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Autore: Serpe89    18/10/2013    3 recensioni
Camelot avrà finalmente il suo erede, ma la lieta novella sarà davvero così lieta?
"....Se quel dolore era necessario, pur di stare assieme, lo avrebbero tollerato. Ed era certo che anche il compagno condividesse quel pensiero ossessivo e possessivo. Quello era il loro amore, a volte labile il confine tra esso e la malattia.
Guardò con orgoglio il suo Artù, quella sua dicotomia vivente, il suo re e il suo uomo, il suo amato e il suo amante, il suo padrone e il suo servo..."
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Gwen, Merlino, Principe Artù | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quarta stagione
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L’erede
 
La notte era già scesa su Camelot da tempo e le stelle bucavano il soffitto scuro del cielo, nitide come non mai, poiché la luna non era altro che una fine falce luminosa.
Due tocchi delicati alla porta della sua stanza fecero sollevare lo sguardo di Artù, intento a controllare plichi di pergamene sparse sul tavolo: non sempre il mestiere di re era divertente come lasciavano supporre gli eleganti banchetti o le intriganti battute di caccia.
-Avanti.- disse senza abbassare gli occhi dall’uscio.
La maniglia ruotò lentamente verso il basso e la figura aggraziata della sua consorte fece capolino nella stanza. Era bellissima quella sera, con un lungo abito porpora e oro, che le incorniciava la vita stretta e il seno rigoglioso. I capelli erano riccamente acconciati in boccoli delicati, che le ricadevano morbidi sulle spalle, come una cascata di fronde perfette.
A volte si dispiaceva di quanto la trascurasse: probabilmente la sua regina non si meritava tutto questo.
-Vieni, accomodati.- disse indicandole la sedia vuota alla sua destra.
Ginevra richiuse alla sue spalle la spessa porta di legno, per poi avvicinarsi con lentezza al tavolo dove sedeva Artù. Sembrava quasi restia a mostrarsi al suo cospetto a quell’ora tarda e i suoi occhi sembravano non voler affatto incontrare quelli del marito.
Una volta raggiunto il re, rimase in piedi di fronte a lui, senza aver apparentemente recepito quanto appena detto da Artù.
-Devo parlarti.- disse semplicemente, riuscendo finalmente a guardare il volto del Pendragon.
-Dimmi tutto, sono qui apposta per ascoltare ogni tuo turbamento.- rispose Artù con un sorriso.
Ginevra rimase ancora in silenzio per un po’, abbassando lo sguardo più volte, incapace di pronunciare quelle due parole che tanto le tormentavano l’animo.
-Sono incinta.-
Il re sgranò gli occhi per la sorpresa, ammutolito dalla notizia. Ancora non riusciva a realizzare la portata di quell’evento: sarebbe diventato padre, avrebbe avuto un erede e quello che il grembo della sua sposa nascondeva sarebbe un giorno diventato il re o la regina di Camelot. A ben pensarci gli aspetti positivi superavano quelli negativi, tuttavia la paura di non saper affrontare la nascita di una nuova vita lo colse alla sprovvista. Sarebbe stato un buon padre? O sarebbe stato come Uther? Avrebbe saputo insegnargli i valori importanti della vita? Forse porsi tutte quelle domande era un po’ prematuro, dato che aveva tutto il tempo necessario per prepararsi al lieto evento.
Si riscosse dal torpore muto dei suoi pensieri più intimi:-Ma è stupendo, Ginevra! Dovremo presto darne l’annuncio ufficiale. Il popolo accoglierà con gioia la notizia.-
La regina abbozzò un sorriso pudico.
-Da quanto tempo lo sai?- chiese poi il giovane re, notando il fisico ancora perfetto della consorte, sulla quale non si notava neppure un abbozzo di pancia.
