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Autore: kenjina    19/10/2013    2 recensioni
- Betulla sequel -
«Vedo che anche oggi ti sei dato da fare. Trascorri più tempo rinchiuso lì dentro, piuttosto che nella Sala del Trono, mio Re.»
Thorin fece una smorfia ironica. «Sai bene quanto non mi piaccia stare con le mani in mano.»
«Ebbene, non sarò certo io a trascinarti lontano dalla fucina tirandoti per un orecchio!» Balin strizzò un occhio, porgendogli una pergamena. «Ma forse c’è qualcuno, là fuori, che avrà il potere di osare ben oltre.»
L’altro si voltò per guardare l’anziano Nano, che aveva ora tutta la sua attenzione. Prese il rotolo di carta ancora chiuso ed osservò con interesse la cera che lo sigillava: era un albero incorniciato da sette stelle, con una corona alata in alto.
Era lo stemma di Gondor.

(tratto dal secondo capitolo)
Genere: Avventura, Guerra, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Buon sabato a tutti, miei cari lettori e adorate lettrici!

Dopo la chiusura a sorpresa del capitolo precedente, vi avverto che questo capitolo sarà un po’ più tranquillo. Perché voglio tenervi ancora sulle spine, solo un altro poco. 0:)

Ci sarà il ritorno in scena di un grande personaggio. <3

E... non vi dico altro, altrimenti spoilero troppo e la sorpresa svanisce.

Chiedo, invece, scusa se non ho ancora risposto alle recensioni, ma il plastico che sto facendo mi sta prendendo tutta la giornata e quando ho cinque minuti liberi mi metto a disegnare – benedetta sia la mia nuova tavoletta grafica!

Prometto che oggi mi ritaglio una mezzora e rispondo per bene a tutte, perché ve lo meritate! *^*

Un abbraccio e buona lettura!
Marta

 

Pietra

-  sequel di Betulla -

 

 

 

13.

19 Settembre 3019 T. E.

 

 

Il cielo si era schiarito, dopo la tempesta del giorno prima, e Trán si sentì un po’ meglio. Il timore per la sicurezza della sua nuova amica non sarebbe passato finché non l’avesse rivista sana e salva, e il giorno prima le nuvole scure sopra le loro teste non avevano certo aiutato il suo umore e il suo pessimismo. Ma ora, la vista di qualche timido raggio di sole che baciava le bianche pietre di Minas Tirith la fecero ben sperare e con rinnovata energia, dopo il lungo riposo del pomeriggio precedente, si preparò per andare a lavorare. La notte scorsa aveva saltato la cena, poiché si era risvegliata troppo tardi e le cucine avevano già chiuso; ma Káel, da bravo e premuroso fratello quale era, le aveva fatto il favore e il piacere di portarle qualche avanzo in camera, ammettendo che non fosse solo la sua porzione, ma anche quella di Fili e Kili. La notizia, dopo quella giornata lunga e stancante, l’aveva fatta quasi piangere per la commozione.

Ripensare al poco cibo che aveva ingurgitato solo qualche ora prima le fece brontolare lo stomaco per la fame e si affrettò nel vestirsi, prima che giungesse in ritardo anche per la colazione. I fratelli erano già pronti e la salutarono con un sorriso solare e un abbraccio.

«Come stai, sorella?» chiese Káel, che teneva sulle spalle Trión.

«Sto meglio, ma non bene.» fu la sua criptica risposta.

«Vedrai, oggi sarà una grande giornata.» le disse, entusiasta. «Ho sentito voci che parlano dell’arrivo dei cavalieri di Rohan!»

Lei si crucciò. «Non mi pare una buona notizia. Se il Re di Gondor richiede anche l’aiuto di Rohan, allora la situazione è peggiore di quanto pensassimo.»

«Mahal, Trán! Invecchierai più velocemente di una farfalla, continuando con il tuo catastrofismo!» la rimproverò il fratello. «Si dice che il Re di Gondor sia molto amico con quello di Rohan. Magari è una visita di cortesia tra amici, cosa ne sappiamo?»

«Appunto, non lo sappiamo. E io sono realista, come sempre.»

Il gemello alzò gli occhi al cielo, ma non sprecò altro fiato per ribattere. Quando Trán si metteva in testa qualcosa, andarle contro sarebbe stato come scavare la Montagna Solitaria con le unghie.

Arrivarono alla porta della mensa, e Káel fece scendere il fratellino dalle spalle, sconfitto. «Sei un caso perso e deprimente.» Il pugno che gli arrivò alla spalla poco dopo sentì di meritarselo tutto e si massaggiò la parte lesa tra un borbottio e l’altro.

La solitudine che li accolse fu immensamente inquietante. Da quando l’esercito era partito, quella grande locanda per i soldati, solitamente chiassosa e affollata, era stranamente quieta. Non solo vi erano pochi Uomini, rispetto all’usuale numero, ma anche i Nani che importavano sembravano spariti. Trán ne cercò uno in particolare, rabbrividendo inconsciamente nel ripensare al braccio intrecciato al suo, ma con dispiacere notò che né Thorin né i suoi più stretti amici fossero nei paraggi.

«Devo ammetterlo, questa calma mi mette i brividi.» sussurrò il gemello.

Si sedettero accanto ad un paio di Nani con cui avevano scambiato qualche parola i giorni precedenti, e Trán mangiò con così tanto appetito che, ne era sicura, presto le sarebbe arrivato un bel mal di stomaco per non aver masticato metà del cibo nella foga. Neppure quando raggiunsero le fucine videro traccia del Re, né degli altri. Imponendosi di non aggiungere altra tristezza a quella che già aveva, Trán si concentrò sul suo lavoro, ormai quasi terminato dopo il grande sforzo del giorno prima.

