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Autore: Cap_Kela    20/10/2013    1 recensioni
-Sequel di UNTITLED-
C'è un'unica cosa che spetta per certo ad ogni uomo, ed è una Signora senza volto, avvolta nelle tenebre, che lo condurrà alla sua dipartita.
A Capitan Jack verrà data la possibilità di sfuggirle ancora una volta, ma la sua scelta potrebbe portare al trionfo o alla fine di tutto ciò che abbiamo conosciuto.
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hector Barbossa, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Sorpresa, Will Turner
Note: Cross-over, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'UNTITLED'
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ATTENZIONE: Avvertimenti essenziali nella introduzione, passate da lì prima di leggere il capitolo ;)

Salve a tutti!!! :D
Rieccomi, sono mancata per un mesetto, ma ci son stati gli ultimi esami universitari di mezzo, e ora finalmente posso preparare la tesi di laurea *.* Mi sembra incredibile che ho iniziato questa fan fiction al primo anno di superiori e adesso dico "devo laurearmi"! Wow!
Ma, bando alle ciance! In compenso vi ho preparato un capitolo lunghetto, ehehe.
Come ho scritto nella presentazione esterna: pienamente RATING ARANCIONE.
Quindi vi avverto che ci sono delle scene un po' "cruente". Io sono abituata e amo il genere splatter, però magari non a tutti è gradito.
Non arrivo a tanto in questo capitolo, ma ho cercato di non spingermi troppo all'eccesso.
Ho scritto questo capitolo partendo da una mia riflessione personale sul personaggio di Jennyfer: ma lei, cosa ci fa lì? Per "lì" intendo la Perla.
A questo ho cercato di dare una spiegazione (che approfondirò anche in seguito) servendomi di un personaggio a lei molto vicino, ora vedrete :)
Volevo specificare, anche se magari non è necessario, che lo strano modo di parlare di André è dovuto al fatto che di molte parole io trascrivo la pronuncia letterale in francese ;)
Altro avvertimento, IMPORTANTE: ci son stati via pubblica e privata dei messaggi da parte di voi lettori riguardo la relazione tra Jenny e Jack. Tutti più o meno volevano sapere meglio come si sta evolvendo. Io ho lasciato sparsi qua e là degli indizi, e qualcuno di voi li ha recepiti :P Ma, in quest'ultimo capitolo, più chiara di così si muore, mi son davvero messa alla prova… Scrivendo la mia prima SCENA FLUFF (anche se io dico sempre fluffy). Un momento di tenerezza insomma ;) Altro motivo che giustifica il colore arancio del rating.
Ringrazio ancora moltissimo chi mi sostiene pubblicamente e privatamente in questa fan fiction, siete la mia forza e il mio stimolo costante :*
In particolare ringrazio e abbraccio forte la mia Sogno, la mia "dea reale" :) che di recente ha perso un piccolo angelo, e a loro due è dedicato questo capitolo.
Grazie anche a tutti voi se siete arrivati fino a qui… Buona Lettura!
Altre avvertenze e Mini Spoiler a fine Capitolo! (:





A Immi, che adesso bruca ceppi di nuvole.





C'è chi va ai funerali perché è suo dovere, ma in realtà si compiace d'essere vivo.”
Iniziare il nuovo giorno con una cerimonia funebre non è, di per se, un ottimo auspicio, ma la cosa più irritante di essere qui è il riso beffardo stampato sulle facce degli uomini di mare presenti.
Tentano di nasconderlo al di sotto di quelle bandane logore, le loro fronti alte incrostate di salsedine, sudore e sangue rappreso luccicano ai raggi del primo mattino, mentre fingono contrizione. Ciò che scintilla più di tutto sono i dentacci marci e dorati nelle bocche ghignanti.
A me giungono solo dei bisbigli mal sussurrati, ma da quello che mi è dato sentire l’argomento di conversazione più gettonato è “Meglio a lui che a me!”.
Nessuno conosce l’identità dell’uomo rinvenuto dalle acque questa notte, ho sentito da Jack che ha subito una morte orribile, e più passa il tempo, più a bordo ne ricamano attorno le ipotesi più assurde.
“Gli han strappato il bulbo dalla orbita quando ancora respirava, e questo l’ha ucciso per il crepacuore”.
“Nah, era un povero diavolo di naufrago, è stato attaccato da un corvo e quell’uccellaccio ha cenato con la sua pupilla!”.
Il Capitano è stato uno dei pochi a non avanzare una sua versione fantasiosa, inizia a preoccuparmi l’espressione dura e assorta che assume quando viene messo in discussione l’argomento.
So che sotto l’accozzaglia di perline macchina una teoria tutta sua, e da come la sta affrontando sembra anche delle più terribili.
Paxton...
A chi appartiene questo nome, e che storia nasconde?
Non ho potuto vedere in che condizioni giaceva il cadavere, in quanto donna mi è stato impedito. Ero curiosa, ma per una volta credo sia stata una mossa saggia. Quando tempo fa ferii superficialmente con la spada un uomo, subito dopo stavo per sentirmi male.
Sono futili debolezze a cui devo assolutamente rimediare, qui succede all’ordine del giorno! Bisogna che mi rimbocchi le maniche e provi ad essere più forte.
Jack ha voluto che il malcapitato fosse avvolto in un sudario serrato con delle corde, e ha fatto riporre il tutto su di una tavola di legno lunga e stretta che lo sorregge completamente.
Ora il timoniere e la vedetta stanno trascinando il supporto ligneo verso una apertura del parapetto, destinata alla bocca di un cannone. In fianco un André improvvisatosi “sacerdote” sfoglia un libro sacro, recitando qualche preghiera sommessa per orientare nell’aldilà quell’anima errante.
Proprio durante questo passaggio delicato uno spettatore rumoroso fa il suo ingresso correndo dal corridoio delle cabine, e si ferma al mio fianco.
E’ un pimpante Patrick con un sorriso fuori luogo che quasi mi urla un “Buongiorno”.
Perché con tutta la gente che c’è qui deve addossarsi proprio a me?
