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Autore: Shainareth    19/10/2013    4 recensioni
Strinse le labbra, cercando di recuperare il respiro che gli era venuto meno a causa di quella domanda. Infine, le schiuse e, con voce rauca, una voce estranea persino a se stesso, rispose. «Io sono Garu.»
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Amnesia'
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CAPITOLO QUARTO




Come c’era da aspettarsi, non era riuscito a chiudere occhio. Bentornata, insonnia.
   Si rotolò dentro il futon per qualche altro minuto, nella speranza che il gallo non cantasse troppo presto. E invece fu altro a costringerlo ad alzarsi: qualcuno bussò alla sua porta. Mugugnando qualche imprecazione, si trascinò fuori dal letto e, barcollando, strisciò i piedi fino all’ingresso, chiedendosi chi diamine potesse essere a quell’ora del mattino. Quando infine se la ritrovò davanti, avvertì un non indifferente tuffo al cuore e dovette strizzare le palpebre per un paio di volte, convinto di stare sognando o, cosa più probabile, di avere le allucinazioni dovute alla notte insonne.
   «Awww, quanto sei carino appena sveglio!» fu il cinguettio allegro che quasi gli perforò i timpani.
   «Cos…?» balbettò instupidito, cercando di capire se la ragazza che si trovava davanti a lui fosse reale o meno. «Che ci fai qui?!» riuscì infine ad articolare con voce roca.
   Pucca si ricompose. Per lo meno, ci provò. Fallì e continuò a sorridergli come una sciocchina, trovando il giovane sempre, immancabilmente bellissimo, nonostante fosse in pigiama, spettinato, con gli occhi cisposi e le occhiaie. «Credo che il mio amore per te sia una cosa innata», rispose, senza però spiegare un bel nulla. «Devo averlo nei geni, altrimenti come avrei fatto a trovare la strada giusta per arrivare fin qui?»
   Garu la guardò stralunato. «Sei venuta da sola?!» Lei annuì, dondolandosi sui talloni. «Perché non ti sei fatta accompagnare da qualcuno?!»
   «Oh, sai», prese a spiegargli, arricciando il naso. «Non credo che sarebbe stato carino svegliare gli zii alle quattro del mattino.»
   L’espressione del ninja divenne ancora più allibita. «Alle quattro?!» ripeté, sperando di non aver capito bene. «Sei in giro dalle quattro?! Da sola?!»
   Udendo quel tono di rimprovero, Pucca si strinse nelle spalle con fare contrito. «È che non riesco ancora a camminare con passo veloce e non sapevo esattamente dove andare e…»
   «Sarai stanca morta!» esclamò l’altro, sempre più incredulo.
   «Solo un pochino», cercò di tranquillizzarlo lei, abbozzando nuovamente un sorriso. «Di tanto in tanto però mi sono fermata per riposare, davvero. E comunque dovresti essere orgoglioso di me: ho trovato casa tua affidandomi interamente all’istinto. Se non è destino questo!» affermò tutta contenta, accennando un saltello che però le fece perdere l’equilibrio a causa della spossatezza dovuta al lungo tragitto percorso.
   Quella donna l’avrebbe mandato al manicomio. Fu questo che pensò Garu quando l’afferrò per evitarle una caduta. La sentì ridere allegramente, mentre si aggrappava alla maglia del suo pigiama. «Ho bisogno di un caffè. Molto forte», sbuffò fra sé, trascinandola dentro e richiudendo la porta d’ingresso. «Siediti dove vuoi», le disse, quando si fu assicurato che fosse nuovamente in grado di reggersi in piedi da sola e di togliersi le scarpe senza bisogno di aiuto. «Hai già fatto colazione? Vuoi qualcosa?» domandò, avviandosi verso la cucina mentre la fanciulla apriva la zip del giubbino che aveva indossato per proteggersi dal freddo del mattino.
   «Una tazza di tè?» chiese, osservandosi attorno con fare meravigliato. «Hai una casa in perfetto stile giapponese, è bellissima!» si complimentò con sincerità. E quando vide sbucare i primi gatti che avevano ormai invaso quell’abitazione, si lasciò andare ad un’esclamazione di tenerezza. «Quanti musetti pelosi!» Le avevano già raccontato che Garu si era preso cura di Yani durante gli anni in cui era stata coma, per cui non si stupì troppo della presenza di tanti animali.
   «Non sono tutti», si sentì spiegare dalla voce del giovane che proveniva dalla cucina. «Alcuni saranno sul retro o sul tetto.»
   «Anche Mio e Yani?» domandò, curiosa di vedere i due capostipiti di quella numerosa dinastia felina, anche se li aveva già scorti in alcune delle foto che si trovavano nell’album.
   «Loro sono in camera da letto. Dormono sempre con me.»