«Finalmente domani sarà domenica e da questo pomeriggio possiamo rilassarci un poco.» fece Káel, asciugandosi la fronte imperlata dal sudore con la camicia, buttandola poi su una sedia lì vicino. «Ho bisogno di un po’ di riposo!»

La Nana sorrise, birichina. «Non mi dirai che sei stanco?»

Quello parve indignato. «Stanco? Io? Non dire stupidaggini, sorella!» Ridacchiò. «È che vorrei spendere un po’ del mio tempo lontano dall’incudine, sai... c’è una città che aspetta di essere esplorata, al di fuori di queste quattro mura. E una locanda che vende una birra niente male.»

«Potremmo andare a visitarla insieme, dopo.» suggerì lei. «La città, intendo, non la locanda!» si affrettò a dire, vedendo gli occhioni sorpresi e malandrini del fratello.

Káel, ripresosi, ammiccò. «Oppure potresti chiedere a qualcuno di portarti a passeggio sotto braccio.» Ringraziò la sua prontezza di riflessi, quando evitò un martello che gli volò ad una spanna dalla testa. Se l’avesse beccato in fronte era più che sicuro che ne avrebbe risentito per il resto dei suoi giorni. «Come siamo suscettibili!»

«Smettila subito! N–non riiniziare.» Il tentativo di apparire seria ed imperativa fu reso vano dal rossore nelle guance; il che contribuì a far capottare dalle risate il fratello, mentre Trión guardava prima l’uno poi l’altra, senza capire.

«Dovresti vedere la tua faccia, sorellina!»

«Non c’è nulla che non vada nella mia faccia.» borbottò, tornando al lavoro con il chiaro intento di lasciarlo perdere. Si sarebbe stancato prima o poi di–

«Oh, sire Thorin questo lo sa bene.»

No, a quanto pare aveva intenzione di continuare. «Káel!»

Il loro amorevole diverbio fu interrotto dalle trombe cittadine, le stesse che avevano udito quando erano giunti, una settimana prima. Bastò un solo sguardo per dimenticarsi dei loro compiti e correre verso la strada principale, dove già una numerosa folla ne accalcava i lati; si fecero spazio tra le lunghe gambe dei Gondoriani giusto in tempo per vedere un cavaliere dal fiero portamento in testa ad un’altra decina. I soldati erano belli, e biondi per la maggior parte, e indossavano degli splendidi elmi che terminavano in quella che pareva la coda di un cavallo, e i destrieri erano lucenti e in forze, bardati di verde; guardarono il vessillo che il Valente reggeva con orgoglio e non impiegarono molto a capire di chi si trattasse, nonostante la loro scarsa conoscenza dell’araldica degli Uomini.

I Signori dei Cavalli erano infine giunti.

Trán capì così il perché dell’assenza di Thorin. Del resto, egli era il Re Sotto la Montagna, ospite del Re di Gondor, e come tale avrebbe dovuto accogliere i nuovi arrivati.

Sospirò pesantemente, nel rendersi conto che con molta probabilità non avrebbe visto i suoi adorabili nipoti neppure per pranzo.

E nemmeno lui.

 

 

 

Thorin osservò l’Uomo che parlava con Aragorn, senza nascondere la sua meraviglia. Éomer era giovane, troppo giovane per essere un Re; eppure aveva visto immediatamente la sua determinazione e il forte carattere dietro quegli occhi affilati e penetranti. Appena giunto, aveva lasciato il suo elmo ad uno dei soldati e lui ed Aragorn si erano abbracciati con vigore, come vecchi amici di lunga data che non si vedevano da troppo tempo.

«Giungi con un ottimo tempismo, amico mio.» gli aveva detto Aragorn, senza nascondere la preoccupazione nelle sue parole, ma felice di averlo nuovamente nella sua città.

«Aggiornami su tutto.»

E Aragorn l’aveva fatto, con dovizia di dettagli e una certa dose di preoccupazione. Ora, seduti attorno al tavolo della Sala Grande, Éomer aveva assimilato ciò che aveva da conoscere e faceva il punto della situazione con i suoi due uomini più fidati, Elfhelm, Maresciallo del Mark dell’Est, e il vecchio Erkenbrand, ora Maresciallo dell’Ovestfalda; con loro, oltre i Nani di Thorin, erano presenti anche Ecthirion e Mardil, e la Regina Arwen che stava in piedi accanto al marito, una mano amorevolmente poggiata sulla spalla dell’Uomo.

«La mia scorta conta cento Rohirrim; ma se darai l’ordine di accendere i fuochi di Amon Dîn, altri mille sono pronti a raggiungermi in meno di una settimana.»

«Accendere i fuochi di segnalazione?» domandò Mardil, sollevando le sopracciglia quasi crucciato. «Sire Éomer, non siamo in regime di guerra. Perché allarmare la popolazione?»

«Lo saremo presto, Mardil.» replicò Aragorn, prima ancora che l’altro potesse farlo. Non gli sfuggì, infatti, l’occhiata fredda dell’amico verso la Prima Lancia, e temette che il suo temperamento acceso potesse fargli dire qualcosa di spiacevole. «Infatti, la popolazione ha già fiutato il pericolo. Ti ricordo che ieri un migliaio di soldati ha lasciato le mura di Minas Tirith e non è certo passato inosservato.»

Éomer e Thorin ghignarono all’evidente sarcasmo di Aragorn, ma Mardil non parve farci caso.

«Io direi di agire in modo più silenzioso, se mi è permesso dirlo, sire.» continuò, alzandosi e camminando verso il suo Re. «Se il nemico fosse in agguato, starebbe studiando i nostri movimenti, e i fuochi di segnalazione sarebbero un’ottima dichiarazione di paura e fretta.»

