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Autore: tagliarsi_con_gli_origami    16/10/2013    3 recensioni
Harry Styles vive in una villetta a schiera di Richmond con sua sorella Gemma.
Louis Tomlinson è un ex calciatore dalla carriera stroncata da un infortunio, e si muove a malapena nel disordine cronico del suo attico in centro a Londra.
Harry e Louis si incontrano in un bagno a Covent Garden.
Potrebbe essere l'inizio di qualcosa, se Harry non fosse già legato all'unica donna della sua vita, Darcy, la sua bambina di sei mesi.
Harry e Louis si incontrano in un bagno. Forse finirà così, perchè Louis di bambini non vuole nemmeno sentir parlare.
Harry e Louis si incontrano in un bagno, in un vialetto, ad un barbecue, nel mezzo di due vite che forse non dovevano nemmeno scontrarsi.
Impronte di mani diverse sulla parete bianca di una cameretta per bambini.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Erba, tabacco e mughetto.

 


My only weakness is knowing your secrets
I'm holding them close, I'm holding them tight
I know the way to, silently make you
Smile with my eyes when you're trying to fight
Can't you see, that when I find you
I'll find me
(When I find you, Joshua Radin)


Non gli avevano detto che avrebbe dovuto parlare. Magari sì, qualche battuta a sfondo sessuale di pessimo gusto per allentare la tensione con i ragazzi, uno o due aneddoti sul suo passato, qualche storiella inventata di sana pianta con cui mostrarsi fragile e un po' sfigato, vagamente umano, e poi basta. Sorrisi, strette di mano, flash, telecamere, giornalisti, paparazzi. 
Il suo nome ovunque, di nuovo, prime pagine e modelle anoressiche con cui far finta di fare sesso. 
Senza guardarsi dentro, senza domande, senza persone di cui preoccuparsi.
È la vita che vuole, da sempre, da quando i suoi piedi mediamente decenti calciavano un pallone di cuoio nel cortine interno della scuola elementare di Doncaster. Una squadra dopo l'altra, un mister dopo l'altro. Compagni e amici, docce, bagnoschiuma dagli odori più diversi, il suo corpo che cambiava, il suo viso e gli spigoli, il suo taglio di capelli, la sua voce.
L'odore dell'erba sintetica del campo e dell'amido delle divise. Il sudore mescolato alla stoffa e alla pioggia che precipitava a secchiate, e infradiciava i capelli appiccicati alla fronte.
Qualcosa di vero e qualcosa di plastica. Il suo sorriso di plastica, e la plastica dei suoi movimenti.
Ma la plastica è rassicurante, a volte, perché è rigida e impermeabile, e tiene lontano tutto.
I pianti dei neonati, l'odore di carbone bruciato e l'umidità di un prato tagliato male alle tre di notte.
Si passa una mano fra i capelli, rassicurato dalla densità della cera sui polpastrelli. Un gesto automatico, che gli appartiene, che riconosce, e lo calma.
Quel gesto che appartiene anche a Harry, in modo diverso, con uno sguardo diverso, quando si copre gli occhi per un attimo mentre fa finta di voler domare quei ricci, ma in realtà lascia solo che lo nascondano per qualche secondo.
Harry.
Lo Champagne nel suo calice vibra per un secondo, fra le dita pateticamente tremolanti.
Harry.
Si schiarisce la voce leggermente, mentre Simon gli si avvicina con il solito vino rosso d'annata.
“Sembri uno che se la sta facendo sotto” sorride soddisfatto mentre lo dice, come al solito
“Forse perché nessuno di voi tre geni mi aveva informato che avrei dovuto tenere un discorso all'umanità” il sorriso tirato di Louis non è lontanamente credibile mentre il fotografo li prega di avvicinarsi per uno scatto destinato alla prima pagina di chissà quale gazzetta locale.