   Quella notizia la lasciò senza parole, ma la indusse anche a sorridere con maggiore tenerezza. Forse non ricordava davvero nulla del Garu che aveva conosciuto da ragazzina, e anche se aveva capito che doveva esser sfuggito spesso alle sue dimostrazioni d’affetto, in realtà probabilmente doveva averle comunque voluto un gran bene. Altrimenti non si sarebbe precipitato al suo capezzale quando si era svegliata dal coma, né si sarebbe fatto carico della sua gattina.
   «Posso vederli?» osò chiedere, gli occhi che scrutavano le porte in carta di riso che si potevano scorgere dal punto in cui si trovava. L’istinto e la logica la convinsero che la camera di Garu dovesse essere quella con il pannello aperto a metà. Tanto che, prima ancora di ottenere risposta, si mosse in quella direzione, sfilandosi il giubbino e lasciandolo cadere in terra. Sbirciò nella semioscurità della stanza e intravide due piccole sagome pelose abbracciate e appallottolate sopra un futon.
   Erano quelli, Mio e Yani? Sorridendo e pensando fra sé che fossero assolutamente adorabili, Pucca varcò la soglia della camera e andò a inginocchiarsi accanto al letto per osservarli più da vicino. Le avevano detto che i due parevano avere una sorta di adorazione l’uno per l’altra, quasi come se fossero stati due innamorati, e la cosa era a dir poco sorprendente. Aveva letto lei stessa, durante la degenza, che esistevano diversi animali monogami in natura, primi fra tutti i lupi; ma per i gatti quella costituiva una vera e propria eccezione. Che fosse anche quello un segno del destino? Chissà se anche lei e Garu, come i loro rispettivi gatti, avrebbero passato la vita insieme…
   Fu pensando a questo che si rese finalmente conto che quello in cui si trovava era il posto in cui il giovane dormiva. Si guardò attorno, per nulla intimidita o semplicemente mortificata per aver invaso la sua privacy. Anzi, un’idea birichina le solleticò la fantasia e lei non ci pensò due volte a metterla in atto.
   Dove diavolo s’è cacciata?, si domandò Garu, tornando dalla cucina con una tazza di caffè per sé e una di tè per la ragazza. Poi però vide il suo giubbino lasciato negligentemente sul pavimento, proprio davanti alla camera da letto. Esitò. Infine, ritenendo che, in effetti, Pucca rimaneva pur sempre Pucca, anche se con sette anni di più e senza memoria, si affrettò a fare irruzione nella stanza in cui Mio e Yani continuavano a sonnecchiare placidamente, accoccolati l’uno sull’altra.
   «Ehi, chi ti ha…» La sua accusa rimase a metà, perché quello che gli si presentò alla vista lo fece ammutolire: Pucca si era intrufolata nel suo futon e si era avvolta e rannicchiata nella trapunta. Sospirando pesantemente, si inginocchiò accanto a lei e posò il vassoio con le tazze sul tatami. «Esci immediatamente fuori da lì», le ordinò in tono perentorio e un po’ infastidito. Non era mai stato un tipo molto propenso a lasciare che gli altri si intromettessero nella sua intimità.
   Sentì la fanciulla mugugnare qualcosa di insensato. «Si sentono ancora il tuo calore e il tuo odore», mormorò poi lei, facendolo arrossire fino alla punta delle orecchie. «È come se tu mi abbracciassi.»
   «Pucca!» sbottò il giovane quando riuscì a ritrovare la voce. «Via da lì, ho detto!» Lei fece capolino da sotto la coperta, sbirciando nella sua direzione e mostrando a malapena la fronte e gli occhi a mandorla con fare innocente. Garu si rese conto che quella sfacciatella stava assumendo quell’espressione che, in gergo, viene chiamata puppy eyes. Si passò stancamente una mano sul viso. «Che sei venuta a fare?» si arrese a domandarle, lasciandola là dove s’era cacciata. Se aveva voluto rompere il loro fidanzamento, perché mai si era presa il disturbo di uscire alle quattro del mattino, con il buio e il freddo di metà novembre, per attraversare la foresta di bambù alla cieca pur di trovare casa sua? Continuava persino a dirsi innamorata di lui. Non che Garu ne avesse mai dubitato, e non certo per arroganza, però lei avrebbe anche potuto evitare di lasciarsi andare a certe dichiarazioni spontanee se voleva del tempo per riflettere con calma sulla propria situazione.
   Pucca si mosse lentamente sotto la trapunta, si mise a pancia in giù e puntellò i gomiti contro il materasso sottile. «Nell’album che mi avete regalato ieri ci sono alcune foto dei tuoi compleanni passati», iniziò a spiegargli, agguantando il suo cuscino fra le mani per stringerlo al petto.