Ecthirion seguì i suoi passi con scetticismo, chiedendosi che fine avesse fatto la sua silenziosa Prima Lancia, che interveniva durante le riunioni solo quando interpellata.

«Noi abbiamo fretta.» replicò Éomer.

Quello non parve sentirlo; e se lo udì, non se ne curò. «Usiamo le aquile per convocare i Rohirrim, invece. O un messaggero.» Sorrise, mellifluo. «Questa volta la donna è lontana, e saremo sicuri che arriverà sano e salvo a destinazione, senza che qualcuno lo ammazzi.»

Tra tutti i presenti, solo il Secondo Capitano abbozzò un sorriso alla battuta, che si spense immediatamente com’era giunto nel vedere le altre espressioni serie.

Aragorn sentì chiaramente il fastidio montargli il sangue e si costrinse di stringere con forza i braccioli della sua sedia pur di non sbottare. Era stanco di quelle insinuazioni sul conto di Brethil, e ringraziò il cielo che Boromir non fosse presente in quelle ultime settimane, altrimenti era sicuro che avrebbe dovuto far ripulire i pavimenti dal sangue. Arwen, accanto a lui, gli impose di calmarsi con una lieve carezza sulla schiena e i muscoli tesi del Re si rilassarono un poco.

«I fuochi di segnalazione verranno accesi in caso di imminente pericolo.» fece Aragorn, con lentezza, scambiando un’occhiata con Éomer. «Se dovessimo necessitare anche dei tuoi Rohirrim, ti chiederò di inviare uno dei tuoi uomini – se me lo permetterai. I vostri cavalli sono i più veloci che si possano desiderare, del resto.»

Il Re del Mark annuì. «Consideralo fatto.»

Thorin osservò con insistenza Mardil mentre tornava al suo posto e la sensazione di fastidio nel guardare quell’uomo dalla pelle ambrata tornò più forte che mai. C’era qualcosa di estraneo in lui, eppure qualcosa di tremendamente familiare. Che cosa fosse, però, non riuscì a capirlo. L’Uomo si sentì osservato e ricambiò il gesto con quello che doveva essere un sorriso di cortesia, ma ai suoi occhi parve più un ghigno.

«Hakhakh hodh.*» borbottò Dwalin, la cui attenzione era anch’essa rivolta al soldato.

Thorin non rispose all’insulto, ma sostenne lo sguardo della Prima Lancia, perdendo parte del pacifico discorso degli Uomini, finché fu riportato alla realtà da Éomer, che gli rivolgeva la parola. «Chiedo perdono, mio signore, ero sovrappensiero. Dicevi?»

«Mi chiedevo se siete mai stati a Rohan, prima del vostro lungo viaggio. Messer Gimli mi raccontò che abbiate girato in lungo e in largo la Terra di Mezzo, parecchi anni fa.»

«È vero; eravamo senza una casa, dopo l’arrivo del drago, e ne trovammo una negli Ered Luin, nel Nord-Ovest. Ma no, non mi sono mai spinto più a sud dell’Isen, né della foresta di Fangorn, fino a pochi giorni fa. I miei affari mi hanno tenuto ad Ovest, dove ho lavorato molto spesso per gli Uomini. Lo stesso vale per i miei compagni.»

«Allora sarei felice di avervi come ospiti nelle Caverne Scintillanti, al Fosso di Helm, che il vostro amico Gimli tanto ama.» Éomer sogghignò, accarezzandosi la corta barba. «In realtà, ho un’idea che mi solletica la mente da parecchio, ormai. Magari questa sarà la volta buona che la metterò in atto.» A nessuno di loro, però, fu dato sapere cosa avesse per la mente quella sua bella testa bionda e sperarono di vivere a lungo per poterlo scoprire.

Fu nuovamente Mardil ad interrompere la discussione, facendo roteare gli occhi a molti. «Se la riunione di benvenuto è conclusa, miei signori, io vi lascerei. Ho delle urgenti faccende da sbrigare prima di pranzo.»

«Ah, sì?» domandò criptico Ecthirion, che a quanto pareva ne era all’oscuro. «E che faccende così urgenti hai da sbrigare, mi domando?»

La Prima Lancia non gli rispose e si chinò appena Aragorn gli diede il permesso di allontanarsi; il Secondo Capitano lo seguì, deciso a scoprire il motivo di tanta stranezza e parecchio infastidito dalle libertà che si stava prendendo negli ultimi tempi.

Éomer osservò Mardil con circospezione, fin quando liberò la Sala dalla sua scomoda presenza, e aggrottò la fronte. «Da quando ti circondi di uomini come quello?»

L’altro seguì il suo sguardo. «È un po’ ambiguo, lo ammetto; ma è un ottimo e fidato soldato.»

L’Uomo di Rohan non parve condividere il pensiero. «La sua vista mi riporta alla mente quel Vermilinguo che avvelenò la mente di mio zio – pace all’anima sua. Conosco i personaggi come lui e ti dirò in tutta franchezza che non mi piace.»

Dwalin si lasciò sfuggire un borbottio di assenso. «Felice di sapere che non sono il solo. Penso la medesima cosa da quando l’ho visto.»

Thorin, spinto da quelle confessioni, non impiegò molto per confidare i suoi timori al Re. «Quando ieri ti ho consigliato di tenere gli occhi aperti suoi tuoi uomini, mi riferivo principalmente a lui, e al suo capitano. E ora ne sono anche più convinto, visto che il mio pensiero pare essere condiviso da altri.»

