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Autore: syontai    17/10/2013    13 recensioni
Un mondo diviso in quattro regni.
Un principe spietato e crudele, tormentato dai fantasmi del passato.
Una regina detronizzata in seguito ad una rivolta.
Una regina il cui unico scopo è quello di ottenere sempre più potere.
Un re saggio e giusto da cui dipendono le ultime forze della resistenza.
Una ragazza capitata per il volere del destino in un mondo apparentemente privo di logica, e lacerato dai conflitti.
Una storia d'amore in grado di cambiare le sorti di una guerra e di tutto questo magico mondo.
This is Wonderland, welcome.
[Leonetta, accenni Pangie, LibixAndres e altri]
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Un po' tutti, Violetta
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
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Capitolo 5

Maxi, il rivoluzionario

“Fermati!” esclamò una delle guardie con la lancia tesa in alto. Un ragazzo con un cappello di iuta color grigio chiaro sfrecciava abilmente lungo la via trafficata della città, dove quel giorno si stava tenendo il mercato. Fece cadere un cesto di frutta, afferrando qualche mela al volo, infilandole nelle tasche, e continuando a correre. Un gruppetto di cinque guardie continuava a seguirlo, con le armature scintillanti che cigolavano durante i movimenti. I popolani cercavano in tutti i modi di fermarle, intralciando il loro passaggio. Da quando la regina Francesca era stata arrestata, e la regina Natalia aveva preso il suo posto, il corpo militare del regno non era più visto di buon occhio da nessuno. Il ragazzo che stringeva nella mano libera un sacco marrone, deviò verso una stradina stretta e buia. Illusi se pensavano di poterlo catturare. Lui conosceva tutti i vicoli e i passaggi della città. Con un salto si arrampicò su un muro, mentre sentiva la urla delle guardie che l’avevano rintracciato. Quando fu in cima al muro si rivolse con lo sguardo verso di loro e gli fece un pernacchia. “Viva la regina Francesca!” esclamò il giovane, per poi lasciarsi cadere all’indietro, evitando una delle lance scagliate con l’intenzione di ferirlo. Finì su un carro di fieno parcheggiato lì e pronto per essere diretto fuori città in campagna. “Ho un bel passaggio” sussurrò, nascondendosi bene e appisolandosi.
Il carro si mosse dopo poco, risvegliando il povero ospite indesiderato per i sobbalzi causati dalle buche della strada. Diede un’occhiata e si rese conto che era ormai fuori dalle mura cittadine, quindi spiccò un salto silenzioso, e si ritrovò in campagna, proprio vicino casa. Si incamminò fischiettando, e ammirando i campi coltivati di frumento. E’ quasi il tempo della raccolta, pensò il ragazzo. Fece scivolare la mano lungo le spighe dorate e ne respirò a fondo l’odore, mentre si dirigeva attraverso i campi in una piccola casa, con una macina lungo un fiumiciattolo. Le scarpe in cuoio un po’ trasandate cominciarono ad affondare nel fango morbido e fertile, mentre sentì una rana gracidare in vicinanza. Si avvicinò all’ingresso con una faccia solare, e bussò alla sgangherata porta di legno. “Sono io, Maxi” disse allegramente, bussando nuovamente, non ottenendo alcuna risposta. Un signore anziano aprì con un leggero colpo di tosse. I suoi occhi spenti e grigi si illuminarono alla vista del nipote. “Maximiliano!”. “Chiamami Maxi, nonno” lo implorò, entrando, senza curarsi di pulirsi le scarpe ricoperte di fango. Una giovane donna era stesa sul letto, accostato alla parete in fondo alla casa. Aveva il viso pallido e smunto, e respirava molto a fatica. “Buongiorno, madre. Come vi sentite oggi?” chiese Maxi, accorrendo e sedendosi al lato del letto, stringendo la mano fragile e ossuta della donna. La giovane donna fece un cenno d’assenso per rassicurarlo sulla sua salute, accompagnato da una tosse cavernosa. I suoi occhi erano scuri come la notte, e Maxi aveva preso proprio da lei questa caratteristica, mentre i capelli ricci e ribelli li aveva ereditati dal padre. Il padre, Fernando Ponte, era morto durante una rivoluzione. Lui non c’entrava nulla, era solo un povero negoziante, passato lì per caso. A quel ricordo Maxi strinse forti i pugni, ma poi chiuse gli occhi respirando piano e tornò a sorridere, per non procurare ulteriore dolore alla madre. Tirò fuori dal sacco una pagnotta e qualche mela. Il nonno si avvicinò con il bastone, zoppicando, e prese la pagnotta per poi appoggiarla al tavolo. Tirò fuori da un armadietto un lungo coltello affilato, e tagliò alcune piccole