-Poco più di due lune…- ammise Ginevra. –Non volevo darti la notizia, finché non ne fossi stata certa.-
A quelle parole gli occhi di Artù si serrarono in quelli della moglie, indagatori, scrutatori, fin quasi accusatori, speranzosi di cogliervi la verità, che a poco lo stava raggiungendo come un pugno nell’addome, spezzandogli il fiato. Due lune. Due stupide fottuttissime lune. Si guardò attorno, cercando dell’aria, che disperatamente faticava per giungere ai suoi polmoni, quasi il suo torace fosse cinto da una morsa opprimente. Deglutì più di una volta, senza tuttavia ingerire nulla, dato che la sua bocca si era fatta improvvisamente arida, la lingua ruvida come se avesse ingoiato un cucchiaio di sabbia.
Era almeno tre lune che non toccava Ginevra.
Il che significava un’unica sconvolgente verità: che il figlio che portava in grembo non era suo.
Avrebbe dovuto capirlo subito, dal comportamento della moglie, dai suoi sguardi, dal portamento contrito ed innaturale che l’aveva condotta di fronte a lui.
Si squadrarono per un attimo, entrambi consapevoli di quella verità che nessuno dei due riusciva ancora apertamente a rivelare all’altro.
Cosa doveva fare Artù? Ripudiarla? Condannarla a morte per tradimento? Esiliarla?
Era questo che temeva Ginevra, mentre abbassava gli occhi, velati di lacrime cariche dell’umiliazione di quella tacita confessione?
No, Artù non poteva darle anche quel dolore. L’aveva fin troppo trascurata, con un matrimonio di mero comodo che lei aveva accettato con coraggio. Era una donna forte, saggia, leale, amata dal popolo: era la migliore regina che Camelot potesse avere ed il giovane re non poteva negare tutto questo. Allontanarla sarebbe stato un errore, poiché avrebbe comunque dovuto trovare un’altra consorte che le generasse un erede.
Alla fine ci aveva pensato qualcun’altro a fecondare la sua sposa.
Doveva forse pretendere che la sua donna gli fosse fedele, quando era lui il primo a non rispettarla? Quando era lui il primo a tradirla?
Se avesse riconosciuto quel frutto di un amore proibito come suo, Camelot avrebbe avuto un erede e nessuno avrebbe potuto mettere in discussione la parola del re.
Il suo orgoglio maschile bruciava, poiché, nonostante non si meritasse la devozione di Ginevra, si sentiva comunque violato in qualcosa che gli apparteneva. Era però necessario sotterrare quell’orgoglio per il bene di tutti e mostrarsi per quello che era realmente noto: un re magnanimo, un re saggio, un re giusto.
Non sapeva quanto tempo fosse passato da quando aveva appreso la notizia: potevano essere passati pochi secondi come anni. Tutto intorno a lui sembrava vorticare, quando invece era solo la sua testa, ricolma di pensieri contrastanti. Aveva bisogno di stare da solo, di parlare con qualcuno di fidato, di schiarirsi le idee.
Si rivolse a Ginevra:-Sono sicuro che il popolo apprenderà la notizia con gioia.- ripeté nuovamente, facendo intendere alla donna che avrebbe fatto finta di niente.
Sì, era la cosa migliore da fare.
Gli occhi della regina si allargarono per lo stupore dell’inaspettata risposta e un sorriso sincero illuminò il suo volto finora ombroso: –Certo, il popolo sarà felice. Le nascite reali sono sempre segno di buon auspicio tra la gente.-
Il re annuì alla sua sposa, fingendo un sorriso e una serenità che faticava a mantenere. Avrebbe voluto prendere a pugni qualsiasi cosa, fino a spellarsi le nocche contro i muri ruvidi e urlare la sua frustrazione. Le sue labbra sorridevano, ma il suo animo era follemente straziato e diviso. Si vergognava di provare tutta quella rabbia e sapeva di meritarsi quella ferita che gli dilaniava l’animo. Tuttavia, per quanto si sforzasse, non riusciva a placare né la collera né la delusione: era un insieme di sentimenti troppo vasto ed eterogeneo per poter essere facilmente contenuto dalla sua impulsiva personalità. Da una parte era arrabbiato, poiché si rendeva conto che quel figlio che doveva essere solamente suo, non lo era affatto, mentre dall’altra provava tutta la tristezza e l’umiliazione di quel tradimento da parte di Ginevra. Ciò che rimproverava alla consorte non era il fatto che avesse un amante, ma che lo avesse privato della profonda gioia di essere padre, di avere una creatura che fosse sangue del suo sangue. Probabilmente era la giusta punizione del destino. Il sorriso sul suo volto si spense, incapace di continuare quella farsa in presenza della regina.