Avrebbero riso tutti, a casa, vedendolo stiracchiare i muscoli del viso in quella pallida imitazione di sorriso. Lo avrebbe preso in giro Niall, con la bocca piena e un piede di troppo sul tavolino da caffè di Gemma, e Harry avrebbe lasciato scivolare fuori una delle sue risate assordanti, a labbra spalancate e occhi socchiusi, perché gli sono bastati tre mesi scarsi a polverizzare anni di allenamento alla dissimulazione e le bugie.
A casa.
Casa.
Scuote la testa, quasi strozzandosi con un sorso troppo generoso di Champagne. Simon ride di lui, dell'incapacità di concentrarsi sul discorso che lo aspetta, sull'incapacità di concentrarsi su ogni cosa che non sia l'odore di mela, vaniglia, cannella e barbecue che quella casa gli ha impresso addosso a fuoco. Sotto la pelle, come impronte di vernice su una parete bianca.
Erba. Bagnata. Non il campo, un'altra erba. Falciata male a settimane alterne. Sempre sbronzi. Risate incontrollate, luci accese nelle case dei vicini, disapprovazione. Pettegolezzi.
Chissenefrega.
Cheryl applaude delicatamente insieme agli altri a qualcosa che Louis si è preoccupato di annunciare al microfono. Lou riesce solo a percepire le ultime parole, un ringraziamento per aver accettato, buoni propositi forse, forse un incoraggiamento.
Applaudono tutti, chi solo per educazione, chi con una strana luce un po' fanatica negli occhi, chi, come Simon, con la sfrontata sicurezza di chi ha già accalappiato il suo sponsor solo sventolando le sue bretelle.
Lou ha la gola secca, di quel genere di tensione da palcoscenico che aveva dimenticato. Non la partita, non i fischi, la sconfitta, le urla, ma quella mondanità un po' contorta che lo rendeva nervoso. Sempre. Era elettrizzante, sconvolgente, disarmante.
Ora ha solo la gola secca. Qualcosa che gratta contro le tonsille e il palato. La secchezza del panico.
Qualcuno, forse Cheryl, gli consegna un microfono, uno di quelli pesanti che somigliano a coni gelato. Anche avvicinarlo alle labbra gli provoca uno strano brivido irritato.
Occhi su di lui.
Orecchie distratte. Movimenti e fruscii. Solo i ragazzi della squadra, facce nuove e visi conosciuti, sembrano concentrati. In nome della vecchia amicizia, forse, anche se la maggior parte di loro non era nemmeno nei paraggi quando lui giocava nel Doncaster. Strani giochi di ammirazione e reputazione.
Quello che loro conoscono, filtrato attraverso informazioni smozzicate da social network brulicanti di notizie incomplete, passaparola e giornali scandalistici con foto sgranate in copertina e nessuno a verificare la fonte.
Non gli importava, prima, di quello che la gente senza nome e i lineamenti sfocati poteva pensare di lui, sussurrare all'orecchio del vicino sull'autobus, o alla moglie sul divano.
Ma ora sì. Stupido, immaturo Louis Tomlinson, ora sì.
“Ehm. È un incredibile piacere essere qui” gli sorridono ma non lo ascoltano davvero. “Sono davvero grato a Simon, Cheryl e Louis per avermi dato la possibilità di tornare-” vorrebbe dire a casa, nel posto a cui appartiene, che lo ha cresciuto, muscoli, tendini, ossa e cuore, ma non ci riesce.
Ha solo post-it di citazioni colte, aforismi di personaggi famosi e testi di canzoni dei The Fray che gli vorticano nella testa, assieme a patetiche scuse e una fuga istintiva da tutta quell'attenzione.
Forse Simon intuisce il suo imbarazzo, forse è solo il solito stronzetto sadico che si diverte ad arricciarsi i baffi speculando sulle sue sventure. 