Qualcuno della ciurma riunita lì intorno gli rivolge un’occhiata di sufficienza, poi riprendono una posa solenne.
Io cerco di zittirlo fulminandolo con un indice teso dinanzi le labbra, Patrick ne è solo più divertito.
Si contiene giusto quei dieci secondi per far piombare il silenzio, poi riparte alla carica: “...Al mio funerale voglio tanti pianti! Donne addolorate che si gettano a terra, si strappano i vestiti scoprendo il petto ed invocano gemendo il mio nome” afferma con foga, seppur ridotta ad un sussurro, mimando le gesta delle presunte signore in questione.
Lo osservo a lungo per determinare se scherza, ma al contrario è molto deciso sulla sua posizione.
“Scusa Patrick, non so a quali funerali assisti di solito, ma la tua versione ricorda più un sogno erotico...” mi sento di palesare.
Lui ci riflette sopra un attimo, poi scoppia in una risatina esaltata annuendo: “Ma cosa ancora più importante: io non avrò mai un funerale -espone impettito lisciandosi il colletto della camicia- Sono immortale!”
Quante volte ancora dovrà farsene vanto?
Porto una mano alla fronte per reggermi la testa, prima che questa rotoli via in preda alla disperazione, e infine, rialzando gli occhi sulla cerimonia, vedo in lontananza il Capitano che ci guarda di sottecchi. Forse stiamo creando un po’ troppo brusio qua dietro.
“Contieniti!” lo ammonisco sottovoce con una gomitata, cercando di frenare la sua ilarità mal celata.
“Or dunque... Signori! -irrompe Jack a braccia spalancate e mento alto, per richiamare l’attenzione di tutti- Qualcuno tra voi ha un’ultima parola... Prima di procedere?”.
L’unica cosa che trattiene ancora a bordo quel corpo senza vita è lo stivale del Capitano, il resto del pezzo di legno che lo sorregge è per metà sospeso nel vuoto, pronto ad abbracciare il mare.
Alcuni istanti di profondo silenzio, poi ghigni, occhiate losche tra i marinai, e quando sembra per certo lasciare al suo destino quel fratello sfortunato, uno dei manigoldi compie un passo avanti.
“IO, Capitano, vorrei dire quanto segue”. Un ometto curvo e robusto, con le braccia incrociate e tese dinanzi al bacino ingrossato, si fa largo nella folla. Prima che riprenda noto che il suo muso sporgente si rivolge di sfuggita agli uomini che lo circondano, ma così, su due piedi, non vi do importanza.
Jack fa segno di concedergli la parola.
Al cospetto del Capitano il pirata appare umile e beffardamente sommesso, ma l’aver ricevuto un istante prima il totale appoggio dei suoi compagni gli conferisce man mano più determinazione.
“Sto per informarla di qualcosa che qui pensiamo tutti, ma nessuno ha il fegato di proferire ad alta voce...- a queste parole il tale storta il collo, assottiglia un solo occhio ed indirizza la fronte al sole con atteggiamento fiero- Pensiamo che la presenza della vostra donna a bordo sia motivo di sventure, Capitano. E ai vostri piedi ne giace la dimostrazione” biascica senza nascondere nel grugno il proprio disprezzo.
Nessuna sorpresa negli altri, nessun sussulto di indignazione, solo versi accondiscendenti, qualche “Aye” sommesso qua e là.
Una forte scarica di energia convoglia verso di me, e non porta poli positivi con sé. Forse sono solo io a sentirla, forse è solo il mio sdegno crescente.
Vorrei ricambiare con altrettanto odio, vorrei che toccasse a lui lo stesso destino del povero diavolo ai calzari di Jack...
Serro i pugni fino ad affondare completamente le unghie nei palmi, tento di contenermi, ma le decine di sguardi avversi puntati su di me non sono di aiuto.
Alla fine vinco il silenzio, e mi faccio avanti: “Concordo con voi, signore. I tesori e le ricchezze straboccanti nella stiva di questo vascello sono merito della sventura!”.
Jack dal canto suo non emette un suono, ma la bocca gli si dipinge di una curva divertita e poggia la schiena rilassata contro il parapetto, come se si stesse preparando ad assistere ad un piacevole show.
Quell’essere che poco fa si è autoproclamato il portavoce di tutti fa una smorfia ancora più seccata e minacciosa nei miei confronti, ma non controbatte.
Al momento il “ring” si è affollato di un paio di compari dell’uomo con la lingua biforcuta, che lo coprono ai lati. I miei arti si fanno ancora più tesi, sembrano pronti ad uno scatto, anche se in caso mi facessi avanti, non saprei bene come difendermi da questi miserabili predoni.
Calma Jen, puoi sempre rimediare con il dialogo. Sono persone civili, giusto?
Neanche quando dormono...
“Lascia correre Butch -lo ammonisce uno dei suoi con una pacca sul groppone - Se vai a letto col Capitano non puoi che avere la ragione dalla tua parte!” allude sprezzante.
Al diavolo, io in qualche modo li strangolo questi due.
Le mie guance prendono fuoco e tutta la tensione si raccoglie nelle mani che adesso non temo di allungare.
Come sto per darmi lo slancio però vengo trattenuta, indietreggiando contro la mia volontà.
Senza alcuna fatica apparente, Patrick mi solleva di peso e si fa avanti al mio posto, raggiante e a braccia aperte verso i suoi compagni di camerata: “Gente! Una discussione del genere al momento è terribilmente inopportuna. Il Capitano stava celebrando una cerimonia solenne –enfatizza con rimprovero in tono scherzoso, indicando la posizione di Jack- Ora: entrambe le parti hanno espresso la loro opinione, se più tardi voleste…”
“Abbiamo afferrato il punto, Wallace”. E’ il Capitano a stroncare il “discorso di pace” annoiato dalla situazione.
Patrick lo asseconda chinando il capo come segno formale, infine si rivolge a me e mormora facendomi l’occhiolino: “Contieniti!”.
Io replico solo con un sommesso grugnito di disapprovazione.
