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Autore: Lori_Tommo96    14/10/2013    4 recensioni
Quindi lo lascerai andare così? Ero pronta al rifiuto, pronta a dire addio per sempre a quello che eravamo stati, ma non ero assolutamente preparata alle sue mani calde e accoglienti che mi presero il viso, alla sua lingua dolce che si insediò tra le mie labbra chiedendo l’accesso alla mia bocca.
Mi stava baciando e lo stava facendo come nessuno lo aveva mai fatto prima.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dormire con la consapevolezza che la mattina seguente avrei rivisto Harry, fu una sensazione fantastica. Mi svegliai immersa in una sorta di limbo, una sensazione di pace e serenità mista al forte desiderio di abbracciare il mio ragazzo, desiderio che avrei soddisfatto di lì a poco.
Harry si sarebbe fermato ancora un paio di giorni e avevamo deciso di passare la domenica come una coppia “normale”, facendo un bel giro al centro commerciale assieme a Hope e Mike.
Non era stata propriamente una mia decisione: uscire insieme pubblicamente, con i fotografi in agguato ad aspettarci, un bodyguard alle calcagna, la gente che ci avrebbe osservati, le fan che avrebbero accerchiato Harry per ricevere un autografo. No, tutto ciò non era una prospettiva allettante.
Harry però aveva insistito dicendo che non dovevo dare peso ai giornali, ai commenti su internet e al giudizio della gente e sostenendo che quell’uscita avrebbe fatto bene ad entrambi.
Io non ero della solita idea, ma avevo accettato la proposta a condizione che ci fossero Hope e Mike con noi. Accettai soprattutto perché mi sentivo terribilmente in colpa per averlo fatto piangere a causa del mio sfogo.
Mentre mi sistemavo i capelli, già avvolta nel mio golfino di cotone e in un vestitino primaverile a motivi floreali che non mi ero mai messa addosso, pensai all’accaduto del giorno precendente.
Se un anno prima mi avessero detto Harry Styles ha pianto per una ragazza mi sarei messa a ridere.
Harry era cambiato tanto, era tornato ad essere il ragazzino sincero e divertente che conoscevo io, non più il cantante famoso e desiderato da ogni singola creatura di genere femminile. Sapere di essere stata la causa principale del suo cambiamento mi faceva sentire al settimo cielo. Non avevo mai creduto di poter essere tanto importante per qualcuno e il sapere che quel qualcuno era lo stesso ragazzo che amavo alla follia, mi dava una felicità troppo grande per essere quantificata e mi portava ad amare Harry ancora di più, incondizionatamente. 
Per quanto avessi dubitato di poter trascorrere una bella giornata in quel centro commerciale, alle cinque del pomeriggio, mentre eravamo tutti e quattro seduti a bere un tè in un bar, dovetti riconoscere che Harry aveva avuto ragione a dire che ci avrebbe fatto bene uscire.
Eravamo stati fermati da svariate fan, la gente ci osservava curiosa, ma eravamo riusciti a stare bene, divertirci e fare un po’ di shopping.
Nel bar c’erano poche persone e i presenti sembravano non curarsi troppo della nostra presenza.
Mike stava mostrando a Harry il funzionamento di un aggeggio per il computer che aveva appena comprato, mentre io e Hope stavamo commentando il look trasgressivo della nostra professoressa di ginnastica, per poi finire a parlare dei nostri esami imminenti.
“Smettetela di parlare di scuola, mi fate venire l’ansia!” ci accusò Mike.
“Beh, io a differenza tua ci tengo alla mia istruzione!” commentò Hope, facendomi ridere.
“Mi stai dando dell’ignorante?” chiese lui a sua volta con un espressione da finto offeso sul volto.
“Non potrei mai, Einstein!”
Finirono col punzecchiarsi a vicenda per cinque minuti buoni. Io e Harry ridevamo, divertiti dal loro battibecco, finché il mio sguardo non si posò su un tizio vestito di nero con una macchina fotografica in mano che ci stava osservando da fuori, attraverso la parete a vetri del bar.
Harry seguì il mio sguardo e si accorse della presenza del paparazzo. Poi sfoggiò il suo sorriso enigmatico, quello provocante e divertito al tempo stesso, lasciandomi intuire che aveva in mente qualcosa.
“Cosa ha partorito stavolta la tua mente malefica? Mi fai paura quando ridi così!” dissi appoggiandogli una mano sul ginocchio da sotto il tavolo.