“Perdonate il ragazzo, è un allenatore, mica un politico” ridono tutti, per cortesia. È evidente. Ma a Simon non interessa con quanta sincerità quelle persone reagiscono alle sue parole. Il suono di quelle risate false lo appaga come il più sincero degli applausi, e va bene così.
La realtà, l'onestà, la verità, non interessano a nessuno. Non interessano nemmeno a Lou, a voler essere sinceri, ma l'odore di quella serata è sbagliato, e lui lo sente. 
I profumi da centinaia di sterline, i bei vestiti, i completi. È tutto sbagliato. Nemmeno l'erba sintetica del campo da calcio riesce a calmarlo. Nemmeno gli spogliatoi che hanno sempre quel vago sentore di adrenalina. Nemmeno il suo calice ormai vuoto di Champagne. 
Nemmeno il sorriso di Cheryl. 
È lui che è sbagliato, che inconsapevolmente sgomita con quell'affettata cortesia, quella tifoseria milionaria e sgargiante.
Il dj fa roteare il vinile sulla consolle, e la musica riparte. Nessuno fa più caso a Louis, se non per farsi fotografare, per brindare, per chiedere, di tanto in tanto, qualche fuggevole informazione su dove sia stato, il piede dorato dei Rovers, per due anni interi lontano dal campo.
Riesce ad evitare il terzo grado della moglie di un azionista della squadra all'ultimo secondo, dribblando due giornalisti e Simon, per scappare nemmeno troppo cautamente verso il bagno.
File di orinatoi e lavandini. Docce, porte di legno e water.
Si accovaccia sulla tavoletta a gambe incrociate e aspetta.
Il cellulare in mano che non squilla. Nessuna chiamata persa, nessun messaggio.
Harry Styles di Holmes Chapel ha un doloroso talento nel lasciar andare.
Preme il tasto verde. Uno squillo, due squilli, riattacca.
Tasto verde. Riattacca.
Tasto verde. Cancellare la cronologia chiamate?
Cancellare tre mesi di Harry Styles? Cancellare l'odore di borotalco sulle sue mani, la sera, dopo aver cambiato il pannolino a Darcy? Cancellare le tracce di salsa piccante sul suo labbro superiore ai barbecue del sabato? L'odore di birra danese, di marshmallow che non può mangiare perché è allergico, di vernice, e di sigarette fumate in giardino lontano dalle occhiate ostili di Gemma?
Cancellare?
Harry?
Darcy?
Cancellare?
Il telefono gli vibra fra le mani, tanto improvvisamente che quasi lo lascia cadere.
Harry Styles di Holmes Chapel lampeggia sullo schermo insistentemente, come uno dei suoi sorrisi migliori, tutto denti e labbra tese fino alle orecchie. Può quasi sentirlo addosso, attraverso il completo blu notte gessato e il papillon.
“Ciao” riesce solo a dire, alla fine di un'attesa barcollante fatta di dita incerte e tasti scivolosi. A metà di quello che è forse il decimo squillo.
Forse non è così bravo a lasciar andare le persone.
“Hei”
Un silenzio strano, imbarazzato. Louis è quello che non riesce mai a gestire il silenzio.
E di solito, per riempirlo, sfodera un repertorio di battute di pessimo gusto che potrebbero far invidia a Simon Cowell.
“Darcy come-”
“Come va lì?” contemporaneamente e inesorabilmente le loro voci si sovrappongono.
“Bene” 
“Alla grande” nervosismo, tensione, niente a che vedere con le persone che sanno di essere, dietro centinaia di chilometri di segnali rimbalzati a ripetitori sparpagliati sul suolo britannico.
Harry sospira all'altro capo. Uno dei suoi respiri profondi che tremano un po', alla fine
“Manchi a tutti” dice semplicemente.
Voglio tornare.
Venite qui.
Il mio appartamento è un casino di roba inutile, e vuoto di quello che mi serve.
Mancate.
Ti amo Harry, mi senti?