La ciurma è ancora intenta ad osservare Patrick tra lo sconcerto e lo sgomento, quel nuovo arrivato per ora non sta attirando molte simpatie.
I bronci pronunciati e le smorfie di scontento non hanno un’aria invitante, ma Patrick con il suo atteggiamento sempre positivo non pare darvi peso, a volte vorrei riuscire a fregarmene quanto lui.
Il Capitano prende le redini della situazione, ma prima di procedere esibisce con gesto ampio delle maniche il dito indice, per richiamare l’attenzione.
“Solo un appunto, Mastro Butch: se voi o chicchessia non gradisce le modalità secondo cui amministro la mia nave… -lo stivale che prima sorreggeva la tavola di legno col cadavere si sbilancia, Jack vi toglie definitivamente il proprio peso, e nel giro di un secondo cade a picco, inghiottito dalle acque- …Questa è la via!”
Il tonfo sordo del corpo in mare fa trasalire tutti, e muovere un passo indietro a quei sfacciati diffamatori.
La cerimonia può dirsi conclusa, Jack ha spolverato la sua posizione di dominio e ognuno fa silenziosamente ritorno alla propria postazione.
In quanto a me chissà se in cucina troverò un po’ di tranquillità e facce amiche.
Almeno lì spero di riuscire a calmare momentaneamente i nervi.
Nel frattempo il ponte è tornato alla routine degli echi dei comandi e, dagli sguardi che mi assediano mentre lo attraverso, avverto rinnovata una certa ascendente ostile.
Finalmente imbocco l’uscio del mio riparo, e all’ ingresso vengo catapultata in un vortice travolgente che somiglia ad un misto tra una lezione di cucina ed una festa popolare francese.
Pentoloni in ebollizione, profumi invitanti, ceste di cibo, spezie colorate agghindate a festoni e nel mezzo Patrick e André che a dir poco danzano sulle note di ballate francesi, intonate dalle loro stesse bocche smaglianti.
I due ci impiegano qualche strofa a notare la mia mascella spalancata sui gradini, da dove li fisso ad occhi sgranati.
“Mademoiselle!” esulta lo chef a braccia aperte, venendomi incontro per guidarmi al centro del balletto.
Sono sconvolta a tal punto da non riuscire a tirarmi indietro, e l’attimo dopo mi sento come una biglia del flipper che viene scagliata dal braccio di André, con una giravolta a quello del semidio.
Rido tanto che mi vengono le lacrime agli occhi, mi serve un momento alla fine del balletto per riprendermi, così mi sistemo in un punto libero del bancone.
“Siete due pazzi! Ma che diavolo succede qui?!”dico ancora euforica passando una mano nei capelli, arruffati dalla foga del banchetto danzante.
Il macigno che prima pesava sul mio petto si infrange per almeno la metà del suo volume, e questo è un gran sollievo.
“Bisognava rallegrare l’atmosfera!” replica Patrick facendo spallucce. Noto solo ora che in una manciata di minuti si è già perfettamente calato nell’ambiente, ha tutto quello che serve: riccioli legati da un laccio, grembiule immacolato, mestolo alla mano. Sembra quasi credibile!
“Sono entrato dalla porta come hai fatto tu poco fa, e il mago dei fornelli qui era intento a preparare il pranzo cantando. Unisci a questo un pizzico del mio animo festaiolo ed ecco il risultato”chiarisce Patrick in breve, arrotolandosi uno straccio lungo la spalla.
André ridacchia in risposta dall’altra parte della stanza, rovistando nella dispensa.
“Tu conosci il francese?” alla mia domanda sfugge una cadenza sorniona.
Il semidio solleva lo sguardo su di me, si avvicina complice al mio orecchio e bisbiglia sommesso: “Non so una parola, a parte il nome di qualche pietanza che cucinano laggiù!”.
Scuoto la testa divertita, agitando avanti e indietro gli stivali penzoloni.
André riappare alle nostre spalle, porgendo a Patrick uno strano tubero: “Questa faLa a cubetti, ragaSo.”
Poi afferra una tazza, una brocca e accorre da me con fare premuroso. Offrendomi del thé bollente le sue mani avvolgono affettuose le mie, piuttosto incerte: “En FranScia le doNe le consoliamo con una SceneTa e un caliSce di vino, ma su questa nave è bandito. SpeRo che questo sia aBastanSa de confoRto!”mi augura con i suoi occhi buoni.
“Sei gentile, grazie!” replico intimidita dal tutto, accogliendo quel gesto amorevole.
Lo chef monitora con un’ultima sbirciata il lavoro dell’assistente, infine scompare dietro ad un pentolone gorgogliante.
“Su questa bagnarola puoi sicuramente contare sul nostro appoggio, Jen. Vero Andy?”
Me oui!”gli fa eco il francese.
“Non farti sentire da Jack però!” lo ragguaglio con un sorriso.
Mi riesce impossibile  non osservare il semidio con uno sguardo indagatore per tutto il tempo, manca di convincermi fino in fondo, sento come se da lui dovessi aspettarmi un passo falso. Ci vuole altro oltre alla simpatia per guadagnarsi la mia fiducia.
Sorseggiando la bevanda bollente mi accorgo che Patrick esegue le indicazioni di André con naturale precisione e anche in velocità! E’ indubbiamente una personalità curiosa.
“Ci sai fare con i coltelli, mi fa riflettere sul motivo per cui ti abbiamo ripescato da una cella…” butto lì una provocazione.
Patrick sorride sotto il suo accenno di pizzetto chiaro, poi replica: “Ancora questa accusa? Non ho mai ucciso nessuno, e la mia condizione di creatura semidivina mi impedisce di farlo anche se volessi. Non so nemmeno maneggiare una spada se è per questo…” cerca al solito di guadagnare punti a suo favore.
“Ammetto di essere un pessimo pirata a dirla tutta, ma posso riconoscere di essere stato un eccellente aiuto cuoco nella Manhattan Valley!” conclude infervorato, affettando un’altra tapioca a velocità record.
Io accenno un mormorio acuto di sorpresa, immergendo le labbra nel thé. Ha vissuto a New York?
