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Autore: Simona_Lupin    21/10/2013    45 recensioni
1977. L'ultima occasione.
L'ultima occasione per respirare la magia di Hogwarts, la casa più bella, nell'ultimo anno di dolce spensieratezza.
L'ultima occasione per James di sgraffignare il cuore di Lily invece di uno stupido Boccino d'Oro.
L'ultima occasione per Lily di dare un due di picche alla Piovra Gigante e concedersi agli sfiancanti corteggiamenti di James.
L'ultima occasione per Sirius di chiudere le porte al suo orribile passato e aprirle a un amore che non ha mai conosciuto.
L'ultima occasione per Remus di far splendere ai raggi di luna la sua anima al posto del sangue delle sue ferite eterne.
L'ultima occasione per Peter di ricevere la luce di un sorriso amico prima di precipitare nell'oscurità del male senza speranza di riemergere.
L'ultima possibilità. Di amare, di lottare, di essere coraggiosi. Di vivere.
L'ultima possibilità di stringere tra le mani la vita di qualche sogno prima di gettarli via, tra le polveri di una guerra senza fine in cui tutti rimarranno prigionieri.
Dal capitolo 12 [Miley/Remus]:
« Tu riesci a mangiare mezza tavoletta di cioccolata in un colpo solo? » si incuriosì Miley, disorientata.
« Mezza tavoletta è una routine ormai assodata » fu la risposta. « Riesco a fare molto meglio. Tu, invece... riusciresti mai a farlo? »
Miley ingoiò il cioccolato e riflettè con calma, poi incrociò le braccia al petto e lo studiò. « Mi stai sfidando, per caso? »
Remus trattenne una mezza risata e scrollò le spalle, senza riuscire a mascherare il divertimento. « Se dicessi di sì? »
« Oh, John, vedrai » rise di rimando lei, guardando prima lui, poi il cioccolato con aria di sfida.
« John? » chiese lui, stranito, inclinando il capo.
« John » ripetè lei, annuendo. « E' il tuo secondo nome, no? Ti sta bene ».
John. Nessuno lo aveva mai chiamato così. Sorrise. Gli piaceva.
Dal capitolo 14 [Lily/James]:
« Come stai? » mormorò Lily a bassa voce, sorridendo ancora.
James annuì, per poi accorgersi che non era una domanda a cui rispondere con un sì o un no e riprendersi.
« Molto... molto bene, grazie » rispose, passandosi una mano tra i capelli. « Sono contento di vederti ».
« E io sono contenta che tu sia vivo » rise lei. « Così potrò realizzare uno dei sogni della mia vita ».
« Cosa? » fece lui, fingendosi ammiccante. « Uscire con me? »
« No » rispose lei, allegra. « Ucciderti personalmente ».
Dal capitolo 20 [Scarlett/Sirius]:
Era la prima volta che la teneva tra le braccia. La strinse a sé, protettivo come non si era mai sentito verso qualcuno, e si chiese perché, perché mai quel momento dovesse finire. Perché fosse destinato a rimanere solo un piccolo sprazzo di gioia isolata in una vita costellata di dolori e flebili attimi di felicità inespressa. Perché per lei non potesse significare quello che significava per lui. Perché non potesse durare solo... solo per sempre.
Genere: Comico, Guerra, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, Nuovo personaggio, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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Capitolo 37

