L’ho
già
messo tra gli avvertimenti ma non si sa mai: questa One Shot contiene
SPOILER,
in un punto raggiunge un alto tasso di svenevolezze e a fine pagina
c’è
qualcosa che spero voi possiate gradire.
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Ultime
previsioni prima di Dressrosa.
“Era…
solamente ieri sera
io parlavo con gli amici, scherzavamo tra di noi
E tu, e tu, e tu
tu sei arrivato
m'hai guardato e allora
tutto è cambiato per me”
Il
pennino
scorreva fluido sulla morbida carta; Nami ne intingeva la punta nel
calamaio,
prendendo gocce di inchiostro, e stava attenta a mantenere una
calligrafia
omogenea e senza macchie: la navigatrice era intenta ad aggiornare il
diario di
bordo.
Da quando la Thousand Sunny era salpata da Punk Hazard, facendo rotta
verso
l’isola Dressrosa, la ragazza non aveva avuto un solo attimo
per dedicarsi alle
sue mansioni di cartografa – infatti, sullo scrittoio, mappe
appena sbozzate
erano in attesa di essere portate a termine –
e perciò, da circa tre ore,
se ne stava chiusa nella biblioteca della nave, totalmente immersa nel
suo
lavoro.
Le bruciavano gli occhi e le girava la testa; Nami cercò di
rimediarvi
indossando le sue lenti. Almeno il diario doveva essere completato
entro
l’alba: a lei non piaceva lasciare nulla in sospeso, e
ultimamente questo stava
accadendo con troppa frequenza.
Purtroppo, nonostante i suoi sforzi, dovette fermarsi
ugualmente. Proprio
a fine pagina, mentre era in procinto di annotare l’ultima
riga di avvenimenti,
un guazzo nero le aveva imbrattato il foglio. Era davvero brutto da
vedere, in
confronto al resto stilato con bravura di amanuense; tutta colpa della
stanchezza traditrice che l’aveva distratta.
La ragazza si tolse gli occhiali appena messi e si massaggiò
una tempia. Forse
andare a dormire sarebbe stata la scelta migliore… o meglio,
lo era; perché
riponendo il pennino a posto con un movimento affrettato, la cartografa
andò ad
urtare il calamaio ancora aperto, facendone fuoriuscire la mistura
bituminosa.
Fu l’apoteosi del disastro: a causa della pendenza dello
scrittoio,
l’inchiostro colò giù raggiungendo il
prezioso diario; e non solo: continuò la
sua corsa silenziosa scivolando oltre il bordo del mobile fino a
tuffarsi sul
pavimento della biblioteca, raccogliendosi in un’informe
pozza corvina.
Nami lasciò cadere gli occhiali,
s’alzò dalla sedia saltando come una
molla, prese il diario gocciolante con la medesima intensità
che si userebbe
per salvare il proprio figlio che annega, ed
imprecò – a bassa voce per
evitare di svegliare chi dormiva – e non smise di
riempirsi di insulti
finché non finì di pulire quanto aveva sporcato.
Le uniche ad uscire illese dall’incidente furono le
mappe… Il diario,
invece, aveva paura di aprirlo: forse era già un cadavere
affogato in un mare
di inchiostro nero.
Fortunatamente però, la copertina spessa, e in pelle di
zigrino, aveva fatto il
suo dovere: nessuna pagina era stata intaccata. La navigatrice lo mise
immediatamente al sicuro su una mensola.
Per quella notte poteva bastare, non era sua intenzione mietere vittime
a causa
di disattenzioni dovute a stupide botte di sonno.
Prima
di
uscire dalla biblioteca, la ragazza finì di sistemare alcune
carte e, nel
farlo, s’accorse di aver lasciato sulle panchine circolari un
piattino con il
trancio di pizza che Sanji aveva preparato come spuntino serale. Si
era dimenticata di mangiarlo, e ormai non l’avrebbe
fatto. Per
evitare di fare arrabbiare il cuoco, che non sopportava vedere cibo in
giro –
lui odiava gli sprechi –, prese il piatto con sé,
spense la luce ed uscì.