“Sono un po' incasinato adesso, sai come va...feste, un sacco di gente da rivedere...” si morde il labbro. 
Cazzo.
“Già” pausa. Una delle sue pause che fanno accapponare la pelle. “Beh, allora vai. Insomma, non voglio che pensino-”
“No. Cioè è ok. Sono in bagno” 
Harry ride. Non come Lou vorrebbe, non con gli occhi, lo sterno e i polmoni. Ma è già qualcosa
“I bagni ti piacciono, si sa” 
Solo se ci sei tu.
Qualcuno lo chiama da qualche parte nell'universo che una volta era un po' anche di Lou. Una voce divertita, strascicata, un po' da ubriaco e un po' da strafatto. Il timbro radiofonico nascosto da qualche birra di troppo e un paio di sigarette fumate velocemente.
Nick Grimshaw si avvicina, le parole sempre più chiare e la voce più alta
“Devo andare. C'è un po' di gente qui e-” non sa nemmeno spiegare a se stesso il perché quel momento lo faccia sentire davvero capace di prendere il primo aereo per Londra, solo per togliersi la soddisfazione di strappare a morsi le suadenti corde vocali di Nick Grimshaw.
Inspira
“Bene. Divertitevi” 
Di' a Gemma di starci, una volta o l'altra, con Niall.
Ricordati di lavare il coniglio di Darcy.
Ho prestato a Zayn l'ultimo GTA, assicurati che non lo sfasci per la frustrazione.
Liam doveva passarmi un paio di gruppi da ascoltare. 
Vorrebbe dire tutto questo, artigliare un po' di quella quotidianità disarmante per conservarla da qualche parte sotto il completo, sotto la pelle e i tendini. Al caldo e al sicuro dai flash e i microfoni a forma di cono gelato.
Anche al sicuro da Simon e i suoi sorrisini machiavellici.
Ma riesce solo a chiudere fuori il caos sonoro di quella casa, e la voce un po' roca di Harry che cerca invano di scusarsi, salutarlo, scartare l'invadenza di Nick per restare al telefono trenta secondi in più. Assicurarsi che vada tutto bene, forse.
Scivola giù dalla tazza, la voglia disperata di una sigaretta anche se non fuma, una vodka liscia e una doccia incandescente.
Un silenzio addormentato e il confortante gracidio del walkie talkie sul comodino.
Voglia di una casa non sua e persone che non sono suoi amici.
Di una quiete sempre sporca di risate con la mano davanti alla bocca per non svegliare nessuno, persone che si muovono in bagno, e padelle per la colazione.
L'odore di un prato diverso da quello del campo da calcio.
Birra danese anziché Champagne.
La Nikon di Harry invece di quei flash assassini da rivista patinata.
Sviluppare le foto nella camera oscura, e lasciare venire al mondo con quell'inevitabile vizio patetico di trattenere il respiro nell'attesa.
Pupazzi di peluche e impronte.

***

Osserva il cellulare dallo schermo nero. Nick ridacchia qualcosa, facendo scorrere il pollice sulla rotella dell'accendino con il suo solito fare teatrale
“E quindi il tuo fidanzatino ti ha fatto ciao ciao come Heidi alle montagne...” avvicina la fiamma alla sigaretta e inspira.
Harry incastra di nuovo il telefono nella tasca posteriore dei jeans, appoggiandosi alla ringhiera del portico
“Vaffanculo Nick” sfila la sigaretta dalle sue labbra e aspira un tiro lento.
Ovviamente è uno spinello “Erano le caprette, comunque” 
Chiude gli occhi per un attimo mentre il sapore della marijuana da spacciatori del centro dell'altro gli inebetisce i sensi quel tanto che basta da ammorbidirgli il respiro
“Eddai Hazza, ha infilato la lingua nelle orecchie di un sacco di gente a Covent Garden. C'è ancora qualcuno che non abbiamo ancora rimorchiato” allunga l'indice e il medio, e Harry gli passa lo spinello quasi distrattamente.
