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Autore: Colley    20/10/2013    0 recensioni
Lui ride. Ride sempre. Ho per caso i pupazzetti in faccia, io?
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO III
Pov: Hayley.

Quel tipo mi ha rovinato la giornata. Soprattutto perché ha interrotto il pezzo in cui Mr. Darcy si dichiara ad Elizabeth. Peccato che poi litighino.
Non è la prima volta che leggo Orgoglio e Pregiudizio, è assolutamente il mio preferito. La copertina ingiallita fa capire che è molto vecchio. Infatti papà lo aveva regalato a mamma per Natale. Per lei valeva più di un gioiello ma, quando sono morti, ho deciso di ereditarlo. La prima volta che l’ho letto, ne sono rimasta affascinata. Così l’ho riletto e riletto e riletto ancora, al punto di consumare la copertina. Poi, un tragico giorno, è finito nella bocca del gatto di Sam.
D’istinto, infilo la mano nella borsa a tracolla che ho poggiato sul sedile accanto a me per cercare il libro: ho un brutto presentimento. Le chiavi di casa, il cellulare, il rimmel, la patente, c’è tutto. Tranne il libro.
Mi accosto ad uno dei marciapiedi deserti di questa cittadina e cerco meglio nella borsa. È impossibile che sia sparito. Sono sicura di averlo messo dentro.
Rassegnata e notevolmente stupita, lascio cadere la testa sul volante e, per sbaglio, suono il clacson. Rifletto su dove lo posso aver lasciato, ma non mi viene in mente niente. Il rumore assordante continua a bucarmi i timpani. Poco mi importa. Non ho intenzione di tirarmi su fino a quando il libro non comparirà nella borsa.
Ah, quel tipo mi ha decisamente rovinato la giornata!
Afferro il cellulare e compongo il numero di Sam.
-Hayley?- la sua voce è…stupita. Forse non si aspettava una mia chiamata.
-Ho rischiato di ammazzarmi, litigato con un tizio sconosciuto e, come se non bastasse, non trovo più Orgoglio e Pregiudizio!- mi lamento esasperata.
-Giornataccia, eh?- commenta lui, dall’altra parte.
-Giornataccia? Giornataccia la chiami?- in men che non si dica, comincio a delirare; non ho mai perso quel libro -Questo è un incubo, una maledizione, la fine del mondo! Perché sono venuta qui?-
Avverto una risatina che, però, ha vita breve. Quando smette, cerca di calmarmi: -Te l’hanno chiesto i Mclain, ricordi?-
Sbuffo. -Come faccio a trovare il ragazzo se non ho neanche un indizio?-
-Hai l’indirizzo.-
-E tu pensi che sia giusto?- sfilo dalla tasca dei jeans il post-it fosforescente che mi aveva dato Eleanor. Ricordo perfettamente le sue parole: ‘Non so se vive ancora lì, ma vale la pena tentare.’
-D’accordo,- sospiro -vado.-
Quando attacco, osservo bene il foglietto. L’inchiostro nero, sottile, ha scritto 31, Rosedale Street. Mani al volante, riparto alla ricerca della via. Non ho mappe, né niente, mi affido solo al mio istinto.
Le stradine di questa cittadina sono abbastanza strette, sembrerebbe più di stare in un paese. La maggior parte degli edifici è fatto di mattoni grandi e grigi e, di tanto in tanto, si scorge una casetta di legno. Man mano che avanzo, mi allontano dalla superstrada, la mia unica via di salvezza. Però, se torno indietro, dovrò renderne conto a Christopher. E non credo che questa me la perdonerà, dato che si tratta di suo figlio.
Vorrei almeno avere Sam qui con me. L’unica cosa che ho di lui è la macchina. Me l’ha prestata per venire qui, dato che io non ne ho una. Lui è già al college, lavora e può permettersi ciò che vuole. Io, invece, studio, non ho genitori e il massimo che mi è consentito è una pizza, che pago con il soldi che mi guadagno facendo la babysitter ai bambini del primo piano.
L’estate non è ancora finita e, in macchina, si muore dal caldo. Non oso accendere l’aria condizionata perché non so come si fa. E Sam la vorrebbe intera, quest’auto. Tutto ciò mi fa sorridere. Di solito è lui che ride di me. Una cosa la so fare, però: accendere la radio. Lo faccio sempre quando siamo in macchina insieme e la cosa lo fa imbestialire. Non è un tipo da radio, tantomeno da musica. Ma ci si può lavorare. Spingo il pulsante di una stazione a caso e, sulle note di Hurts Like Heaven, continuo a seguire l’istinto.
 
