RATING: Verde
PAIRING: YunJae
GENERE: Fluff, Romantico, Sentimentale, Song fic
AVVERIMENTI: Un po' di inevitabile OOC
DISCLAIMER: I due soggetti non mi appartengono; scritto assolutamente
non a scopo di lucro.
NOTE: Ehrr, sì, consiglio di leggerla ascoltando la nuova
canzone di JaeJoong e di guardare il video
che una fan spietata ha fatto apposta per le YunJae shipper, giusto per
farci annegare nei feels.
Beh, buona lettura.
Haesbich.
A Sara, perché teoricamente sarebbe dovuta essere il suo
regalo. ♥
Summer
and winter
Ci ha provato, a lasciarlo
andare.
Ci
ha provato davvero a smettere di scrivergli, ma ogni volta che i giorni
passavano
il dolore si faceva impressionante, la nostalgia lancinante gli
rendeva gli occhi lucidi. Il pensiero di ciò che aveva perso
lo
portava a cercarlo di nuovo, ancora e ancora, senza trovare la forza
di lasciarlo indietro.
Usciva per strada, si guardava attorno e
trovava cartelloni che pubblicizzavano il suo nuovo tour, il suo
sorriso su ogni palazzo, i suoi occhi che lo seguivano qualsiasi via
prendesse.
Si ritrovava di nuovo circondato da lui, di nuovo
sommerso dai ricordi che non lo avevano mai lasciato e allora
prendeva il cellulare e rispondeva ai messaggi che aveva ricevuto,
strizzando gli occhi per evitare che il sole sul display gli
impedisse di vedere cosa stava digitando.
"Mi manchi."
E
ogni volta la risposta non tardava ad arrivare e insospettabilmente
lui non era mai arrabbiato, non lo accusava mai.
Lo capiva, lo
comprendeva, gli parlava e cercava di rendergli il sorriso
raccontandogli tutto ancora prima che gli ponesse tutte le domande
che gli vorticavano in testa.
Parlava a ruota libera e lui poteva
immaginarlo benissimo: il suo sorriso, il modo in cui strizzava
appena gli occhi quando rideva - gettando all'indietro il capo e
piegandosi poi in avanti, coprendosi la bocca quando era ormai troppo
tardi -, la sua gestualità a volte esagerata. A volte fin
troppo
posata.
Ricordava tutto, ogni dettaglio era impresso nella sua
mente, ogni immagine era nitida come se l'avesse davanti. Solo che il
suo viso non cambiava mai: era quello del ragazzo di tre anni prima,
quello del suo ragazzo.
Ogni volta passa troppo tempo prima che
lui trovi il coraggio di cercarlo, di accettare che ancora non
è
acqua passata, che ancora il suo cuore manca un battito a vedere il
suo nome sotto il simbolo del messaggio, a sentire la canzone
associata alla sua chiamata.
Ogni volta è un tuffo al cuore, una
morsa troppo forte e che non riesce a lasciarlo libero.
Ogni volta
si ritrova a sperare in un caso, in una coincidenza che lo riporti da
lui, che li faccia incontrare lontano da un palco o dalle occasioni
che gli altri programmano per loro; lontano dai luoghi in cui lui lo
invita e in cui non ha mai il coraggio di andare perché sa
che se lo
facesse non si allontanerebbe più.
Passeggia nei luoghi che
l'altro è solito frequentare e ogni volta è
impeccabile, sicuro che
quella sia la volta buona, che si vedranno di nuovo e lo
affiancherà
continuando a passeggiare al suo fianco, raccontandogli della sua
vita, avvolgendolo con la sua sciarpa per non fargli prendere freddo,
parlandogli con quella sua voce così dolce, così
diversa quando
lontana dai filtri del telefono.
Lo desidera. Lo desidera con
tutto se stesso, ma sperare non basta, provare non basta.
Dovrebbe
prendere il coraggio a due mani e fermarsi ad aspettare, dovrebbe
smettere di provare a fuggire anche quando tenta di andargli
incontro, imboccando le vie che sa lui non prenderà, vicine
abbastanza da fargli sentire la sua presenza mentre sente il suo
sguardo addosso dai cartelloni.
Deve lasciarlo andare, deve
smettere di cercarlo, di desiderarlo.
Se lo ripete ogni giorno,
provando a convincersene.
Cerca di non guardare il cellulare, di
evitare il più possibile i programmi in cui è
ospite, di sentire
meno notizie possibili, ma è difficile; così
maledettamente
difficile.
Anche non volendolo tutto gli parla di lui perché ogni
cosa è un ricordo, ogni cosa è riconducibile a
lui.
E' ovunque,
è in ogni cosa, in ogni luogo, e lui sa benissimo che la
colpa non è
dei cartelloni né delle canzoni che mandano alla radio,
né dei suoi
omonimi.
No, la colpa è solo dei ricordi che popolano la sua
mente, che proiettano la sua immagine in ogni angolo della
strada.
Qui è dove sono andati la prima volta che sono usciti
insieme, solo loro due.
Lì è dove l'ha aiutato a pulirsi quando
si era macchiato con il caffé.
Quello è il tatuatore da cui sono
andati insieme perché, nonostante tutto, lui aveva bisogno
di averlo
vicino mentre l'inchiostro gli scriveva la sua storia sulla
pelle.
Ecco, lui è come un tatuaggio, indelebile perché
penetrato troppo a fondo.
Se lo sente sulla pelle, sottopelle.