“Ce ne sono state parecchie di mansioni umili nella mia vita. Consegna dei giornali, distribuzione di volantini, smaltimento rifiuti, lavapiatti… Ho provato parecchie cose! Finché son riuscito a varcare il gradino del sous-chef. Per lunghi anni ho viaggiato nel tempo e nello spazio alla ricerca del mio posto… E mi è servito a capire che non appartenevo ad una cucina. Così, infine, mi sono stabilito nell’epoca a cui è appartenuto mio padre”.
“Buon per te!” commento con una amichevole pacca sulla spalla. Nel frattempo Andrè mi ha affidato la mansione di preparare dei fagiolini bianchi alla cottura.
“In più ci si è messa la fanciulla col cappuccio rosso…” dice illuminandosi, per alludere al continuo degli eventi.
“A tal proposito, è più riapparsa?”
“Questa mattina, per darmi le coordinate della nuova rotta. Già riferite al Capitano!” attesta brillante, fiero dei suoi panni da tramite.
Lo ammetto, sono colpita dal nuovo arrivato, anche se cerco di non darlo molto a vedere. Da quello che racconta sotto la buccia affabile, inspessita di spavalderia, è come chiunque. Un  poco smarrito, volto ad intraprendere una costante ricerca di sé stesso. Magari fallisce, però si rialza e non si dà per vinto.
“Ma passiamo a te…” riparte alla carica con fare intrigato.
Io lo osservo qualche istante allarmata dal suo tono: “Hai detto di conoscermi già, non so come, la prima volta che ci siamo visti…”
“Vero, ma tu dimmi qualcosa che non so”incalza il semidio.
“Ad esempio?”
“Uhm… Beh, vediamo. Da come mi è parso di capire il tuo posto su questa nave è al fianco del Capitano…” io confermo.
“Ma, di preciso, qual è il tuo ruolo a bordo?”
Appaio un po’ confusa dal termine “ruolo”, ma propongo ugualmente: “Quello che mi vedi fare ora”.
Patrick rimane attonito, fissa lo sguardo sulle mie movenze un po’ goffe, ma efficaci, nel pulire i legumi, e infine tenta di camuffare una risata.
“Non per abilità esecutive…” mi canzona.
“So anche cucinare di mio ottimi sandwich al burro di arachidi o, se preferisci, al formaggio filante!” espongo divertita, in mia difesa.
“Però devi ammettere che è stato un po’ maschilista da parte di Jack rilegarti qui tra i fornelli”preme, riacquistando fermezza.
A quel punto mi fermo di colpo ed sollevo lo sguardo su di lui, risentita: “Non è stata colpa di Jack, non c’era granché che sapessi fare. Da qualche parte dovevo pur cominciare!”
“Queste suonano un poco come delle scuse…” attesta con una smorfia, non convinto.
“Senti, Jen –Dice avvicinandosi, spostando da parte gli strumenti da lavoro. Sa che non avrà la mia lucida attenzione ancora per molto - è chiaro che tu ti trovi qui per amore, e condivido la nobile causa… Ma quello che sto facendo ora è finalizzato a smuoverti. Domanda a te stessa cosa vuoi davvero!
Trova il tuo posto nel mondo Jenny, te lo dice uno che nella vita avrà infinite possibilità di errore, al contrario di quelle limitate che verranno concesse a te.”
Mi riecheggeranno a lungo nelle orecchie le sue parole, in effetti ha sollevato un dubbio tacito che avevo dentro da molto prima di quest’oggi.

La favolosa zuppa sancocho di Andrè, all’ora di pranzo, fa il suo ingresso nel salone alla pari di una reliquia sacra durante una celebrazione.
Dopo questa mattina a tutti è rimasto un poco di amaro in bocca, e ogni membro della ciurma non vede l’ora di affogarlo in qualcosa di saporito e sostanzioso.
Andrè e Patrick trasportano l’imponente pentolone di rame, mentre io li seguo con una pigna di scodelle di legno e cucchiai, perfettamente conscia che quest’ultimi verranno usati gran poco dalle personcine non esattamente civili che stanno entrando con noi nel salone.
L’andatura cadenzata, stanca e ciondolante degli uomini viene contrastata dall’ingresso pimpante del Capitano, che sopraggiunge nella stanza con uno scatto, e si fa largo agitando le braccia per conquistare il suo posto, a capotavola, sul lato opposto dell’entrata.
Prima di accomodarsi, però, Jack fa tappa dal nostro trio, organizzato per servire quelle bestie, ehm, individui rispettabili, il più velocemente possibile. Capitano spesso cori di isterismi e proteste perché al loro arrivo non hanno già il cibo tra le fauci, e oggi, in particolare, preferirei evitarli. Andrè raccoglie in un grande mestolo due cucchiaiate per uno di zuppa, io porgo lui le ciotole e in seguito le affido a Patrick, il quale le distribuisce ai vari posti a sedere.
Jack compare alle mie spalle, afferrandomi per i fianchi non senza un mio sussulto. Andrè commenta con una occhiataccia storta indirizzata al Capitano, stava per far rovesciare la sua preziosa zuppa! Il Capitano sbircia il pentolone immergendosi più a fondo nei miei capelli, e infine mormora prima di volatilizzarsi: “Uhm… Che profumino invitate, dolcezza!”.
Al suo arrivo Patrick mi affianca, e, udendo il commento, lagna fintamente risentito: “Hey, il merito qui è di tutti e tre, non solo suo!”.
“Parlavo di lei, ragazzo, non del cibo!” replica Jack, di spalle, ormai avviato al centro delle stanza.
Quando il semidio si rivolge a me per ricevere due nuove porzioni di zuppa da servire, gli restituisco una linguaccia.
Ormai le ciotole volgono al termine, così Andrè suggerisce a noi due assistenti di prendere posto. Percorro la sala evitando il contatto diretto con gli occhi dei suoi occupanti,  fortunatamente già intenti a mangiare e svuotare calici di rhum, ma arrivata al mio posto, alla destra del Capitano, noto con sorpresa che la sua sedia è vuota.
