Autumn – L'oro dei tuoi occhi
Era il
tramonto su Karakura Town. Il sole brillava rosso contro
all'orizzonte, illuminando di un rilassante ocra tutto il paesaggio
che aveva la fortuna di essere baciato dai suoi raggi.
Era
autunno. Gli spazi aperti di fortuna, in mezzo a tutti quegli edifici
accatastati, risplendevano ancor di più di giallo e di arancio
sotto a quella calda luce del tardo pomeriggio. Ma era forse il
fiume, la parte più bella, quella che catturava di più l'occhio. Le
increspature dell'acqua sembravano tante piccole scintille dorate,
che scomparivano e ricomparivano seguendo il placido scorrere della
corrente.
Osservare la città dall'alto era
uno dei suoi passatempi preferiti. La classifica l'aveva rifatta da
poco, stilando quel piccolo squarcio di tranquillità ai primi
posti.
Seduto su di una collina verde, l'unico colore che ancora
non s'era lasciato sopraffare del tutto dalla stagione dell'oro,
poteva stare a riflettere, godendosi gli ultimi istanti di veglia di
un sole che si preparava ad illuminare un'altra parte di mondo.
Come
al solito, i suoi occhi grigi saettavano da una parte all'altra della
città, tenendola sotto controllo come avrebbe fatto un guardiano. Si
sentiva un po' così, rispetto a quell'agglomerato di tristi
costruzioni, strette l'una all'altra. Forse a qualcun altro non
sarebbe importato molto. Eppure per lui, quella Karakura era
diventata qualcosa di più di un semplice luogo in cui vivere. Era
diventata casa sua.
C'era una leggera brezza, quel giorno, che più
di una volta aveva rischiato di fargli perdere il cappello. Per
sicurezza lo aveva tolto, poggiandoci sopra una mano, per assicurarsi
che non volasse via. Anche quel piccolo oggetto, che aveva iniziato a
far parte della sua quotidianità molto tempo prima, aveva acquistato
una posizione importante nella sua esistenza. Senza, probabilmente,
si sarebbe sentito perso.
Per uno shinigami bandito come lui non
c'era molto da fare nel mondo umano, se non quello di provare a farsi
una vita che sembrasse normale agli occhi degli altri. Ci aveva
provato, allestendo un negozio, dimostrandosi amichevole con tutti. E
poteva in parte dire di esserci riuscito. La sua identità era
perfettamente mascherata, e fra i terreni non c'era alcun sospetto
che lui fosse qualcosa di diverso. Forse qualcuno, ma la cosa non era
importante.
Eppure, durante i momenti di solitudine come quello,
c'era sempre qualcosa che mancava. E quel qualcosa aveva un nome e un
cognome.
Essere banditi dalla Soul Society significava non potervi
mai più fare ritorno, tranne in casi eccezionali in cui la sentenza
veniva rivisitata e modificata. Nel suo sfortunato caso, niente di
tutto ciò era accaduto, e lo stare lontani da quella che era stata
la propria dimora per anni e anni aveva il suo che di doloroso. Ma
non era tanto il luogo in sé, a mancare. Era chi c'era dentro, di
cui sentiva la mancanza.
Sapeva bene che poteva ricevere sempre
una sua visita. D'altronde, lei aveva libertà di movimento, non come
lui. Sapeva altrettanto bene, però, che avesse altro lavoro da fare,
con la propria esistenza che continuava il suo corso.
Un fragolo*
da addestrare al meglio, nonostante Rukia Kuchiki fosse stata
liberata. Una servitrice asfissiante e onnipresente** con manie di
protagonismo ai suoi occhi e il disperato desiderio di sorpasso. E,
ovviamente, la sua vita. Tutte cose che le occupavano tempo, e la
tenevano lontana da lui.
Ma non posso lamentarmi, pensò Kisuke,
sorridendo lievemente alla sua Karakura; sei lei è felice, lo sono
anche io.
Il silenzio che permeava intorno a lui era soave.