fette. “E’ quasi il tempo della mietitura” esclamò il ragazzo, alzandosi e afferrando una fetta di pane. Il nonno grugnì in segno di assenso, ma non sembrava molto preso dalla notizia. “Potremmo fare una buona raccolta quest’anno” continuò lui con gli occhi che brillavano. “In quanti ti hanno seguito oggi?” chiese improvvisamente l’anziano, succhiando leggermente la crosta della fetta, e avvicinandosi al camino spento. “Cinque, ma è stata una passeggiata” esclamò Maxi con noncuranza. “Mh…” annuì l’altro pensieroso. “Abbiamo finito le scorte di infuso per tua madre” constatò in seguito, passando la mano sulla mensola polverosa, sopra il camino. “Domani andrò di nuovo in città e ne ruberò un po’” disse Maxi con un sorriso forzato. In fondo la sua vita non era altro che cercare di arrangiarsi giorno per giorno. Era stanco di quella condizione? Si. Lui aveva delle aspirazioni: avrebbe voluto aprire una sua erboristeria e farmacia, poiché fin da piccolo coltivava la passione per le piante e le loro proprietà. Si, era stanco di rubare, ma nel suo futuro non vedeva altro. Non sapeva che tutto il giorno dopo sarebbe cambiato drasticamente.
L’alba si mostrò con la potenza dei suoi raggi, che filtravano dalle finestre, risvegliando Maxi, che si stiracchiò leggermente ed emise un forte sbadiglio soddisfatto. Senza svegliare nessuno, in punta di piedi, uscì dalla casa, dopo essersi vestito con gli stessi abiti del giorno prima: un paio di pantaloni di iuta, una larga maglia marrone chiara trasandata e una casacca grigia. Si diresse a piedi verso la città poiché questa volta gli mancava il passaggio del carro. Dopo tre ore buone di camminata, cominciò a scorgere il muro cittadino che interrompeva la vasta pianura. Le guardie all’ingresso erano mezze addormentate. Meglio, pensò il giovane. Senza fare rumore entrò nella città e si diresse all’erboristeria, che si trovava in prossimità dei cancelli che consentivano l’entrata a palazzo. Fiordibianco era un borgo abbastanza affollato già dalla prima mattina. A passo svelto e con lo sguardo basso continuò a camminare, inclinando di tanto in tanto il cappello in basso per coprirsi leggermente e non essere riconosciuto. Vide una squadra di cavalieri dirigersi dalla parte opposta alla sua. Non osava immaginare contro chi si stessero per abbattere. I cavalieri di fiori erano anche detti ‘I portatori della morte’, e non c’era bisogno di spiegare il perché. L’Ordine era stato istituito per volere della regina Natalia, non appena instaurato il suo regno. Aveva affermato che serviva un corpo militare per conservare l’ordine e l’equilibrio, ma in pratica ciò che facevano quei cavalieri era disseminare panico e miseria, proprio su ordine della regina stessa. Odiava quei cavalieri, con quelle armature così scure e quegli elmi dal pennacchio nero. Le spade erano realizzate con un cristallo nero, chiamato neranio, che conteneva poteri magici. Innanzitutto non poteva essere spezzato una volta forgiato. I metodi di lavorazione erano sconosciuti a tutti, solo alcuni fabbri a corte sapevano come poter lavorare quel misterioso materiale. Si riscosse a quei pensieri, e decise di fare un giro per le bancarelle del mercato. Un’anziana signora vendeva ciondoli portafortuna, e uno di essi attirò la sua attenzione. Era un trifoglio nero, realizzato con qualche umile materiale, che però aveva un fascino molto particolare. “Se lo vuoi è tuo” disse la donna, osservandolo con degli occhietti piccoli di un colore verde acqua. Prese il ciondolo con una mano rugosa e lo fece penzolare di fronte a lui. Maxi rimase incantato dallo scintillio di quel trifoglio. “Non ho soldi per pagarlo” disse lui subito, distogliendo lo sguardo. “E’ un dono” insistette lei con calma, prendendo la sua mano e mettendoci il regalo. Maxi subito si agitò: non poteva accettare una cosa simile! Probabilmente lei era più povera della sua famiglia. “Non posso accettarlo!” esclamò, ridandogli il ciondolo. “E’ un dono di una povera vecchia…” sussurrò l’anziana, accigliandosi e mostrando il suo sorriso sdentato per rassicurarlo. Maxi ci pensò un po’ su, poi decise di accettare il regalo per non recarle offesa. Prese il ciondolo e lo infilò al collo, facendo un breve inchino alla venditrice. “La ringrazio, allora”. “Sarà il simbolo di tutto ciò in cui credi, e ti porterà fortuna. Ti aiuterà a realizzare il tuo sogno” concluse lei, facendosi d’un tratto seria. Maxi annuì poco convinto, poi le rivolse un saluto e si avviò verso la farmacia: era il momento di portare a compimento il suo piano.