   Garu si scoprì improvvisamente capace di provare un’insana invidia nei confronti di un semplice oggetto. «E… quindi?» chiese, cercando di far finta di niente.
   «Sotto ognuna di esse c’era scritto che era il 2 di dicembre. Sei nato in quel giorno, giusto?»
   «Così pare», fu la laconica risposta che diede alla ragazza, che ora lo fissava con aria mortificata. «Ma che c’entra con la tua visita? A quest’ora, poi?»
   «Non sono riuscita a dormire», gli confidò Pucca, serrando le labbra e non potendo immaginare che anche l’altro avesse passato la notte in bianco. «E avevo fretta di chiederti scusa.»
   Il ninja aggrottò la fronte. «Per cosa? Ieri sei stata più che chiara», ribatté, cercando di non lasciar trapelare le proprie emozioni nel tono della voce. «E ti ho anche detto che va bene così, no? Quindi non hai motivo di…»
   «Lo so!» lo interruppe la fanciulla, seriamente addolorata. «Ma potevo evitare di lasciarti proprio poche settimane prima del tuo compleanno!»
   Garu rimase a fissarla a bocca aperta. Era davvero soltanto quello, il motivo per cui si era precipitata da lui? Perché avrebbe voluto evitargli quel dispiacere poco prima del suo compleanno? Onestamente, non capiva se lei lo stesse prendendo in giro o se quella faccenda le stesse sul serio a cuore fino a quel punto.
   «Quindi devo assolutamente farmi perdonare», stava continuando a dire Pucca, risoluta. «Organizzeremo una festa al Goh-Rong e inviteremo tutto il villaggio.»
   «Non è necessario», provò a farla ragionare il ninja, avvertendo un senso di fastidio. Era permaloso a pensare che lei volesse organizzargli una festa solo per mettere a tacere i sensi di colpa?
   «Lo è, invece!» lo contraddisse la ragazza, allungando una mano per prendere la sua. «Ho trascorso il mio ultimo compleanno in ospedale… Anzi», fu costretta a correggersi, «ne ho passati fin troppi, lì dentro. Non mi va che anche il tuo passi inosservato allo stesso modo. Non adesso che posso fare qualcosa di concreto per te.»
   Ogni sentimento negativo svanì dall’animo del giovane e lui sorrise, stringendo quella piccola mano fredda e sottile nella propria. Se qualcuno avesse dovuto sentirsi in colpa, fra loro, di certo non avrebbe dovuto essere Pucca. «Sta bene», acconsentì allora, porgendole la tazza di tè. «Bevi, prima che si raffreddi del tutto», le suggerì. Ma poi riprese a parlare. «Eri piuttosto brava a cucinare», le rivelò, portandosi alle labbra il proprio caffè.
   «Sul serio?» s’incuriosì la ragazza, accettando di buon grado la tisana.
   Lui annuì. «Mi preparavi un sacco di dolci», raccontò con espressione soddisfatta. «Credo che fossero quelle, le uniche volte in cui non scappavo dai tuoi tentativi di stalking
   «Che disgraziato!» inveì Pucca, ridendo e dandogli uno schiaffetto sul ginocchio. «Va bene. Ti preparerò una torta, allora», stabilì, avendo recepito il messaggio.
   «A patto che la cosa non ti affatichi troppo», ci tenne a farle sapere l’altro. Anche se non erano più fidanzati, andava bene lo stesso, almeno fintanto che nessuno avesse preso il suo posto nel cuore della ragazza per cui spasimava.
   Il gallo finalmente cantò, intromettendosi in quella conversazione, resa intima anche dalla scarsa luce che penetrava all’interno della camera. «È ora di tornare a casa. Non vedendoti a letto, i tuoi zii si preoccuperanno», fece notare Garu, raccattando le tazze vuote sul vassoio.
   «Di già?» fu la lamentosa protesta della fanciulla.
   «Fuori da lì, forza.»
   «Non ci penso nemmeno. Piuttosto mi ci trasferisco, nel tuo letto.» Resasi conto di ciò che aveva appena detto, Pucca rise. Anche perché l’espressione del giovane parlava chiaro. «Giuro che non intendevo niente di equivoco, stavolta. Ma non uscirò di qui nemmeno se tu minacciassi di sculacciarmi.» Garu si schiarì la gola e distolse lo sguardo, imbarazzato. «Oh», comprese lei. «Anche questo è fraintendibile?»
   «Esci da lì», ripeté per l’ennesima volta il poveretto, alzandosi in piedi per uscire dalla stanza.
   «Dove vai?»
   «A portare queste in cucina e a farmi una doccia.»