“Niente di malefico, stavo solo pensando che forse potremmo dare a quell’uomo quello che vuole”
Lo guardai stupita e preoccupata allo stesso tempo, aspettando che si spiegasse meglio.
“Se io ti baciassi come si deve, un bacio di quelli seri intendo, il tizio là fuori avrebbe una bella foto scoop e, che ne so, potrei mettere a tacere qualche voce indiscreta che dice che ti ho tradita!”
Sbarrai gli occhi, poi scossi la testa. Sentire pronunciare da Harry la parola tradimento aveva per un attimo fatto riaffiorare la mia gelosia nei suoi confronti, che ormai era diventata una costante della mia esistenza con cui avevo imparato a convivere. Sapevo come sopprimerla, ripetendo ogni qual volta che ce ne fosse il bisogno che dovevo fidarmi del mio ragazzo come lui si fidava di me.
In quel momento però mi colse un’altra sensazione: mi sentivo terribilmente a disagio e no, non volevo finire su qualche copertina gossip. Ancora.
“E secondo te un bacio farebbe scomparire le voci?” gli chiesi poco convinta.
“No, ma voglio baciarti adesso e voglio che il mondo sappia che bacio solo te in questo modo”
Non mi lasciò replicare e si impadronì delle mie labbra, lavorandole per bene con le sue, per poi giocare di lingua e stringermi possessivamente la vita. Se solo avesse sentito il brivido che mi attraversò da capo a piede sarebbe congelato: ogni suo bacio per me era inebriante come il più dolce e raffinato champagne.
Mi lasciai andare a quel bacio così passionale ed intenso, solo con Harry avevo provato cosa voleva dire essere baciata in quel modo, quindi lo lasciai fare seguendo le sue mosse e non mi preoccupai minimamente del fotografo, di Hope e Mike che avevano appena finito di battibeccare e di tutto il bar che ci stava osservando.
Harry mi lasciò respirare dopo qualche secondo e mi sorrise soddisfatto. 
Io invece arrossii violentemente quando mi resi conto dello spettacolo che avevamo appena dato a vedere.
Hope stava sogghignando con fare ironico, intuendo il mio disagio.
“Ora sarai soddisfatto Styles, ci stanno guardando….mmm tutti?” sussurrai a Harry con tono di disappunto, ma lui in risposta rise di gusto.
“Siete quasi carini” la vocina divertita di Hope mi irritò.
“Il quasi è dovuto a lei” ridacchiò Harry indicandomi e in risposta si prese una gomitata nello stomaco.
Alzai gli occhi al cielo e mi resi conto che si stava facendo tardi e avevo promesso a mia madre che sarei tornata per cena.
“Signor modestia, che ne dice di riportarmi a casa?”
Harry mi sorrise e annuì. Uscimmo dal centro commerciale e, una volta arrivati al parcheggio dove un bodyguard a me sconosciuto ci stava aspettando in auto, salutammo Hope e Mike ringraziandoli della bella giornata.
Stavo ancora sventolando la mano in loro direzione quando successe l’inaspettato.
Vidi il terrore negli occhi di Hope che si sbarrarono, il mio nome uscì in un grido disperato dalle sue labbra. Ebbi il tempo di sentire un cigolio di freni e guardare Harry di spalle, a pochi passi da me, poi sentii il colpo.
Dolore. Quello che percepii dopo fu solo quello. Si impadronì di ogni viscera del mio corpo prima di oscurare completamente la mia vista, i miei sensi e farmi sprofondare nel buio più totale.
 
 
 
Da bambina, mi era successo molte volte di svegliarmi in un letto che non fosse il mio, magari quello che usavo quando andavo a trovare mia nonna o quello di qualche albergo al mare dove avevo passato una vacanza con la mia famiglia. Mi svegliavo, pensando di essere sul mio abituale materasso e mi trovavo spaesata, costatando di essere da tutt’altra parte, passando svariati secondi di confusione per poi realizzare la situazione effettiva.
Il mio risveglio quella volta fu analogo.
Solo che non mi stavo svegliando da un semplice sonno. Stavo riemergendo letteralmente da un baratro profondissimo e mi sentivo chiusa in una bolla opprimente, che mi impediva di riprendere contatti diretti con l’ambiente circostante. La testa pulsava, i neuroni però non si erano messi in moto. Avevo gli occhi aperti, ma non vedevo, sentivo voci attorno a me, ma non ascoltavo, percepivo un fastidio insopportabile ad ogni singola parte del mio corpo, ma non fiatavo.