«E anche da me, mio Re.» Arwen, che era stata silenziosa per tutta la durata dell’incontro e aveva studiato i presenti e ciò che udiva, per la prima volta prese parola. «Da tempo la luce degli Eldar mi ha indebolita, ma condivido i timori dei nostri ospiti e percepisco un’ombra tra le mura di questa città.»

Aragorn sospirò, ormai con le spalle al muro. Annuì impercettibilmente. «Starò attento ad entrambi; ma sono sicuro che vi sbagliate: essi danno sempre l’impressione errata, agli stranieri.»

«Metti in dubbio anche il mio istinto?» domandò la moglie, stringendo le dita affusolate sulla spalla.

Lui le prese la mano con gentilezza e la baciò. «Non dubito di te, né di nessun’altra persona presente qui, oggi. Vorrei solo poter ragionare lucidamente.»

Arwen sorrise. «Allora potrai farlo dopo un abbondante e ristoratore pasto. Immagino che Re Éomer e i suoi consiglieri siano stanchi e affamati, dopo il lungo viaggio.»

Il Re di Gondor colse il ghigno di approvazione dell’amico e si alzò. «Miei buoni amici, siete invitati a pranzo nella riservatezza della nostra casa. Vi attenderemo tra un’ora.»

Gli ospiti chinarono il capo, grati per l’offerta, e Arwen si avvicinò silenziosamente ai Nani. Quando Dwalin se la trovò alle spalle non riuscì a nascondere la sorpresa e arrossì furiosamente per essersi lasciato scappare un’esclamazione poco signorile in Khuzdul; Fili e Kili, d’altronde, si chinarono così tanto da far sfiorare le punte dei capelli al pavimento.

«Mia signora.» fece Thorin.

Lei sorrise gioviale. «Sarei felice se riusciste ad invitare anche la giovane Nana che vi accompagna. Ho trovato piacevole discorrere con lei e ora che dama Brethil non è più in città, avrei bisogno di una presenza femminile per compensare tutta questa mascolinità. E immagino che ne necessiti anche lei.»

Balin ridacchiò, ma il suo Re non fu dello stesso avviso. Non sapeva se fosse pronto per guardarla nuovamente negli occhi, dopo lo scherzo che la sua mente gli aveva giocato. Guardò Fili, la causa di quei dannati pensieri, felice oltremodo di offrirsi volontario per portarle personalmente l’invito; Kili, ovviamente, lo seguì di corsa, e lui si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo sotto le palpebre chiuse.

I due fratelli la trovarono in procinto di chiudere la pesante porta della fucina, ormai deserta. Era sola, notarono immediatamente.

«Ehilà!» cantilenò il più giovane, ridendo nel vederla saltare per lo spavento di non averli sentiti arrivare. E sì che erano giunti accompagnati da un bel fracasso, ma evidentemente i pensieri della Nana erano anche più chiassosi di loro.

«Buon giorno a voi.» disse lei, con una mano sul cuore nel vano tentativo di calmarlo. «Siete arrivati un po’ tardi per lavorare. A meno che non vogliate svolgere i vostri compiti il sabato pomeriggio.»

«Giammai!» esclamò Fili, con gli occhi azzurri quasi fuori dalle orbite. «Siamo qui in veste di portavoce.»

«Da parte della bella dama Arwen.»

«Che desidera averti accanto per pranzo, tra un’ora.»

«Saremo presenti tutti.»

«Anche il Re di Rohan!»

«Verremo a prenderti puntuali... o lo farà qualcuno, se noi non fossimo reperibili.»

«Sai com’è, dobbiamo prepararci anche noi e Kili in particolare è più vanitoso di una femmina.»

«Parla quello che spende più di un’ora intrecciandosi anche i peli delle gambe.»

Trán non riuscì a trattenere le risate, sommersa da quella ondata di parole che quasi la lasciò senza fiato. Ma non le sfuggì il motivo della loro visita e rimase interdetta per qualche secondo, prima di riuscire a blaterare qualcosa di sensato. «La Regina–me? Dite sul serio?»

«Mai stati più seri di così.»

«Ed è tutto dire.»

Trán mormorò solo un oh di assenso, incapace di proseguire oltre. I fratelli la salutarono con un sorriso talmente luminoso, che avrebbe fatto concorrenza al Sole stesso, e lei corse verso la sua abitazione, maledicendosi durante tutto il tragitto per non essersi portata abiti che rasentassero la soglia della decenza. Non che a casa, nei lontani Colli Ferrosi, avesse abiti degni di un pranzo in compagnia di una Regina dalla bellezza indescrivibile. Guardò disperata la sua piccola sacca di averi e riversò il contenuto sulla branda, su cui si lasciò cadere mentre studiava i pochi vestiti appallottolati.

Mahal, lei non apparteneva a quella congrega di persone! E non riusciva a capire perché dama Arwen volesse la sua compagnia, invece di quella delle sue ancelle – sicuramente più belle e loquaci di lei. Quasi scoppiò a ridere istericamente: era più che sicura che non sarebbe riuscita a spiccicare una sola frase senza inciampare sulle sue parole. Non con la Regina, né con il marito, neppure con i nipoti del Re di Erebor, e–

Thorin.

Spalancò gli occhi, rendendosi conto solo in quel momento che, se Fili e Kili avessero preso parte al pranzo, allora anche lui sarebbe stato presente. E allora non solo avrebbe fatto una figuraccia di fronte ai regnanti di Gondor, ma anche davanti ai suoi occhi. E lei, che aveva sempre ostentato una certa sicurezza nel rispondere alle sue provocazioni, non poteva permettergli di scoprire quel suo lato di debolezza che tentava sempre di nascondere, stando ben lontana da contatti sociali che esulassero dal suo cerchio familiare.

