successo, e non si aspettava una reazione del genere. Leon rimase in silenzio, quindi annuì e si inginocchiò nuovamente: “Come voi volete, madre”. Violetta doveva prendere tempo, e cercò di ragionare a mente fredda. Implorarla avrebbe solo accresciuto il desiderio della regina di vedere la sua testa rotolare. La donna, continuava a picchiettare con la mano il bracciolo del trono, con fare impaziente. Portava numerosi anelli d’oro massiccio, alcuni con zaffiri, altri con smeraldi. La veste era semplice ed elegante: un vestito nero lungo, tempestato però di rubini. Sulla manica destra poté notare tre rubini, lavorati a forma di cuore, mentre sulla mancia sinistra ve ne erano solo due. Subito si ricordò della gemma trovata appena messo piede in quel mondo, e la tirò fuori dalla sua gonna, piena di strappi. La regina portò una mano alla bocca, stupita, mentre il figlio alzò lo sguardo quel tanto per capire che stesse succedendo. “Dove l’hai trovato?” chiese freddamente la donna, alzandosi dal trono e strappandole di mano quel tesoro. Violetta abbassò lo sguardo in segno di umiltà. “Nel folto del bosco che circonda il castello”. “Questa pietra mi è stata rubata tempo fa da un gruppo di gazze ladre. Mi hai reso un grande servizio restituendomela. Sarai graziata” esclamò lei con un sorriso maligno. “Portatela via, è libera!” strillò alle guardie, che scattarono subito sull’attenti. “Aspetti, non saprei dove andare…” sussurrò lei incerta. Doveva rivelargli che veniva da un altro mondo? Qualcosa le diceva di non farlo. No, per ora doveva rimanere al sicuro, poi avrebbe pensato a come andarsene di lì. “Sono orfana e speravo che sua maestà mi potesse concedere l’onore di lavorare qui a palazzo” esclamò facendo una piccola riverenza nel pronunciare ‘sua maestà’. La regina la guardò soddisfatta per il rispetto dovuto. “Si può fare. Bianconiglio segna tutto. Il mio nome è Jade Lafontaine, ma per te sono la regina di Cuori. E tu farai parte della mia corte” la rassicurò prendendo da un valletto un calice dorato. Si sentì uno scribacchiare e Violetta voltò lo sguardo; in fondo alla sala sulla destra un bel ragazzo, moro e dagli occhi azzurri, era seduto su un tavolinetto in legno e prendeva nota di tutto. Aveva un bel paio di candide orecchie bianche in testa. “Ma io ti ho già visto” esclamò la ragazza entusiasta. “Spiacente di deluderla, ma io non ricordo lei. Mi presento sono Thomas, il Bianconiglio” disse il giovane, tornando a concentrarsi sul foglio ingiallito davanti a lui dopo averle rivolto un’occhiata fugace. “Leon, la accompagni a mostrarle il suo alloggio?” disse la regina. Il principe scosse la testa. “Ho un importante allenamento che non posso rimandare, dovrete chiedere a qualcun altro, madre”. “Thomas, allora pensaci tu! Mostrale i suoi alloggi” sbraitò lei con un tono tutt’altro che gentile e pacato. Il giovane ragazzo balzò dalla piccola sedia su cui era seduto non appena si sentì chiamato, rischiando addirittura di inciampare; indossava una paio di pantaloni di iuta marroni e una maglia bianca con sopra un panciotto rosso, da cui fuoriusciva la catenella dorata di un orologio da taschino. Senza aspettare un secondo si avvicinò a lei quasi saltellando, poi le prese la mano e la trascinò via di corsa.