Poco dopo si ritrovò di fronte all’insegna con la scritta ‘Erboristeria’. Aprì la porta di vetro spingendo il pomello di giada. Il proprietario era un signore basso e grassottello, alle prese in quel momento con una cliente particolarmente difficile. “No, signora, no! Il dragoncello non è quello che serve a suo marito” ripeteva pazientemente, ascoltando le assurde richieste di una donna sulla cinquantina dalla parlantina facile. Maxi fece finta di aspettare il suo turno mentre osservava gli scaffali con sguardo meravigliato. Avvicinò la mano a un barattolo di vetro con la scritta ‘Tiglio’. Ecco, proprio quello che gli serviva per abbassare la febbre. Fece vagare lo sguardo fino a trovare anche il rododendro. Le mensole piene delle erbe più strane lo rapivano completamente. Succedeva sempre quando entrava in quel posto. Prese il barattolo come se volesse studiarne meglio il contenuto, quindi senza essere visto prese qualche ciuffetto di quella pianta medicinale, e la mise in tasca. Fece lo stesso con il contenitore di rododendro. Stava per uscire quando una voce lo fece paralizzare. “Ehi, ragazzo, non avevi bisogno di niente?” chiese il negoziante, dopo essersi finalmente liberato di quella terribile donna. “N-no. Penso che tornerò più tardi” rispose Maxi, cercando di fermare il tremolio delle mani. La sua voce era flebile, come se avesse preso un raffreddore fortissimo, ma il proprietario sembrò non badarci, e riprese le sue occupazioni, come classificare le nuove erbe arrivate, e passare la scopa sul pavimento per liberarlo dal fitto strato di polvere che si era depositato.
Maxi uscì dal negozio tirando un sospiro di sollievo. Stringeva nella tasca il suo bottino. Aveva una quantità sufficiente di tiglio e rododendro per preparare tisane per due o tre giorni, poi sarebbe tornato a rubarne ancora. Con quei pensieri decise di non passare per la via principale, quindi si avviò per un dedalo di stradine che si intrecciavano e si affiancavano. Sembravano un’intricata matassa di lana. Mentre camminava spensierato sentì lo stomaco gorgogliare. Era quasi ora di pranzo, e non si era portato nulla da mangiare. Sperò di riuscire a tornare presto a casa, per potersi mangiare una belle fetta di pane accompagnata da una succulenta mela. Già solo il pensiero gli faceva venire l’acquolina in bocca. Voltò a sinistra e alzò lo sguardo, godendosi la vista di quegli sprazzi di cielo, che cercavano forzatamente di mostrarsi al di là delle costruzioni in pietra. La strada era lastricata, segno che si trattava di una delle più importanti. Si bloccò a metà strada, girando ancora a sinistra. Se fosse andato avanti sarebbe finito dritto dritto al carcere cittadino, e non aveva intenzione di sfidare la fortuna a tal punto. Per un momento se la rise sotto i baffi: anche quel giorno non l’avevano arrestato. Raggiunse le mura cittadine in un batter d’occhio. Si stupì della velocità con cui aveva raggiunto la parte più periferica della città. Meglio così, sto morendo di fame, pensò il giovane, osservando le guardie del cancello che si erano sistemate intorno ad un tavolino a giocare con i dadi. Passò loro di fronte, senza che gli degnassero il minimo sguardo, e nel frattempo poté sentire parte della conversazione. “Quindi Antonio ha chiesto un’udienza alla regina Natalia?” chiese una dei tre uomini, sistemandosi il piccolo elmetto posizionato di sbieco. L’altra annuì schioccando la lingua e preparandosi a lanciare i dadi. “Strano, il Brucaliffo ha deciso di presentarsi al cospetto di sua Maestà, ben conoscendo i rischi che potrebbe correre” esclamò il terzo uomo, seduto su un piccolo sgabello trasandato. La prima guardia che aveva parlato sbuffò e scoppiò in una piccola risata