-Dovresti andare a riposare, Ginevra. E’ tardi e devi trascorrere al meglio questa gravidanza.- disse Artù. –Desideri che ti accompagni alle tue stanze?-
-No, Artù, non ce n’è bisogno. So ancora cavarmela da sola.- disse sorridendo e comprendendo che il marito necessitasse di un po’ di tempo di solitudine.
Il re annuì:-Buonanotte, Gwen.-
-Buonanotte, Artù.- disse, per poi aggiungere un istante prima di uscire:-Grazie…-
Proprio mentre Ginevra stava uscendo, Merlino si stava dirigendo alla stanza reale.
Il servo e la regina si scontrarono stupiti di fronte alla porta.
–Perdonami, Gwen. Non ti avevo vista.-
-Scusami te, Merlino.- disse la giovane, stringendo con affetto le mani del giovane servo. Nonostante le prove che la vita aveva loro destinato, erano sempre rimasti buoni amici.
-Ti conviene andare da Artù- aggiunse – credo che avrà alcune cosa da dirti.- concluse con un sorriso, mentre si allontanava verso le sue stanze.
Merlino incuriosito dalle parole della regina, non attese oltre ed entrò nella stanza del re.
Lo trovò davanti alla finestra aperta, intento apparentemente a fissare il panorama davanti a sé. Neppure il rumore della porta che si richiudeva fece voltare le spalle al sovrano di Camelot.
Merlino lo interpellò preoccupato:-Tutto bene, Artù?-
Il biondo re si voltò: -Oh…sei tu, Merlino.- disse sciogliendosi in un grande sorriso. Non sapeva quale misteriosa divinità doveva ringraziare, poiché era proprio il mago la persona che il quel momento più desiderava vedere.
-Sono felice che tu sia qui…vieni accanto a me…- disse invitandolo al suo fianco alla finestra.
-Immagino che sia successo qualcosa di importante…-
-Cosa te lo fa supporre?-
-I tuoi occhi…-
-Ginevra è incinta.- disse Artù senza tanti giri di parole, pur evitando accuratamente di incrociare lo sguardo del suo servo.
-E’ una bella notizia…-disse Merlino. –Finalmente Camelot ha un erede al trono.- Cercò di nascondere il più possibile la sua gelosia: d’altronde sapeva che saltuariamente Artù doveva giacere con Ginevra. Il suo compito era anche assicurare un futuro al regno e non solo soddisfare le voglie irrefrenabili del suo servitore. –Da quanto tempo è incinta?- si informò.
-Due lune…- soffiò Artù.
-E questo ti turba?-
-Sì, Merlino! Accidenti! Due lune, capisci?-
-Mi spiace, non credo di capire…-
-Non giaccio con lei almeno da tre.-
-Ah…- La bocca di Merlino non riuscì a proferire altro che quel commento disarticolato e stupido. Quanto si sentiva idiota! Il suo re stava soffrendo terribilmente nel renderlo partecipe di quella confessione e lui non riusciva a pronunciare nient’altro, se non l’onomatopea del suo sgomento.