Si lasciò cadere sul letto e si prese la testa tra le mani, non sapendo come uscire da quella ridicola situazione. E perché Káel era dovuto sparire con Trión proprio quel giorno, lasciandola sola e senza supporto morale? Quella era senza ombra di dubbio la peggior giornata di sempre da quando si era messa in viaggio. Avrebbe preferito cento volte riprendersi quella dannata freccia sul braccio, piuttosto che mettersi in ridicolo di fronte alle più alte personalità della Terra di Mezzo.

 

 

 

Non seppe bene neppure lui come si ritrovò di fronte a quella porta di legno, con una mano chiusa a pugno sollevata a mezz’aria per bussarci contro le nocche. I nipoti, ovviamente, ne avevano la piena responsabilità e, prima di sparire per prepararsi per il pranzo – cosa dovessero preparare, poi, rimase un mistero – gli avevano detto che la Nana aspettava un cavaliere tra meno di un’ora, che potesse scortarla sana e salva a tavola. Aveva sperato che Balin si offrisse come volontario, o addirittura Dwalin, che in più di una occasione aveva mostrato di provare qualcosa simile all’affetto per la ragazza; invece niente di ciò che aveva auspicato accadde e la responsabilità era caduta chiaramente su di lui. E anzi, quello che avrebbe dovuto essere il suo migliore amico, aveva allegramente rigirato il coltello nella piaga, uscendosene con un “È tuo dovere accompagnarla, Thorin, visto che ormai dovresti averci fatto l’abitudine.”

Maledicendo lo spirito di patate del guerriero, bussò alla porta, con un sonoro sospiro, e attese pazientemente che qualcuno si accorgesse della sua presenza. Ma dopo una buona manciata di secondi, non udendo alcun suono provenire dall’interno, bussò ancora una volta, più forte, mentre la pazienza scemava con il passare del tempo.

«Arrivo, per Mahal!» udì la dolce e irritata voce della Nana, che scendeva rumorosamente le scale. «Voi due siete i Nani più–Oh!»

Thorin sollevò un sopracciglio, curioso di sapere quale gentile epiteto avesse in serbo per i nipoti; ma lei si era zittita nello stesso istante in cui, dopo aver aperto la porta, aveva realizzato chi si trovasse sull’ingresso di casa: perché, decisamente, quello non era né Fili né tantomeno Kili, pensò Trán, arrossendo fino alla punta dei piedi. Lo trovò bello, nel suo miglior completo regale, blu e argento, che tanto si intonava con il colore dei suoi occhi.

«Ti prego, non interrompere la frase per me.» la punzecchiò, con un ghigno. «Siete i Nani più–?»

«Irritanti.»

«Irritanti?»

«Sì, è quello che avrei detto.»

Thorin si accigliò. «Quindi deduco che ora sia rivolto a me. Sono irritante, per caso?»

La vide deglutire, mentre torturava il pomello della porta come se ne avesse colpa. «Oltremodo, mio signore.»

Lui si lasciò scappare un sospiro. «Tu devi sempre dire a voce alta ciò che pensi?»

«Se non erro, l’ultima volta che una cosa simile è successa, non ero esattamente io quella che parlava.» Trán trovò la forza di sorridere trionfante, vedendolo sbattere velocemente le ciglia, a disagio.

Thorin si schiarì la gola, notando solo in quel momento l’abito che le fasciava con grazia il corpo. Era di un verde sbiadito, che aveva visto troppi lavaggi per una sola vita, ma s’intonava con il contrasto di quei capelli rossi, ora sapientemente intrecciati. Aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per mostrarsi appetibile, nonostante la mancanza di materia prima, e suo malgrado la trovò adorabile, anche senza l’eleganza di una donna di corte. «Sei... diversa.»

La Nana corrugò la fronte. «Grazie... credo.» fu la sua incerta risposta, stringendo le labbra pur di non scoppiare in una risata. O a piangere.

«Sì, bene, credo che sia ora di andare.» tagliò corto Thorin, porgendole il braccio senza troppe cerimonie e deciso a porre fine a quell’assurdo teatrino. Lui voleva essere gentile e farle un complimento, e lei come sempre aveva rovinato tutto – anche se non era totalmente sicuro che quel diversa lo fosse realmente, un complimento.

Quel gesto ebbe il potere di farle ricadere addosso tutto il nervosismo dell’ora precedente e si ricordò il perché Thorin fosse alla sua porta, vestito così elegantemente.

«C’è qualche problema?» le domandò, appena iniziarono a camminare verso la Cittadella. «Sembri tesa.»

«Oh, sto per andare a pranzo con il Re di Gondor e il Re di Rohan, e la Regina ha chiesto espressamente di me. Tutto nella normalità, insomma.»

Thorin fece passare qualche secondo di silenzio. «E il Re di Erebor?» Con suo sommo piacere la vide arrossire.

«Lui si è preso la malsana abitudine di accompagnarmi ovunque a braccetto.»

Il Nano non seppe se considerare quelle parole un bene o un male. Forse non gradiva la sua compagnia, né un prolungato contatto fisico; o forse la innervosiva il semplice fatto che lei fosse così sfortunata (o fortunata?) da avere le attenzioni del Re Sotto la Montagna. Evitò di porle ulteriori domande, visto che poteva chiaramente percepire il suo nervosismo nella presa ferrea di quella mano troppo piccola rispetto alla sua, ma che gli avrebbe lasciato sicuramente qualche ricordo nel braccio stritolato con così tanta ed impensabile forza. Il gemello non mentiva certo quando parlava della sua mano pesante – e la sua guancia, questo, lo ricordava bene.