Non
ha più importanza cosa guarda, dove va, quel ragazzo
è sempre con
lui, anche se non c'è, anche se gli altri non possono
vederlo, anche
se gli altri non sanno la metà delle cose che pensa.
I suoi amici
lo guardano, pensano sia distratto, ma non è
così: è perso in un
mondo solo suo, nei ricordi di loro che gli causano una strana
tristezza mista a felicità.
C'è una definizione, per questo, una
parola brasiliana.
Saudade è quella particolare specie di
malinconia che si prova quando si è o si è stati
molto felici,
quando nell'allegria si insinua un sottile sapore di amaro.
Saudade
è quello
che prova lui quando lo pensa.
Non è solo nostalgia, non è
rimpianto, è una gioia dal sapore amaro, una spina in un
cuore
altrimenti felice. E' la nostalgia dei ricordi felici che non possono
tornare.
Dovrebbe lasciar perdere, dovrebbe smetterla di pensarci
e per farlo prende la giacca ed esce, affondando le mani nelle tasche
dei pantaloni e tenendo lo sguardo fisso a terra e le cuffiette
dell'iPod nelle orecchie.
Il sole è timido, un residuo d'estate
in un autunno che sta lasciando rapidamente il posto ad un inverno
rigido. L'odore della neve gli punge il naso, il freddo lo convince a
stringersi maggiormente nella giacca e a sollevarne il bavero per
proteggere il collo nudo mentre si ferma, maledicendosi, davanti a un
cartellone particolarmente grande che lo raffigura.
Lo guarda,
guarda quel sorriso che sentiva sbocciare sotto le proprie dita,
guarda quegli occhi che vedeva accendersi di gioia solo per lui,
guarda i lineamenti spigolosi di quel volto, maschili, piacevoli,
così diversi dai suoi, e finge che le lacrime che sente
pizzicargli
gli occhi siano dovute al freddo o alla canzone che sta passando in
quel momento.
Finge che non sia colpa della maledetta saudade, che
non sia la convinzione che non lo avrà mai più a
fargli versare
lacrime amare, che non sia la leggera consolazione di averlo
quantomeno avuto nel passato, perché forse è vero
che si è più
infelici quando si sa cosa si perde, cosa ci si lascia alle spalle,
quando si ricorda il sapore dei baci rubati.
La
rabbia, la
nostalgia, il desiderio lo travolgono, un singhiozzo leggero gli
squassa il petto, facendolo tremare, poi un profumo familiare e la
sofficità della lana che gli viene drappeggiata attorno al
collo.
«Speravo di trovarti qui.»
JaeJoong non ha
bisogno di girarsi per sapere chi c'è dietro di lui. In
qualche
istante YunHo gli si mette accanto.
Con la coda dell'occhio può
vedere il suo viso, con il cuore può capire che vederlo
cambiato gli
fa male.
Sembra ancora più spigoloso, quel volto, ancora
più
maturo.
YunHo lo guarda, JaeJoong continua a guardare il
cartellone per non affrontare i suoi occhi scuri, per non vedere che
la luce in essi è cambiata. Non potrebbe sopportarlo, non
riuscirebbe a tollerarlo.
Non era pronto ad affrontarlo, non
stavolta, eppure ha aspettato, eppure si è fermato e ha
smesso di
sfuggire, di fuggire dalle immagini, dalla sua voce, dalle sue
parole.
Resta fermo, rigido, una mano che stringe l'iPod nella
tasca, l'altra che dal bavero della giacca si è spostata in
modo da
far affondare le dita nella lana, da artigliarla.
'Resta qui',
sembrano urlare le sue dita affondate fra i punti a
maglia.
«Hyung...»
La voce di YunHo è sempre la
stessa, non sembra invecchiata di un giorno.
«Guardami...»
Glielo
soffia come quando stavano insieme, come dopo il loro primo
bacio.
JaeJoong lo ricorda ancora. L'euforia, l'abbraccio che gli
aveva dato e il modo in cui si era fiondato sulle labbra del
più
piccolo, deciso, famelico, per poi allontanarsene imbarazzato,
abbassando il viso.
“Guardami”, aveva detto quella volta, e
anche questa, come allora, non riesce a fare a meno di obbedire.
Si
gira, fissa gli occhi scuri in quelli di lui.
Oh, il suo viso, il
suo sguardo, la piega di quelle maledette labbra.
La mano
abbandona la sciarpa per appoggiarsi sulla sua guancia, senza che
riesca a farne a meno, senza che se ne renda conto. Le dita scorrono
lungo il profilo della mascella, risalgono lo zigomo, carezzano
delicate le gote ruvide, gli zigomi, cercando di riappropriarsi del
viso di quell'uomo che gli è tanto familiare. La mano si
ferma, il
pollice che si ostina a disegnare piccoli cerchi, l'indice che sfiora
il lobo dell'orecchio.
«Scusa... Scusa se ho fatto così.»
La
voce gli si spezza mentre sussurra quelle parole, ma YunHo sorride.
Sorride e passa un braccio attorno alla sua vita, la fronte che si
poggia contro la sua.
«Shh, non importa. Ti stavo aspettando.
Ti amo, ti amo ancora.»
«Ti amo anch'io.»
E
stavolta, mentre le bocche si trovano - incuranti della gente che li
guarda, delle foto che le fan scattano, delle persone che li urtano
passando -, JaeJoong è certo che YunHo sceglierebbe lui e
non la
carriera.
E' certo che saranno per sempre, estate e inverno che
hanno la loro nuova primavera.