Sedendomi aguzzo la vista, e lo ritrovo vicino ad Andrè, con un’ombra scura in viso. Di cosa si lamenterà oggi col cuoco?
“Manca de sale, Capiten?”domanda il mio dandy, innocentemente, allarmato dalle minacce di morte che bramano gli occhi fumantini di Jack.
“Vecchio spilorcio, ti sembra una porzione degna da sottoporre al tuo Capitano questa?” protesta, scagliando la ciotola giunta al suo cospetto sotto a quel naso baffuto d’argento.
“Due cucchiaiate come a tuTi ,Capiten…”si difende implorante.
“Riempi.” con un unico imperativo ordine scuote gli animi del francese a tal punto da farlo rassegnare all’obbedienza.
E’ in quello stesso momento che io mi sollevo leggermente dalla sedia, afferrandone il seggiolino per spingerlo un poco più vicino alla tavolata, e, anziché pormi in modo più composto, mi ritrovo piombata a terra.
Questione di un secondo: il legno della gamba anteriore, manomesso e assottigliato, cede ed io finisco per incastrarmi nella sua struttura, baciando le sudice assi di legno del pavimento.
Ma non è questo a disgustarmi più di tutto, bensì lo è il simbolo che noto subito dopo aver riaperto gli occhi, tracciato nettamente a gesso vermiglio, proprio al di sotto della mia seggiola… Il malocchio.
Al mio tonfo segue un turbine di silenzio generale. Le bocche in sala cessano di maciullare, sputacchiare e parlare. Gli occhi giallastri zampillano in tutte le direzioni, fino ad intraprendere quella suggerita dall’udito un po’ intaccato, ma infine è solo una persona, il presunto artefice, Butch, a balzare in piedi, con braccio e indice tesi verso di me e quel segno, gridando: “Ve lo dicevo, compari: quella è un covo di sventure!”
La pioggia di risate che ne segue mi fa tornare in me. Sono ancora a terra, scossa e intrappolata nei resti della sedia. Mi sollevo su un gomito, mentre con l’altro braccio raggiungo il fondoschiena, liberandolo a fatica, con l’aiuto di qualche imprecazione silenziosa, dallo scheletro di legno.
Il chiasso cessa quando lo sguardo di Jack avvolge d’ira ognuno di loro, soffocando l’euforia. Ora quei manigoldi lo sentono inabissarsi nelle loro ossa, e nessuno ha il coraggio di sfidarlo con un contatto visivo diretto.
“Fuori, tutti voi.”si pronuncia in tono fermo il Capitano.
Segue un grande mormorio di passi, qualche flebile commento contrariato, ma tutti si affrettano verso la porta.
“Tu no, biondino” rettifica all’ultimo, riferendosi a Patrick.
Nel frattempo Jack ha falcato a grandi passi la sala, scorto il segnaccio inciso sul pavimento e teso una mano in mio aiuto.
Un solo pirata ha spudoratamente ignorato il suo comando, ma solo per corrermi incontro con una inflessione urgentemente angosciata: “Mademoiselle!”.
“Non sarai anche sordo, Andrè!” tuona Jack, seccato dalla sua presenza, mentre io torno a stare in piedi appoggiandomi a lui.
Il cuoco si blocca sul posto, poiché proseguendo l’umore di Jack potrebbe peggiorare.
“Wallace, sgombera le ciotole. Questa sera riproporrete alla ciurma la stessa brodaglia”.
“Me! No… Il mio capolavoRo, spRecato…!” lamenta il cuoco, addolorato dall’ordine appena imposto dal Capitano.
“E tu vai a piagnucolare FUORI!”
Andrè questa volta obbedisce, ed esce a testa bassa.
“Smettila di prendertela inutilmente con lui!” richiamo Jack, dandogli un pugno sul petto.
“E tu non difenderlo sempre!” controbatte secco, fissando i suoi occhi nei miei.
Il mio broncio diviene subito un’espressione di timore indirizzando lo sguardo verso il pavimento, dove quei segni vermigli minacciano ancora maligni presagi.
“Mi auguro che, data l’ampia istruzione ricevuta, tu non sia superstiziosa, chérie!”proferisce divertito, contro la mia tempia. L’intonazione si è già addolcita.
Io rivolgo a lui un’occhiata molto più eloquente delle parole: le labbra accennano una curva di sorriso, ma tutto il resto del volto è accigliato. Il palmo aperto che poggio al centro della sua schiena stringe di riflesso il gilet leggero che la ricopre, e infine mi distacco da lui per spostarmi verso quel cerchio male augurante.
Ne disegno i contorni con gli occhi ancora per un secondo, prima di inveirci sopra, prenderlo a calci, cancellarlo con le suole dei miei stivali e sfogare tutto il mio malcontento.
E’ sciocco, ma mi è servito, perché un attimo dopo mi rivolgo a Jack con uno sguardo nuovo, acceso, palpitante e le labbra incurvate di appagamento: “Sai che c’è? I manigoldi della tua ciurma dovevano pensarci meglio, prima di farmi questo. Perché, per loro sfortuna, metto mano anche io al cibo che poi loro mangiano…” alludo vendicativa.
Jack mi guarda intrigato, ma solo il tempo di focalizzare le conseguenze, poiché subito dopo commenta allarmato: “Da domani chiederò al francese di farmi un piatto a parte, che si discosti dal menù!”
La mia seconda risata di pancia della giornata. Più a fondo precipiti, più grande è il sollievo quando riemergi.

La sala da pranzo è sistemata, ho aiutato Patrick a rassettare in cucina i rimasugli del non-pranzo, e adesso purtroppo devo tornare “alla luce del sole”, tra quei farabutti.
Ho sempre un po’ di suggestione ad attraversare questi luoghi comuni della nave, visti i precedenti di oggi, ma il mio piano di vendetta mi è di incoraggiamento anche in questo.
E’ pomeriggio inoltrato, e c’è una strana atmosfera, una luce che tende al seppia, un’aria come se stesse per venire a piovere, la tensione palpabile nelle persone.
Che è successo mentre ero al sicuro in cucina?