Raggiunsero in silenzio la Cittadella e lei buttò parecchie volte lo sguardo verso il panorama mozzafiato che tante volte, in quei giorni, aveva solo potuto immaginare, ma che non fece in tempo a godere. Thorin si appuntò mentalmente che l’avrebbe accompagnata sulla chiglia naturale di pietra, dopo aver mangiato – se lei avesse voluto. Raggiunsero la grande sala da pranzo, già animata da qualche commensale; videro Aragorn e la Stella del Vespro intenti a chiacchierare amabilmente con Éomer, e anche Balin e Dwalin erano già arrivati. Appena avvertì lo sguardo dei presenti rivolgersi verso di loro, Trán strinse il braccio di Thorin, se possibile di più, e questa volta con entrambe le mani.

«Rilassati.» le mormorò con fare rassicurante, mentre si avvicinavano al tavolo. «Sarai all’altezza di superare un paio d’ore, ne sono sicuro.»

Trán si morsicò un labbro nel vedere il lieve sorriso del Nano, che nel frattempo le aveva spostato la sedia accanto alla Regina per farla accomodare. Lui prese posto accanto a Dwalin, proprio di fronte a lei nella grande tavola tondeggiante, e non riuscì a distogliere lo sguardo finché anche lui la scrutò dietro una coppa di vino.

Arwen la salutò in Elfico e Trán sperò che non continuasse a farlo, perché non avrebbe saputo come spiegarle che, nonostante le sue origini, non sapesse niente di quella lingua.

«Sono lieta che abbia accettato l’invito. Mi piacerebbe discorrere con te su Ainariël, se lo desideri.»

Trán chinò il capo, prendendo un respiro profondo prima di parlare. «Ne sarei onorata, mia signora. Mi incuriosisce molto conoscere la sua storia.»

Il pranzo iniziò quando anche i nipoti di Thorin e i due uomini di Éomer giunsero a chiudere il cerchio, e Trán non ricordò di aver mangiato così bene e così abbondantemente in tutta la sua vita. Era così che si viziavano, i nobili? Con fiumi di vino rosso dall’odore pungente che l’avrebbe ubriacata solo ad annusarlo, e carne e patate in tutte le salse?

Per sua fortuna, Arwen raccontò a lungo della sua ava e ne fu affascinata per la prima volta da quando ne aveva scoperto l’esistenza: le disse che fosse una donna impetuosa, soprattutto in giovane età, e che aveva lasciato il Lindon dove era nata, per trasferirsi ad Imladris e diventare una curatrice alla corte di suo padre, finché non conobbe il Nano che la fece innamorare e lo seguì fino ai lontani Colli Ferrosi. Trán si chiese come potesse esistere un amore così profondo da portare un essere immortale come lei ad innamorarsi di qualcuno così diverso, che sarebbe stato solo uno sbiadito ricordo dopo qualche centinaio di anni; ma capì che dovesse essere sconfinato, soprattutto se pensava alla donna che aveva accanto, che aveva rinunciato ad una vita immortale pur di stare vicino al suo amato. In fondo, non era come rischiare la propria vita, o darla direttamente, per salvare l’altra metà?

Si rese conto troppo tardi dei suoi pensieri, e si affrettò ad aggiungere mentalmente che ciò che fece per Thorin non implicava un sentimento così forte per quel testardo ed orgoglioso che... la stava osservando con troppa insistenza. A nessuno dei Nani presenti sfuggì l’innumerevole scambio di sguardi che o Thorin o Trán lanciavano dall’altra parte del tavolo, quando l’uno o l’altra fossero distratti e non potevano accorgersene. E non passò inosservato neppure agli occhi attenti della Regina, che sorrise e si chinò sulla Nana per sussurrarle qualcosa.

Trán affogò il viso dietro la coppa di idromele, nascondendo il suo imbarazzo. E che Mahal fulminasse la Mezz’Elfa che le sedeva accanto per ciò che le aveva detto! «Temo che–che abbia frainteso, mia signora.» mormorò, sentendo le guance andarle a fuoco. «La nostra razza dimenticherà come scalfire una roccia, quando io e... e... sire Thorin saremo... promessisposi.» Pronunciò le ultime due parole con così tanta fretta e vergogna, che la Regina la capì a stento.

Arwen parve sorpresa, guardando ancora una volta il Re dei Nani, ora nuovamente concentrato su ciò che Éomer diceva. «Allora sto iniziando a perdere le mie capacità di giudizio, giacché avrei creduto il contrario.»

Trán non volle indagare oltre sui motivi che l’avevano spinta a credere tanta ridicolosità. Il solo pensiero era assurdo, sopra ogni dire. E, anzi!, non solo i Nani non avrebbero più saputo fare il loro lavoro, ma lei avrebbe addirittura imparato a cucinare. Del resto, era più probabile una catastrofe simile, prima che lei diventasse sul serio Regina di Erebor.

Regina di Erebor!

Il solo pensiero aveva il potere di farla scoppiare a ridere, ma non certo per il divertimento.

Si rese conto che qualcuno le avesse rivolto la parola solo perché si accorse di un improvviso silenzio; e peggio ancora, dieci paia di occhi erano puntati su di lei, in attesa di una risposta che tardava ad arrivare. Lei, che trovava difficile parlare con un solo sconosciuto, avrebbe dovuto farlo nel più completo silenzio di fronte a così tante persone? Che Mahal fulminasse anche loro, dov’erano Legolas e Brethil che parlavano al suo posto, quando l’imbarazzo diventava troppo da sopportare e non riusciva ad aprire bocca?

Istintivamente spostò lo sguardo su Thorin, che le accennò con un lieve gesto del capo Éomer; a quanto pareva, era stato proprio lui a rivolgerle la parola.