   «Hai bisogno di una mano?» Garu preferì non chiederle in che senso, tanto più che la stessa Pucca tornò a ridere con fare divertito. «No, sul serio… Per le tazze, dico», si premurò allora di specificare.
   Lui sospirò pazientemente. «Fa’ come ti pare, mi basta che tu rimanga in silenzio. O che conti fino a dieci prima di aprire bocca.»
   «Credo di essere un tipo impulsivo», ragionò a quel punto la ragazza, uscendo finalmente dal letto per raggiungerlo e togliergli il vassoio dalle mani. «Lo ero anche da piccola?» Garu incrociò le braccia al petto e inarcò un sopracciglio con fare eloquente. Lei strinse le labbra con fare colpevole.
   «Dammi dieci minuti per la doccia e ti riaccompagno a casa», si sentì dire dopo un attimo, mentre il ninja si allontanava.
   «Hai un’auto tutta tua?» si meravigliò, seguendolo verso la cucina.
   «Macché, ti ci porto in spalla.»
   «Posso mangiucchiarti le orecchie durante il tragitto?» cinguettò allegra a quella notizia, infischiandosene di seguire il suo consiglio – beh, ordine – di contare fino a dieci prima di esprimere un pensiero a voce alta.
   Garu fu costretto a volgerle definitivamente le spalle e a reggersi alla parete, contro la quale batté piano un pugno, nel tentativo di non assecondare le fantasie che quella scriteriata continuava, questa volta consapevolmente, a suggerirgli. Alla fine, la chiacchierata fra uomini con Abyo aveva avuto luogo sul serio e, come c’era da aspettarsi, aveva risvegliato la coscienza di Garu, facendogli conoscere una solenne verità: era un essere umano anche lui e, come tale, avvertiva certe necessità che non potevano essere perennemente ignorate. Soprattutto se c’era una fanciulla tanto graziosa e disponibile nei paraggi, come poteva esserlo Pucca; alla quale, per di più, il ninja era legato da un affetto sincero e profondo.
   Tuttavia, Garu non poteva non tener conto della delicata condizione psicologica in cui si trovava la ragazza, e quanto era accaduto appena la sera precedente era stata un’ulteriore dimostrazione che i suoi scrupoli nei riguardi di Pucca erano più che legittimi. Sì, anche se quella svergognata continuava a provocarlo in quel modo crudele. Ma quale uomo d’onore si sarebbe approfittato di quella situazione?

Quando bussò alla porta sul retro del ristorante, circa due settimane più tardi, fu assalito furiosamente da una siringa per dolci che gli schizzò un baffo di panna in un occhio. Garu imprecò a gran voce e tentò di individuare il suo potenziale assassino con l’ausilio dell’unico occhio che era rimasto illeso. «Che diavolo ho fatto, ora?!» pretese di sapere, notando l’aria tutt’altro che amorevole di Pucca.
   «Hai sposato Ring Ring!» lo accusò lei, minacciando di spruzzargli la panna in chissà quale altro pertugio.
   «Che cavolo vai blaterando?!» trasecolò il giovane, indietreggiando e trattenendola per i polsi per precauzione.
   «Tu, mascalzone!» tornò alla carica Pucca, indignatissima. «Stavi per sposarla!»
   «Abbi pazienza, Garu», fu il magnanimo intervento di Zio Raviolo, che si premurò di raggiungerli sulla soglia d’ingresso. «Pare che oggi non sia giornata», gli spiegò.
   «Ma da dove salta fuori questa storia?» domandò lui, evitando a fatica i calci che la sua innamorata cercava di assestargli sugli stinchi.
   «Ricordi quando Ring Ring mise in scena quella cerimonia di nozze per far dispetto a Pucca?» Argh. Certo che se lo ricordava! Ma chi era stato il folle che gliene aveva parlato?! «Beh», continuò Zio Raviolo, sorridendo con commozione. «Pucca l’ha sognata stanotte.»
   La sorpresa che gli provocò quella notizia lo distrasse e Garu dovette trattenere un’altra imprecazione a causa del livido che sicuramente si sarebbe ritrovato sulla gamba di lì a poche ore. «Vuoi stare un po’ ferma?!»
   «L’hai sposata!» lo accusò ancora la fanciulla, rabbiosa.
   «Semmai quasi!» ci tenne a sottolineare lui. «E comunque c’era Dada sull’altare, mica io!» aggiunse in fretta, temendo di buscarsi un altro calcio. «Figurati se andavo a farmi mettere il cappio al collo proprio da Ring Ring o da una qualsiasi altra donna», fu la stoccata finale che diede e che, come previsto, placò ogni istinto omicida nei suoi confronti da parte della ragazza. In ogni caso, se non avesse funzionato, si sarebbe anche premurato di farle sapere che, quando la questione del falso matrimonio era stata risolta, lui aveva regalato dei fiori a Pucca – il bouquet della sposa, per l’esattezza – non soltanto per tirarla su di morale, ma anche per farle capire che, nonostante tutto, già all’epoca probabilmente ricambiava in qualche contorto modo i suoi sentimenti.