Il mio quesito viene interrotto da un lamento. Cadenzato, petulante, viene da sotto il castello di comando.
Mi avvicino cauta, seguendo l’andamento del parapetto, nascondendomi tra le sartie, per guardare senza rischiare di essere vista.
Scorgo un terzetto di uomini riuniti attorno a un quarto, seduto scomposto su di un barile di polvere da sparo. I lamenti vengono da lui.
Uno dei tre, il più alto, è chinato sul quarto e armeggia con un ago e una candela, infine il meno barbuto gli porge un fazzoletto. No, sono bende.
Il predone seduto bestemmia, sputa e si agita. Scalpita con i piedi come un mulo. Riconosco l’accento acuto e il panzone, è Butch.
Non mi stupisce, dunque, che si sia messo nei guai. Noto che il punto su cui i compagni fidati stanno operando è la mano, da qui ne vedo un lembo ricoperto interamente di sangue rappreso.
Il “chirurgo” del quartetto usa come tavolo operatorio un alto fiasco di rhum, su cui sono riposti vari stracci macchiati di sangue, una bottiglia di rhum vuota, che avrà appena scolato per sviare al dolore, e altri due componenti che non riesco a distinguere, finché il primario della Perla Nera non ne prende in mano uno, per tentare alla belle meglio di ridargli il suo aspetto originario.
E’ l’estremità di un dito.
“L’altra falange no so se riuscirò a ricucirtela, mate”. confessa il chirurgo operante.
“Tu almeno provaci, figlio di un cane. AAAAH!”

Mi dileguo da lì, e percorro il corridoio delle cabine come fossi al galoppo.
Le porte sono tutte aperte, il Capitano ha voluto così da quando Patrick le ha prese come sue “stanze private”, tranne una, in cui io mi fiondo come una furia.
La spalanco con uno spintone e ne invado la quiete con ancora l’adrenalina che mi schizza in corpo.
Jack è lì, nella sua tana, al suo posto, per metà sprofondato nella comoda poltrona che abbiamo ai piedi del lettone.
L’aria scomposta, rilassata, una gamba a penzoloni dal bracciolo e gli occhi pieni, pensierosi.
Per lo slancio non riesco a contenere il volume della voce, e quasi urlo: “Non c’era bisogno di arrivare a mozzargli due dita!”.
Lui mi fissa accigliato, per un istante. Porta alle labbra un goccio della sua bevanda ramata preferita, e poi dice: “Ah, non guardare me!”
Sorpresa! Sono confusa. Il Capitano si occupa di fare chiarezza: “Mi hanno riferito che è stato André. Coltello da cucina, un colpo secco. ZAC” narra entusiasta mimando l’accaduto.
“Oh…” mi sento solo di commentare. Un uomo così buono, così calmo… Non l’avrei mai ritenuto capace di tanto.
Decido di lasciare da parte momentaneamente la faccenda. Dopo una giornatina come quella appena trascorsa, il mio unico pensiero è… riposare!
Muovo un paio di passi verso il Capitano, facendo mostra del cestino che ho portato con me dalla cucina, e sfortunatamente si è svuotato per metà durante la corsa fino a qui.
“Qui ci sono…ehm…due mele! Pensavo avessi fame, visto che oggi non abbiamo nemmeno pranzato.”
Jack mi ringrazia, ma declina mostrandomi orgoglioso il bicchiere di rhum.
“Queste ti faranno meglio di quel veleno!” lo rimprovero, portandogli via di mano il bicchiere e lasciando sulle sue gambe il cestino.
Mentre mi allontano marca il broncio e il cipiglio. Raccoglie da terra una bottiglia con ancora due dita di liquido, quella con cui si è riempito fin ora il bicchiere, e la fa sparire gelosamente nelle pieghe della camicia.
Incorreggibile.
Poggio il bicchierino ancora pieno sulla imponente scrivania, all’estremo della stanza. E’ il deposito delle scartoffie di Jack, ma sopra di esse spicca un appunto, scritto di suo pugno con inchiostro di fresco. Sono le indicazioni per una rotta. Mi tornano in mente le parole di Patrick, le riporto alla lettera su di una mappa nelle vicinanze.
“Perché Scilla vuole che andiamo a Ridleys Bay?” domando sfilandomi i pesanti stivali, prima di gettarli scompostamente in un angolo libero.
Jack si gira di scatto con gli occhi stralunati: “Com’è che lo sai?”
Io gli mostro trionfante il foglietto incriminato, poi passo a slacciarmi la cintura. Da quel momento il Capitano è incapace di distogliere lo sguardo.
Cedono alla gravità, e sotto il peso della cintola, anche i miei pantaloni, e mi dirigo sbuffando verso un angolo della cabina tutto nuovo.
Ho chiesto a Jack se potevo avere un piccolo lavatoio. Una grande brocca di acqua fresca e un catino poco fondo, tutto qui. Ma ne sentivo davvero il bisogno. A fine giornata il semplice fatto di potermi rinfrescare mi rimette in sesto.
Sbottono la camicetta, verso un po’ d’acqua e per finire volgo l’attenzione a Jack: “Non rispondi?” chiedo impaziente, in mancanza di una sua precedente replica.
Il Capitano ha cambiato posa, si è sistemato di traverso sulla poltrona, nella posizione più adatta ad avere una migliore visuale, e al momento mi divora con gli occhi, esattamente come sta facendo con la mela in cui affonda le fauci.
“Non badare a me, continua pure! Continua pure, mi piaceva il tuo… spettacolino!” sbiascica euforico, a bocca piena, agitando scompostamente in aria le mani.
Io non posso fare a meno di arrossire e sentirmi un poco più in soggezione adesso.
Non soddisfo appieno le sue aspettative, perché mi spoglio solo all’ultimo, e, data la bassa temperatura dell’acqua, mi lavo molto velocemente.
Pesco da una pigna di vesti pulite una camicia immacolata, me la getto indosso in preda ai brividi, e l’abbottono facendo ritorno verso il letto, con uno sguardo di sbieco orientato al Capitano.