«Co–» Trán inspirò e si schiarì la gola, ormai secca nonostante avesse bevuto tutto il contenuto del suo bicchiere in un unico sorso. «Come, prego?»

Éomer, Uomo bello e carismatico, ripeté con gentilezza. «Dicevo che ho alcune spade da far affilare e da lucidare, armi di mia proprietà e di alcuni dei miei soldati; dato che sire Thorin e i suoi sono occupati con la realizzazione del cancello, il tuo Re mi ha consigliato di chiederti il favore di farlo al suo posto; a quanto pare tiene in alta considerazione il tuo lavoro, pur essendo una fanciulla, e voglio fidarmi di lui.»

Prima di rispondergli, o almeno di tentare di formulare una risposta, Trán si chiese quanto tempo sarebbe ancora passato prima che il suo viso esplodesse, una volta per tutte, a causa del sangue che lo stava imporporando troppo spesso in quelle ultime ore. Tentata di replicare una volta per tutte che no, Thorin non era il suo Re, e che non ci fosse nulla di sbagliato in una donna che lavorava il ferro, si ritrovò invece a contemplare la musicalità di quelle parole e del loro significato. Davvero il Nano la considerava un buon fabbro, tanto da affidarle le armi dei Rohirrim, invece che occuparsene personalmente? «Io ne sarei... onorata, mio signore.»

Il Re di Rohan la ringraziò, ma la speranza che le attenzioni vertessero altrove svanì nel momento in cui le chiese come mai avesse intrapreso un mestiere duro come quello del fabbro.

Trán strinse le labbra e le mani, intrecciate sul grembo ed intente a torturare il tessuto del suo abito. «Con il dovuto rispetto, sire, ma... una Nana è in grado di alzare un martello come un Nano.» deglutì prima di proseguire, ora un po’ più spiccata, giacché era stato il suo orgoglio femminile ad essere stato scalfitto. «Provengo da una famiglia in cui le donne hanno sempre lavorato: mia madre mi insegnò il mestiere, così come lo insegnò a mio fratello, e prima di lei mia nonna.»

«Non volevo recarti offesa.» Éomer si accarezzò distrattamente la barba. «Pensavo solo che dovrò seriamente cambiare la mia opinione sulle femmine; dopo mia sorella e Brethil, eccone un’altra che pare essere in grado di cantarle persino a messer Gimli!»

Dwalin soffocò una risata con un colpo di tosse. «Non mi riesce difficile immaginarlo.»

Trán lo ringraziò con un’occhiata e tornò a respirare normalmente solo quando la conversazione si spostò verso altri lidi. Ma non riuscì a distogliere lo sguardo da quello di Thorin; vedeva male, o quelle labbra sottili erano lievemente piegate verso l’alto?

Non si sentì più sollevata quando il pranzo finì, come aveva intimamente sperato, poiché Fili e Kili la sommersero immediatamente di domande, per sapere cosa la Regina le avesse raccontato di così tanto interessante.

«Dovresti ringraziare che tuo fratello non ti abbia veduta, oggi.» ridacchiò Kili. «Eri più imbarazzata di un verme!»

«Sono sicura che provvederete a raccontargli ogni dettaglio appena lo vedrete.» borbottò lei, incrociando le braccia al petto.

«A proposito, Káel dove è?» domandò l’altro, perplesso. «Sapervi separati mi sorprende quanto vedere te con un abito elegante.»

Ignorò volutamente l’ultima parte della frase. «È andato con due ragazzi alla locanda, e si è portato dietro anche Trión. Temo che voglia festeggiare l’arrivo del fine settimana.»

«Allora, credo che ci uniremo molto presto a lui.» decretò Fili, il cui tono birichino non prometteva niente di buono.

Per sua fortuna, o forse per la ragione opposta, fu salvata dall’ultima persona che avrebbe voluto affrontare. Thorin le si affiancò, le mani incrociate dietro la schiena, e il solito cipiglio severo a mascherargli l’impassibile e bel volto. «Farete bene a comportarvi in maniera impeccabile, oggi come qualsiasi altro giorno. Non voglio trovarmi costretto a raccogliervi ubriachi, stanotte. Sono stato chiaro?»

I nipoti incurvarono la schiena sotto lo sguardo pesante dello zio, e ripeterono in coro un sì, signore che più appassito di così non sarebbe potuto essere. Thorin li osservò mentre si allontanarono, in compagnia di Balin e Dwalin che videro bene di non aspettarlo; sospirò, esasperato dal comportamento dei suoi più fedeli amici, e tornò a concentrarsi sulla ragazza che aveva accanto. Nonostante fosse visibilmente a disagio, notò che con lui non osasse abbassare né il capo né lo sguardo, e si sentì fremere – se fosse rabbia o piacere non seppe dirlo.

Lasciarono la sala da pranzo in silenzio, ma senza braccia intrecciate di alcun genere. Dopo ciò che dama Arwen aveva insinuato sul loro conto, Trán non aveva intenzione di dare ulteriore adito ad altre dicerie simili e preferì mantenere le distanze. Thorin ne fu infastidito, ma non obiettò.

«Ti ringrazio, per prima.» mormorò Trán, mentre osservava i Campi del Pelennor, che lentamente si facevano spazio oltre le mura della Cittadella mentre vi si avvicinava.

Thorin non parve capire. «Per quando?»

«Per quello che hai detto sul mio lavoro.»

«Ho detto il vero. Non saprai come maneggiare una spada, ma sai come riportarla a nuovo.» Thorin sorrise con una punta di malizia, pensando a ciò che stava per dire. «Dovresti invece ringraziarmi per non aver espresso questo pensiero a voce alta, invece. Ero molto tentato.»