secca. “Si vede proprio che sei un novellino. Lo sanno tutti che il Bricaliffo è un’autorità nel Paese delle Meraviglie. Nessuno lo può toccare, è come un saggio imparziale” spiegò con aria saccente. Maxi li osservò per un secondo, poi abbassò subito lo sguardo sulle sua scarpe. Aveva bisogno di un paio di scarpe nuove. Ormai il cuoio si era in parte lacerato. Ma come avrebbe fatto a pagarsene un paio? Non voleva rubare anche quelle, era troppo rischioso. Preso da quei pensieri attraversò la strada sterrata di campagna senza notare l’enorme nuvola di fumo che si stava alzando dai campi. La puzza di bruciato gli fece alzare di botto lo sguardo e il terrore si impadronì del suo volto: proveniva dai campi della sua famiglia. Senza pensare al fatto che fosse affamato e stanco, spiccò una corsa fino a raggiungere il campo di grano e la casa. O meglio, quello che rimaneva della casa. Le macerie erano ben visibili, alcune travi carbonizzate ancora fumanti giacevano disordinatamente. Di tutto l’edificio era rimasta in piedi solamente la porta sgangherata. Si avvicinò incredulo, leggendo il messaggio che era stato appeso con una freccia.
‘Su ordine della Regina Natalia Comello, 
il seguente possedimento è stato requisito dai cavalieri di Fiori, per poter essere affidato ai reduci di guerra non più in grado di combattere. Onore alla Regina, ora e sempre’ 
Maxi strappò con forza quel foglio di pergamena e lo buttò a terra con rabbia, mentre le lacrime imploravano di uscire libere. “Maledetti!” ringhiò furioso, entrando nell’abitazione. Un urlo gli morì in gola. I corpi carbonizzati della madre e del nonno. Non c’era più nulla di umano in loro. Sembravano solo dei pezzi di legno, anche loro. Quei bastardi non si sono curati nemmeno di vedere se vi fosse qualcuno all’interno della casa, pensò Maxi, stringendo i pugni. Si accasciò per terra, cominciando a piangere. Finalmente le lacrime. Le stava aspettando, pronto ad accoglierle a braccia aperte, pronto ad abbandonarsi ad esse. Il cuore era ferito, ma il suo orgoglio, la sua dignità umana era addirittura lacerata. “Madre…” sussurrò tremante. Mise le mani sul suo corpo incandescente senza preoccuparsi del dolore che gli stava procurando quel contatto. Tirò fuori dalla tasca le piante medicinali e le depose sul suo petto. Non riuscì nemmeno a guardare il corpo del nonno, era troppo dolore, troppo per un giovane ragazzo. Sentì un verso di un cavallo e si girò di scatto. Un cavaliere della morte scese dal suo destriero, e si tolse l’elmo facendolo passare sotto il braccio. “Ehi, tu marmocchio, che ci fai qui?” chiese con un ghigno malvagio. I capelli scuri contornavano il viso olivastro di un ragazzo che doveva avere più o meno la sua stessa età. Doveva essere stato appena iniziato all’Ordine dei Cavalieri di Fiori. Sfoderò la sua spada nera, e ne indirizzò la punta contro di lui. “Tu…sai che c’erano delle persone dentro la casa a cui avete appiccato l’incendio?” chiese, cercando di contenere la sua rabbia. “Non lo so, e non mi interessa, io ho solo eseguito gli ordini” ribatté il cavaliere annoiato. Lo guardò e si leccò il labbro superiore con una selvaggia gioia, poi fece un affondo. Maxi lo scartò di lato. Non sapeva che c’erano degli innocenti. Non gli interessava. Per lui le vite umane non avevano valore. Quello di fronte a lui non era un uomo, era solo un mostro. Tirò fuori dall’interno della casacca un pugnale con il manico di legno, intagliato finemente. Era un dono del padre e lo portava sempre con sé. Il cavaliere rise: una risata fredda e glaciale. “Davvero vuoi fermarmi con quello? Davvero speri di scalfire quest’armatura? Sei uno sciocco, ma uno sciocco coraggioso” disse ridendo. Alzò la spada