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Autore: EuphemiaMorrigan    16/10/2013    10 recensioni
AU. Comica/Romantica/Drammatica.
SasuNaru.
-Dall'ultimo capitolo-
Questa è la segreteria telefonica di Uzumaki Naruto e Uchiha Sasuke, lasciate un messaggio e vi richiameremo. Se ne avremo voglia.
Se sei Sai: Visto le vendite? Ti ho battuto ancora.
Muori.
Se sei Ino: Nee-chan, non vorrei che tuo marito si suicidasse.
Ammazzalo e raggiungilo.
Se sei Nagato: Sono in perfetto orario con la scadenza.
Non è assolutamente vero.
Se siete Sakura, Hinata o Tenten: Tranquille, ho tutto sotto controllo.
E voi che ancora ci credete...
Se sei Gaara: Amico, mi devi un caffè.
Ed io ti devo un pugno.
Se sei Hidan: Lode a Jashin!
Non riesco a capire chi è più cretino tra te e Naruto.
***
***
Gensaku-sha ripercorre, a modo proprio, alcune vicende del manga.
Con personaggi casinisti, pazzi ed eccessivamente rumorosi.
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Naruto Uzumaki, Sasuke Uchiha, Un po' tutti | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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-Puzzle-

 

Note dell'autrice:
Oggi, dopo tempo, vado ad aprire Openoffice per rileggere un capitolo che avevo scritto e... Mi aveva cancellato l'ultima parte; quella di Sakura e Hinata.
Dopo che ci avevo messo secoli per scriverla.
Non so se potete immaginare la delusione immensa che ho avuto nel dover riscrivere qualcosa che, a mio modesto parere, mi era uscito fuori decente.
Quindi... Non è assolutamente come prima!
Anche perché le cose che scrivo una volta, non riesco a riscriverle più.
Per fortuna la parte più sostanziosa e sentita; quella di Madara e Naruto; non è stata intaccata.
Vi lascio alla lettura,
mi spiace per l'inconveniente.
Un bacio.

 

Soffrirò; crollerò ancora.

Però... Però finirò quel dannato puzzle.

 

Viveva la sua esistenza a quel modo.

Da sempre.

Componeva i pezzi del suo personale mosaico ad uno ad uno: incastrando alla perfezione ciò che lo aggradava, rincollando le crepe, modellando quello che lo disturbava e distruggendo cosa gli procurava irritazione.

Era un uomo profondamente egoista.

E nel suo egoismo era sempre sopravvissuto.

Cosa importava della morte di Itachi Uchiha?

Era solo un nuovo pezzo da accantonare, nulla di più.

Almeno così si ripeteva.

Scacciando la sua parte umana, quella immensamente dispiaciuta per la perdita di un componente così giovane del clan Uchiha.

...Famiglia...

Però anche i suoi genitori erano giovani quando morirono, quando li uccise.

Eppure nessuno si era preoccupato per lui.

...Rancore.

Ancora provava rancore per il passato.

Ancora la furia lo dilaniava; verso se stesso, verso quella famiglia che non aveva compreso quanto si era rintanato nel suo guscio.

Quella stessa corazza che stava coprendo e schiacciando Sasuke.

Diventerà come me, forse peggiore.... Si disse, stringendo i pugni sulle cosce tese.

Doveva intervenire come affermava Izuna?

E per fare cosa?

La colpa era per metà di Sasuke Uchiha.

L'altra metà di suo marito.

Ed una buona parte di Fugaku che, stupido, non solo non aveva compiuto il suo lavoro quando doveva, ma aveva anche lasciato che un civile s'impicciasse della faccenda.

Perché avrebbe dovuto tendere la mano a loro, quando nessuno si era minimamente preoccupato di allungarla verso di lui venti anni prima?

Cosa ci avrebbe guadagnato da una buona azione: un posto in Paradiso?

No...

Aveva le mani macchiate del sangue della sua famiglia, non poteva pretendere una fine felice; lo sapeva da sempre.

Sospirò, alzandosi in piedi e guardandosi allo specchio.

Ricordando il giorno in cui Itachi morì, in cui il suo assassino lo segui sotto metri e metri di terra. Era inutile pensare ai morti, nulla li avrebbe riportati in vita.