Fuori,
il
cielo era un’immensità blu cosparsa di stelle e
l’aria marina una brezza fresca
e piacevole. A Nami venne voglia di dormire all’aperto, ma
virò sul nascere
l’idea: sarebbe stato pericoloso, la Sunny era
momentaneamente invasa da sconosciuti
e ospiti indesiderati. E uno non mancò di farsi sentire:
scese le scale e
giunta sul ponte di coperta per raggiungere la prua della nave, dove
era
situata la sua camera, la cartografa avvertì una sorta di
suono gutturale. Si
voltò verso la direzione da cui le sembrava provenisse, e
vide che a provocare
quel baccano era lo scienziato schizoide, Ceaser Clown, attualmente a
bordo
come ostaggio. Era stato legato vicino all’entrata
dell’Acquarium Bar, alla
pari di un cane, e stava russando fastidiosamente.
Nami lo sorpassò di soppiatto, cercando di non svegliarlo;
anche se lo
scienziato non avrebbe potuto nuocerle in alcun modo, il ponte deserto
occupato
solo da quella sottospecie di capra con la faccia di pagliaccio la
angustiava
non poco.
Il manto erboso l’aiutò nell’impresa,
attutendo i suoi passi.
Salito l’ultimo gradino che la portava al primo piano di prua
della Thousand,
la navigatrice tirò un sospiro di sollievo… che
si tramutò in un grido
soffocato.
Qualcuno, o qualcosa, le aveva sfiorato la schiena.
«Nami,
se
quel pezzo di pizza non lo mangi dallo a me».
Una voce familiare, ma la ragazza non la riconobbe: la paura
l’aveva mandata in
tale confusione da farle chiudere gli occhi, spingendola ad immaginare
di
essere circondata da belanti caprette truccate come clown e vogliose
della sua
focaccia.
«Prendetevi pure la pizza, ma lasciatemi in
pace!»
«E invece di farla cadere a terra non potevi darmela
subito?!»
Stavolta le sue orecchie furono più attente, e la
incoraggiarono ad aprire gli
occhi. La realtà era un’altra, ringraziando il
cielo: la pizza era scivolata
dal piattino – la voce non si era sbagliata, aveva suggerito
bene – l’ostaggio
continuava a ronfare dove lei l’aveva lasciato, e soprattutto
niente caprette
affamate. Nulla di allarmante, ma … Rufy da dove era
sbucato?! Poc’anzi, oltre
al prigioniero, la ragazza non aveva visto nessun’altro
sopraccoperta.
Meglio per lui che si mostrasse dispiaciuto per averla spaventata,
perché già
le giravano come eliche a causa della sfiorata disgrazia col
diario.
«Ti rendi conto di avermi fatto prendere un
colpo?!» la cartografa non poteva
urlare, così, per appesantire e rendere grave il tono, aveva
digrignato i denti
e forzato le parole fra essi.
«Mi dispiace, scusami, è che desideravo solo avere
la tua pizza. Tu non la
vuoi, vero?».
Il ragazzo le mostrò una tra le migliori espressioni ilari
di cui disponeva,
prima di chinarsi a raccogliere il pezzo di focaccia e divorarlo in due
bocconi.
Nami non seppe tenergli il broncio, Rufy era troppo buffo: in testa
aveva un
elmo samurai e sopra ad esso il cappello di paglia avuto in regalo da
Shanks.
«Che me lo chiedi a fare se poi te la mangi lo stesso?! Ma
dimmi, che ci fai
ancora sveglio? Credevo dormissi insieme agli altri».
Rufy inclinò la testa a destra pensando alla risposta, come
se quel movimento
lo aiutasse a confluire meglio un discorso esauriente: «La
fame non mi faceva
chiudere occhio, così mi sono alzato per andare in cucina,
poi ho visto te
salire le scale… no, prima ho visto quello che avevi nel
piatto, e dopo ho
pensato che forse non lo avresti mangiato e che magari potevi
darlo a me.
Ecco, stavo quasi per chiedertelo quando ti sei spaventata»
«Certo che mi sono spaventata! Le persone si avvisano, non si
cattura la loro
attenzione toccandole se non si sono accorte di te!»
«E dai Nami, non t’arrabbiare, t’ho
chiesto scusa… Tu, invece, perché non
dormi?».
Avanzando quella domanda, il povero Rufy non si rese conto di aver
acceso un
fiammifero in una polveriera: «Si dà il caso che
io sia la navigatrice, la
cartografa, il cervello di questa nave!!! E certi compiti se
non li
sbrigo io non li fa nessuno! Sai cosa mi è accaduto poco
fa?! Lo sai?! Ho corso
il rischio di cancellare la testimonianza del nostro viaggio! Capisci?!