velocemente, pronto a sferrare un altro colpo, ma Maxi si scaraventò su di lui urlando. Per un momento lo sguardo del cavaliere fu colto dall’incertezza. Un momento più che sufficiente. I due ruzzolarono lungo il terreno fangoso. La spada nera cadde a qualche passo da loro, mentre Maxi stava prendendo a pugni in faccia il giovane. Il suo sguardo non era più quello di un ragazzo impaurito, bensì era quello di un uomo colto da una rabbia incontrollabile. Il cavaliere rotolò di lato riuscendo a liberarsi della presa, e allungò il braccio nel tentativo di recuperare la spada, cercando di scorgerla attraverso il sangue che gli scorreva dalla ferita sulla fronte, coprendogli la visuale. Maxi sapeva che se avesse ripreso la spada sarebbe stata la sua fine. Non poteva nulla contro quell’arma invincibile. Con gli occhi ancora iniettati di sangue alzò il pugnale al cielo, facendolo brillare per un attimo e poi lo conficcò nella gola del suo avversario. Il giovane dalla nera armatura emise un gorgoglio, con il braccio tremante per lo sforzo. Il suo alito vitale si diffuse nell’aria, ed esalò l’ultimo respiro. Maxi si allontanò di scatto dal cadavere, profondamente scosso e nauseato. Si guardò la mano destra sporca di sangue. Sangue non suo. Aveva ucciso una persona, uno sconosciuto. L’aveva fatto per difesa e vendetta insieme. La testa gli girava, mentre le immagini dello scontro si accavallavano nella sua mente a rallentatore. Estrasse il coltello dalla gola del giovane, ed ebbe un conato di vomito. La lama, non più brillante, ma sporca di sangue, si imprimeva nella sua mente. Voleva dimenticare, ma non gli era possibile, adesso doveva pensare. Avrebbero presto scoperto il corpo del giovane, non vedendolo tornare. Non poteva tornare in città, sarebbe stato come firmare la propria condanna a morte. Raccolse la spada di neranio, e la mise nel suo fodero, quindi allacciò quest’ultimo alla cintura: gli sarebbe stata utile per difendersi in caso di attacco. Diede un ultimo saluto a sua madre e suo nonno, poi rivolse lo sguardo verso i boschi lì vicino. Lì sarebbe iniziata la sua nuova vita. Senza volerlo era diventato un ribelle, un rivoluzionario. Gli venne in mente la fine della pergamena trovata appesa alla porta della casa ridotta in cenere: ‘Onore alla regina Natalia, ora e sempre’. “Morte alla regina Natalia, ora e sempre” sussurrò con un’espressione decisa. Si incamminò con passo e incerto verso i boschi, la sua nuova casa.
Le campane risuonarono e le trombe a festa si fecero sentire per tutta la vallata. Fiordibianco era in fermento. Nessuno si aspettava l’arrivo del Brucaliffo così in fretta. Mancavano ancora undici mesi al centesimo anniversario del Liberatutto, il giorno in cui Alice aveva preso il controllo del Paese delle Meraviglie, governandolo con saggezza e giustizia. Le guardie si fecero da parte, facendo passare una carrozza bianca con il latte, trainata da cavalli neri come la pece. Il contrasto rendeva la scena quasi irreale, magica. I cavalli nitrirono lasciando che il passaggio venissero liberato. Uno scoiattolo grande quanto un uomo e dal pelo rossiccio, faceva da cocchiere, muovendo con grazia ed eleganza le redini. La carrozza avanzò lungo la via principale, mentre il mercato veniva smantellato in fretta e furia. I vetri della carrozza erano stati realizzati in neranio, era quindi impossibile scorgere la figura che c’era al suo interno. La vettura si fermò davanti ai cancelli che sorvegliavano l’ingresso al palazzo reale del regno di Fiori. Subito un cigolio preannunciò la loro apertura, che non tardò ad arrivare. Lo scoiattolo diede una piccola scossa alle redini, e i cavalli ripresero a muoversi attraversando i giardini lussureggianti.