Peccato che nessuno avesse ancora accettato questo.

Continuavano a distruggersi, ignorarsi, logorarsi alla ricerca di un passato che non potevano più fare proprio. Che nessuno poteva far tornare, neanche volendolo con tutte le forze.

S'incamminò lentamente verso il telefono fisso, si posò una mano su un fianco e lo osservò duramente: come se fosse la persona che, in un atto di pura follia e masochismo, aveva deciso di contattare.

Perché lo stava facendo?

Davvero era così umano da sentire il terrore della solitudine avanzare e ghermirlo?

Era davvero così umano da... Rammaricarsi per gli altri?

Aveva ancora un'anima?

Sì...

Era ancora un essere umano.

Compose quel numero per la centesima volta, imponendosi di non riattaccare al primo squillo, ed inspirò una profonda boccata d'aria.

“Pronto?”

Peggio di ciò che pensavo... Si disse, udendo quel pigolio soffocato e dolorante “Sono Madara”.

Un respiro sorpreso, un attimo di silenzio e poi “Oh... Come stai?”

“Io bene... -Si guardò le unghie e domandò, atono- ...Quando sei libero?”

Sentì chiaramente la sua sorpresa, anche se non poteva vederlo “...Devo lavor...”

“Stasera, ci vediamo davanti casa mia” Non lo fece nemmeno finire e riattaccò. Un ordine di Madara Uchiha non si rifiutava mai, e se lo avesse fatto ne avrebbe pagato le conseguenze.

Non amava i giochetti, né pregare le persone.

Quella stessa sera avrebbe ficcato in testa dei concetti basilari per la sopravvivenza a Naruto Uzumaki.

E si sarebbe guadagnato almeno il Purgatorio.

Forse...

 

«Dove vuoi andare?»

Non era uno di quegli uomini che chiedeva come andavano le cose.

Le vedeva nitidamente: dalle occhiaie profonde, il viso pallido, gli occhi vitrei, le mani tremanti e quella smorfia di sofferenza che non lo aveva abbandonato per tutto il tragitto.

Le cose andavano male.

Malissimo.

Le labbra di Naruto si schiusero e disse, d'istinto, «Al bar di... -Le morse a sangue, gli occhi si inumidirono e scosse il capo con forza; per poi abbassarlo e lasciare che le ciocche bionde celassero alla vista del maggiore le sue iridi arrossate- ...Dove vuoi tu...».

«Bene!» Rispose atono l'altro, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans e facendogli strada fino ad un supermercato aperto ventiquattro ore su ventiquattro. Entrò tranquillamente, non rivolgendo parola al ragazzo più giovane ed acquistò due bottiglie di birra, facendo segno a Naruto di seguirlo ancora.

Quello stesso Naruto che si chiedeva perché era lì, quando il suo compito era rimanere chiuso in casa a farsi distruggere dalla profonda sofferenza di Sasuke.

Quello stesso Naruto che, fino a qualche settimana prima, se si fosse trovato in una situazione del genere non avrebbe smesso di ciarlare un secondo: irritando Madara con le sue battute cretine.

Ed invece era in silenzio, in un profondo e asfissiante silenzio.

Udì i passi dell'uomo più grande arrestarsi, sollevò un poco lo sguardo e si osservò intorno; senza provare alcun sentimento: né di stupore, né di fastidio.

Nulla.

Anche se dentro si trovò a dare dello stupido a Madara Uchiha.

«Non credo che servirà molto avermi portato qui questa volta».

L'altro si sedette sul, oramai loro, solito muricciolo e puntò le iridi verso il cantiere in costruzione; scrollando le spalle con stizza «Non è il posto che conta».

Il biondo gli si avvicinò, accomodandosi piano accanto a lui e si posò le mani in grembo, abbassando ancora la testa. «Perché?» Domandò dopo un qualche minuto, non c'era bisogno di specificare altro.

Madara si attaccò al collo della bottiglia, bevve e, continuando a scrutare davanti a sé, rispose sinceramente «Perché Izuna dice che non ho cuore».

Uzumaki sorrise fiaccamente a quella confessione «Ci è andato pesante questa volta...»