Soltanto il fischio del vento, e un lontano cinguettio degli uccelli
lo interrompevano. In quei momenti, gli piaceva immaginare che fosse
lì con lui.
Si sdraiò sull'erba, chiudendo gli occhi, il cappello
ancora saldamente stretto sotto alla sua mano. Prima ancora che se ne
rendesse conto, cullato dal silenzioso moto dell'aria fra i suoi
capelli, e dai tiepidi raggi del sole contro alla pelle, si
addormentò.
Al suo risveglio, lo attendevano un paio di occhi
gialli, fissati nei suoi con un'espressione incuriosita. Sobbalzò
appena, sbarrando i propri, tirandosi su di scatto. Più che la
sorpresa di essersi trovato qualcuno di fronte al suo risveglio, era
senza parole per quella vista. Non poteva
essere.
«Urahara,
siamo un pochino agitati? Il risveglio dovrebbe essere qualcosa di
dolce, visto che ti sei assopito soltanto per pochi minuti.»
Gli
sorrise, Yoruichi, sistemandosi meglio nella sua posizione. Aveva le
gambe e le braccia incrociate, sul viso il sorriso furbetto che la
contraddistingueva.
Non gli pareva vero, di averla lì. Non gli
pareva vero che finalmente, dopo tanto tempo di lontananza, potesse
di nuovo averla vicino, seppure per un momento.
La mano sopra al
cappello si strinse leggermente, piegando il tessuto verde e bianco
sotto alle proprie dita. Sul suo viso si allargò un sorriso, mentre
la fissava in quegli occhi color oro che avrebbero fatto invidia
all'autunno, e al sole.
«Yoruichi...non ti aspettavo.»
Le sue
labbra si incurvarono in un sorriso chiaro come il cielo. Occhi color
sole, un sorriso fatto di cielo. Eppure la sua pelle era scura come
la terra, la terra su cui passava sempre, che c'era sempre stata
sotto ai suoi piedi per tutti quegli anni. E i suoi capelli, i suoi
capelli erano come la notte, quando l'alba si appresta a fare la sua
entrata in scena, e le stelle iniziano a sparire, lasciando il posto
a un firmamento che si tinge di un viola profondo e scuro.
Tremò,
Kisuke, sotto a quel suo sguardo. Tremò, di fronte alla bellezza di
una perla nera e perfetta come lei.
«Lo so, se mi avessi
aspettato non sarebbe stata una sorpresa. Volevo venire a
trovarti.»
Il biondo si rilassò appena, nel vederla così
tranquilla. Si portò a sedere, al suo fianco, tornando a guardare
l'orizzonte. Stava calando la sera, e le parti più alte del cielo
iniziavano ad imbrunire.
Con
delicata tranquillità ascoltò la sua voce che iniziava a parlare,
raccontandogli delle ultime vicende accadute. Erano parole
rilassanti, serene, parole di una donna che amava la sua vita e il
modo in cui la stava portando avanti. La invidio, si disse l'uomo
dagli occhi grigi, la invidio per essere nel luogo in cui deve
essere, il luogo a cui appartiene.
Non
seppe dire quanto durò il discorso, fintanto che ad un certo punto
chiuse gli occhi, per immaginare meglio le scene di lotta che gli
descriveva. Colpi su colpi, la sua coda alta che scintillava al sole.
Pur stando ascoltando un racconto generale, il suo sguardo, nella sua
immaginazione, non poteva che essere rivolto a lei. A volte gli
sembrava che quella donna fosse nata per essere una guerriera, una
protettrice, un appiglio. E non poteva fare a meno di chiedersi, se
oltre all'essere una shinigami forte e sicura, fosse anche una donna
da cuore dolce e insicuro, alla ricerca di un po' di protezione.
Fu
quando sentì la sua voce interrompersi a metà di una frase che lo
sguardo tornò su di lei, chiedendosi per quale motivo avesse
troncato a metà la frase. Anche il suo sorriso si spense, quando
notò che stava fissando l'orizzonte, seria, senza più felicità
nella sua espressione.
