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Autore: afep    19/10/2013    3 recensioni
"C’è stato un tempo in cui mi facevo beffe del vento, e sfidavo l’impeto del mare al comando delle mie navi per raggiungere le coste delle terre degli Angli. Laggiù ho ucciso e saccheggiato, combattuto e depredato, seminando il terrore in quei pavidi Sassoni che tremavano come giovinette alla vista dei miei uomini armati e delle nostre prue decorate con draghi, lupi ed altri animali da incubo.
Wìcing, ci chiamavano, quando compivamo quelle razzie. Vichinghi..."
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Medioevo
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Si è calmato il vento.
Sigunn, la moglie di mio figlio Heikir, dice che è un ottimo auspicio, e per una volta sono d’accordo con lei anche se non credo che le sue motivazioni coincidano con le mie.
Per la mia giovane nuora le raffiche che calano significano che le tempeste marine a sud sono cessate, e che presto suo marito potrà ordinare agli uomini di mettere in acqua i remi per tornare a casa. Per me, significa solo che posso camminare sulla scogliera senza temere che una folata più forte delle altre mi faccia perdere l’equilibrio, spingendomi di sotto.
C’è stato un tempo in cui mi facevo beffe del vento, e sfidavo l’impeto del mare al comando delle mie navi per raggiungere le coste delle terre degli Angli. Laggiù ho ucciso e saccheggiato, combattuto e depredato, seminando il terrore in quei pavidi Sassoni che tremavano come giovinette alla vista dei miei uomini armati e delle nostre prue decorate con draghi, lupi ed altri animali da incubo.
Wìcing, ci chiamavano, quando compivamo quelle razzie. Vichinghi.
Oh, erano giorni gloriosi, quelli, quando con i miei quattro equipaggi di vichinghi danesi mettevo a ferro e fuoco le coste della Northumbria, dell’Anglia Orientale e della terra degli Scoti.
Ma molti non mi credono, a volte, quando racconto loro le mie storie.
Certo, non posso dargli torto. Mi guardano, e cosa vedono?
Vedono una vecchia, una donna, con le trecce bianche ed il volto rugoso.
Non immaginano che queste mie mani, che ora stringono le dita morbide del figlio di mio nipote, un tempo brandivano la spada con la stessa fermezza di uomo, e che questo braccio ha sopportato più e più volte il peso di uno scudo, sollevandolo per parare i colpi nemici.
A volte penso che, quando sarò morta, il nome di Sissel Othinsdottir finirà nell’oblio, e nessuno si ricorderà più delle mie gesta. Spesso accade già che, nelle loro canzoni, i bardi tramutino il mio nome in Sesil, come se fossi un uomo. Quando li sento vado su tutte le furie; se solo avessi ancora le forze di un tempo darei loro quanto gli spetta, ma non riesco più a maneggiare le armi come quando ero giovane, così devo accontentarmi di farli cacciare a calci dalla mia proprietà.
Non amo i bardi, ma li trovo ingegnosi. Loro scelgono ed allineano le parole come io potrei fare con i miei guerrieri migliori, e per una bella canzone si fanno pagare denaro sonante.
Ne ho uno nuovo, un Sassone catturato e regalatomi da uno dei miei figli, che per accattivarsi le mie simpatie tesse le mie lodi come nemmeno un amante saprebbe fare.
Nei suoi canti mi chiama Sissel la Bella, Sissel la Radiosa, ed ogni volta io gli lancio una moneta perché la finisca. Non ero bella, da giovane, e non lo sono mai stata.
Certo, non nego che il mio viso fosse abbastanza gradevole, un tempo, ma questo prima che il bordo di uno scudo mi rompesse il naso durante uno scontro, e che un uomo cercasse di aprirmi la guancia con un pugnale durante una rissa.
Non ero leggiadra, radiosa, o bella, come canta quell’inutile bardo. Al contrario, ero alta e robusta, muscolosa come un uomo. Potevo guardare gli altri condottieri negli occhi senza dover sollevare il capo, e combattevo con la stessa furia dei migliori guerrieri.
A volte, mentre guardo la distesa scura e minacciosa del mare che si estende fino all’orizzonte, provo nostalgia per quei tempi. Ero forte, veloce ed ardita, e pochi uomini osavano attaccare un luogo quando vi sventolava il mio vessillo. Ogni tanto, se chiudo gli occhi, posso ancora sentire lo schianto delle armi sugli scudi, le urla, i rantoli ed i grugniti dei guerrieri in battaglia, ed allora stringo l’elsa della mia spada, che porto ancora alla cintola sebbene Sigunn e le mie altre tre nuore disapprovino fortemente.
Ma nonostante le loro lamentele io mi ostino a tenere al fianco le mie vecchie, fidate armi, e le impugno ogni volta che chiudo gli occhi, perché sono vecchia e la mia ora si avvicina rapidamente. Sono stata un guerriero per tutta la vita, ma solo morendo con la spada in pugno potrò ascendere finalmente ai piaceri del Valhalla, dove verrò accolta con gioia dagli amici e dai nemici spirati prima di me, e dove passerò il resto dell’eternità tra combattimenti, festeggiamenti ed orge, se Odino mi concederà qualche bel giovane robusto, fino alla Grande Battaglia Finale.
Ho passato da qualche stagione il mio ottantesimo anno d’età, e so che non manca molto. Sarei dovuta morire molto tempo fa.
Il maggiore dei miei figli ha già fatto tirare in secca la Azzannaonde, la mia vecchia nave, troppo malridotta per viaggiare ma perfetta per assolvere al suo ultimo compito.
Sarà lì, tra le panche dei rematori, che il mio corpo arderà sulla pira in un glorioso tripudio di fuoco, e con la mia morte la memoria di ciò che è stato sbiadirà ancora di più, come un panno di lana appena tinto e lasciato troppo a lungo al sole.
Ma fino ad allora io continuerò a scrutare il mare, a portare le armi alla cintola e a presiedere alle feste nella mia Aula, dall’alto della pedana.
Perché io sono Jarl Sissel Othinsdottir.
Ed ancora, vivo.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Okay, prima che mi mangiate viva, lo so che all’epoca le donne non combattevano, ma la protagonista del racconto mi ronza in testa già da un po’, e volevo scrivere qualcosa su di lei, prima di lanciarmi in una storia a più capitoli.
Una precisazione: ad un certo punto, nel testo, Sissel dice di essere stata "un guerriero". Questo non è un errore; ho infatti volutamente usato questo termine, perché volgere la frase al femminile mi sapeva troppo di saga fantasy, allora ho preferito lasciare il tutto al maschile, come se si trattasse di una professione odierna (come, ad esempio, "medico", o "ragioniere").
Spero che questo mio delirio sia verosimile, visto che è la prima volta che mi avventuro nel genere storico.
Grazie per la pazienza e l’attenzione :)
Afep

 
  
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