La mia meta è una stradina più ampia delle altre, fatta di terriccio e sassolini. Ai lati, le case non sono molte; si alterna qualche villetta al nulla totale. Ma dove sono andata a finire? penso. Accosto la macchina accanto alla staccionata di un cottage e, una volta scesa, mi metto alla ricerca del numero 31.
Non è molto lontano, solo qualche metro di camminata. La recinzione di legno, corrosa dal tempo, non dà una buona impressione, a prima vista. E il cancelletto, per di più, è aperto. Siamo sicuri che ci viva qualcuno qui dentro? L’unica cosa che mi permette di non fare marcia indietro è un’enorme torta di mele in bella vista sul davanzale. Mi chiedo quale individuo sano di mente possa lasciarla lì, abbandonata a se stessa.
Avanzo nello stretto vialetto di ghiaia che conduce alla porta. È circondato da un bel giardino pieno di fiori profumati. L’effetto che la luce del tramonto ha su quell’infinità di colori è a dir poco stupefacente!
Giungo alla porta e busso, con delicatezza. Mentre aspetto che qualcuno si faccia vivo, mi guardo intorno notando che la villa a tre piani ha le mura dipinte di un arancione pallido. Somiglia alla casa delle bambole. Non avevo mai visto un posto così curato, a parte la villa dei Mclain. Infondo, vivo a Detroit.
Dato che nessuno viene ad aprire, decido di suonare il campanello, quasi scoraggiata. Sento dei passetti venire verso la porta e il chiavistello aprirsi.
Convinta di trovarmi davanti una persona adulta, tengo la testa alta, ma tutto ciò che vedo è un piccolo quadro astratto.
-Chi sei?- una vocina, una piccola vocina da coscienza, parla e mi accorgo subito che si tratta di una bambina. Le prime cose che noto sono gli occhiali tondi alla Harry Potter, in plastica rosa, e il pigiamino, rosa anche quello. È minuta e magrolina, penso abbia dieci anni, anche se ne dimostra sette. I capelli, liscissimi, lunghissimi e -soprattutto- scurissimi, sono legati in una coda bassa spettinata.
-Ehm…Mclain!- dico, prima che mi sfugga anche questo di mente. Il fatto è che non riesco a ricordare il nome del ragazzo. Lo so, sono una frana. Non capisco perché Christopher abbia assegnato questo compito proprio a me.
-Collin?- suggerisce lei, sorridente, come se mi conoscesse da sempre.
-Esatto! Collin.-
Lei si gira e per un attimo penso che mi voglia chiudere la porta in faccia. Invece, si limita solo ad urlare un sonoro ‘Mamma!’.
Allungo il collo nel corridoio dipinto di giallo e noto che c’è una porta aperta che dà sulla cucina. Da lì esce una signora sulla cinquantina piuttosto bassa. Per un attimo penso che sia la nonna della bambina, ma poi mi ricordo che l’ha chiamata mamma. Beata lei.
La donna si asciuga le mani al grembiule bianco legato in vita e mi stringe la mano.
-Piacere, Cher.-
-Hayley.-
-Posso aiutarti?- domanda con un sorriso tutt’altro che sornione.
-Sì, grazie.- ZAAAAAC, risposta errata. Da dove mi è uscito questo ‘sì, grazie’?
-Sto cercando Collin.- continuo -Lei lo conosce?-
-Sono sua zia.- si affretta a dire. Prima che io possa rispondere, aggiunge: -Vieni dentro, non voglio tenerti sulla soglia.-
Bisbiglio un grazie, un po’ intimidita. Appena entro, affondo le Converse nella morbidissima moquette beige e noto che le due sono scalze. Osservo l’interno: tutte le luci della casa sono accese, illuminando ogni singolo angolo. Deve essere difficile trovare un posticino per dormire.
-Sei una sua compagna di scuola?- questa domanda mi riporta alla realtà. Ero occupata a curiosare la finestra con la torta di mele.
-Oh, no.- dico, in modo quasi rassicurante. Continuo a guardarmi intorno, alla ricerca di un’idea su come spiegare chi mi ha mandato qui e perché, ma sembra che le lampadine accese stiano solo sul soffitto e non nel mio cervello.
Mi affretto a dire qualcosa, la situazione sta diventando imbarazzante.
-Conoscete i Mclain?- ecco, questo era proprio ciò che avrei voluto evitare! Soprattutto perché l’espressione di Cher si è tramutata in un misto di orrore e sorpresa. In tutto questo c’è la bambina che mi guarda come si guarderebbe un’aliena, o che so io. Non credo di essere andata alla grande, finora.
-Sono i genitori di Collin.-
Essendo in un vicolo cieco, spiego velocemente la situazione, naturalmente dopo che la bambina -Ronnie, da quanto ho capito- se n’è andata a giocare al piano di sopra. Con mia sorpresa, ora, scopro che Cher sa tutto.
-Collin non ha la minima idea su chi siano i suoi genitori. Lo hanno lasciato quando era molto piccolo, neanche se li ricorda.- accenna un sorriso, ma poi torna seria -Loro mi hanno messo in condizione di mentirgli, di dirgli che erano morti.- si porta una mano alla bocca, per trattenere i singhiozzi. -Se fosse per me, lui saprebbe tutto. Ma non sono io che decido.-
Questa storia mi riempie improvvisamente di tristezza. Ma, infondo, cosa posso fare io? Non mi è mai successa una cosa del genere, non posso rassicurarla con un ‘la capisco’.
-Mi dispiace signora.- è tutto quello che riesco a dire. Possibile che sia tutto quello che riesco a dire? Mi faccio coraggio e provo a difenderli, infondo i Mclain sono brave persone.
-Lo hanno fatto per proteggerlo. Sono sicura che anche loro hanno sofferto. Non hanno scelto di diventare così.-
I suoi occhi si spalancano, come se avessi appena pronunciato la peggiore delle maledizioni. Si poggia sul davanzale della finestra accanto alla porta, dove c’è la torta.
-Anche tu sei così?- chiede, inizialmente senza guardarmi.
Ad occhi bassi, faccio cenno di sì con la testa. Non mi sono mai vergognata così tanto di essere un licantropo. Forse perché ho sempre vissuto con loro, senza nessuno che mi disprezzasse così tanto. O forse perché anche io, un po’, mi odio. Ma la mia teoria sul disprezzo ha vita breve.
-Hai un posto dove vivere?- domanda, gentilmente.
Esito un pochino, non mi piace farmi vedere in difficoltà.
-Veramente no, ma…-
Non riesco a terminare la frase, che lei propone: -Perché non resti qui? Potrebbe essere più facile per te dire la verità a Collin.-
Cerco in tutti i modi di rifiutare educatamente, ma lei sembra insistere. Infondo che peso può dare una ragazza che, in casa, non c’è mai? Dovrei decisamente cambiare quest’abitudine. Soprattutto perché, ora, non ho più l’appartamento di Sam in cui accamparmi.
 