Cercò di riprendere il controllo delle sue emozioni:-Cosa hai deciso di fare, Artù?-
-Di tenerlo. Di fare finta di niente. Di nominarlo comunque mio erede. Ginevra è una regina saggia e giusta e il popolo la ama. Non si merita né l’esilio né la morte. Non dopo le scelte coraggiose che ha compiuto. Lei vive per questo regno, proprio come me.-
Merlino si soffermò ad osservare il meraviglioso volto di Artù, il suo profilo perfetto e delicato, la pelle rischiarata dalla luce delle candele, punteggiata della barba del giorno prima. Riusciva a leggere con estrema facilità le emozioni che turbinavano nel petto e nelle pupille dell’amato: comprendeva con estrema chiarezza il dolore che vedeva dentro Artù. Era come un libro aperto per lui. Il bellissimo dono di un figlio che non gli apparteneva, ma che sarebbe comunque stato suo per l’eternità. Cosa c’era di più bello e di più triste di ciò al mondo? Ogni volta che avrebbe guardato quel figlio gli sarebbe tornato alla mente il tradimento? Avrebbe rivissuto ogni giorno questo dolore? Sapeva che Artù era forte, abbastanza forte da portare avanti il loro amore impossibile con ogni mezzo. Ma ora che ci pensava, a che prezzo? Si sentiva terribilmente in colpa per quello che stava accadendo, per la scelta inevitabile a cui era giunto anche il suo re. Per lui, solo per causa sua era accaduto tutto questo. Per le troppe attenzioni che aveva portato su di sé, per aver fatto sì che Artù diventasse il suo centro gravitazionale e lui il suo. Si giravano attorno e si attiravano con la forza di un magnete, ma temeva che un giorno si sarebbero avvicinati troppo e scontrati con la violenza di un uragano, distruggendo qualsiasi cosa.
Eppure, nonostante tutto ciò, non poteva fare a meno di lui. Si sentiva tremendamente egoista a desiderarlo solo per sé ed avrebbe potuto sopportare qualsiasi dolore, qualsiasi prova pur di stare al suo fianco. Se quel dolore era necessario, pur di stare assieme, lo avrebbero tollerato. Ed era certo che anche il compagno condividesse quel pensiero ossessivo e possessivo. Quello era il loro amore, a volte labile il confine tra esso e la malattia.
Guardò con orgoglio il suo Artù, quella sua dicotomia vivente, il suo re e il suo uomo, il suo amato e il suo amante, il suo padrone e il suo servo.
Gli rivolse la parola con ammirazione:-Questa scelta ti fa davvero onore, Artù. E’ questo che ti rende il grande re che sei.- disse Merlino, consapevole che il re aveva fatto una scelta difficile, ma giusta.
-Ti ringrazio.- disse il Pendragon in un soffio. –L’ho fatto anche per noi due, Merlino- continuò andando a stringere la mano del servo ed intrecciando le sue dita con quelle dell’amato. –Ginevra è una delle poche persone che sa dal principio di noi, di cui ci possiamo fidare ciecamente. E’ anche l’unica che sa essere una regina tanto capace. Il popolo la ama. Tutti la amano. Non troverei una compagna migliore di lei, qualora dovessi ripudiarla.-
-Lo so, Artù. Lei è la persona giusta, anche nell’errore…- ammise il servitore.
Il re sembrò riflettere a lungo sulla frase successiva e le sue parole fecero una gran fatica a fuoriuscire dalle sue labbra:-Non posso pretendere che lei mi sia fedele e mi ami, quando sono io il primo a non farlo.-
-Ti senti ugualmente ferito, vero?- chiese con arguzia il mago.
Artù annuì, la bocca serrata per la rabbia repressa.
-Sei un uomo. Un uomo forte, coraggioso e leale. Ma possessivo. Terribilmente possessivo. Forse un giorno smetterai di soffrire per questo, quando capirai che nella vita non si può aver tutto.-
-So bene che non posso avere tutto, Merlino!- disse il re, quasi scocciato da una tale ovvietà.
-Oh, certo che lo sai! Ma a quanto pare non lo hai ancora accettato…- concluse Merlino, con un sorriso saggio, quasi antico.
Artù sembrò riflettere a lungo su quelle parole. La saggezza di Merlino era così pura, semplice e genuina. Così vera, quasi palpabile. Amava anche questo di lui: la forza che gli donava ogni giorno, la grandezza dei suoi consigli. E poi bastava nulla per perdersi nelle profondità marine di quello sguardo, così intenso, che era sicuro di cogliere solo una minima parte della sua vastità.
