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Autore: Stray    10/04/2008    5 recensioni
"Passa la storia, passano anche gli uomini che l'hanno scritta. Ma questa sabbia non vedrà mai il mare: quello che vi abbiamo scrito, non verrà mai cancellato del tutto..."
Ishvar, una guerra, l'inizio di tutto.
Quello che la Storia non ha riportato, ma che non si può dimenticare.
Genere: Generale, Introspettivo, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Maes Hughes, Riza Hawkeye, Roy Mustang
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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H2O

Non è nella sua tenda, non è con le altre donne alle docce – anche se non ha potuto avvicinarsi troppo per appurarlo: è una questione di incolumità personale – non è nemmeno nel campo per le esercitazioni.

“Hai visto il cadetto Hawkeye?”

Il soldato a cui si rivolge ignora volutamente il suo tono semi isterico, e scrolla le spalle.

“Si è fermata a un miglio da qui, dietro la curva del sentiero. Joan l’ha chiamata ma dopo un po’ è sparita… ogni tanto lo fa. Sembra diventare davvero un’ombra.”

Mentre percorre i sentiero al contrario, allunga il passo senza volerlo.

Si guarda intorno maledicendo ogni sasso, ogni nugolo di sabbia che gli ostruisce la vista, ogni sagoma scura che si allunga man mano che il sole si abbassa e lo fa sussultare.

“Maggiore…”

Si appoggia alla parete rocciosa per non cadere.

Impiega alcuni minuti per ingoiare i respiri affannati e la paura che non ammetterà mai di aver provato.

“Non sei rientrata con gli altri. Pensavo..”

Non finisce la frase. E non per scaramanzia, ma perché sente che per qualche strano motivo, un pensiero del genere lo farebbe collassate definitivamente.

“Mi dispiace. Mi sono attardata.”

Le tende la mano, sospirando.

“Torniamo…”

Non capisce subito perché lei non si muova. La vede aggrottare la fronte, tormentare il bordo della canna del fucile. Solo allora nota i suoi capelli bagnati.

Ma prima ancora che possa domandarle nulla, è lei che afferra la sua mano e lo trascina dietro di sé.

La segue lungo un sentiero stretto, che somiglia ad un taglio nella roccia. La superficie liscia e levigata gli suggerisce che l’intera via sia stata scavata dall’acqua.

“Hawkeye…”

“Siamo quasi arrivati.”

Continua a seguirla, tropo stanco per obiettare, troppo curioso per tornare indietro. Ma mentre le viene appresso, affonda una mano tre le sue ciocche bagnate, gustando la sensazione di contatto tra le gocce d’acqua ancora fredde e la sua pelle ruvida.

Lei schiva la punta tagliente di un masso, gli gira attorno e chinandosi entra in un cunicolo scuro.

Roy si infila nella stretta apertura, sbuffando e sporcandosi la divisa contro la parete farinosa della pietra cotta al sole.

“Hawkeye, si può sapere almeno se manca molto o…”

La luce azzurrognola della grotta sotterranea, lo accoglie con la sua aria rarefatta e umida, ma sicuramente più fresca e appetibile di quella esterna.

“Di qua.”

Segue l’eco della sua voce fino alla pozza d’acqua azzurra e blu che si distende sulla superficie liscia di arenaria.

L’acqua lambisce la pietra, l’ha modellata scavandosi la propria bara, il proprio tempio di quiete sotto il deserto, modulando i colori nella profondità crescente della buca – colori passati, blu così intensi e traslucidi che la scura tonalità della divisa, sbiadita dal sole, non potrà mai eguagliare.

“L’ho trovata durante un sopralluogo, tempo fa.”

Roy è troppo stupito per rispondere. Si china sull’acqua, vi affonda un dito, la mano, il braccio, bagnando la manica della divisa, estrae il pugno carico e grondante d’acqua, guarda l’acqua in caduta libera centellinarsi in unità sempre più piccole, ascolta il suono che ogni goccia, anche la più piccola, rilascia al contatto con la superficie umida della pietra.

Riza continua a parlare, affascinata dal suo rapimento, dalla devozione con cui non asciuga la pelle umida dell’avambraccio e osserva la consistenza molle del tessuto impregnato.

“Vengo sempre qui, da allora: è rischioso che qualcuno veda…”

Indica la propria schiena con un gesto nervoso della mano.

Solo allora lui sembra ridestarsi dal torpore. Annuisce piano, scusandosi per averla interrotta, prima, per aver interrotto l’unico attimo di pace delle loro giornate.

Riza scuote la testa, lasciando cadere altre gocce sul suolo duro.

Si spoglia davanti a lui senza parlare. Sono tante le cose a cui ha dovuto rinunciare su quel campo di battaglia: il pudore è una di esse.

Ma la sua mano sulla schiena la fa sussultare. Lo sente tracciare con un dito il cerchio tatuato, attraverso la sottile barriera della sua canottiera bianca, un bambino che ricalca il disegno di un adulto per avere l’impressione di averlo disegnato lui stesso.

Ripiega con cura i pantaloni della divisa, si immerge nell’acqua con ancora addosso gli slip, afferrando la sua mano come sul sentiero poco prima, invitandolo a seguirla.

Non c’è malizia, non c’è intenzione. C’è solo acqua.

Lui si spoglia velocemente, rabbrividisce al contatto con il liquido scuro, si irrigidisce appena, prima di lasciarsi galleggiare tra le increspature impercettibili che i loro movimenti hanno creato sulla superficie.