Ripassarono davanti alla libreria, scesero la scalinata in marmo e Thomas si diresse dalla parte opposta delle cucine. Violetta lo raggiunse mentre apriva la porta in legno massiccio, molto semplice e senza tante decorazioni. Al suo interno si diramavano moltissimi piccoli corridoi: sembrava una sorta di labirinto. “Qui ci sono gli alloggi della servitù” spiegò in modo conciso il ragazzo, facendole strada verso destra. Fecero numerose deviazioni, fino a quando non si trovarono di fronte a una piccola porticina. “Qui dentro è dove dormirai insieme a un’altra ragazza che lavora qui al castello. Dentro troverai anche una pianta dell’edificio e al più presto ti faremo avere una lista con i compiti che devi portare a termine” continuò con fare annoiato. Violetta annuì, facendogli capire che gli era tutto chiaro. “Grazie”. Le venne data una chiave in ferro che girò con forza per sbloccare la serratura. Una piccola stanza accogliente le rinfrancò lo spirito abbattuto. Due letti singoli erano addossati alla parete a destra dell’ingresso con due comodini in legno modesto. Sulla parete sinistra c’era un guardaroba un po’ tarlato, ma ancora decoroso. Una piccola finestra dava su un campo verde brillante con numerose aiuole e illuminava la stanza. “La sua compagna le spiegherà tutto” esclamò Thomas, senza scomporsi minimamente nemmeno per un secondo, prima di girare i tacchi ed andarsene. Violetta si stese subito sul suo letto, rimpiangendo la sua stanza con le sue cose. Una lacrima scese a quei pensieri, e preannunciava l’intenzione di un pianto liberatorio, ma non ne ebbe il tempo perché qualcuno entrò in quel preciso istante. Capelli biondo cenere e occhi vispi di un colore marrone chiaro. Una ragazza minuta più o meno della sua età, forse un po’ più piccola, fece il suo ingresso. Aveva un’espressione incuriosita e felice allo stesso tempo. “E tu chi sei?” chiese la ragazza, sedendosi ai piedi del suo letto, quello più vicino alla finestra. “Piacere, mi chiamo Violetta, e da oggi a quanto pare saremo compagne di stanza” si presentò educatamente, asciugandosi la lacrima, con una mano e cercando di mostrarsi sorridente. La bionda si accigliò leggermente, poi le porse un fazzoletto bianco che teneva nella tasca della gonna grigia. “Il mio nome è Lena”. “Che bel nome…” sussurrò Violetta. “Anche il tuo mi piace, trasmette tranquillità” esclamò la ragazza con un sorriso dolce. Le due si strinsero la mano, e cominciarono a parlare del più e del meno. “Quali saranno esattamente i miei compiti?” chiese Violetta, curiosa e preoccupata. Non era in grado di svolgere faccende pesanti o cose del genere, e non voleva suscitare le ire della regina. Lena ci pensò un po’ su. “Se sei in stanza con me immagino che dovrai fare quello che faccio io. Noi siamo tra quelle più fortunate della servitù, perché i nostri compiti sono i più semplici. Aiutare nelle cucine, portare le pietanze e cose del genere”. “Da dove vieni?” aggiunse subito dopo. Violetta rimase in silenzio: non sapeva che rispondere. Decise di essere sincera, almeno in parte. “Dalla foresta a sud del castello”. “Davvero? E sei cresciuta lì?” chiese Lena, prendendo un cuscino. Strinse l’oggetto soffice e vi poggiò il mento.  “Si…sono stata abbandonata da piccola, e alcuni abitanti del bosco mi hanno accudita” inventò al momento, sperando che la compagna si bevesse quella serie di menzogne. “E tu, invece?”. “Anche io sono orfana. Mia madre è morta dandomi alla luce, mio padre invece, che era un grande generale, è caduto in una battaglia contro il regno di Fiori. E’ grazie al suo prestigio e alla sua morte onorevole che mi hanno preso qui al castello” spiegò Lena con un filo di malinconia nella voce. “Mi dispiace…” ribatté Violetta. Si alzò del suo letto per sedersi vicino alla compagna di stanza e le passò il braccio intorno alle spalle per confortarla. Lena si riprese dalla tristezza in un istante. “Sto bene, sto bene…Sento che andremo davvero d’accordo io e te!”. Le due si sorrisero e si abbracciarono. Non si erano ancora nemmeno conosciute eppure già sentivano che un forte legame d’amicizia si era instaurato tra di loro.
