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Autore: Eylis    09/04/2008    3 recensioni
“Andrea?”
“Mh?” Apro gli occhi, schermandoli subito con una mano. Sta arrivando la sera, ma il sole ancora ferisce con la sua calda luce. Giro la testa verso di te, mi sfiorano i fili d’erba.
“Saremo assieme per sempre?” È preoccupazione la tua, piccola mia? Lo sai che non devi averne, soprattutto in una giornata così splendida. Ma forse non sei davvero inquieta, vuoi solo che io ti ripeta ciò che più ami sentire, vuoi solo che la mia voce accarezzi la tua anima. Ti sorrido.
“Certo cucciola mia, per sempre.”
[...]

Questa è una raccolta di brevi racconti che più che narrare una storia vogliono descrivere una situazione, un’impressione, un’emozione. Ogni capitolo, ogni storia ha quindi l’intento di precipitare chi legge in un mondo a parte trasmettendo le sensazioni e le emozioni vissute dai personaggi. Leggete ogni racconto lasciandovi trasportare dalle parole, dai suoni, dalle immagini. Il genere principale è quello romantico, ma ogni storia ha una diversa sfumatura.
1. Cantar di grilli ed erba cipollina, 2. La farfalla nera vola in sogno, 3. Sillogismi e deduzioni, 4. Filastrocca, 5. In missione, 6. Indicibile farsa, 7. Bisogni primari vs importanti novità, 8. Al centro dell'universo, 9. Aria, 10. Profumo di pesco, 11. Stoffa, 12. Luna riflessa, 13. Patto col diavolo, 14. Grigio di dea, 15. Cantar di grilli ed erba cipollina - II
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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6. Indicibile farsa

Sei inginocchiata scompostamente sul legno vecchio del palco e reciti il tuo monologo. Ti osservo, da dietro una quinta. Con quello scialle, con quel cappello, sembri un povero vecchio distrutto dalla vita.
“E allora tu ti renderai conto di quello che hai fatto, e capirai di avermi uccisa!” Quante volte ti ho sentita provare quella frase. Quante volte ti ho aiutata perché tu potessi trovare i giusti sentimenti, suggerendoti situazioni ipotetiche perché tu potessi esprimere la tristezza, la rabbia, l’inesorabilità di quello che stai dicendo. Ma la disperazione che ora si coglie nelle tue parole è davvero solo teatro? Nel sentire la tua voce che si incrina, si spezza al termine della frase mi giro, mi costringo a mordere il pugno chiuso della mia mano. Se l’angoscia che mi sommerge minuto per minuto avesse modo di uscire anche in un solo singhiozzo ti rovinerei lo spettacolo, quel saggio per il quale hai lavorato per un anno intero. Capirebbero che non sei sola su quel palco. E lo spettacolo non può fermarsi, come mi hai detto poche decine di minuti prima, quando mi hai vista lì. Quando ti ho chiesto se ce l’avresti fatta. Solo poche ore prima non immaginavamo neppure quello che sarebbe successo di lì a poco…

“Ti amo, Monica, sei ciò che ho di più prezioso al mondo!”
“Anche tu, Ari, lo sai. Non ti dimenticherò mai, lo sai?”
“Certo che lo so, stellina mia. Vieni qui, che muoio dalla voglia di darti un bacio!” Ti avvicini e le nostre labbra si incontrano. Sento il tuo sapore sulle mie labbra, il tuo profumo mi inebria, ti stringo a me e carezzo la tua schiena sotto la maglia. Le mie mani vorrebbero correre davanti, avere di più… È un attimo. La porta si apre e ci catapulta all’inferno.
“Monica! Che diavolo stai facendo?!” Non ho il tempo di capire cos’è successo che uno schiaffo brutale si abbatte sul mio viso e mi allontana da te. Poi sento le unghie di tua madre penetrare quasi nella mia carne mentre mi prende per la maglia, le spalle e mi trascina fino alla porta di casa.
“Sparisci, depravata!!!” Pochi minuti, forse secondi, non ho avuto il tempo di replicare minimamente, ed eccomi scaraventata fuori dalla tua vita. Poco dopo sento le tue grida e il tuo pianto giungere sommessi attraverso la finestra chiusa della tua camera.

Mi sono infiltrata nel teatro entrando dalla porta di servizio, poco prima che si chiudesse dopo che una persona ne era uscita. Non è stato facile non farmi vedere, ma alla fine sono riuscita a raggiungere i camerini dietro il palco e ti ho trovata. Mi avevi detto che avresti avuto un camerino tuo, eri a dir poco esaltata da questo, ti sentivi una gran signora. Certo non è così che ti trovo. Quando mi vedi sussulti e delle lacrime sfuggono ai tuoi occhi, ma ti ricomponi subito. Ti aggrappi a me con una disperazione che non ti ho mai sentito in corpo, non parli. Rimaniamo così per minuti che sembrano ore, ma alla fine ti allontani.
“Devo andare, tocca a me.”
“Ce la farai?”
“Lo spettacolo non può fermarsi, ed io devo fare la mia parte.”
“Ti amo, Mo.”
“Non dirmelo, ti prego…” Ti bacio incapace di trattenere le lacrime, ricambi fuggevolmente per poi svanire tra le quinte, uscendo dal camerino. So bene che se ti trattenessi un attimo in più non saresti più capace di legare i tuoi sentimenti dentro di te.

E così ti spio in quella terribile farsa in cui attraverso le parole del tuo personaggio esprimi ciò che davvero senti.
“E allora tu ti renderai conto di quello che hai fatto, e capirai di avermi uccisa!” Ma quelle parole sono una maschera per te, ti costringono, ti imbavagliano, non ti permettono di esprimere davvero la realtà perché tutti ti credono una perfetta attrice. Anche tua madre, che non immagina minimamente i sentimenti che stai davvero provando. Quando il sipario si chiude ti vedo abbandonare quella maschera e permetterti di mostrare la tua vera disperazione. Corro da te incapace di resistere oltre, ti abbraccio stringendoti quanto più mi è possibile, vorrei poterti inglobare in me perché nessuno ci possa separare. Se solo fosse possibile!
“Monica, non dimenticarmi mai!”
“Come potrei?! Io ho bisogno di te Ari, sei la mia vita, il mio respiro! Ho paura, ho tanta paura!” La tua angoscia mi invade come un’onda inevitabile. Lacrime amare scorrono sul mio viso confondendosi alle tue. Ti bacio desiderando di smettere di esistere in quell’istante medesimo, così legata a te. E poi ancora una volta mi sento trascinare lontana da te, riconosco quei passi, i tacchi a spillo che feriscono più le orecchie che il terreno. Ti afferra, ti costringe ad alzarti in piedi con una forza che non credevo potesse appartenerle. Per un attimo sembri un sacco vuoto, inanimato, poi ti riscuoti.
“Ariana, non lasciarmi!”
“Stai zitta, o non ti riconoscerò più come mia figlia! E tu, brutta sgualdrina, sparisci dalla mia vista o ti denuncio per molestie!” Quella voce stridula, deformata dalla rabbia. Per qualche secondo le credo, credo sia possibile, non so cosa fare e mi blocco. Quei secondi necessari perché lei ti porti lontano da me. Quando mi risveglio corro per raggiungere te e quella donna, ma è troppo tardi. Ti vedo scaraventata in macchina, quella donna mossa dalla follia accendere il motore. Grido con quanto fiato ho in corpo.
“Monica, ti amo!!” Ti intravedo dietro il finestrino gridare le stesse parole, poi la macchina parte. La rincorro, ma so bene che è inutile. Non ti vedrò mai più.

  
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