Si mosse senza nemmeno accorgersene. Le
portò una mano sulla guancia, lasciando che sobbalzasse leggermente
al suo tocco, voltandosi a guardarlo. Si squadrarono per un momento
che gli parve infinito. E il suo cuore, giurò Kisuke, aveva deciso
di bucargli il petto, perchè stava battendo troppo forte contro alla
cassa toracica, tanto forte da togliergli il respiro.
«Devo
andare, Urahara.»
Quella frase gli arrivò come una pugnalata
dritta alla gola. Vide, fra le sue mani, un dispositivo usato per
comunicare con la Soul Society, il display accesso e lampeggiante. Le
rivolse uno sguardo addolorato e triste, sperando che capisse che
voleva più tempo, che desiderava avere ancora qualche minuto. Non
era pronto a lasciarla andare, non era pronto a passare altro tempo
da solo, senza mai vederla. Sperò che lo sguardo che lei gli stava
rivolgendo smettesse di esistere, perchè era insopportabile vederla
così dispiaciuta, senza poter spazzar via la causa del suo
dolore.
«Kisuke.» - La corresse con un sorriso, sperando di
contagiare di dolcezza anche il suo, che si era dipinto con una
sfumatura troppo evidente di nostalgia.
La vide avvicinarsi,
stringendogli le braccia al collo mentre la testa si appoggiava
nell'incavo della spalla, in una specie di abbraccio, uscito
d'istinto, senza premeditazioni precedenti. La strinse a sua volta,
pregandola in un sussurro di restare, di non andarsene, di rimanere
lì con lui. Annusò il suo profumo mentre continuava a stringere il
copricapo fra le mani, sentendo che il vento s'alzava di nuovo. Ebbe
paura, per un momento, che quella brezza gliel'avrebbe portata
via.
Fu mentre la stava lasciando, allentando la presa, che
successe. In uno scatto felino, degno della sua seconda forma, si
ritrovò il viso della ragazza a pochi centimetri dal proprio. Sentì
il suo respiro contro al mento, mentre il suo indice sfiorava con
delicatezza la barba appena accennata. Vorrei, ma non posso, si sentì
sussurrare con un filo di voce. Si specchiò in quegli occhi grandi e
brillanti, in quello sguardo magnetico, illudendosi, per un momento,
che tutto il mondo attorno a loro sparisse.
E mentre il sole
scendeva, scivolando completamente lungo all'orizzonte, trovò il
coraggio.
Si chinò su di lei, chiudendo gli occhi, la presa
sulla sua guancia che si fece quasi nervosa quando poggiò le proprie
labbra su quelle della ragazza. Non ci misero molto, però, che quel
piccolo e timido contatto diventò qualcosa di angosciato, un bacio
feroce e impetuoso che non accettava la propria sconfitta al
resto.
Strinse e si sentì stringere con una forza disperata, le
loro lingue che si intrecciavano violente, sperando, forse, di poter
creare un legame troppo forte per essere distrutto.
Fu l'aria a
mancare, a costringerli alla resa. Aveva il respiro affannato,
Kisuke, e odiò i suoi polmoni per aver cercato ossigeno così
presto. Trovò finalmente la forza di socchiudere gli occhi, fissando
lo sguardo in quelli già aperti della ragazza fra le sua braccia.
Si
scostò da lui, con uno sguardo che lo implorava di scusarla. Fu nel
momento di sorpresa, in cui cercò di attirarla nuovamente a sé, che
il suo cappello scivolò via dalle sue dita, volteggiando lento e
triste nell'aria. Se non fosse stato troppo impegnato da altro, si
sarebbe sicuramente messo a rincorrerlo.