   Ma poiché questa precisazione non fu necessaria, Garu decise di tenerla come asso nella manica per il futuro. Riuscì finalmente a tirare il fiato e si permise di rivolgere nuovamente lo sguardo a Zio Raviolo. «Sul serio l’ha ricordato da sola?» chiese con una certa esitazione, temendo che si trattasse solo di una flebile illusione.
   «Ha stupito anche noi, quando ci ha raccontato il sogno, stamattina», rispose Ho, avvicinandosi a loro. «Lì per lì abbiamo creduto che qualcuno gliene avesse parlato, e invece…»
   Era possibile rammentare il passato attraverso i sogni? Forse sì. In ogni caso, Garu era ormai certo che Pucca in realtà conservasse ogni singolo ricordo dell’infanzia in qualche punto imprecisato del cervello, che però era stato momentaneamente messo sotto sigillo, e che fosse proprio da lì che di tanto in tanto, per fortuna, iniziava a sfuggire qualcosa. Qualcosa che, a quanto pareva, aveva sempre a che fare con lui.
   «Ha anche trovato casa mia da sola», fece notare ai cuochi, sorridendo e fomentando davvero la speranza di tutti. «E nutre una tremenda avversione per il nome di Heidi.»
   «E questo che ha a che fare con il passato?» s’incuriosì la fanciulla, increspando le sopracciglia sottili quando i suoi zii si lasciarono andare ad una lieve esclamazione di meraviglia. «Chi è Heidi?»
   Toccava a Garu parlare, perciò si schiarì la voce, sentendosi tremendamente a disagio. Prima di farlo, comunque, le tolse di mano la siringa per dolci e la consegnò a Zio Raviolo. «Una stangona svizzera che voleva costringermi a sposarla», rivelò infine, sia pure con voce imbarazzata e, soprattutto, intimorita.
   Pucca vide nero. Pestò un piede in terra e si lasciò scappare di bocca una parola assai poco fine che fece strabuzzare gli occhi ai presenti e indusse Garu a tuffare la faccia in una mano. «Quante fidanzate hai avuto?!»
   «Tu bastavi e avanzavi, credimi», le assicurò il giovane, leccandosi poi la panna che gli era rimasta sulle dita. «Piuttosto, dovresti essere contenta di questi progressi, no?»
   «Certo che sì», annuì lei, cercando di riacquistare la calma. Anche perché persino i suoi zii le avevano assicurato che non solo Garu non aveva mai avuto intenzione di sposare un’altra, ma anche che durante il periodo in cui era stata in coma lui non aveva fatto altro che gironzolare nei pressi dell’ospedale ogni qual volta aveva avuto un momento libero. E non certo per correre dietro alle infermiere.
   «Non sarebbe il caso di consultare subito il medico?»
   «Sì, ma prima devo finire di preparare la torta per stasera. Mancano solo le guarnizioni.» Da quel pensiero ne scaturì immediatamente un altro. «A proposito, buon compleanno!» esclamò gioiosa Pucca, gettandogli le braccia al collo e ridendo per esserselo dimenticato a causa di tutto quel trambusto.
   «Gran brutta cosa la gelosia, eh?» commentò Ho, mentre Garu, rassegnato, ringraziava la ragazza con una goffa carezza sulla schiena e anche gli altri gli porgevano i loro auguri.
   Ma poi un suono assai imbarazzante li fece arrossire tutti: il suono di un succhiotto che la fanciulla più sfacciata del villaggio Sooga stava imprimendo sul collo del povero giovane. Seppur rimasto più indietro rispetto ai suoi fratelli, Linguini si schiarì la gola, come a voler ricordare loro di essere in pubblico, e Garu fu costretto a scollarsi Pucca di dosso, coprendosi immediatamente il lato del collo con una mano e cercando di non morire per la vergogna di aver subito un succhiotto a tradimento. Davanti agli zii di lei, quel che è peggio.
   «Ma sei impazzita?!» le sbraitò contro dopo averla presa in disparte con una certa, comprensibile agitazione.
   «Consideralo un anticipo sul regalo di compleanno», ribatté invece Pucca, ammirando con orgoglio il proprio operato, e cioè una piccola macchia violacea ben visibile anche a distanza.
   Un brivido caldo investì in pieno il povero ninja a causa di quella frase sibillina. Era di nuovo lei a parlare in modo equivoco di proposito oppure era la sua fantasia a viaggiare troppo? Di una cosa era sicuro, però: gli sarebbero venuti i capelli bianchi prima dei vent’anni.