Si morde il labbro, pensando alla routine alienante dei bar il sabato sera, con Gemma a guardare le repliche di Catfish su MTV che si addormenta a metà dell'episodio.
Nick geme vistosamente
“Se spalanchi la tua bocca sproporzionatamente grande per dirmi che lui è diverso, mi ficco la brace accesa nell'occhio” si appoggia accanto a lui, restituendo lo spinello dimezzato.
Harry aspira due boccate prima di rispondere
“Non me ne frega niente se è diverso, o se è uguale. A me andava bene comunque” 
Gemma richiude la porta di ingresso sgattaiolando fuori. Le voci li raggiungono e si smorzano in meno di tre secondi.
“E' un delirio. Dobbiamo smetterla di avere degli amici...” sorride, li osserva e si fa seria. Individua immediatamente l'odore di marijuana nell'aria, e si occupa all'istante del mozzicone quasi spento fra le labbra di Harry “Grazie fratellino, sei immensamente generoso” lo punzecchia ammazzando l'ultimo tiro prima di spegnere la brace sotto la ringhiera.
Nick solleva un sopracciglio e le fa spazio accanto a loro.
“Comunque è diverso. È diverso eccome...” 
Harry ricambia lo sguardo sarcastico e scuote la testa
“Oh, grazie Nicholas Grimshaw, profondo conoscitore dell'animo umano!” l'altro scrolla le spalle
“Conoscitore un cazzo” Gemma si volta di scatto con i suoi ochi grandi e scuri spalancati sotto la frangetta bionda
“Nick!”
Questa storia delle parolacce li ucciderà, pensa Harry fuggevolmente mentre Nick replica un lezioso e quantomeno falso
“Gemma”
Sua sorella lo squadra a braccia incrociate, con il sopracciglio che quasi sparisce nell'attaccatura dei capelli
“Harry!”
Harry si sente solo stanco e leggermente sballato, un dolore allo stomaco continuo e lamentoso che non lo uccide, ma nemmeno lo lascia in pace
“Nick” richiama stancamente l'amico, intento in un duello di volontà con Gemma, che si trattiene a malapena dal mettere insieme una predica sull'uso diseducativo delle parolacce.
“Che palle” ma Nick sembra più che altro irritato dal suo atteggiamento lassista. Harry avrebbe sghignazzato ore nell'osservarli battibeccare e tenere in punto sul nulla.
Harry avrebbe probabilmente rollato un'altra canna seduto a gambe incrociate sulla veranda.
Harry si sarebbe isolato per qualche secondo ad assaporare il ritmo di quella conversazione puntigliosa e disincantata, colma di sfumature di dolcezza e affetto.
Harry resta solo fermo, i gomiti appoggiati alla ringhiera e le caviglie incrociate, e li osserva senza vederli, come un punti grigio impazzito sullo schermo del computer.
Nick sospira melodrammatico
“Fattela passare. Quello è una fighetta isterica con le manie di protagonismo” rientrano silenziosamente, un passo dopo l'altro, nell'ingresso. Gemma non ha ancora smaltito l'irritazione per la soddisfazione di Nick nel farla innervosire, e Harry non trova fra i pensieri nemmeno mezzo neurone in grado di seguire acutamente la conversazione.
Si limita a sorridere quasi tristemente, come se le corde vocali non fosse nemmeno sue quando ribatte
“Più di te?”