Leon era sceso al campo d’allenamento e quel giorno si stava allenando a tirare con l’arco, cercando di centrare i bersagli posti a media distanza. Non riusciva a fare centro, eppure per lui doveva essere una passeggiata. Stava pensando a quella strana ragazza…c’era qualcosa di diverso in lei, come se non facesse parte del loro mondo. Si sentiva stanco e confuso, quando qualcuno gli si avvicinò goffamente per mettergli una mano sulla spalla. Il principe si girò tranquillamente fino ad incontrare degli occhi di un azzurro acquoso. “Ah, sei tu…” sussurrò lui con tono distaccato. “Ho saputo dalla regina che abbiamo un nuovo arrivo a corte” esclamò il misterioso individuo, tenendo lo sguardo fisso anche lui sul bersaglio. “Si, una ragazza, il suo nome è Violetta” rispose seccamente Leon, scoccando un’altra freccia. Mancato. “Mi chiedo perché sia giunta fin qui…Avrà uno scopo da compiere”. “Non è un’infiltrata dei rivoluzionari, se è questo che intendi. Non me ne ha dato l’impressione, altrimenti l’avrei uccisa” ribatté Leon, preparandosi al secondo lancio. Mancato di nuovo. “Non intendevo dire questo. Credo che porterà delle novità qui al castello, qualcosa di cui tutti abbiamo bisogno, di cui tu hai bisogno. Ho visto come la guardavi”. Leon arrossì impercettibilmente, ma continuò a concentrarsi. “Non ne sono innamorato, se è questo che intendi. Mi conosci ormai”. “Se non fossi Leon infatti direi che sei innamorato. Ma sei Leon, e sei incapace di provare sentimenti belli e puri come questi” lo rimproverò la misteriosa figura, avvolta in un mantello che copriva la sua forma ovale. Il giovane preparò la terza freccia. “Se sei venuto qui per rimproverarmi hai perso solo tempo” sibilò, prendendo la mira e cercando di concentrarsi. “Forse ho perso tempo, forse no. Forse anche tu hai perso tempo, cercando di essere chi non sei. Non ricordi più come eri un tempo? Io ricordo ancora il tuo sorriso, Leon”. Adesso era troppo. Leon digrignò i denti: “Ero un bambino, ero innocente. Sono cambiate molte cose”. Il silenzio calò sull’arena. L’uomo scoppiò a ridere. “Puoi cambiare chi sei, ma non chi eri né chi sarai, perché il destino ha sempre l’ultima parola. In futuro sarai un grande re, saggio e giusto. Lo sento”. Il principe fece tendere l’arco, e scoccò la freccia. Centro. “Io sarò re, quello è il mio posto” concluse lui, avviandosi verso il castello per un bagno caldo. “Hai molte cose da imparare prima di essere un grande re come tuo padre e sono sicuro che sarà proprio quella Violetta a insegnarti”. Il ragazzo si fermò. Era voltato di spalle, e stringeva i pugni adirato. Il ricordo del padre era troppo per lui. “Ho punto sul vivo, vero? Tu non sei così, e sei in tempo per cambiare” lo rassicurò la voce avvicinandosi da dietro. “Io sarò re, quello è il mio posto” esclamò il principe per un’ultima volta, prima di dirigersi all’interno del castello con passo svelto. “Che il dubbio ti accompagni sempre Leon, sempre…”.
Leon si chiuse dentro la sua stanza regale e si buttò a peso morto sul suo letto a baldacchino. Fissava il soffitto e pensava alle parole del suo amico. No, amico era una parola sbagliata, lui non aveva amici, piuttosto lo considerava un fidato consigliere. Quella ragazza, Violetta, sembrava essere di fondamentale importanza per lui, ma non era d’accordo. Era una ragazza come tante. L’amore rendeva deboli, lo sapeva bene, l’aveva vissuto sulla sua pelle attraverso il padre. E lui non voleva essere vulnerabile.