No, non
puoi capirlo, qui l’unica ad accorgersi del mio impegno
è… Ma mi stai
ascoltando?!»
Come spesso accadeva, il ragazzo l’aveva lasciata ad
esprimersi in un
soliloquio concitato: la bellezza del mare notturno l’aveva
attratto,
invogliandolo a saltare le scale con un balzo per andare a sporgersi
sul
parapetto a babordo nel ponte di coperta.
La ragazza posò a terra il piattino – prima di
ridurlo in frantumi
dall’irritazione – e raggiunse quella specie di
gomma deambulante che era il
suo Capitano. Ma non smise di continuare a mormorare rabbia tra
sé, aveva
bisogno di sfogarsi ancora.
«Guarda quanto è bello il mare stanotte,
Nami!» esclamò Rufy tutto
eccitato.
La massa d’acqua oscura e in continuo movimento era la stessa
di sempre; ma
quella notte la luna ne colorava d’argento la superficie,
facendola apparire
più incantevole. Però si era vista
così tante volte che, viaggiando a
lungo in mare, poteva divenire uno spettacolo banale se non noioso.
Eppure,
Rufy la stava guardando come se fosse la prima volta: mai stanco di
ammirare tutta
quell’acqua, mai stanco di assistere ai suoi mutamenti, mai
stanco dei suoi
colori, mai stanco di esserci.
E la navigatrice lo capiva, anzi, condivideva la stessa passione;
grazie a
questo, il ragazzo si salvò da uno scappellotto necessario.
«Lo è, è bellissimo…
» rispose Nami, guardandolo a sua volta, per poi spostare
gli occhi sul volto del suo Capitano… Sembrava il dipinto
della serenità, una
serenità che la cartografa sperò potesse rimanere
a lungo.
Tuttavia, era assurdo anche solo pensarlo: l’indomani
sarebbero sbarcati a
Dressrosa, e lì c’era Doflamingo ad attenderli.
Lui avrebbe sicuramente gettato
un’ombra su tutti loro.
«Nami, che hai? Perché quella faccia?»
Il ragazzo aveva fatto caso al turbamento che aveva rabbuiato gli occhi
della
navigatrice. Lei ne rimase stupita, non si aspettava potesse
accorgersene.
«Sono… Sono preoccupata per questa situazione che
ci ha portato ad avere a che
fare con Doflamingo»
«Lo stiamo facendo per indebolire Kaido, e comunque non mi
dispiacerebbe dare
personalmente una lezione a questo Dofla’. Lui è
il capo di Ceaser, ti sei già
dimenticata che il tizio laggiù ha fatto soffrire tutti quei
bambini a Punk
Hazard?!» disse Rufy, indicando lo scienziato che, nonostante
il loro
conversare, continuava a dormire.
«Certo che non l’ho dimenticato! Ma se Doflamingo
ci stesse già inseguendo o ci
stesse tendendo una trappola?!»
«Allora stai tranquilla! Lo vedi questo? – fece il
capitano, indicando il
kabuto che portava sulla testa – È
l’elmo che ha fatto Kinemon, indossandolo sei
al sicuro, Doflamingo non potrà farti nulla!»
«Mi prendi in giro?! Rufy, lo stai sottovalutando!»
«Naah, sei tu che lo prendi troppo sul serio.»
«Ma quello è un membro della Flotta dei
Sette!»
«Sì, lo è pure Traffy»
Nami non capiva da quale fonte il Capitano attingesse tanta
tranquillità e
sicurezza; lei, al contrario, diventava un brivido al solo sentir
nominare
Doflamingo, per non parlare di Kaido che era uno dei quattro
imperatori; ma
averle ricordato Law – attualmente presente sulla Sunny e
libero come un uccel
di bosco – la agitò ancora di più.
«Esatto! Anche quello è uno Shichibukai! E adesso
che l’hai detto, ti faccio
sapere che non mi fido neanche di lui! È strano, non
sappiamo quali siano le
sue vere intenzioni… Potrebbe tradirci, potrebbe aver voluto
la nostra alleanza
per portarci alla rovina!»
«No, non lo farà. Gliel’ho
già chiesto e c’eri pure tu»
«Rufy, le parole non sono una garanzia certa, non ti
assicurano nulla, non puoi
essere così superficiale!»