Non è solo la sensazione fresca e dimenticata sulla pelle: è l’odore dell’acqua, il sapore sotto la lingua, il rumore gocciolante che sembra entrare in ogni orifizio, scavare dentro come le stille frantumano la roccia nell’arco di secoli.

E potrebbero stare lì per anni, dimenticare tutto, guardare la pelle dei polpastrelli diventare grinzosa, le labbra viola, gli arti gonfi.

Lasciarsi impregnare, fino ad essere saturi, liquidi, vivi: come creature marine, che hanno ritrovato il loro habitat, dopo aver annaspato e boccheggiato sulla terraferma per tanto tempo.

Riza gli passa una mano tra i capelli, affascinata dalla quantità di riflessi creati dalle gocce argentate: piccoli lampi di luce nel nero più fitto.

Lui la lascia fare, ma si incanta senza volerlo a valutare la trasparenza della sua maglietta bianca, zuppa e aderente al suo seno.

Distoglie lo sguardo, sentendosi colpevole, anche se lei non sembra essersi accorta di nulla – o ha solo fatto finta che la cosa non abbia importanza.

Con un movimento veloce, la mano di lei ricade nell’acqua, sollevando schizzi freddi sul suo viso.

Non la vede ridere, ma percepisce la sua ilarità attraverso le increspature che i suoi movimenti creano sulla superficie. Risponde sollevando il pugno carico e grondante, disseminando gocce luminose tutt’intorno, lanciando la manciata d’acqua verso il suo viso che al riparo tra le piccole onde in movimento, può permettersi di esplicitare quel sorriso.

Di quei momenti di felicità infantile e fuori luogo, potranno sentirsi in colpa dopo.

Ora si concentrano sull’odore umido, la sensazione fresca della pelle pulita, dell’anima un po’ meno impolverata e del cuore almeno un po’ più pieno d’acqua – la consistenza liquida e calda di qualcosa in un punto non definito tra il petto e lo stomaco.

Ma quando si rivestono, la sabbia a contatto con la pelle sembra carta vetrata, e i granelli bollenti raschiano via con violenza gli ultimi istanti di quiete residui.

L’afa appena mitigata dalla sera che si avvicina strisciano, li stringe nella sua morsa, all’uscita dello stretto passaggio. Solo i loro capelli ancora bagnati, rimandano riflessi vivi alla luce del sole che agonizza tra i monti all’orizzonte.

Non parlano, rimangono assorti a gustare il sapore dell’acqua rimasta sulla punta della lingua, fino a succhiarne l’ultima goccia.

Come se fosse l’ultima stilla di vita, l’ultima salvezza prima di tornare a pellegrinare senza meta nel deserto arido.

Mi sono sbloccata, non so se si è sentito il botto: in due giorni ho scritto ben quattro capitoli… cosa che capita proprio nei momenti più inopportuni (tipo quando dovrei passare ogni minuto disponibile a studiare, invece che battere furiosamente sulla tastiera in preda a un impeto cosmico), ma ormai ci sono abituata… ^^”

Sigh… non ho avuto nemmeno il tempo di passare sul forum… perdonoooooo!!! ç____ç
(P.S: auguri a Lely!!! ^^ Mi scuso anche per essere una frana nel ricordare i compleanni…)

Venendo a noi, io non so davvero più come ringraziarvi per i commenti puntuali e meravigliosi che mi lasciati: mi sembra che la parola grazie sia usata un po’ troppo con disinvoltura, ma è l’unica che rispecchia abbastanza bene la mia riconoscenza. Per cui: grazie, davvero.

Ah già, c’erano due o tre cose da dire sul capitolo precedente.

Per quanto riguarda i contraccettivi, hai ragione elyxyz ad avere dei dubbi: li ho avuti anch’io prima di scrivere definitivamente il capitolo, ma poi ho pensato che anche all’epoca qualcosa per evitare piccoli “incidenti di percorso” doveva pur esserci, magari infusi di erbe particolari come nel Medioevo o altri metodi da mammane…. infatti non ho specificato che tipo di contraccettivi vengono distribuiti apposta… però sì, la cosa era un po’ equivoca, avrei dovuto chiarirla in qualche modo… ^^”

La psicologia di guerra è un argomento che mi ha sempre affascinato, per cui ho cercato di documentarmi: la cosa che mi ha sconvolto di più è il fatto che i principali sentimenti umani vengono in qualche modo storpiati dalle continue battaglie (e forse è questo che aumenta la predisposizione alle razzie e al saccheggio sia degli eserciti occupanti che della popolazione assediata), è come se si perdessero i punti di riferimento morali, quindi non è solo una questione di sopravvivenza. In un simile ambiente una storia d’amore è qualcosa di strano e a mio parere anche quella tra Roy e Riza non nasce esattamente come tale (questo avrò modo di spiegarlo meglio più avanti). Ma questa è solo una mia teoria… ^^”

Cambiando discorso, avrei qualche domanda per voi (mi serve per scrivere gli ultimi capitoli, mi manca qualche dato… ^^”):

  1. Dalla fine della guerra al loro incontro, quanti anni/mesi passano?
  2. Roy è tenente colonnello o ancora maggiore, quando la prende al suo servizio?

Grazie per le eventuali risposte e il supporto continuo! Cercherò di aggiornare presto. Un bacione a tutte! ^^

  
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