“Cazzo sì, più di me.” ignora volontariamente l'occhiataccia di Gemma e si lascia cadere su una poltrona in salotto. Niall è accucciato a terra in una posizione quantomeno deleteria per le sue  articolazioni, e stringe fra le mano il joystick dell'Xbox come se avesse paura di lasciarlo cadere in un precipizio senza fondo, mentre Perrie esulta per un altro goal a Fifa. Zayn e Liam tentano di mettere insieme un vago spuntino di mezzanotte mentre Sophia li osserva farsi strada in soggiorno con un sorriso interrogativo “L'ho intervistato una volta, il tuo amichetto” sfarfalla le dita in aria per disegnare le parole su una lavagna immaginaria “Tommo, il piede dorato del Doncaster Rovers” sogghigna “Una palla. Con quella sua vocetta stridula da tonsille iposviluppate, e quei capelli. Cristo, odio i suoi capelli perfetti.” fa scorrere le dita fra i suoi, scuri, ordinati e impomatati con attenzione. Sembra un ragazzino frustrato, o colto sul fatto mentre scarica film porno da internet. Ha una teatralità che diverte sempre Harry, studiata ma genuina, provocatoria ma ingenua. Sincera, onesta, alla fine. C'è qualcosa dentro, al di sotto, nel profondo. Non è solo scena, è solo un modo per dissimulare quella perenne sensazione di inadeguatezza e fallimento.
Per Harry è la fotografia, sono i ragazzi sconosciuti rimorchiati nei bagno a Soho, i barbecue del sabato. È Darcy, soprattutto, che gli sbatte in faccia la sua inadeguatezza ogni singolo istante della giornata, e allo stesso tempo resta l'unico, vero anche se momentaneo, antidoto contro la sensazione di fallimento invisibile ma inevitabile nella sua vita.
Nick lo combatte con le chiacchiere e le frecciatine senza bersaglio che vorticano nell'etere, e Gemma, forse, nel sentirsi parte di qualcosa, dell'odore di una casa che sa di bambini e famiglia.
“Non te la cavi male neanche tu Grimmy” gli assesta un pugno leggero sulla spalla, e l'altro sorride
“Sfotti poco, paparino...” è un momento di reciproca comprensione quasi istantaneo. Brevissimo. Appena un battere o un levare. Una pausa. Tutti e tre, in silenzio.
Inadeguatezze incomplete che si riconoscono per un momento.
Poi qualcuno suona il campanello.
Harry non può fare a meno di pensare a Louis, anche nell'impossibilità per la ragione di raggiungere un simile traguardo, il dolore affilato nel suo sterno continua a pulsare d'attesa.
“Vado io...spero solo non sia il resto della squadra che viene per guardare X Factor” espira Gemma “sono sfinita...” le sopracciglia attentamente arcuate di Nick la fissano sbalordite.
“Che c'è?” sua sorella getta uno sguardo allarmato alla maglietta, i jeans, i capelli, in cerca della sconvolgente mancanza che ha provocato quella reazione.
“X Factor? Hai presente? Ragazzini minorenni e ingenui che vengono spiattellati in ogni dove? Mi viene un'erezione solo a pensarci!” si guardano qualche secondo, giusto il tempo di studiarsi reciprocamente e reciprocamente disapprovarsi.
“Tu sei malato” Nick sogghigna con un mezzo inchino.
“Lieto di incontrare sempre la tua approvazione Gemma” si avviano tutti e tre verso la porta d'ingresso, sua sorella che ancora scuote la testa ripensando alle parole dell'altro.
Harry resta indietro ad osservare i suoi amici da un'angolazione inusuale. Una macchina fotografica praticamente preistorica riposa nel cassetto del mobile dell'ingresso, assieme alle chiavi di riserva e un sacco di pile spaiate.
Ha ancora una tacca di batteria e un obiettivo decente.
Scatta foto a chiunque, ovunque. I riflessi quasi lilla nei capelli di Perrie, le ciglia incalcolabilmente arcuate di Zayn, l'espressione di Liam quando riesce a sistemare l'oliva nera fra lo stuzzicadenti e il suo sandwich. Niall e la concentrazione fra le sopracciglia e le iridi, la lingua quasi fuori dai denti, la postura raggomitolata.