«Ti dico che non lo farà, io e Traffy siamo
amici… e anche tu dovresti essergli
amica».
Conversare con un muro avrebbe portato migliori conclusioni. Come
sempre, il
ragazzo di gomma era cocciuto e fortemente convinto. Inutile tentare di
metterlo in guardia.
La cartografa sbuffò arrendevole, tanto tornare indietro non
era comunque
possibile.
«Visto che non c’è modo di farti
ragionare, spero andrà tutto bene.»
«Certo che andrà bene, io sono forte, ah ah
ah!»
Nami lo scrutò di nuovo: ne seguì il profilo,
fissò gli occhi neri
vibranti di ambizione, saltò la cicatrice sotto
l’occhio sinistro e si soffermò
ad osservare il sorriso di sfida rivolto al mare, ma dedicato a
chiunque si
sarebbe messo sul cammino del suo Capitano.
Conclusione: Rufy era felice, pareva non vedesse l’ora di
scontrarsi con quei
pericolosi terroristi. E non era cambiato, la ragazza non si era
sbagliata:
sapeva che nonostante la morte di Ace il suo Capitano non sarebbe
crollato. Lei
l’aveva pensato il giorno stesso che era venuta a conoscenza
della tragica
notizia mentre era sull’isola nel cielo, a
Weatheria. Rufy era veramente
forte come diceva di essere.
Tuttavia, la navigatrice aveva ancora una frustrazione rimastale
impigliata
nell’animo, un grumo che finora non era riuscita a liberare.
Erano soli sul ponte – a parte il terzo incomodo dormiente
– e la ragazza pensò
fosse giunta l’occasione per vuotare il sacco.
Si appoggiò al parapetto anche lei, mettendosi
più vicina al ragazzo, e gli
sfiorò un gomito con il proprio.
«Rufy… Non l’ho mai
fatto»
«Cosa?» domandò lui curioso, voltandosi
verso la ragazza.
«Chiederti scusa… Quando ne avevi più
bisogno, io non ti sono stata vicino».
Buttò fuori tutto in un sussurro, ma il pirata
sentì e capì subito a cosa la
sua navigatrice stava riferendosi. Rufy diventò serio e
tornò a mirare il mare.
Entrambi non si dissero nulla per un po’. Oltre al ronfare
rumoroso di Ceaser e
allo sciabordare dell’acqua contro la Sunny, il resto che li
circondava era
silenzio; il quale assunse le tristi sembianze di uno sbiadito riflesso
dell’agghiacciante vuoto che aveva provocato la scomparsa di
Ace nel cuore del
Capitano. Una dolorosa assenza incolmabile, che Rufy aveva
però imparato a
mettere da parte… per andare avanti.
Nami, purtroppo, non sapeva fino a che punto quella profonda ferita si
fosse
rimarginata, o se si fosse almeno rimarginata. Si pentì di
averla riaperta,
anche se indirettamente. Stava per scusarsi di nuovo, quando il ragazzo
le
passò improvvisamente un braccio sulle spalle e la sorprese:
«Nami, non
scusarti… è pensando a te e agli altri che ne
sono uscito. Voi avete rispettato
la data del nostro incontro, non mi avete abbandonato
e… »
Mentre il Capitano stava cercando di esprimersi, la navigatrice
tremava. Però
non si stava commuovendo; non era una ragazzina né si
emozionava facilmente,
anche lei aveva passato un dolore simile, sapeva che peso esso aveva;
la colpa
era completamente della presenza di Rufy, che le stava vicino a
distanza di
respiro e che non mollava la presa sulla sua spalla. Era lui ad
irradiarle
quelle scosse che le stavano inaspettatamente agitando il corpo.
«E mi avete reso felice, ve ne sarò sempre
grato… Io, senza di voi, non sarei
nessuno».
Le parole del ragazzo non la aiutarono a calmarsi per niente; idem per
gli
occhi che Rufy, impossibile capire se lo stesse facendo
apposta o meno,
teneva immobili e completamente immersi in quelli della navigatrice.
Nami andò in ipnosi: non riuscì a
distogliere il proprio sguardo da
quello del suo Capitano, del suo amico fidato, della persona che non
l’aveva
mai delusa mantenendo sempre le promesse fatte, del compagno
che le aveva
salvato la vita mostrandole che non era peccato tornare a
sognare…
Smarrendo il controllo, Nami prese l’iniziativa e,
sporgendosi poco avanti,
andò a posare le labbra su quelle del futuro Re dei Pirati;
in un bacio che
aveva l’intenzione di colmare l’assenza di due anni
e dissetare un sentimento
che le era appena sbocciato nel petto.