   «E poi così ho marcato il territorio», aggiunse la fanciulla, ormai certa che Garu fosse troppo bello e che questo potesse rivelarsi un problema a causa di tutte le sgualdrinelle che avrebbero potuto mettergli gli occhi addosso.
   L’altro ruotò le pupille al cielo. «Non farlo più», la redarguì in ogni caso, cercando di ficcarle in quella testaccia dura che certi atteggiamenti non avrebbero dovuto essere presenti nel loro rapporto di amici-ex-fidanzati-ma-ancora-tanto-innamorati. Solo il pensiero di doversi definire così, gettava il giovane nello sconforto. Anche perché, se qualcuno gli avesse chiesto in che rapporti era con Pucca, non avrebbe certo osato riportare quella definizione. «E mi basterà la torta che stai preparando, come regalo», preferì aggiungere, a scanso di equivoci.
   Lei parve rimanerci male. «Ma è troppo poco!» protestò difatti. «Meriti molto, molto di più!»
   Sapendo che sarebbe stata una battaglia persa in partenza, Garu decise di assecondarla, ma solo fino a un certo punto. «D’accordo, ma, ti scongiuro, niente che possa generare imbarazzo.»
   «Oh», balbettò la ragazza, mordicchiandosi il labbro inferiore e mettendolo in allarme. «E se invece generasse qualche altro tipo di sensazione? Come, che so, eccitazione?» Vide il ninja sbiancare e non si trattenne dallo scoppiare a ridergli in faccia. «Sei meravigliosamente credulone», si divertì quindi a prenderlo in giro, mentre lui incrociava le braccia al petto e inalberava un’espressione a dir poco stizzita. «Non sarà né imbarazzante né eccitante», gli giurò solennemente per rabbonirlo, portandosi persino una mano sul cuore.

Pucca era stata di parola. E si era anche raccolta i capelli, ormai lunghi fino alle spalle, in due odango proprio com’era solita fare da bambina; sarebbe stato un modo come un altro per tornare davvero alla vita di tutti i giorni, nonostante tutto.
   Prima della festa, però, insieme ai suoi zii, Garu l’aveva accompagnata in ospedale per ascoltare il parere del medico riguardo ai lievi progressi mnemonici che pareva fare, ed egli non aveva potuto fare a meno di condividere il loro ottimismo, specificando comunque che il cervello era una macchina assai complessa e che la maggior parte dei suoi funzionamenti erano del tutto oscuri persino alla scienza. Aveva consigliato a Pucca delle sedute da uno specialista, proprio come quelle che aveva effettuate durante i mesi della riabilitazione in ospedale. In realtà, essendo la sua un’amnesia retrograda e non traumatica, non era certo che uno psicologo potesse aiutarla a ricordare il passato, ma provarci sarebbe sempre stato meglio che arrendersi in partenza. Inoltre, se già qualcosa affiorava da sé nella mente della ragazza, probabilmente avrebbe continuato a farlo, sia pure in tempi e in modi che nessuno avrebbe potuto prevedere. Ciò che contava, comunque, era non perdere mai le speranze.
   Era perciò stato con animo assai più leggero che avevano potuto dedicarsi ai festeggiamenti previsti per quella sera. E, al momento dei regali, Pucca aveva consegnato a Garu una copia dell’ultimo libro del maestro Hiel Kikyu con un sorriso sornione sulle labbra e la seguente frase: «Per l’autografo non preoccuparti: non appena mi sarò rimessa del tutto in forze, scoverò quel vecchiaccio e lo costringerò a farti una dedica. Se quello che mi avete raccontato qualche settimana fa è vero, sono certa che non saprà negarmi un favore.»
   E ora, nel bel mezzo della festa, i due giovani se ne stavano a guardare gli invitati dall’alto del primo piano del ristorante, seduti sul pavimento a sfogliare il libro insieme. Pucca aveva anche preteso parecchie foto della serata perché voleva collezionare nuovi ricordi da raccogliere in un nuovo album, nel quale avrebbe annotato non soltanto gli eventi di proprio pugno, ma anche e soprattutto le proprie emozioni e i propri pensieri al riguardo.
   «Vivere senza conoscere nulla del passato è una sensazione straniante», spiegò a Garu, rigirandosi fra le dita una delle foto istantanee di gruppo di cui si era già impossessata. Era, quella, la prima volta che tornava a parlare spontaneamente della propria condizione psicologica dopo la sera del suo rientro a casa. Ma, a differenza di due settimane prima, adesso un sorriso aleggiava sul suo volto, conferendole un’espressione di assoluta serenità. «Ma ho deciso che non vale la pena di struggersi al riguardo.»
   Garu la guardò con tenerezza e non poté fare a meno di essere orgoglioso di lei. «È per via di ciò che ha detto oggi il medico?»