Sa che manca un pezzo, uno spazio vuoto di troppo, un'assenza che rimane impressa nella filigrana. Quasi un'ombra accanto a Niall, uno squarcio di cucina che si vede e non dovrebbe. Una tazza nello scolapiatti che dovrebbe ciondolare fra il tavolo e il comodino della sua camera da letto.
Spazi in piena vista che illuminano stupide assenze.
Il cellulare di Harry vibra nella tasca posteriore dei jeans, nello spazio fra uno scatto e un respiro. Non prende mai in salotto. Si arrampica fino al piano di sopra, accanto alla finestra di camera sua, e la voce di Andy risuona più nitida e intelligibile
“Andy, hei...” l'altro sbuffa
“Scusa se ho chiamato te, ma Liam non risponde mai, e Niall lasciamo perdere” Harry sorride
“Tranquillo. Sei già in strada?” la serata X Factor di solito raccoglie a casa Styles una quantità di fans inimmaginabile.
Andy non è un tipo chiassoso e vanesio, ma si accoccola volentieri fra Liam e Zayn sul divano del salotto a litigare con i giudici.
“In realtà uno stronzo mi ha tamponato sotto casa. Mi sa che per stasera passo” Harry raccoglie il coniglio rosa di peluche che Darcy ha spinto fuori dal lettino con i piedi. Lo appoggia casualmente sul fasciatoio, appena sotto le impronte ancora umide delle loro mani.
Inspira e torna a concentrarsi sul tono di voce altalenante di Andy che gli racconta del tipo ubriaco che gli ha frenato praticamente nel portabagagli nemmeno un quarto d'ora prima.
“Mi dispiace amico, è uno schifo” si sente in colpa per quel deficit dell'attenzione, ma non ricordava che camera di sua figlia evocasse tutti quei ricordi legati a Louis.
È fastidioso e pruriginoso pensarci. Pensare a quanto di lui ci sia ancora in quella casa. Quanto rimarrà arrampicato dentro per troppo tempo ancora.
Andy riattacca dopo una fantasiosa sequela di imprecazioni che lo fanno sorridere.
Scivola per le scale saltando due gradini e rischiando di cadere sull'ultimo, ma riesce a rimanere in piedi con il cellulare in bilico in mano e la macchina fotografica infilata malamente in tasca.
“Andy ha appena chiamato. La serata X Factor è-” la luce del salotto filtra nel corridoio semibuio.
C'è uno strano silenzio, una tensione viscerale che gli fa prudere lo stomaco per l'anticipazione.

Mughetto. Vaniglia, borotalco e cannella. Tabacco e marijuana che a malapena si percepiscono nell'aria.
E mughetto. Nessuno profuma di mughetto.
Harry odia il mughetto.
Solo Melissa aveva quell'insopportabile ammorbidente al mughetto.
Melissa.
“Fottuta” Niall ricambia il suo sguardo quando ha abbastanza coraggio da raccogliere le energie ed entrare in salotto. Gemma è pallida, cammina nervosamente, Nick sghignazza rigirandosi una sigaretta spenta fra le dita.
Gli altri restano solo zitti, scambiandosi sguardi preoccupati e imbarazzati. Probabilmente si fionderebbero fuori dalla finestra pur di non assistere a quella scena patetica.
Anche Harry lo farebbe. Anche se il vetro fosse rotto e rischiasse di squarciarsi i polmoni con un frammenti sporgente.
Melissa si volta a guardarlo, con quel sorriso appena accennato che parte dagli occhi e solo di rado raggiunge il resto del viso. Lo ha sempre affascinato quel sorriso. Ora vorrebbe solo barricarsi in camera di Darcy per tutto il resto della serata. Dell'anno. Della vita.