Rufy ricambiò, piano e un po’ insicuro, lambendo
la bocca della ragazza in un
lento e lunghissimo bacio; passandole, una volta presa certezza di
quello che
insieme stavano facendo, anche una mano tra i lunghi capelli arancioni.
La
abbracciò forte e lei fece lo stesso. Poi, come
un’onda che infrantasi sulla
battigia si ritira immediatamente, i due si staccarono lasciando solo
le mani a
cercarsi e ad intrecciarsi.
Fu il loro bacio senza precedenti.
Quando
si
sciolsero del tutto, allentando l’attrazione magnetica che li
aveva spinti al
contatto, Rufy e Nami tornarono a guardare il mare: mai stato
così unico.
Un’atmosfera di serena complicità li rese
entrambi muti. Ma a rompere
l’incanto arrivò un brontolio lamentoso dello
stomaco del Capitano: «Ho ancora
fame! Non resisto, vado in cucina. Magari trovo qualche avanzo della
cena o
qualche altro pezzo di pizza… Nami, hai fame anche
tu?» sembrava stesse
cercando di invitarla a seguirlo; la navigatrice gli sorrise, le
piaceva quel
modo di fare così spontaneo.
«Vieni con me?» Sì, era esplicitamente
un invito; e l’idea di rintanarsi con
lui le stava facendo battere il cuore terribilmente forte.
«Devo… Devo controllare la rotta, ho ancora da
fare»
Scema e bugiarda, scema e bugiarda, scema e bugiarda! Dovevi
dirgli di sì!
Rufy le sorrise in quella maniera che gli rallegrava tutto il viso,
«Tra quanto
arriveremo a Dressrosa?», però cambiò
argomento. Che avesse intuito il disagio
della navigatrice?
«Alla velocità con cui stiamo procedendo grazie
alle scie marine, raggiungeremo
l’isola… domani! Forse verso il tardo
pomeriggio»
«Bene! Domattina dovrò dire a Sanji di riempirmi
di carne, non vedo l’ora di
dare una lezione a questo ‘Mingo!»
«Calmo! Il nostro obbiettivo è distruggere la
fabbrica degli Smile, se possiamo
evitare di incontrarlo è meglio!» la navigatrice
tentava ancora di evitare il
peggio, causa persa.
«Sì, sì, vedremo. Vado a
letto, ma non prima di aver trovato qualcosa da
mettere sotto i denti. ‘Notte Nami»
«Buonanotte Rufy…»
Lo salutò, guardandolo fiondarsi in direzione della cucina,
e si ritrovò
di nuovo sola sul ponte di coperta; dove vi rimase ancora, imbambolata
a
concentrarsi su nulla di preciso. In fondo non c’era da
stupirsi: amava il suo
Capitano, probabilmente dall’inizio del loro viaggio insieme,
e per la prima
volta era riuscita a manifestarlo; l’aveva baciato, lui
l’aveva baciata… il
sentimento era reciproco, si sarebbe potuto fare di più.
«Sveglia Nami! – ordinò a se stessa,
prendendosi il viso tra le mani – Hai
grosse responsabilità, devi guidare il tuo Capitano verso il
One Piece! Non
desiderare di infilarti nel suo letto!... A-almeno non subito»
Scrollò la testa nel tentativo di cacciare
allettanti pensieri e, con la
felicità che le segnava piccole fossette sulle guance,
decise di andare a
dormire.
Stava per entrare nella sua camera – dove Robin e
il piccolo Momonosuke
erano a letto e sicuramente dormivano – quando
avvertì una sensazione strana,
come di calore dietro il collo, che la portò a puntare
l’attenzione verso il
secondo piano di prua della Sunny.
Ancorato
al
parapetto del ponte di comando, dove era collocato il timone della
nave, e con
l’aria del giudice pronto a condannare a morte,
c’era Law. La stava fissando, a
parere della ragazza con gli occhi dello spettatore soddisfatto.
Nami sentì di andare completamente in fiamme, da quanto quel
bieco era lì?
«Ti piace spiare?» domandò concisa e
schietta, di sicuro Trafalgar aveva
ascoltato la conversazione tra lei e Rufy… e li aveva visti
mentre si
baciavano, e si era pure gustato lo spettacolo di vederla parlottare da
sola.