Jack se è possibile, è ancora più intrigato, e mentre gli passo accanto, con fare ironicamente indifferente, si impettisce palesando: “Ho anche mangiato la tua maledetta mela, non merito un premio adesso?”
Assesto il cuscino per essere più comoda, e, fingendo di non capire, mormoro: “Quale premio? Io sono distru…”mentre controbatto smuovo le lenzuola per sgattaiolarci dentro, ma come spiego quella esteriore, ecco riapparire l’incubo.
E il rosso marcato a colpire il mio sguardo, ma quando prende di nuovo i lineamenti di quel simbolo maledetto, è l’ennesimo battito mancato.
Un nuovo malocchio padroneggia sulle lenzuola, dalla mia parte del letto, la sinistra, minaccioso quanto effimero per la sua natura in gesso.
In quel momento divengo più pallida del consueto, e sgranando gli occhi, ammaliata dal suo effetto, riesco solo ad arretrare terrorizzata. Ci ero appena passata sopra e non posso credere che sia apparso di nuovo.
Allontanandomi incappo in un muro alle mie spalle, che si rivela essere Jack. All’impatto sussulto visibilmente, sentendo i nervi di nuovo cadere a pezzi.
Incontrando da vicino il suo sguardo, l’aria esageratamente divertita dalla mia reazione incontrollata mi suggerisce solo una cosa… “SEI STATO TU, razza di farabutto! Mascalzone! Come hai potuto?” strepito adirata.
Inveiscono altri insulti su di lui, e da parte mia vi è una replica irrazionale fatta di schiaffi che però non raggiungeranno mai il Capitano, perché egli si ripara prontamente da tutto con un abile espediente.
Una sorta di stretto abbraccio che mi serra le braccia, ed io, ancora scalpitante, ribollisco di rabbia nella sua trappola.
“E’ una questione di suggestione, tesoro. Se tu ti comporti come se questo simbolo potesse nuocerti, fai il gioco dei miei uomini, e loro l’avranno vinta, comprendi?”
Dal nucleo centrale della mia rabbia lo sto davvero poco a sentire, e intimo solo che mi liberi.
Jack allenta la presa, e io respiro a fondo coprendomi il volto con le mani, per recuperare quel poco della padronanza di me che mi resta.
“Credi davvero che quel pastrocchio di gesso sia per te portatore di disgrazie?” domanda nel tentativo di minimizzarlo.
“Beh, ecco… E’ risaputo che non è di buon auspicio, non è questione di crederci o meno, è che vederlo indirizzato a me… Mi spaventa!” cerco di spiegare cosa provo, il più sinceramente possibile.
“Allora vieni qui…” dice con uno strattone netto, facendomi roteare su me stessa, fino a poterlo guardare negli occhi, mentre io  inclino in modo buffo la schiena per riacquistare equilibrio “…e rendimi l’uomo più sfortunato del mondo!”conclude, alla distanza di un respiro, con una cadenza inebriante e sensuale.
L’attimo dopo quelle labbra lascive sono già alla disperata ricerca delle mie, la foga e il temperamento struggente del Capitano mandano al diavolo i miei tentavi di reggermi in piedi, e cado all’indietro sotto il suo peso, rimbalzando sul morbido.
Approfitto del soffice atterraggio per sfuggire alla sua morsa, e puntando i gomiti per arretrare al centro del letto, digrigno tra i denti un “Che tu sia maledetto”.
Il mio sforzo di sembrare minacciosa serve solo a divertirlo ancora di più, perché in risposta ottengo lo sfoggio dell’intera dentatura placcata in oro, ed una sua risata roca e profonda, che mi provoca dei pizzichii di eccitazione alla base della schiena.
Con un lesto scatto avanza fino a riuscire ad immobilizzarmi i polsi, e poi si sistema con una lentezza e sicurezza snervante sopra di me.
Ormai non riesco più a mantenere il muso duro, ed impotente dinanzi le sue mosse pacate e calibrate, mi sciolgo in un sorriso provocante.
Il suo corpo, svestito dalla pesante giacca e i cinturoni con le armi, aderisce al mio. Emana un calore tale che sento la mia pelle, pallida e delicata, bruciare sotto a quel tocco.
Lui si sistema in modo da scaricare un po’ del suo peso sulle braccia, ed infine, prima di proseguire, indugia per un attimo rivolgendomi uno sguardo enigmatico. La patina opaca che ricopre quegli occhi nasconde una nota di inquietudine.
“Se proprio dovrò lasciare presto questo mondo, come sostiene quella strega, ciò che desidero ora è sentirmi più vivo che posso… E lo voglio così, dolcezza.”
Questa affermazione è un crepitio al cuore, sussulto, sento gli occhi inumidirsi leggermente e non trovo le parole giuste per replicare. Porto solo le mani al suo viso ambrato e ne accarezzo il profilo ispido, per la  barba incolta,  per fargli sapere che andrà tutto bene.
“So che non ti consegnerai al destino senza prima lottare… Ed io sarò al tuo fianco, a rivendicare che tu sia salvo!” gli assicuro guardandolo fisso negli occhi, come a sottoscrivere il mio giuramento.
La curva nera e marcata che li incornicia si assottiglia, come le labbra, i cui estremi ora si estendono agli angoli del viso, e, senza aggiungere altro, quella zazzera scompigliata si china su di me per approfondire il bacio precedente, questa volta ancora più sentito, dirompente, disperato.
E’ il sapore della libertà quello che contraddistingue Jack: un miscuglio esotico di canna da zucchero, caramello e spezie, ormai intriso nella sua pelle, che poi rilascia sulla tua come ricordo per quando è via.
Le sue mani screpolate dal mare scivolano verso il basso privandomi di quel poco che mi è rimasto indosso, i residui di sale su quel corpo ruvido e inaridito dal sole creano un eccitante attrito contro il mio.
La ferraglia assicurata ai suoi capelli mi lascia dei segni sul collo, mentre quella bocca sempre più ingorda  scende nell’incavo dei seni.
La mia mente allontana le tenebre dei pensieri infelici per lasciare spazio ad una nebbia ovattata, cedendo all’estasi.