Cher mi ha fatto parcheggiare la macchina nell’unico posto auto che c’è in giardino. Dice che Collin ci lascia il suo rottame. Oh, non credo che esista un rottame più rottame del rottame del tizio di oggi.
Ci mettiamo ad apparecchiare -cosa che faccio per la prima volta- nella sala da pranzo, completamente tappezzata da mobili in legno lucido e vetrine ricoperti da gingilli vari. C’è un grande lampadario in ferro battuto proprio sopra il tavolo. Lo scruto arricciando leggermente il naso. Ho paura che cada sul cibo. Non appena Cher va in cucina a controllare la zuppa, ecco che arriva il ragazzo. All’inizio sento solo la sua voce gridare: -Sono tornato!-
I suoi passi si dirigono verso la sala da pranzo. Verso me, praticamente. Allora mi volto e lo vedo: i capelli ricci gli incorniciano il viso, morbidi. Gli occhi verdi, grandi, sembrano brillare di luce propria ma, in realtà, è solo il riflesso delle lampadine. Quando mi vede, rimane a bocca aperta.
Posa le chiavi sul mobile della sala da pranzo, lo sguardo fisso su di me. Ma il particolare che più mi irrita è che tiene stretta in mano la mia copia di Orgoglio e Pregiudizio.
-Tu?- socchiude gli occhi, come se volesse uccidermi.
-Non ci posso credere!- esclamo inorridita.



Written by: happayness
  
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