«No, non mi piace. Però se credi che
l’abbia fatto apposta, beh, non era mia
intenzione», anche Law mostrò lo stesso tono
diretto; intanto la navigatrice
percorse l’ultima rampa di scale, per trovarsi faccia a
faccia con lui.
«Invece a te piace parlare male delle
persone» continuò Law.
Nami s’appoggiò con la schiena alla ringhiera, e
con fare fanatico mandò
indietro la sua chioma dal colore dei mandarini di Bellmer,
atteggiandosi nel
modo più disinvolto possibile. Voleva confonderlo,
apparirgli
indifferente anziché soggiogata dalla sua presenza.
«Ah, mi sembra di non avere aggiunto nulla in più
di quanto ho già detto a Punk
Hazard»
«Vero, sei una persona coerente… mi piacciono le
persone coerenti» rispose Law,
sorridendole cinico, senza risparmiarsi di guardarla più a
lungo del dovuto e
fingendo di nutrire chissà quale interesse per lei.
Nami non capì di che natura fosse quella frase, ma
solo l’idea di piacere
in qualche modo a quel figuro smilzo e infido la agitava.
«Ci stavo pensando da un po’ – riprese
parola Law, molto in vena di chiacchiere
– voi siete davvero una ciurma coesa, e vi volete bene.
Adesso comincio a
capire perché in molti hanno avuto grossi guai con
voi… Godete del dono
dell’imprevedibilità».
E ti piacerebbe farci capitolare, vero?!
Pensò Nami che, ascoltando quanto diceva Trafalgar,
vedeva i propri dubbi
mutare in concrete certezze.
«Deduco che sei salito a bordo per studiarci»
«Assolutamente no. La mia era solo un’osservazione
del tutto disinteressata. Se
sono qui è perché io e il tuo Capitano abbiamo
stipulato un’alleanza, lo sai,
che ti piaccia o meno.» concluse il pirata, togliendosi per
un attimo il
morbido cappello e mettendo in mostra i suoi disordinati capelli scuri
dai
riflessi bluastri.
Nami non afferrava che tipo di discorso Law stesse tentando di
intavolare,
quale cavillosità celassero le sue parole, o se la stesse
solo sfottendo per
averla vista limonare con Rufy (il che non avrebbe avuto comunque
senso). Così,
per tentare di scoprirlo, la navigatrice seguiva ogni movimento del
pirata,
guardinga, come se dai gesti potesse riuscire ad indovinare le vere
intenzioni
dello Shichibukai. Ma a forza di osservarlo intensamente,
arrivò a notare
un’assurda somiglianza con Rufy. Anche se nemmeno
lei sapeva dirsi
precisamente dove, se nell’aspetto o nel carisma.
Law apparteneva alla stessa generazione di Cappello di Paglia, era il
Capitano
dei Pirati Heart, e come Rufy era testardo e non si faceva
mettere i
piedi in testa da nessuno; ma forse, più che somigliarsi,
lui e il ragazzo di
gomma erano le due facce di una stessa medaglia: Trafalgar Law freddo,
capzioso, distaccato, con occhi chiari che sembravano anteporre una
barriera
tra lui e il mondo esterno, nascondendo dietro di essi ogni sorta di
emozione;
Rufy l’esatto opposto, a volte duro di comprendonio, con
un temperamento
impulsivo ed estroverso tanto da diventare appiccicoso, ma era sincero.
No, a Nami non sarebbe piaciuto nemmeno provare ad immaginare
cosa ci
fosse dietro quelle iridi grigie, le quali tornarono a rivolgersi a
lei; di
sicuro, sotto di esse, non v’era nulla di buono, niente di
stabile, alcunché di
sicuro.
Inoltre, continuare a fissarlo la stava portando a farsi
un’apparenza
inquietate e alquanto disgustosa del pirata: la ragazza ancora
avvertiva il
sapore di Rufy sulla lingua – salato, perché aveva
mangiato la pizza – e
sentirlo mentre aveva davanti il volto di un altro uomo che, per
paradosso, lei
trovava pure somigliante a quello del proprio amato – anche
solo per il modo in
cui entrambi portavano i capelli – aveva di stucchevole e
immorale.