«Kisuke.» - Lo chiamò
infine la nobile, mentre si apprestava ad alzarsi in piedi. La
guardò, gli occhi di un bambino che aveva perso il suo aquilone
preferito. Pregò di aver la forza di fermarla, di stringerla fra le
braccia per non lasciarla mai più andare. Pregò, anche se sapeva
che il tempo stava scorrendo inesorabile verso il momento in cui lei
sarebbe sparita dalla sua vista.
«...Non dimenticarmi. Tornerò
sempre.»
Furono le ultime parole che sentì, percependole con un
ritardo che gli costò troppo caro, prima che con una folata di vento
la ragazza dalla pelle ambrata scomparisse, facendo sembrare quella
collina desolata e sola come mai gli era capitato.
Fissò
con sguardo vuoto il punto in cui era scomparsa, ancora incredulo,
portandosi una mano contro al petto, in corrispondenza del cuore. Si
sentiva come se al suo posto ci fosse un buco. Ma non ne fu sorpreso.
Andandosene, lei lo aveva portato via.
Sbarrò gli occhi di
colpo, scattando a sedere. Si guardò attorno, spaesato, notando che
il sole era agli sgoccioli della sua luce, pronto a far calare la
notte. Si passò una mano sul viso, osservando con un occhio il
paesaggio attorno a sé.
Esattamente come l'aveva lasciato, prima
che chiudesse gli occhi, prima che lei...
Di colpo abbassò lo
sguardo sulla propria mano destra, provando un tuffo al cuore. Il
cappello era ancora lì, i bordi mossi morbidamente dalla brezza
leggera di quel tramonto.
Il cuore fece male, a Kisuke.
Era
stato solo un sogno.
Nella
via di casa camminava a capo chino, il copricapo da pescatore calato
sui capelli biondi. Lo sguardo fisso a terra di chi, per l'ennesima
volta, è stato solo vittima di un'illusione, di un miraggio troppo
reale.
Sorrise tristemente, poggiando ancora una volta la mano
contro al petto. Non c'era un buco, come nel suo sogno. C'era il
cuore, lì dentro, lo sentiva pesare sopra gli altri muscoli.
Fu
in quel morente tramonto di Karakura Town, nella dorata luce di un
sole rosso che illuminava l'autunno dei suoi mille colori di fuoco.
Fu in un ultimo sguardo rivolto alla sua precedente postazione, la
collina verde risparmiata all'incendio della stagione dell'oro, che
gli parve di scorgere, con una mano alzata verso il cielo in segno di
saluto, una giovane donna dalla pelle scura come la cioccolata, e i
lunghi capelli viola che frustavano pigramente l'aria.
Fu in quel
tramonto sfavillante e vivo, in mezzo alle foglie gialle degli alberi
e alle prime stelle della sera in arrivo, che Kisuke Urahara dubitò
per la prima volta di non aver soltanto sognato il suo tesoro più
caro, la sua ricchezza più grande in mezzo a tutto quell'oro della
sua sola ed unica casa.
Angolo dell'Autrice
Buongiorno a
tutti voi, impavidi lettori di questa storia!
La mia prima fic nel
fandom di Bleach, e temo proprio che non sia anche l'ultima.
Mi è
capitato di pensare ad Urahara mentre facevo un giro in un viale
alberato, guardando le foglie cadere. In seguito, una volta a casa,
dopo aver riguardato il film “Bleach – Memories of Nobody”, ho
pensato che sarebbe stato carino fare una storia su uno dei miei pair
preferiti in tutto Bleach, associandolo alla mia stagione preferita:
l'autunno.
Mi sono divertita a giocare con i colori di questa
stagione, del sole, dell'oro e degli occhi di Yoruichi. Spero
soltanto che queste mie piccole comparazioni siano ben
riuscite.
Grazie a tutti per essere arrivati in fondo a questo
piccolo scempio, spero che abbiate gradito.
Alla prossima ♥
Dream
Catcher
*Fragolo:
Riferimento ad Ichigo, il cui nome in giapponese può essere tradotto
come "Fragola"
** Servitrice asfissiante e onnipresente:
Riferimento a Soi Fon.