«È semplicemente troppo empatico» Affermò, senza alcun tono di voce.

«Mi dispiace... -Sussurrò di rimando, ed aggiunse ancor più flebile- ...Tra fratelli non si dovrebbe litigare...» Cacciò indietro un singhiozzo e strinse le mani tra loro, tentando in tutti i modi di non crollare lì. Di fronte a qualcuno che, sapeva, non avrebbe fatto nulla se si fosse piegato; per poi spezzarsi in mille piccoli pezzettini.

«Dillo!» Esclamò placidamente Madara, come se stesse parlando del tempo.

Il più giovane si voltò verso di lui, confuso e domandò «Come?».

Questi ricambiò lo sguardo e ordinò di nuovo «Dillo e basta. Siamo in un posto isolato, se vuoi puoi anche urlare».

«Non ho nulla da dire» Ansimò con un nodo in gola, indietreggiando di poco e provando una strana sensazione di terrore a stargli così vicino.

Stava per distruggerlo lui stesso. Lo sapeva.

Lo vide serrare la mascella, socchiudere gli occhi e sospirare.

Lo vide riaprire le iridi scure, puntarle nuovamente su di lui in modo duro.

E colpì, senza remore.

«Sai che è colpa tua, vero?»

Una pugnalata al ventre avrebbe fatto meno male; serrò i pugni, conficcandosi le unghie nei palmi e squarciando la pelle, gli occhi cominciarono a pizzicare come se qualcuno ci avesse sfregato sopra una spezia piccante, non seppe nemmeno Naruto quando le lacrime cominciarono a rigargli il viso.

Si mise in piedi, tremando da capo a piedi ed urlò a piedi polmoni contro l'altro uomo «Cosa vuoi da me? Cosa vuoi che ti dica?... CHE È VERO?... Che se non fossi mai apparso nella vita di Sasuke, tutto questo non sarebbe successo? Che la mia sola esistenza rende misera la vita di chi mi sta accanto?... Avevano ragione... Avevano ragione le suore quando dicevano che ero un Demone» Portò le mani al viso, mentre i singhiozzi gli squarciavano le spalle esili, e si accasciò a terra.

Potendo fine a se stesso in quel luogo.

Madara bevve un altro sorso di birra e crucciò le labbra «Hai finito?... -Posò, con distacco, le iridi sul suo corpo spezzato dal pianto e parò ancora- ...Per questo non apprezzo i miei simili: siete deboli, stupidi e pretendete il felici e contenti, anche quando è impossibile averlo» Concluse con disprezzo.

Il più giovane ansimò ancora, tentò di tornare in una posizione eretta e si trascinò lontano da lui. Procurava un dolore assurdo rimanere nello stesso luogo di quell'uomo; un dolore che non aveva mai provato prima di allora «M-me ne vado...».

Uchiha gettò con spregio la bottiglia vuota, si alzò e lo afferrò saldamente per un polso, voltandolo verso di sé «Cosa vuoi, Naruto? Che qualcuno schiocchi le dita e lo faccia resuscitare per non costringerti a tirare su le maniche e lottare? Credi che tutto tornerà come prima se aspetti un po' di tempo?... -Strinse la presa e si avvicinò al suo viso impaurito da tanto odio che proveniva dalle iridi scure- ...Svegliati, pezzo di idiota! Se non combatti nulla sarà più come prima. Mi vedi, Uzumaki? Guarda attentamente cosa diventerà tuo marito!».

«Lo so... Smettila, lo so!» Gracchiò ancora, dibattendosi dalla sua presa ferrea, senza alcun successo; non aveva ascoltato una singola parola.

No, ancora non lo sapeva.

Madara indurì ancora di più l'espressione del volto e si decise a svegliarlo una volta per tutte: colpendolo con un pugno in faccia e facendolo barcollare all'indietro.

Lo tenne saldo per il polso, schiaffeggiandolo con violenza, spaccando definitivamente il labbro di già gonfio per via del precedente pugno.

Lo avvicinò ancora, alzandogli il mento con le dita della mano, costringendolo ad osservarlo negli occhi.

Costringendolo a vedere ciò che aveva sempre celato ad altri.

