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Autore: Facy    07/04/2008    10 recensioni
E se Bill perdesse irreparabilmente la sua bellezza? Se per un drammatico quanto casuale incidente rimanesse sfigurato per sempre? E se una giovane e cabarbia psicologa decidesse di tirarlo fuori dall'isolamento volontario in cui si è rinchiuso?
Genere: Generale, Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Questa volta credo proprio di aver trovato un’idea originale: e se Bill perdesse la sua bellezza in modo irreparabile? Come cambierebbe la sua vita?

Ovviamente i Tokio Hotel non mi appartengono e non ricavo un soldo da questa fanfiction: i fatti descritti non sono mai accaduti, le descrizioni dei personaggi già esistenti sono del tutto inventate. Leggete e commentate, per favore.

 

 

Cap. 1: Boulevard of broken dreams

 

La macchina andava veloce.

 

Bill sbadigliò, e cambiò canzone sull’I-Pod. Le note di “The bitter end” dei Placebo furono sostituite da “Boulevard of broken dreams”.

 

Era seduto sui sedili di pelle nera dell’Aston Martin grigio metallizzata, con l’unica compagnia dell’autista, che guidava silenzioso e con il quale il giovane non aveva mai avuto rapporti di sorta. Saki aveva già accompagnato Tom, Gustav e Georg a fare il sound check degli strumenti al Berlin Halle, dove quella sera avrebbero tenuto un concerto.

 

Bill, che aveva accusato durante il pomeriggio di un breve attacco d’emicrania, aveva preferito farsi un sonnellino di un paio d’ore, per essere in forma durante lo show. Aveva dovuto quindi accettare il sostituto di Saki senza tante storie.

 

Per ingannare la noia il ragazzo si concentrò sul ripassare la scaletta del concerto, sui vestiti che avrebbe dovuto indossare quella sera, e poi cominciò a canterellare tra se e se la canzone dei Green Day che gli stava sfondando i timpani.

 

I walk this empty streets, on the Boulevard of...”, canticchiò prima di rendersi conto che la macchina andava molto veloce.

 

Troppo veloce.

 

Le ruote slittavano sull’asfalto umido -quella mattina aveva diluviato- e il ragazzo, gettando l’occhio agli indicatori luminosi sul cruscotto, si rese conto con spavento che avevano superato i duecentoventi all’ora.

 

Bill tentò di ricordarsi il nome dell’autista per chiedergli di frenare, era pericoloso procedere così velocemente con la strada bagnata, con le altre macchine che sfrecciavano nella direzione opposta, si rischiava un frontale, andava troppo veloce, non sarebbe riuscito a fermarsi, ma come dannazione si chiamava? non voleva fare la figura dello stronzo chiamandolo “ehi, tu!”, la macchina accelerò ancora, le ruote sbandarono con un suono atroce, Bill si decise e urlò -Rallenti!- ma i fari di una delle auto che venivano dall’altra parte lo accecarono e l’impatto fu tremendo.

 

Il ragazzo percepì le urla dell’autista senza nome, il rumore orrendo delle lamiere che si tagliavano, si accartocciavano, si scontravano tra loro, la luce e il suono delle fiamme che si alzavano dai due veicoli, e poi una vampata insopportabile di calore, un dolore al volto, straziante, atroce, insopportabile, indicibile.

 

Si sentì sbalzato via dalla macchina, cadde sull’asfalto duro, rotolò su un fianco, e restò lì a contorcersi e ad urlare, agonizzante: mentre ancora aveva nelle orecchie la voce di Billie Joe Armstrong che cantava la sua solitudine sul Viale dei sogni spezzati -e com’era adatta quella colonna sonora!- gli cadde davanti agli occhi sconvolti il velo di una pietosa oscurità.

 

     

 

-Herr Kaulitz! Herr Kaulitz, mi sente?-

 

L’anonima voce baritonale era sconosciuta alle orecchie di Bill, e anche piuttosto fastidiosa in quel momento, così il giovane non si prese la briga di rispondere, considerato anche che aveva la gola dannatamente secca.

 

-Credo sia ancora svenuto- concluse la voce.