Natalia cominciò a pettinarsi nervosamente nella sua camera da letto, fermandosi di tanto in tanto ad ammirare i suoi capelli ricci scuri. Sorrise leggermente giocando con una delle sue punte, ma poi tornò seria di colpo. Il Brucaliffo, una delle maggiori autorità del Paese delle Meraviglie, sarebbe venuto di lì a pochi momenti. Il suo arrivo era stato annunciato. Guardò dalla piccola finestra che si affacciava sull’ingresso e vide la carrozza bianca. Era il momento. Posò la spazzola, il cui manico d’avorio presentava finimenti dorati, e si avviò verso la sala del trono. Una volta uscita dalla sua stanza percorse una larga scalinata di marmo. Il conte Federico si affiancò a lei con un’espressione preoccupata. “Si sente pronta?” chiese premurosamente, porgendole la mano, con indosso un guanto nero vellutato. “Sono la Regina. Devo essere pronta” rispose con un sorriso gratificato. Con un cenno del capo le guardie spalancarono le porte della sala del trono. Si ricordò esattamente di come due anni prima aveva messo per la prima volta piede in quella stanza da regina e non da semplice ospite del palazzo. Francesca, sua cugina, marciva ancora nelle segrete. Il pensiero la fece rabbrividire. Ricordava ancora quando giocavano insieme nella stanza delle bambole della principessa. Adesso erano nemiche. La mano prese a tremare e gli occhi divennero lucidi. Ricacciò dentro le lacrime a fatica, ed assunse un’espressione impassibile. Avanzava rapidamente verso il trono lungo il tappeto da ricevimento, mentre lo strascico del vestito di un broccato blu frusciava leggermente, rompendo il silenzio di tomba che sovrastava il suo cammino. Si sedette sul trono passandosi la mano sul diadema argentato. Un valletto di corte si presentò al suo fianco sussurrandole all’orecchio che Antonio era arrivato. “Fatelo entrare” sussurrò con un fil di voce. Le porte si aprirono, facendo entrare una piccola comitiva formata da tre individui. A sinistra uno scoiattolo rosso muoveva i baffi nervosamente. Era il cocchiere, lo aveva intravisto dalla finestra. Non sembrava molto a suo agio. Stava torturando con le sue zampette un cappello di velluto bianco. A destra un ragazzo sulla ventina avanzava a passo sicuro, come se nulla lo potesse scalfire. Portava un paio di occhialetti a mezzaluna, dalla montatura pregiata. I capelli scurissimi, risaltavano ancora di più a causa dei vestiti bianchi. Natalia si sentì molto in soggezione, ma poi concentrò l’attenzione sulla figura al centro, Antonio, il Saggio, il Brucaliffo. Antonio era un uomo anziano, dalla pelle bluastra, e il viso dolce e rilassato. Era canuto e la sua veneranda età gli aveva conferito molto prestigio. Un paio di ali coloratissime gli spuntava dalla schiena con sfumature dal violetto al blu notte. I suoi piedi sembravano appena toccare il pavimento. Era una figura eterea, fuori dal tempo e dallo spazio. La regina si sentì come l’ultima delle serve al cospetto di una figura tanto imponente. Il suo portamento fiero e regale le faceva venire scosse di brividi. Si rese conto di non essere pronta ad affrontarlo. La sua sicurezza aveva vacillato, mentre la paura e il dubbio avevano preso possesso della sua anima.