«Smettila di piangerti addosso! Hai trentuno fottutissimi anni. Fai l'uomo, porca troia! Quel ragazzino è troppo giovane per essere abbandonato a se stesso. Non ha più una madre e un padre, troppo impegnati con il loro dolore. Non ha più degli amici, troppo codardi per tentare anche solo di alzare il culo dal loro divano... -Parlava del se stesso di venti anni prima e nemmeno se ne rendeva conto- ...Ma ha te! Lurido idiota, che invece di buttare giù la sofferenza e pensare a lui, scommetto che non hai nemmeno il coraggio di stringerlo tra le braccia mentre sta affondando! Sei un verme, Uzumaki. E come tale puoi solo strisciare ai miei piedi» Finì con rabbia, lasciandolo cadere a terra e sovrastandolo con la sua immensa figura minacciosa.

Si era mostrato, il vero Madara Uchiha.

Dopo tutti quegli anni a fingersi un uomo pigro ed idiota, quella disgrazia aveva fatto riaffiorare tutto il suo odio per persone come Naruto, come tutti gli altri che lo circondavano.

Si era mostrato in tutto il suo cinismo e le sue verità.

Sbattendo in faccia a quell'uomo ciò che non voleva sentirsi dire.

Uccidendolo.

Saldando i cocci distrutti.

Salvandolo.

Il più giovane osservò il terreno sotto di lui, immerse le dita delle mani su questo e strinse il terriccio con forza, avvertendo il vento gelido asciugargli le lacrime che non colavano più dai suoi occhi.

Era vero.

Quanto erano vere quelle parole?

Quanto era stato codardo?

Perché non aveva ancora parlato con Sasuke?

Perché era stato così sciocco?

Rialzò le iridi cerulee verso il viso dell'uomo più grande e mugolò «Madara...».

Questi addolcì di poco lo sguardo e scosse la testa, poggiò una mano sulla sua chioma scapigliata e sussurrò «Non pensare a me...».

Naruto si morse l'interno di una guancia, arpionò la sua maglia e si alzò facendo leva sulle ginocchia, abbracciandolo in un gesto istintivo e stringendolo con forza.

Non sapeva il perché quell'uomo, apparso costantemente disinteressato al mondo esterno, gli fosse sembrato così debole in quegli istanti.

Non riusciva a comprendere cosa aveva visto nel fondo di quei pozzi neri come petrolio.

Senza neanche rendersene conto Madara aveva mostrato ad un estranio quell'infinitesimale parte della sua sofferenza, del suo rancore, della sua rabbia.

E Naruto pianse ancora.

Non per se stesso, non per Sasuke.

Ma per quell'agglomerato d'odio mal trattenuto che aveva tra le braccia.

Madara batté un dito sulla sua spalla e sussurrò dopo qualche minuto di stallo «Smettila di frignare o dovrò darti un altro pugno. Vai a fare il tuo dovere!».

Il più giovane si staccò, per quanto ancora provasse dolore per la perdita di Itachi provò a sorridergli sinceramente, e mormorò flebile «Grazie, Madara. Credo... Di volerti realmente bene».

Il maggiore spalancò le palpebre sorpreso, s'irrigidì nuovamente e spostò il viso d'un lato, stizzito, «Vaffanculo, idiota!».

Nel gergo Uchiha era un: anch'io.

 

Suonò al campanello, lasciando che i capelli di quello strano colore scuro ed intenso le incorniciassero il viso chiaro.

Non riusciva a capire nemmeno lei cosa la avesse spinta fin lì.

Di certo Sakura Haruno era sua amica, collega, conoscente... Però, non al di fuori delle piccole e confortanti mura dell'ufficio di Naruto-sama.

Era raro che si frequentassero al di fuori del luogo di lavoro, sì: alle volte era capitato, ma avevano vite diverse, altri doveri, altri interessi...

Non si conoscevano abbastanza per piangere l'una sulla spalla dell'altra, per confidasi certi dolori; quei piccoli o grandi dolori che colpivano la loro anima.

Allora... Perché era lì?

Perché stava aspettando che le aprisse?

Ed in quell'istante qualcuno la accolse: una donna.

Ed in quell'istante comprese perché era lì.

Dinanzi a quell'involucro che di Sakura Haruno non aveva più nulla.