Prima di rassegnarmi ad ammettere che è impossibile resistere al fascino di quell’uomo, voglio ancora tentare la via della rivincita.
Libero entrambe le gambe dalla sua morsa, e facendo leva con esse torno a stare seduta sul letto.
Rialzandomi incontro lo sguardo contrariato di Jack che mi fissa intensamente da sotto la bandana rubino.
Ridacchio divertita, riavvicinandomi a lui con movenze cadenzate e sinuose. Afferro il bavero della camicia slargata, e soffio sulle sue labbra: “Me la pagherai, Sparrow!”.
“Perché tu lo sappia, il malocchio è anche emblema di protezione della persona amata” puntualizza attirandomi a sé con delle carezze lungo la schiena nuda.
“Balle!”sentenzio riparandomi nell’incavo tra la sua spalla e il collo.
“Metti in dubbio la mia parola? -riconosce sorpreso- Pensavo che una testolina del futuro come te… Sapesse… Certe cose”. Quelle parole spezzate sono dovute ai morsi e ai baci che mentre blatera gli lascio sul collo, appena sotto l’orecchio, uno dei punti che lo rende più vulnerabile.
Adesso che ha abbassato la guardia posso finalmente agire: porto una mano lungo il suo fianco e facendola risalire, arrotolo via la camicia leggera in lino che avvolge il Capitano.
Non posso vederlo in viso al momento, ma so che le sue palpebre sono socchiuse, e sotto di esse gli occhi stanno facendo delle capriole su se stessi.
Con la mano libera, invece, afferro le lenzuola marcate di rosso e raccolgo un po’ di gesso sulle dita. Così traccio alla cieca delle linee sul suo torace, poi risalgo lungo le spalle, e infine, con la scusante di sfilargli la camicia, imbratto anche la faccia.
E’ il portarmi una mano alla bocca per celare una risata che mi tradisce, perché in quel momento Jack nota le estremità sporche di polvere rossiccia, e collega il tutto.
“Ora saresti perfetto per un rito vu-dù” osservo tra le risa.
“Allora deve esserci anche una vittima!” dice infervorato dal mio scherzetto, prima di travolgermi e farmi finire di nuovo stesa.
Jack non manca di rivalersi utilizzando la mia stessa “arma”, quindi con l’angolo di lenzuolo rimasto strofina il gesso rimanente sulla mia faccia, mentre con l’altra mano mi trattiene salda contro il materasso.
Quando cessano le risate di entrambi mi sorprendo ad osservarlo trasognante, pensando che lui sia l’unica scelta giusta della mia vita.
I pensieri non parlano ad alta voce, ma traspaiono dagli occhi, e il Capitano sa carpirli, perciò infine si stende accanto a me e mi porge altri baci,  i quali continuano lungo la scia ormai invisibile cominciata poco prima della battaglia del gesso.
Quando giunge alla fine delle costole si ferma e solleva il volto, sfoggiando una occhiata tra l’astuto e il
malizioso. Non nascondo un brivido di timore.
Con un gesto plateale disegna una curva a mezz’aria, volgendo un braccio all’indietro, e facendo roteare le dita, afferra qualcosa legato alla cintola, nella parte anteriore dei pantaloni.
Il suo ghigno trionfale mi conferma che è proprio rhum il contenuto della minuscola boccetta che si porta infine sotto il naso.
Dovevo immaginarmelo, un pirata ha sempre le sue scorte di emergenza!
Strappa via il tappo servendosi dei denti, poi fa per chinarsi di nuovo.
Io, sospettosa per istinto, mi allarmo e domando quali sono le sue intenzioni, ma lui mormora che devo stare calma, carezzandomi l’addome con fare rassicurante.
Mi lascio convincere e rilasso le spalle all’indietro, ma non manco di sbirciare le mosse di quell’ingannevole filibustiere.
Il liquido ramato mi sfiora soltanto, ma il fiato si è già fatto corto e la testa inizia a girare. Jack riempie il mio ombelico fino all’orlo e sussurra ancora: “Non ti muovere”.
In realtà per poco non sussulto dall’eccitazione mentre le sue mani bollenti si poggiano al principio delle mie gambe, dove incrociano i fianchi creando uno spigolo. Serro i denti per non ridere mentre si avvicina, e la ferraglia dei suoi capelli mi stuzzica.
Ad una manciata di millimetri dal suo “calice”, Jack schiude le labbra e ne raccoglie il contenuto con la lingua.
Io inarco la schiena e buttando la testa all’indietro gemo contro il cuscino.
Quando il corpo inizia a reagire ad ogni stimolo come fa uno strumento tra le mani di un audace pianista… Lì risiede la passione. E lì, come in pochi altri momenti, perdo del tutto la ragione, e sono sua.



*
Angolo della pazza…ehm…Autrice ^^'
Risalve :P
Come promesso, ecco i titoli di coda!
Volevo solo informarvi che al più presto tornerò anche con la mia Fan Fiction "How to train your creativity *FF interattiva*" sempre in questa sezione, sempre dedicata ad Unty, ma in forma di raccolta di One Shot.
La cara Selene6 mi ha lanciato una bella sfida, e io voglio coglierla al volo :P So già come fare *muwahahaha* Ok, basta u.u


Ma passiamo agli SPOILER!
Li ho scritti con l'inchiostro simpatico :P
Armatevi di limone e candela!
Scherzo, quindi dovete selezionare con il mouse il testo qua sotto per leggerlo, in modo che solo chi è interessato può sbirciare le anticipazioni:


Nel prossimo capitolo ho intenzione di affrontare una tematica abbastanza delicata.
Ovvero, voglio dare una piccola anticipazione dell'idea che mi son fatta dell'infanzia di Jack.
Questo comprende anche mamma e Teague :) Credo che mi atterrò solo in parte ai filmsss.
Basta, sapete già troppo :P


E' tutto, grazie della sopportazione!
Fatemi sapere cosa ne pensate :)
A presto miei cari, i miei ossequi.
_Kela

 
   
 
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