Un paio di occhi verdi, inconfondibili, magnetici, mi diedero una scossa potentissima che scacciò via tutto il torpore e lo stato di trance in cui mi trovavo, e fecero dissolvere la bolla in cui ero rinchiusa. Allora presi parziale coscienza della situazione.
Realizzai di trovarmi in un letto di ospedale, in una cameretta dalle riluttanti pareti giallo limone.
Mi resi conto che le voci che avevo percepito senza sentirle realmente erano quelle di mia madre e mia sorella, alla mia destra, che stavano dicendo cose sconnesse.
“Giulia, dicci qualcosa, amore come ti senti? Giu?” le loro parole cominciarono a prendere forma e ad avere un senso, ma non risposi subito. I miei occhi caddero di nuovo alla mia sinistra, per scontrarsi di nuovo con quel verde brillante. Harry. Il mio cuore sembrò riprendere vita.
Come ferro attratto da una calamita, cercai di allungare le mie membra alla ricerca di un contatto con lui, che mi stava fissando con due occhi e un sorriso che si potevano solo che definire preoccupati.
Appena cercai muovere il mio braccio verso di lui fui tagliata a metà da un dolore mai provato prima, talmente forte da impedirmi addirittura di urlare. Il grido che avrei voluto lanciare si blocco nel mio petto e fui costretta ad ingoiarlo. Male fisico, non ne avevo mai sentito così tanto ed era talmente intenso che non riuscii a individuare il punto del mio corpo da cui si propagava.
E quella sensazione atroce mi svegliò completamente, riportandomi violentemente a contatto con la realtà. Incrociai gli occhi di mia madre, gonfi di lacrime e spaventati.
“M-mamma” articolai e subito la donna che stava davanti a me posò le sue labbra sulla mia fronte.
Anche Cindy mi baciò amorevolmente il viso, attutendo un po’ la terribile sensazione di prima.
La testa mi girava, ma ripresi il comando totale del mio corpo, che non avevo il coraggio di muovere o guardare, per paura di essere travolta di nuovo da quella morsa insopportabile.
Mi voltai leggermente alla mia sinistra reclamando quei due pozzi smeraldini che mi avevano riportata in vita pochi secondi prima, il gancio a cui mi ero appigliata per riemergere da quel baratro nero. E i suoi occhi erano lì. Lui era lì e mi stava guardando in un modo a me sconosciuto.
Terrore, preoccupazione, dolore, affetto, leggevo tutto questo dietro ai suoi occhi vividi e il suo leggero sorriso compassionevole.
“Harry” sospirai, cercando di nuovo di muovere le mie membra verso di lui.
Dolore atroce. Ancora. Più forte di prima.
Un gemito scappò dalle mie labbra, gutturale, agghiacciante da ascoltare persino per me.
Una mano enorme e allo stesso tempo così aggraziata si posò sulla mia guancia.
“Sono qua Giuli, non me ne vado” sussurrò, lasciandomi intuire dal suo bisbiglio che voleva che solo io sentissi quell’affermazione.
Non so per quanto mi persi a guardarlo, finché mia madre non attirò la mia attenzione.
“Come stai cara? Come ti senti?” il suo tono così apprensivo e preoccupato, Cindy che mi guardava come se stesse per assistere al mio funerale, mia madre che evidentemente aveva pianto, Harry totalmente spaesato e affranto, tutta la situazione mi lasciava intuire che mi dovesse essere successo qualcosa che ancora non avevo afferrato. Così mi concentrai. In un momento capii il dolore lancinante da dove provenisse ed ebbi un tuffo al cuore.
Con una paura folle di ciò che avrei potuto vedere abbassai lo sguardo sul mio braccio sinistro, precisamente sulla mia mano. Una benda spessissima vi era arrotolata attorno, nemmeno un dito fuoriusciva dalla fasciatura, che continuava fin sopra al gomito.
Mi accorsi di indossare una sorta di camicia da notte totalmente bianca non mia, che si intonava anche troppo all’ambiente ospedaliero.
Ignorai per un attimo il fastidio che mi dava l’ago piantato nell’altro braccio, i cerotti che sentivo chiaramente presenti sul mio viso, il mal di testa allucinante e posi la mia attenzione sul mio braccio sinistro. Provai a muoverlo e di nuovo mi sentii lacerare dal male.
Un’infermiera di mezza età, che probabilmente era già presente da un po’ nella stanza senza che io l’avessi notata, si precipitò al mio fianco.