I capelli erano sciolti, morti, di un rosa pallido. Il viso sciupato e cadaverico. Gli occhi gonfi e rossi e le labbra spaccate e tremanti.

Hinata spalancò scioccata le iridi chiare a quella vista, non credeva possibile che qualcuno potesse ridursi a quel modo per un lutto; si morse a sangue il labbro inferiore e la strinse a sé con tutte le sue poche forze, carezzandole i capelli in maniera materna e amorevole.

«Sakura...».

«...S-sto bene...» La interruppe con voce incerta e tremante, serrando tra le dita la stoffa della sua maglia e abbandonandosi ad un pianto disperato nell'incavo del suo collo.

«No... Non stai bene» Parlò flebile lei, aiutandola a rientrare in casa: sorreggendola per un fianco e facendola delicatamente accomodare sul divano; portandosela successivamente ancora tra le braccia, cercando di rassicurarla in ogni modo possibile.

Sakura era rimasta sola.

Nonostante i suoi genitori mille volte la avevano pregata di andare a vivere da loro, con Sora. Con quella figlia che non vedeva da settimane.

Però aveva sempre rifiutato, affermando che le serviva tempo.

Solo un po' di tempo.

Non era così.

A volte il tempo non serve a nulla.

Sakura aveva bisogno di qualcuno che non c'era, di un abbraccio, di una carezza, di una parola sussurrata al suo orecchio, del calore di un corpo amico.

Ma non aveva avuto nulla di tutto ciò.

Poiché la sua famiglia era troppo accartocciata sul proprio dolore, ed egoisticamente, anche se non conteneva cattiveria, il pensiero non veniva rivolto ai sopravvissuti.

«H-hinata... -Balbetto il suo nome, continuando a bagnare il suo collo con calde lacrime, aggrappandosi a lei come se fosse il suo unico scoglio in un mare in tempesta- ...Non posso vivere senza di lui...» Singhiozzò ancora una volta, tentando invano di immettere aria nei polmoni bruciati ed avvertendo, in modo ovattato, il respiro pesante dell'altra ragazza.

Stava piangendo anche lei?

Perché?

E lì, Hinata, bloccò i movimenti delle mani e le sollevò delicatamente il viso: osservando con una durezza tale da destabilizzarla ancora di più; le asciugò le lacrime e sussurrò distante «Quando mamma morì avvertii un vuoto ed un dolore enorme invadermi il petto; credetti di non aver più alcuno scopo, di essere rimasta sola in un modo ingiusto. Poi... -Si perse ad osservare un punto lontano dietro il viso di Sakura- ...Poi compresi che avevo mille altre ragioni per rialzare il viso e lottare. Mia sorella, mio padre, il mio futuro... La mia stessa madre. Quella donna che, sono certa, agognava vedere il sorriso nascere sulle mie labbra nonostante tutto. Come vorrebbe Itachi con te; di questo ne sono assolutamente certa. Perché... Chi ci ama, non ci abbandona mai» Concluse addolcendo il suo sguardo.

Sakura non rispose, ma bensì la osservò come mai aveva fatto prima. Percependo una forza d'animo ed una bontà che non credeva poter esistere in un essere umano così... Piccolo e tremendamente fragile come appariva la compagna di lavoro.

«Non ho nessuno per cui lottare...» Nello stesso istante in cui lo disse comprese la sua immensa bugia.

«Sora...» Mormorò ancora una volta; non aggiungendo null'altro.

La ragazza dai capelli rosa abbassò nuovamente gli occhi verso il basso e si morse il labbro inferiore, martoriandoselo tra i denti «Che se ne fa di una madre che non fa altro che piangere?».

«Il pianto finirà. Non il dolore, lo ammetto. Quello... -Soffiò, puntando per un attimo gli occhi verso il soffitto; due secondi dopo tornò a posare quelle iridi sorprendente chiare e dure su di lei- ...Con quello devi imparare a convivere».

In quel momento, perdendosi in quegli occhi comprensivi e allo stesso tempo forti e cristallini; tra le braccia di quella donna che aveva sempre sottovalutato...

...Sakura smise di piangere.

Ci riuscirò Itachi, te lo prometto...

   
 
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