Ma la convinzione nei confronti di Trafalgar Law, somiglianza o meno
con Rufy,
restava immutata: costui avrebbe portato problemi, no, lo stava
già facendo.
«Sarai anche riuscito a convincere Rufy, attizzandolo contro
uno dei quattro
imperatori per stringere un’alleanza con te. Ma a me, non mi
incanti, Law»
«Lo so. E con questa fanno tre… tre volte che
ripeti quanto io non ti vada a
genio»
«Sbagli, il mio non era un parere. Stavolta voleva essere un
monito»
Law sbarrò gli occhi attonito «Che tipo di
monito?»
«Noi non siamo il tuo esperimento di scienze, le tue cavie,
tu prova ad
ingannarci e non sai cosa ti aspetterà»
Ovviamente Nami non era nelle capacità per minacciare uno
come lui, ma
l’istinto di protezione verso i nakama poteva renderla capace
di un coraggio e
una determinazione senza eguali.
«Grazie, lo terrò bene a mente. Come si dice
“uomo avvisato mezzo salvato”,
no?… E poi, non voglio inimicarmi la navigatrice,
pirata di Cappello di
Paglia» disse il ragazzo, usando ancora quella cortesia in
equilibrio sul filo
della falsità; Nami se ne sentì schernita, non
vedeva l’ora di andarsene e
smettere di assistervi.
«Domani sarà una giornata importate –
continuò Law, stringendo con più forza il
fodero della sua nodachi – scopriremo se Doflamingo
farà il saggio e cederà
alle condizioni che gli ho dettato, lasciando la Flotta dei
Sette… E vedremo se
quest’alleanza avrà più senso.
Va’ a riposarti Nami-ya, sembri averne molto
bisogno, controllo io che la nave segua la giusta rotta»
«Come se potessi fidarmi ciecamente di te» rispose
velenosa la navigatrice.
«Non ti ho dato modo per credere diversamente…
A me interessa arrivare a
Dressrosa».
Quanto contrastava il tono amichevole con la faccia di angelo decaduto
che era
il viso di Law.
Se era stato soprannominato Chirurgo della Morte v’era
più che un motivo – e di
certo non era per un “death” tatuato sulle dita
– Nami ne aveva avuto un
piccolo assaggio, non si era mica dimenticata dello scherzetto a Punk
Hazard,
quando Law aveva messo il suo splendido corpo a completa disposizione
di Sanji.
Per un attimo le venne in mente di chiedere un risarcimento in denaro
anche
allo Shichibukai; ma adesso, con quale faccia le suggeriva di fidarsi
di lui?!
Sì, aveva curato Rufy, ma era accaduto due anni prima. Nella
maggior parte dei
casi i pirati erano una razza opportunista, lei li conosceva
bene, e a
naso anche Law non le sembrava diverso, aveva la stessa puzza. Ora, il
pirata
le stava addirittura sorridendo pacato.
Nami era sul punto di odiarlo e voleva rispondergli a tono,
però fu
costretta ad abbandonare ogni iniziativa: era
troppo stanca.
E decise anche di tollerare momentaneamente la
diffidenza che
nutriva nei suoi confronti; al momento, la ragazza voleva solo vedere
il
proprio letto e saggiarne la morbidezza; così, non
concedette ulteriore
attenzione al pirata.
Quando si voltò per ridiscendere le scale in direzione della
sua camera, però,
s’accorse di una luce che si riversava sull’erba
del ponte. Questa proveniva
dalla cucina, Rufy era ancora lì.
Negare che era improvvisamente tentata di raggiungerlo
– aveva urgente
bisogno di rifarsi gli occhi e togliersi dalla testa il muso irretente
di Law –
sarebbe stata un grossa bugia; ma rinviare ancora la stanchezza voleva
dire
avere per il giorno a seguire due occhiaie simili ai lividi che
contornavano
gli occhi di Trafalgar.
La navigatrice si immaginò con tale aspetto, e storse le
labbra schifata.
«Non lo dico a nessuno»
Ancora lui.
«Scusa, che intendi?»
Chiese Nami, alzando la testa e guardando il pirata di traverso.
«Che Cappello di Paglia aveva fame e la sua navigatrice
è andata a fargli
compagnia»
La ragazza assunse una tinta molto simile alla melanzana, se per rabbia
o per
imbarazzo era difficile intuirlo.