La vide alzare gli occhi al cielo e ridacchiò sommessamente. Da quando avevano messo la pietra sopra ciò che avevano passato, trovava incredibilmente divertente punzecchiarla e vedere che lei, nonostante tutto, stesse al gioco. Era incredibilmente piacevole. «Perché prima farfugliavi?»

Trán si fermò, sporgendosi sulla balaustra in pietra per osservare la città sotto i suoi piedi. Evitò di guardarlo. «Mi succede quando non sono a mio agio, mi pare ovvio.»

Non vide il sorriso di sollievo sul viso del Nano. «Non mi sembri a corto di parole, ora. Vuol dire che sei a tuo agio?»

Rimase piacevolmente sorpreso dalla risposta che ricevette, parafrasando la sua. «Tu sei... diverso

Thorin spostò lo sguardo verso la visuale mozzafiato di Gondor e inspirò a pieni polmoni l’aria del sud. Stava imparando ad adorare quel piccolo angolo di tranquillità della Cittadella, con il vento che lì sferzava con più forza e la maestosità di Minas Tirith a portata d’occhio. Gli ricordava la terrazza di Erebor, che si affacciava sulla valle e guardava alla distrutta Dale; e se si voltava, dando le spalle all’aria aperta, avrebbe potuto godere della grandiosità del suo Regno, con le imponenti colonne scolpite nella roccia e i baratri senza fine che la rendevano unica e pericolosa.

Rimasero lì, in silenzio, a godere di quella pace di un sabato pomeriggio; lei seduta sulla panca in corrispondenza di una feritoia, lui in piedi con le mani poggiate sulla levigata pietra del parapetto. Stettero immobili per quelle che parvero ore, senza il coraggio di interrompere il silenzio e i suoni ovattati della vita che, molti metri più in basso, continuava il suo corso; non vi era comunque necessità di parlare, poiché i loro occhi, che si incontravano di quando in quando, comunicavano molto più della lingua.

Quando il vento si fece troppo sferzante, allora Thorin si mosse, porgendole una mano per aiutarla a rimettersi in piedi. Chinò il viso, la Nana, poiché quello che vide nelle iridi azzurre del Re le fece mancare il respiro. Tentò di sciogliere la gentile, ma salda presa della sua mano in quella grande di lui, ma Thorin non glielo permise, non quella volta. Con fermezza, ma stando ben attento a non farle del male, la costrinse ad intrecciare il braccio intorno al suo. Non gli interessava cosa avrebbero potuto dire gli altri Nani nel vederli così, né il pensiero delle battutacce dei suoi amici gli sfiorò la mente. Tutto quello che voleva, in quel momento, era sentire la vicinanza di quella ragazzetta che, in un modo o nell’altro, aveva attirato la sua attenzione e acceso un calore nel suo animo che non credeva di poter provare, se non per la sua famiglia e i suoi più stretti amici.

Vide il timore in quegli occhi grandi, spalancati per lo stupore della sua vicinanza, per quel gesto che pareva affettuoso. Eppure, se Thorin non fosse stato così cieco, avrebbe capito quel quella reazione era sì di paura, ma non nei suoi confronti. Trán era spaventata, terrorizzata a ben vedere. Ma per quello che il suo cuore e la sua mente le stavano facendo provare. Aveva odiato quel Nano con tutte le forze, poiché era quello lo scopo – farsi detestare con quel suo insopportabile comportamento; aveva tentato di cacciare via l’immagine che si era creata di un Re valoroso e giusto, che aveva sacrificato gli anni della sua vita con il duro lavoro e le battaglie per recuperare ciò che era perduto, perché il Thorin che aveva conosciuto era tutto fuorché degno di rispetto. Ci aveva tentato, ma aveva fallito. E sentiva che le sue difese, che aveva eretto con tanta fatica, stavano lentamente crollando e lei non doveva, non voleva soffrire.

Che cosa avrebbe potuto darle, del resto?

Camminarono verso la locanda, dove erano sicuri di trovare il resto dei loro amici e parenti, e continuarono a stare in silenzio. Ma a differenza di ciò che avevano temuto entrambi, non ci fu imbarazzo né disagio, e si fecero scivolare addosso le occhiate incuriosite e ammirate di molti Uomini e qualche Nano che li osservarono, chinando il capo al loro passaggio, come si confà ad un Re e alla sua Regina.

Proseguirono lentamente tra le vie di Minas Tirith, per un’abbondante mezzora che parve solo pochi minuti, e quando finalmente, o purtroppo, giunsero alla porta della locanda, dal quale proveniva un gran baccano e tante risate, Thorin si portò alle labbra il dorso della mano della Nana e Trán non riuscì a fermare un sospiro.

Quando entrarono nella locanda, i loro compagni colsero al volo le due sagome e ammutolirono per qualche istante. Poi il rutto di qualcuno ruppe il silenzio, e ripresero a ridere come dei matti.

Trán scambiò un’occhiata perplessa con il suo accompagnatore, che accennò alla porta. «Siamo ancora in tempo per scappare.» E come se i nipoti lo avessero sentito, gli si fiondarono contro con un boccale di birra, che gli ficcarono in mano senza troppe cerimonie, rischiando di versarne metà sulla sua bella e pulita tunica.

Trán ridacchiò, preparandosi al peggio. «Troppo tardi.»

 

 

 

 

*

 

*Hakhakh (cane) Hodh (faccia); quindi faccia da cane.

Non ho voluto avvertirvi dell’infinito fluff presente in questo capitolo, volevo farvi una sorpresa! ;)

Alla settimana prossima! *^*

Un forte abbraccio,

Marta.

 

   
 
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