Lo amava. Lo amava anche se era un fottuto stregone. Lo amava troppo. Forse era quello il suo problema. Il sapere con estrema certezza che si sarebbe fatto scorticare vivo per lui, che avrebbe dato qualsiasi parte del suo corpo in cambio della sua interezza, che la morte gli sarebbe apparsa ridicola di fronte a quel sentimento che gli sconquassava l’animo fin nelle fondamenta.
Rimasero in silenzio a lungo, rapiti nei loro più profondi penseri.
-Hai idea di chi sia il vero padre?- domandò il mago dopo diverso tempo.
-Penso di saperlo, anche se non ne ho la certezza.-
-Immagino che tu stia pensando a Lancillotto1.- disse Merlino.
-Già…hanno sempre avuto un rapporto speciale lui e Ginevra. Preferisco che sia figlio suo piuttosto che di altri. A dispetto di tutto, si è sempre dimostrato il mio cavaliere più fidato. Immagino che si sentirebbe ripagato dai servigi da lui offerti, sapendo che un domani suo figlio salirà sul trono di Camelot.-
-Sei così cambiato. Non sei più lo scapestrato e viziato Artù, che ho conosciuto tanti anni fa.- ammise Merlino con una nota di profondo orgoglio.
-Sono cresciuto.-
-Già, sei diventato un uomo con la testa sulle spalle…-
-Questo è anche merito tuo.- commentò il re, baciando i soffici capelli corvini del mago all’altezza della tempia e cingendogli il busto con la sinistra.
Merlino arrossì leggermente:- Cerca di sorridere, vedrai che appena i tuoi occhi scorgeranno il visetto paffuto del tuo erede, dimenticherai ogni dolore. Un padre non è necessariamente chi ti mette al mondo…-
-Grazie, Merlino…- assentì Artù, aprendosi finalmente in un tenue sorriso. –Solo tu mi fai tornare il buonumore.-
Rimasero per qualche istante ad osservare le tenui luci della notte alla finestra, fin quando il mago prese parola, cercando di sdrammatizzare gli eventi come suo solito:-Artù, devo ammettere che questa è la volta che più mi hai sorpreso!-
-Perché?- domandò curioso Artù, non avendo percepito la nota ironica del compagno.
-Perché pensavo che anche una testa di fagiolo come te sapesse che fare l’amore con me non ti avrebbe procurato un erede. Forse dovevi impegnarti un po’ di più con Ginevra!- concluse ridacchiando divertito.
Il re lo guardò con uno sguardo tra il divertito e il furibondo: la spensieratezza del suo servo riusciva a farlo sorridere anche in momenti bui come quello.
-Come ti permetti, razza di deficiente da strapazzo? Stregone dei miei stivali, ecco cosa sei! Buono solo a far spuntare fiorellini dai cappelli!-
Si misero a ridere ed Artù arraffò un cuscino dal suo letto, lanciandolo verso il mago, che lo schivò con una strana prontezza di riflessi.
-Sai, Artù…spero che sarà una femmina…- disse Merlino tra una risata e l’altra.
-Perché?- chiese il re.
-Perché un altro maschio con il vostro carattere non potrei tollerarlo!-
Questa volta un cuscino colpì in pieno volto il mago, che venne poi prontamente placcato da Artù e fatto cadere di colpo sul letto. Il servo era soverchiato dal peso, disteso prono con il torace di Artù che lo schiacciava contro il materasso. Le coperte quasi lo soffocavano, eppure non riusciva a smettere di ridere.
Artù continuò a tenerlo bloccato in quella posizione, finché non gli mormorò nell’orecchio, quasi in un soffio: -Immagino che dovrò punirti per la tua insolenza…- disse spingendosi contro il corpo magro del compagno, che esalò un sospiro colmo di piacere, mentre percepiva gli ansiti caldi del re sul suo collo e il suo bacino strettamente adeso alle sue natiche.
-Oh…sì…non vedo l’ora…-rispose Merlino, socchiudendo gli occhi e pregustandosi quella grata punizione.
 
 
 
NdA: 1- Nel mio racconto, a differenza della serie tv, ho supposto che Lancillotto fosse ancora vivo, per poter svolgere il ruolo, secondo me azzeccatissimo, di amante di Ginevra.
   
 
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