   «Non solo», fu l’onesta risposta della ragazza. «Stamattina, prima che tu arrivassi al ristorante, è successa un’altra cosa, ma non l’ho ancora detta a nessuno.» Quella confidenza stupì il giovane che increspò leggermente la fronte e fu sul punto di chiederle ulteriori spiegazioni. Se non lo fece, fu solo perché Pucca lo anticipò; non avrebbe avuto senso, altrimenti, iniziare quel discorso. «Quando mi sono svegliata, mi sono affacciata alla finestra della mia camera e ho visto una persona sul tetto di uno degli edifici vicini. Non ho potuto vedere il suo volto perché era coperto da un cappuccio scuro, ma credo si trattasse di un ninja. Stava guardando nella mia direzione e, dopo alcuni istanti, mi ha fatto un cenno con il capo, come se mi avesse salutato.»
   «E poi?» domandò Garu, il cui istinto gli aveva già suggerito il nome di quel ninja.
   Pucca si strinse nelle spalle. «È andato via e non l’ho più visto. Non so chi fosse, ma di certo non era uno degli abitanti del villaggio.»
   «Ne sei certa?»
   «Sì, non era alla mia festa. E poi, anche se a quella distanza non potevo vederlo bene, sul suo viso spiccava una grossa cicatrice.»
   Tobe. Era dunque tornato a Sooga dopo un esilio volontario durato anni. Probabilmente aveva saputo che Pucca era ormai fuori pericolo ed aveva voluto accertarsene di persona. Garu abbozzò un sorriso sghembo, che tuttavia non esprimeva alcun sentimento realmente positivo. Non odiava Tobe, non più. Anche perché l’incidente capitato a Pucca non era stata davvero colpa di nessuno di loro due; si era trattata soltanto di una tragica fatalità a cui una bambina di dieci anni, pur in gamba quanto lei, non era riuscita a sfuggire.
   «Pucca», cominciò allora a dire il giovane, convinto che fosse giusto che lei sapesse che quella terribile caduta che l’aveva costretta in un letto d’ospedale per tutti quegli anni era stata causata anche dall’avventatezza di tutti e tre loro. «Riguardo al tuo incidente…»
   «Non ha importanza», lo interruppe gentilmente la fanciulla, convinta di quel che diceva. Ignorava l’identità del ninja che aveva visto quella stessa mattina, ma ancora una volta l’istinto le aveva suggerito che fosse in qualche modo coinvolto in quello che le era capitato: una caduta nel vuoto più assoluto da un’altezza che avrebbe dovuto ammazzarla. «Te l’ho detto, ho deciso di lasciar perdere. È già stato un miracolo che io sia sopravvissuta e che non sia rimasta paraplegica.» Su questo non v’era alcun dubbio. Ciò non toglieva che per troppo tempo aveva dovuto vegetare in stato di totale incoscienza. «Se i ricordi vorranno tornare a galla, saranno i benvenuti», continuò in tono sereno, a dimostrazione che aveva ritrovato la pace interiore. «Nel frattempo, andrò avanti per la mia strada, godendomi la vita giorno per giorno e costruendomi tanti nuovi ricordi, non soltanto con le persone che ho amato in passato, ma anche e soprattutto con quelle che amo adesso.» Alzò gli occhi a mandorla sul giovane che le stava accanto. «E tu, chiaramente, sei il primo della lista.»
   Garu non poté evitare che accadesse. Mosse una mano nella sua direzione per carezzarle il viso e si chinò su di lei, baciandola con tenerezza. Com’era diverso dai baci che si erano scambiati da bambini…
   «Scusa», le disse poi, con voce sommessa e mortificata per la vergogna di aver ceduto all’istinto e il timore di averle mancato di rispetto, benché Pucca non avesse fatto nulla per respingerlo.
   La sentì ridere divertita. «Avresti dovuto dirmelo cinque minuti fa, dopo il primo bacio.»
   «Giusto», fu costretto ad ammettere lui, stringendo le labbra con fare colpevole. «Ho capito perfettamente quello che mi hai detto un paio di settimane fa. Però…» Si bloccò. Non era mai stato bravo a parole, anche perché era rimasto in silenzio per troppi anni. Si umettò le labbra e riprovò. «Ho pensato che se davvero adesso sei intenzionata a vivere senza più crucciarti per il passato…»
   «Garu», intervenne Pucca, mettendogli una mano sulla bocca per farlo tacere e facilitargli così le cose. «Poco fa ti ho detto quelle cose non soltanto perché ti considero il mio migliore amico», e il solo sentirglielo dire lo inorgoglì ulteriormente, «ma anche e soprattutto perché volevo proprio che accadesse quello che è appena accaduto.»