 

-Ma si riprenderà, vero?- una seconda voce, che Bill riconobbe come quella di suo fratello

 

Bill spalancò gli occhi, ma si accorse di avere una fasciatura sul volto. Il primo suo impulso fu quello di saltare a sedere, ma si accorse di non poter muovere un muscolo, tanta era la debolezza che lo attanagliava.

 

-Non rischia la vita- rispose intanto la prima voce.

 

-Ma?- la voce di Tom era soffocata dal panico. -Il suo viso... Tornerà quello di prima, vero?-

 

Un sospiro profondo, pieno di rammarico.

 

-No, mi dispiace. Non oso tentare una plastica facciale e non credo che nessun chirurgo oserebbe farlo. Vede, le lesioni sono troppo profonde, è tremendamente pericoloso tentare un’operazione. Si rischierebbe di toccare il sistema nervoso, suo fratello potrebbe rimanerne cieco o paralizzato con tutta facilità. Potrebbe anche morirne-

 

-Ma il suo viso... il suo viso...- la voce di Tom era quasi irriconoscibile tanto era sconvolta: intervallava le parole a respiri ansimanti.

 

-Può considerarsi fortunato di essere sopravvissuto. L’autista è morto sei ore fa, aveva ustioni di terzo grado sui due terzi del corpo-

 

-La prego... la prego...!-

 

-Mi dispiace- ripeté la prima voce, la voce del medico.

 

-Lei deve aiutarlo!- urlò Tom.

 

-Herr Kaulitz, non posso fare nulla e me ne rammarico enormemente, ma ho altri pazienti che aspettano le mie cure. Suo fratello non è in pericolo di vita, né fortunatamente le ustioni gli hanno leso la vista, la voce o altre parti importanti del corpo. Si può ritenere relativamente fortunato. Mi dispiace, ma questo è tutto-

 

Alcuni passi e il rumore secco di una porta che si chiudeva comunicarono a Bill che il dottore doveva essersene andato. Tom invece era rimasto lì, sentiva i suoi respiri affannosi che gli dovevano squassare il petto, da un punto imprecisato alla sua destra.

 

Un sottile terrore freddo strisciò ad impadronirsi della mente di Bill. Il medico aveva parlato di lesioni al volto... Lottò con tutte le sue forze per vincere quella debolezza, quell’inedia che lo teneva accasciato sul letto, simile ad un macigno che gli pesava sulle membra, e le sue labbra riuscirono a muoversi tanto per pronunciare il nome di Tom.

 

-BILL!- urlò questi.

 

-Tom...- ripeté Bill con voce rauca. -Tomi... Aiutami...-

 

-Bill... oh, Bill!-

 

-Aiutami, ti prego...-

 

-Si, Bill... si, ti aiuterò...-

 

-Il mio viso... -

 

Gli rispose un gemito prolungato.

 

-Tom, il mio viso... il mio viso...- il panico si fece crescente nella voce di Bill.

 

Bill si sentì prendere la mano, percepì il calore delle lacrime del gemello che la bagnavano, cercò di mettersi a sedere, di alzare le mani per strappare la fasciatura che gli copriva la vista di ogni cosa, ma non poté muoversi, sempre per quella strana debolezza che in seguito avrebbe saputo essere causata dagli antidolorifici e dai sedativi.

 

Il silenzio, il non-sapere, la sensazione orrenda di non potersi muovere, quella soffocante data dalla fasciatura, lo tormentavano.

 

Si sentì in trappola e cominciò ad urlare, pieno di terrore.

 

-AIUTAMI, TOM!-

 

Il pianto di Tom aumentò ancora, e i gemiti divennero singhiozzi convulsi.

 

-TOM! AIUTAMI!-

 

Ci fu un attimo di fragoroso silenzio, nel quale Bill trattenne il fiato, poi si levò un filo di voce tremante che a stento il ragazzo riconobbe come quella del fratello. Pareva che quelle parole gliele stessero strappando con le tenaglie:

 

-Non posso farlo. Non posso fare niente-

 

E Bill svenne.

 

  
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