«Sei molto spiritoso, ma non sono affari che ti
riguardano!» lo aggredì
piccata; tuttavia, Law le diede le spalle, ignorandola completamente,
come se
d’improvviso lei fosse divenuta invisibile o di nessun
particolare interesse.
Era certo: Nami lo detestava con tutta se stessa.
Comunque, la spinta ficcanaso da parte del losco ragazzo le aveva reso
chiara
la situazione: era indecisa se scendere quella ventina di gradini,
attraversare
il ponte di coperta, risalire altre scale e giungere in cucina, o fare
qualche
passo indietro per arrivare a toccare la maniglia della porta
della
propria camera.
Andare a nanna era la scelta più facile, la
migliore probabilmente: il
sonno voleva dedicate almeno un paio d’ore.
Però…
Nami inspirò profondamente aria e guardò il mare:
era agitato, come lei, e il
brigantino solcava le sue onde velocissimo; dopo passò al
cielo: si stava
riempiendo di nuvole, si sarebbero svegliati con una giornata variabile
ma
senza piogge; poi controllò il vento: uno zefiro che
soffiava regolarmente da
ovest, nessuna tempesta improvvisa li avrebbe sorpresi; e, in ultimo,
diede
un’occhiata al Log Pose: dei tre aghi magnetici, la Sunny
stava seguendo quello
centrale come doveva.
La navigazione procedeva correttamente; Franky aveva progettato
un’imbarcazione
davvero affidabile, e lei stava dando mostra di essere una navigatrice
preparata anche al Nuovo Mondo; le uniche irregolarità erano
la luce accesa che
si intravedeva dall’oblò di una porta e il suo
cuore che aveva ripreso a
battere veloce dal momento in cui l’aveva vista, e i suoi
piedi che avevano
un’incontenibile voglia di calpestare un po’
d’erba per arrivare da una parte
opposta… dove il suo Capitano, forse, eri lì che
l’aspettava.
“Ora…
io non ho capito ancora
non so come può finire
quello che succederà
ma tu, ma tu, ma tu
tu l'hai capito
l'hai capito ho visto
eri cambiato anche tu”
˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜˜
Qui
parla
l’autrice:
va be’, ma questa One Shot come è uscita fuori?
Non lo so nemmeno io, per
capriccio probabilmente.
Sarà perché sono una di quelle convinte che la
navigatrice sia unicamente la
donna del Capitano. In più avevo una voglia matta di
scrivere due righe su
Trafalgar Law, che sta diventando materia interessante da trattare
(sì, sono in
ardente attesa di scoprire il suo legame con Doflamingo *__* e mi
aspetto gravi
colpe a pesare sulla testa di quel Joker dalle piume rosa).
Spero solo che la One Shot non vi abbia annoiati e che i personaggi vi
siano
sembrati IC (poche settimane fa, avevo risposto alla recensione di una
gentile
lettrice scrivendole che mi ritenevo fortunata a non trattare ancora
Rufy,
perché lo ritenevo difficile da gestire…
L’ho fatto! Mi sono buttata e l’ho
fatto, e sono super agitata! Il momento del bacio? Ma come si fa a far
muovere
uno come lui?! A me basta avervi dato anche solo un’apparenza
di credibilità,
spero di esserci riuscita @_@).
L’avvertimento spoiler è stato ovviamente
doveroso, ho sfruttato più o meno
fedelmente una situazione che chi segue le regolari uscite italiane del
manga
non ha ancora avuto il piacere di leggere.
Il disegno che ho fatto lo dedico alle fan della coppia Nami/Rufy (mi
auguro
che vi piaccia ^^).
Poi, i versi che aprono e chiudono la storia appartengono ad un brano
che tutti
conoscete e che ultimamente si è tornati
a spacciarlo ovunque ( io non son
da meno): mi sei scoppiato dentro il cuore, della
Dea Mina. ^_^
Adesso torno ad occuparmi della mia “Curami”
(fattacci in corso tra Perona e
Zoro, se siete interessati cliccate qui).
Lo so, sono in mostruoso
ritardo con l’aggiornamento di questa storia, chiedo
cortesemente ai lettori di
avere ancora pazienza… mi darò una mossa.
A
presto!
^_^
Pandroso
EDIT del 23/10/2013: dopo tanta cogitazione, ho deciso di inserire la
nota
coppie: Rufy/Nami… A mio parere rovinerà la
sorpresa ma, a quanto pare, non
metterla potrebbe risultare controproducente.