   Le donne sanno essere davvero tremende. Fu questo che pensò Garu liberandosi dalla sua mano per tornare a baciarla con maggior trasporto e con animo decisamente più leggero. Dovette tuttavia, sia pure a malincuore, interrompere quello che sembrava essere il miglior regalo della serata, perché un secco colpo di tosse, seguito da una risatina divertita, lo indusse a spostare altrove la propria attenzione.
   Fermi accanto alla scalinata che portava alla sala del ristorante, Abyo e Ching li stavano fissando. «Perdonate il disturbo», iniziò il primo, regalando a Garu uno sguardo orgoglioso che lo fece arrossire violentemente: finalmente si era deciso, quel fesso di un ninja, a chiarire le cose con Pucca. «Ma il festeggiato è richiesto al piano di sotto. C’è una torta che aspetta solo lui per essere mangiata.»
   «E ci sono anche un mucchio di candeline da spegnere», aggiunse Ching, sorridendo gioiosa al pensiero che i suoi migliori amici fossero riusciti a ritrovare la serenità e un modo assai piacevole per discuterne.
   «Oh!» esclamò Pucca, balzando in piedi senza perdere quell’equilibrio che, fino ad una manciata di giorni prima, le era mancato ogni volta che aveva provato a fare qualche movimento azzardato. «Potremo esprimere un bel desiderio!»
   «E tu che c’entri?» volle sapere Abyo, scrutandola con sospetto e prendendola palesemente in giro.
   Lei rise, divertita per la propria gaffe. «Hai ragione. Spetta solo a Garu.»
   Alzandosi anche lui in piedi, il ninja le passò un braccio attorno al collo per avvicinarla a sé e trascinarla via al fine di raggiungere tutti gli altri al piano di sotto. «Non importa, tanto esprimerò sicuramente lo stesso desiderio che hai in mente anche tu», le fece sapere, decidendo di provare a mettere da parte la timidezza almeno davanti agli amici più cari, benché sicuramente gli ci sarebbe voluto del tempo per abituarsi alla cosa. Ma andava bene così. Poco alla volta, guardando al presente, forse sarebbero riusciti davvero a costruire un futuro insieme.


















E qui si conclude Amnesia. Per lo meno, la long. E chiedo scusa per aver aggiornato con un giorno d'anticipo rispetto a quanto detto in calce allo scorso capitolo. :P
Mi sono divertita molto a scrivere questa fanfiction, ma ammetto che ci sono stati anche dei passaggi un po' complicati, che mi hanno costretta a rallentare il ritmo della narrazione. Nell'insieme, comunque, sono abbastanza soddisfatta di ciò che ne è venuto fuori, anche se forse avrei potuto essere più precisa riguardo a determinati punti. Come ad esempio l'incidente di Pucca.
A tal proposito, confesso che sulle prime sono rimasta molto sul vago per una ragione ben precisa: io stessa non avevo chiare le dinamiche della tragedia, per cui non potevo scrivere di qualcosa che non conoscevo bene. Poi, seppur lentamente, tutto è diventato più chiaro; al punto che, come ho già detto a qualcuno, ho deciso di scrivere una shot, ambientata dopo questa fanfiction, in cui racconto nel dettaglio quello che è accaduto a Pucca e perché lei ha perso la memoria. La shot è pronta, devo solo rileggerla e correggere ciò che non mi convince. Penso perciò che la vedrete presto online, probabilmente già a partire da lunedì.
Prima di passare ai saluti e ai ringraziamenti, vorrei chiedervi ancora una volta un parere riguardo all'introspezione e alla caratterizzazione dei personaggi di questa fanfiction: li trovate OOC? Se sì, non fatevi scrupoli a farmelo notare, perché almeno potrò aggiungere l'avviso di OOC nelle caratteristiche della storia.
Detto questo, ringrazio di cuore tutti coloro che hanno deciso di intrattenersi a leggere Amnesia, ma soprattutto chi ha inserito questa fanfiction tra le storie preferite/ricordate/seguite, e cioé (in ordine alfabetico): edvige forever, Hisoka chan, Kira7, Mini_Witch, Nives97, SoGi92 e Traffy11. Un grazie in particolare va soprattutto a Hisoka chan, keisisinani e SoGi92, che con le loro recensioni e le loro parole mi hanno aiutata molto.
Se possibile, e mi scuso per questa richiesta sfacciata, vorrei ancora una volta esortarvi a lasciarmi un parere sincero riguardo a questa storia, soprattutto adesso che è giunta al termine. Sarà un ottimo modo per comprendere i miei errori e per evitare di ripeterli nei miei prossimi scritti.
Un abbraccio a tutti voi,
Shainareth




  
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