‘Le campane suonavano diffondendo un clima lugubre per tutta la vallata. Un bambino di dieci anni, castano con gli occhi verdi era in compagnia di un altro bambino moro con gli occhi scuri. Davanti a loro una decina di soldati con l’uniforme delle cerimonie tenevano una portantina con sopra una bara. Una donna con gesti plateali mostrava tutto il suo sconforto, piangendo e urlando il nome del suo amato venuto a mancare in guerra. Erano giunti al cimitero dei re, un’imponente giardino circondato da mura bianche di marmo. Al suo interno tra i salici e le margherite c’erano numerose lapidi con scritte dorate. Stava per iniziare la cerimonia per la morte di Javier Vargas, re di Cuori. “Leon, vieni un secondo qui” lo richiamò la madre, mostrando tutta la sua freddezza dopo quella manifestazione di dolore non sentita davvero. Il bambino dagli occhi verdi si allontanò dal suo coetaneo ed eseguì il comando impartitogli. “Tuo padre è morto perché ci amava, e questo l’ha reso debole e vulnerabile. L’amore è sempre un male, figliolo, sempre” disse la donna, rivolgendogli uno sguardo severo attraverso il velo nero che indossava. Leon annuì con un po’ di timore addosso. Si voltò e vide la bara di legno essere depositata in una buca lì vicino. Il padre era morto per proteggerli ed era stato ucciso dalle armate di Picche. Avrebbe vendicato la sua scomparsa e riportato il suo prestigio. Quella era una promessa’
Leon si rigirò nel letto e poco dopo si alzò. Si cominciò a togliere gli indumenti e si diresse in una stanza adiacente dove c’era una vasca di bronzo scintillante. Una giovane ragazza con i capelli raccolti la stava riempiendo con dell’acqua calda. Entrò nella vasca e si lasciò coccolare dai vapori bollenti. Finalmente tutti quei pensieri scivolarono via, si sentiva calmo e rilassato. L’ancella lo guardava trepidante, attendendo altri ordini. Leon si fece portare numerose essenze profumate per sentirsi ancora più rilassato. Adesso stava meglio; non c’era niente che un bagno non potesse risolvere. “Se ha finito, allora io andrei…” sussurrò la donna timidamente. Il principe scosse la testa. “Stanotte rimarrai nelle mie stanze”. La ragazza annuì tremante e si diresse sul letto a baldacchino. Leon uscì dalla vasca e si cinse i fianchi con un asciugamano bianco di seta. Raggiunse la donna che lo aspettava completamente senza vestiti. Si chinò verso di lei, baciandole il collo e sfiorando la sua pelle, mentre un senso di vuoto lo pervadeva. Non c’era modo di cambiarlo. Era e rimaneva un mostro. Un uomo senza cuore, che aveva imparato a sopprimere anche il sentimento d’amore trasformandolo in un semplice bisogno fisico. Leon, il principe di Cuori senza cuore. E Violetta? Violetta era solo una ragazza che avrebbe presto imparato a desiderare di stargli lontano. 
 








 
NOTA AUTORE: finale con nota angosciante e tenebrosa. Io amo la parte psicologica di Leon soprattutto, ma di tutta la storia in generale. Leon ha quasi paura di violetta, la sente come una minaccia, proprio perchè incuriosito e attratto da lei. Odio e amore, ma per adesso più odio che amore...se pensate che il passato di Leon sia solo questo, NON illudetevi, al povero Leon ne sono successe di cose, che verrano fuori più in là...ma già si intuisce che c'è qualcosa sotto nel momento stesso in cui dice di aver scelto lui stesso quella condizione. Scelto? Davvero? Parrebbe di si, ma non posso dirvi nulla, solo che altri oscuri segreti sono dietro l'angolo per essere svelati. Rileggendo questo capitolo mi sono seriamente gasato. Me lo ricordavo noioso, perchè molto descrittivo, e invece mi sono autosorpreso xD La conversazione di Leon con il tizio misterioso (che poi scopriremo chi è nel capitolo 6 -tanto per spoilerarvi roba random xD-) mi piace tantissimo, come anche il flash del ragazzo quando viene nominato il padre. Violetta e Lena fanno già amicizia, sentendosi accomunate in un certo senso da un passato simile (anche se quello di Violetta è una mezza verità...). Lena è un personaggio positivo, è una cosiddetta eroina, nel vero senso del termine. E' lei che tirerà fuori dai guai Violetta con la sua astuzia. Ma anche Violetta ci ha mostrato un lato sconosciuto: la sua freddezza nel momento del dialogo con la regina, la sua analisi attenta del vestito e il ricordo della gemma...ve l'aspettavata da un personaggio che sembrava in balia degli eventi dal primo capitolo? In effetti Violetta ha più assi nella manica di quanto sembri, è una ragazza dall'intelligenza spiccata, e nonostante le difficoltà e il dolore riesce comunque a mantenere la lucidità di pensiero. Ma sui personaggi mi dilungherei davvero una vita, perchè li adoro tutti, uno ad uno, anche Jade mi piace come personaggio *-* Ahhhhhhhhhh, sono così belli, e li ho creati con molta difficoltà, è dura cercare di farli agire nel modo più coerente al loro modo di essere. Oggi ho pubblicato perchè vorrei provare a pubblicare più spesso, vediamo se ci riesco :D Il prossimo capitolo si intitola 'Maxi, il rivoluzionario' e sarà incentrato completamente sul nuovo personaggio in questione Maxi, ma apparirà anche il saggio Brucaliffo...in che occasione? Lo scopriremo nel prossimo capitolo! Grazie a tutti voi che mi seguite, e alla prossima :D 
  
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