“Hazza. E'...bello” mai parola è stata spogliata maggiormente del suo significato. Mentre la guarda, Harry riesce solo a pensare al cellulare che ha dimenticato fra le dita della mano destra, e quel malsano desiderio di afferrarlo e usarlo per chiamare Louis. Per raccontargli di quel momento, di quell'esitazione, dell'imbarazzo. Della paura, anche, solo per sentirlo ridere con quella tonalità da ragazzino, e prenderlo in giro perché si preoccupa troppo.
Perché lei non è lì per portare via Darcy, no?
“Melissa sei...” Harry fissa Nick nel panico, gli occhi di tutti puntati addosso, a radiografare la sua reazione per capire come comportarsi con lei. Se accoglierla, respingerla, fingere di non averla mai vista entrare.
“Niente da obiettare al romanticismo del tutto, ma io sposterei lo psicodramma in veranda, se non sollevate obiezioni. Ho minorenni sessualmente confusi da monitorare, qui” Melissa solleva un sopracciglio, forse sorpresa, forse solo infastidita.
Peggio per lei.
La sua irritazione quasi conforta Harry.
Nick solleva entrambe le mani “Ok, ok, me ne vado a quel paese. Ricevuto” scrolla le spalle, ma Gemma fa schioccare la lingua
“Ma sì, buttiamo alle ortiche trentanni di amor proprio, e guardiamo questi adolescenti canterini sculettare sul palco” incrocia le braccia al petto e sorride a Melissa, tagliente e ferma. Faceva così anche al liceo, quando Harry rimaneva indietro per non farle notare che i suoi amici avevano smesso di aspettarlo per andare in mensa, o fingeva di non voler andare alle feste per non ammettere che non era stato invitato.
Gemma faceva schioccare la lingua, incrociava le braccia al petto e minacciava chiunque. Senza dire niente, senza prenderlo in giro perché era un fifone o uno sfigato. Solo Harry.
Gemma, Harry e Darcy.
C'è stato qualcosa, in quei mesi. Qualcosa in più.
Ma Harry non pronuncia il suo nome nemmeno nella testa, in silenzio. 
Solo Gemma, Harry e Darcy. E Niall, Zayn, Perrie e Liam. E Andy, quando la sua macchina non si accartoccia, e Nick quando, beh, si comporta un po' meno da Nick.
E alla fine sorride, mentre cammina lentamente verso la veranda con lo sguardo di Melissa a pungergli le scapole. Sembra stupido pensarci in quel momento, immaturo e patetico, ma ci sono così tante persone da amare in quel salotto, così tante in quella casa, da ammortizzare per un attimo la gelida sensazione di impotenza che gli spinge la paura contro lo sterno.
Non è più il ragazzino con i brufoli che si sedeva da solo in fondo alla classe.
L'adolescente insicuro dietro una macchina fotografica che pesava più del suo braccio.
Non più l'adulto sessualmente confuso che si aggira alla cieca nei locali a Covent Garden.
Non harry Styles di Holmes Chapel che non sa fare il padre.
Solo Harry, Darcy, Gemma e tutti gli altri. Tutti. In silenzio, facendo casino, fra l'erba del prato, il tabacco e il barbecue, la vaniglia e il borotalco.
E il the.
La vernice, i pupazzi di peluche e la cera per capelli.
Tutti quanti.
Da qualche parte anche Louis. Sentirlo non faceva parte dei piani, ma lo sente.
La sua mancanza, penetrante e dura contro la spina dorsale, non era prevista.
Ma c'è.
E Lou è stato lì, è ancora lì, e semplicemente va bene, Harry sente che adesso, respirarlo nell'aria, è giusto.















Note: vi chiedo immensamente scusa per il ritardo :( Sono stato via e non avevo il pc con me.
Spero che il capitolo valga l'attesa, e prometto che il prossimo non si farà attendere così a lungo.
Vi ringrazio sempre immensamente per tutto l'amore che vortica attorno a questa storia e a tutti loro. Vi sono davvero grato. Davvero**
   
 
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