“Regina Natalia” disse con tono stanco il Brucaliffo, inchinandosi lentamente. I due al lato fecero lo stesso. “Vi presento, Tobia, il mio fidato cocchiere, e Marco, mio personale assistente e fidato amico”. A quella parole lo scoiattolo squittì per il nervoso, mentre Marco si aggiustò gli occhiali con fare imperioso, avendo apprezzato la presentazione. Il giovane schioccò le dita e fece apparire un tremulo fuoco azzurrino con cui cominciò a giocare roteando le dita. “Benvenuto al mio palazzo. Immagino che siate qui per l’anniversario del Liberatutto” esclamò la regina con tono imperioso. “Esattamente, mia regina, anche se sono qui anche per altri motivi…” ribatté tranquillamente Antonio. “Le richieste del Brucaliffo sono ordini per tutti i sovrani, se non sbaglio”. “Bene, allora questo mi renderà il compito più semplice. Voglio che rendiate il trono a chi spetta secondo la discendenza stabilita dalla regina Alice tanti anni or sono. Desidero chiedervi che la regina Francesca recuperi il suo regno” ordinò. La sua voce stavolta era diversa: tuonava nella stanza vigorosa. Nata strinse il pugno e lo appoggiò sul bracciolo del trono: ecco una richiesta che non poteva esaudire. 










NOTA AUTORE: cercherò di aggiornare due volte a settimana (il lunedì e il giovedì/venerdì), ma non vi assicuro nulla, quindi abbiate comunque pietà di me nel caso non dovessi farcela, sappiate che ce la metto comunque tutta, visto quanto tengo a questa storia. Posso amare questo capitolo anche se non ci sono i miei personaggi preferiti? Ebbene lo amo questo capitolo. E avevo gli occhi lucidi anche se la parte di Maxi l'avevo letta circa tre-quattro volte...Maxi, il rivoluzionario inconsapevole, colui che ancora non ha avuto scelta. Le sue azioni sono state dettate da qualcosa di esterno, dalla sua condizione e nel finale dalla sua ira. Un personaggio ingabbiato in una condizione sociale da cui sembra impossibile fuggire. E' questo il profilo del rivoltoso che volevo dare al personaggio di Maxi. Maxi ha degli ideali? Non che noi sappiamo. Il suo agire sarà dettato puramente da vendetta a dispetto da quello che vi poteva far credere il titolo. La dittatura instaurata da Natalia non l'ha mai toccato, ma la morte della madre, il suo unico legame insieme al nonno è stato troppo per lui. E in questo quadro macabro, come quello della morte dei due e della morte del cavaliere, emerge la forte personalità del giovane. Un ragazzo capace di pensare a mente fredda, ma allo stesso tempo fin troppo impulsivo. Il suo odio per la regina è forte, troppo forte, e desidera la sua morte. Io amo il personaggio di Maxi, anche se prima che lo rivedremo passerà un po'...Natalia. Non è la Natalia del capitolo 2, che sembra fredda e distaccata. La facciata del capitolo 2 è stata distrutta e appare al suo posto una Natalia molto insicura, che non è pronta ad essere regina, che non sa affrontare l'autorità del saggio Brucaliffo alias Antonio. E non può esaudire le sue richieste. Perché? Non pensate che la nostra Nata ci nasconda qualcosa? Ebbene è proprio così...Ma non posso dirvi molto in verità. E nel prossimo capitolo mi ammazzerete tutti, lo so. Comunque il titolo del prossimo capitolo è: 'Humpty Dumpty e la biblioteca dai mille specchi'. E conosceremo un interessante personaggio, insieme alla comparsa di un'insopportabile Lara. Non giudicate subito Lara, per quanto sarà un'antagonista, cercate sempre di mettervi nella sua ottica. Lei fa parte di un meccanismo molto più grande, e forse non è così cattiva come vorrà mostrarsi...ma non posso dire nulla di più, scoprirete tutto nel prossimo capitolo, alla prossima ;D 
P.S: volevo dedicare questo capitolo a una grandissima fan Leonetta e Jortini che ho conosciuto. Voi non la conoscete forse, io si xD Il suo nome è Marianna, che ha subito alcune ingiustizie su twitter, e boh, ci tenevo a farle avere il mio appoggio ù.ù Tanto perché siamo in tema di ingiustizie in questo capitolo ù.ù Yes, il capitolo è tutto dedicato a te (lo so che è tristissimo ma...che ci posso fare, apprezza il gesto xD) 
  
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