“Signorina, non credo sia il caso di muoverlo troppo” mi consigliò, indicando il mio braccio.
“Che… c-cosa mi è successo?” la voce mi tremava così come tremava il mio corpo.
Non volevo sapere cosa si celava sotto quella benda e notai che tre paia di occhi si stavano scrutando per decidere chi dovesse mettermi al corrente della situazione.
Guardai Harry disperatamente, sperando che dicesse qualcosa, qualsiasi cosa, invece si limitò a toccarmi la spalla, sfiorandomi con le sue dita morbide.
Notai mia madre fulminarlo con lo sguardo e solo allora realizzai il clima di tensione che si respirava in quella camera. Un precedente confronto tra Harry e mia madre era la cosa più logica a cui potessi pensare: qualunque cosa fosse successa, Harry era a pochi passi da me, lo ricordavo perfettamente, e mia madre non poteva che aver preso male la cosa, già lo intuivo.  
Alla fine, fu proprio lei a parlare.
“Un ubriaco tesoro. Ha s-sbandato e ha tentato di frenare. Ti ha investita e…” si fermò, cercando tacito aiuto da Cindy. Il cuore si arrestò quasi, non volevo sentire il seguito per paura che corrispondesse con l’idea che mi ero fatta mentalmente.
Cindy sostituì mia madre nel racconto.
“Dopo l’impatto sei… insomma, in quel momento ti trovavi vicino a un guard rail del parcheggio, Dio solo sa perché mettano un guard rail di ferro come divisorio in un parcheggio ma… ecco… il tuo braccio, la tua mano, sono rimasti intrappolati tra il ferro e la carrozzeria della macchina.” Cindy prese un respiro profondo, poi continuò: “il polso si è rotto e, il ferro o forse la carrozzeria, non so” un sospiro “la tua mano è…”
Non riusciva a concludere la frase, ma l’infermiera di poco prima lo fece per lei.
“Abbiamo dovuto cucire. I tendini non hanno subito danni, ma la ferita è piuttosto profonda.”
Mia madre fece un no con la testa, lasciando intuire all’infermiera che potesse bastare.
E bastava. Eccome. Non credevo di poter provare un dolore interno più forte di quello fisico eppure successe. Il polso rotto, la mano lacerata. Chiusi per un attimo gli occhi e vidi i tasti di un pianoforte.
Tremavo come una foglia. Sentii il mio stomaco contorcersi e qualcosa dentro di me andare in frantumi come un cristallo caduto dal terso piano di una palazzina.
“N-no” sibilai, prima di sentire il mio cervello scoppiare, la disperazione più profonda impadronirsi di me e mi miei occhi riempirsi di lacrime. Non piansi però, era troppo banale esprimere in pianto quello che mi stava succedendo dentro.
“Mi dispiace tesoro” singhiozzò mia madre, che non era riuscita a trattenere le lacrime.
Mi prese la mano buona e l’accarezzò, ma io non sentivo nulla.
E  se avevo creduto che il mio risveglio fosse paragonabile alla risalita da un baratro, in quel momento sprofondai nel buco nero più oscuro e infinito che potessi immaginare.
Un paio di occhi verdi mi stavano osservando affranti, ma mi resi conto che il loro appiglio non sarebbe bastato quella volta. Interruppi il nostro scambio di sguardi e fissai un punto indefinito sul muro giallo per un tempo che sembrava un secolo.
Non riuscivo a formulare pensieri logici, a dare un nome al vortice di dolore che si impadronì di me.
Vedevo solo il mio futuro sgretolarsi lentamente e con esso la mia felicità.
In quel momento implorai, pregai, che Dio,il destino, la sorte mi riportassero indietro nel tempo e si prendessero un’altra parte di me, una qualsiasi che non fossero le mie mani. Perché non riuscivo nemmeno a pensare a me stessa lontana dalla musica, lontana da quei tasti che mai mi avevano abbandonata da quando avevo imparato a maneggiarli con cura.
Una lacrima sola mi scese bollente sulle guance, subito raccolta da un polpastrello gentile.
Mi voltai e guardai Harry di nuovo.
La consapevolezza che sarebbe ripartito lasciandomi sola a sopportare quella mancanza, a convivere senza il mio amato piano e a dover dire addio ogni singolo giorno ai miei progetti futuri, mi assestò il colpo finale. Così mi nascosi il viso con la mano buona e cominciai a singhiozzare sonoramente, urlando a tutti di uscire da quella stanza.
A tutti, anche a quel paio di occhi sublimi. Anche a lui.
  
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