Erouc li amotlov li ottelfirnon






 
Era finalmente scesa la sera, e nel Dormitorio delle ragazze tutto procedeva come da copione.
Malgrado avesse finito di cenare già da un po', infatti, Mary - e di conseguenza anche Emmeline - non era ancora rientrata, magari nel tentativo di risparmiarsi un'atmosfera insopportabilmente gelida che, da circa due settimane a quella parte, aleggiava in quella stanza rendendo tutti di cattivo umore. Da quando il gruppo si era diviso, in effetti, non avevano trascorso insieme un attimo in più del necessario, e nessuno, eccetto Alice, aveva trovato di che lamentarsi: avevano sancito un tacito patto al fine di evitare ulteriori conflitti, e tutti parevano beneficiare della situazione di stallo da poco raggiunta. Evidentemente, i tempi per una riappacificazione non erano ancora maturi, quindi tanto valeva tenere i dissapori in sordina e attendere che la vecchia armonia e l'allegria di sempre tornassero nel loro gruppo un tempo quasi indissolubile.
Le tre rimaste ad occupare il territorio neutrale, inoltre, si stavano dilettando nelle solite, noiose attività.
Come accadeva giorno dopo giorno secondo un rituale ormai acclarato, si erano ritrovate a smaltire la pila di compiti arretrati dopo l'ora di cena, al termine di un pomeriggio pieno zeppo di sbuffi, piume abbandonate su pergamene ancora immacolate e capitoli mandati al diavolo dopo appena cinque minuti.
A dire la verità, però, qualcosa di diverso rispetto alla classica scena di routine c'era, e quel qualcosa aveva un nome e un cognome: Lily Evans.
Se solitamente, infatti, la si vedeva impegnata a risfogliare vecchi appunti, a elemosinare verifiche improvvisate che la rendessero un po' più sicura sulla sua preparazione, o più di frequente a inveire - spesso anche in modo parecchio pesante e decisamente poco composto - contro gli insegnanti che più di tutti avevano calcato la mano in vista dei tanto temuti M.A.G.O., quella sera, invece, non era accaduto nulla di tutto questo.
Lily non aveva sfiorato nemmeno un libro, e si trovava distesa sul proprio letto con le tende tirate tutt'intorno, rifugiata fra le lenzuola, immersa in pensieri che, in verità, le amiche riuscivano vagamente a immaginare.
Erano state parecchio discrete con lei in seguito a ciò che era accaduto nel corso della lezione del professor Dixon, non avevano insistito eccessivamente per avere delucidazioni - anche se Alice ne era stata fortemente tentata -, ma si erano messe da parte per far sì che lei in primis riuscisse a fare chiarezza con se stessa e con i propri sentimenti ancora un po' ingarbugliati. Operazione a cui, per l'appunto, si stava dedicando proprio in quel momento.
Gli occhi chiusi e l'avambraccio poggiato sulla fronte, stava rivivendo ricordi e sensazioni con una tale intensità da non sentirsi affatto abbandonata su un materasso rigido, ma preda di un vortice di emozioni inarrestabile che la riconduceva a momenti già spesso riportati a galla. Si sentiva frastornata, come se per tutta la giornata non avesse fatto altro che sbattere la testa contro il muro, cercando di mettere ordine ai pensieri mentre questi, ostinatamente, tentavano di intrecciarsi in matasse sempre più fitte. Una sconfinata debolezza si era impadronita di lei con il passare delle ore, offuscando la sua mente già annebbiata, e pian piano si era lasciata sottomettere da una discordia di sentimenti talmente accesa da averla privata di qualsiasi forza.
Immagini ricorrenti infrangevano la cascata di ricordi dentro la quale aveva passivamente deciso di tuffarsi, tormentandola: una cerva d'argento, smilza ma fiera, un paio di vispi occhi nocciola celati da lenti rotonde, una risata, allegra, travolgente, sferzante come il vento, o forse due... le risate insieme a James, che erano le migliori di cui avesse mai avuto esperienza.
Ritornavano a intervalli regolari e spazzavano via qualsiasi pensiero razionale, dirompenti proprio come quando sbocciavano dalle loro labbra prima ancora che ne potessero avvertire in qualche modo il sapore. E in realtà, non riusciva bene a capire perché i suoi pensieri si stessero focalizzando tanto su quel particolare aspetto, una briciola nell'oceano di piccolezze che costituivano il suo rapporto con James... forse l'unica ragione era che quelle risate l'avevano risollevata tante e tante volte, l'avevano conquistata e avvicinata a lui nella maniera più naturale che si possa immaginare, e lei, d'altra parte, si era lasciata travolgere senza opporre resistenza, perché ne aveva presto colto la spontaneità, la bellezza, il valore. Qualità che in James splendevano come luce pura. Una luce abbagliante che, per qualche contorto meccanismo, pareva essersi riflessa sul suo Patronus attraverso il solo ricordo di quella che splendeva in lui, e che era stata capace di renderlo luminoso come mai sarebbe stato se avesse scelto un altro ricordo, uno qualsiasi... felice, certo, ma mai così intenso.
Da ore, ormai, si ripeteva che la forma assunta dal suo Patronus era stata frutto solo ed esclusivamente del ricordo che aveva scelto, del tutto diverso da quello a cui si era aggrappata la prima volta in cui era riuscita a produrre l'incanto. Quella volta, infatti, l'immagine che aveva attraversato la sua mente era stata una cena di Natale particolarmente felice in compagnia della sua famiglia, ancora profondamente unita. 
Quella scusa, però, non convinceva più neanche lei. 
Ricordava ancora le parole che Dixon aveva pronunciato, così illuminanti e vere da non poter essere in alcun modo negate.

E' praticamente impossibile sapere che forma assumerà il Patronus a priori, e molte volte il risultato stupisce in primis il mago che l'ha evocato. Ad ogni modo, si tratta di un qualcosa che ci appartiene e che, delle volte, la nostra stessa personalità non ha ancora accettato o recepito. Si ha a che fare con un'entità misteriosa e nascosta, ma senza dubbio estremamente potente.

Semplicemente, un cambiamento tanto importante non avrebbe mai potuto essere generato dalla diversa scelta di un ricordo. Quella era una realtà inconfutabile che, dopo un intero pomeriggio di negazione, non si sentiva più pronta a rigettare. Farlo la faceva sentire smisuratamente infantile.
Ma c'era una domanda che, al termine di quella riflessione, finiva per sconvolgerla, tanto che si ostinava ad evitarla con tutte le proprie forze: se non si sentiva più disposta a negare quella verità incontrovertibile, cosa si ritrovava costretta ad ammettere? Qual era la risposta, la spiegazione per quel cambiamento? Il sentirla così vicina la teneva distante, le impediva di afferrarla. 
Forse non era ancora pronta. Forse le serviva un aiuto. E forse solo James sarebbe stato in grado di darglielo, tanto che, anche per quella stessa ragione, non vedeva l'ora di rincontrarlo.
Per quella sera era prevista una ronda, e, al contrario di quanto aveva pensato per tutto il pomeriggio, Lily non provava timore all'idea di rivederlo dopo quanto era accaduto. Solo un lieve, timido imbarazzo.
Chissà cosa si sarebbero detti per rompere il ghiaccio... chissà quando sarebbero arrivati a parlare di quell'argomento così spinoso... e chissà quali conclusioni ne avrebbero tratto, come avrebbero risolto... Era così curiosa di scoprire cosa sarebbe successo che non si curava di aver paura. Il panico l'avrebbe assalita nel momento in cui se lo sarebbe trovato di fronte, lo sapeva, ma non aveva ancora voglia di pensarci.
Riaprì gli occhi, e solo in quel momento si rese conto di avere lo stomaco in subbuglio, come se qualcuno lo avesse acciuffato e rivoltato con inaudita violenza. Deglutì, cercando di riacquistare la calma, ma dopo un po' capì che l'unico modo per distrarsi era cominciare a prepararsi per la ronda. Così si alzò e, con ferma determinazione, spalancò di botto le tende, un'espressione decisa dipinta sul volto.
« Lo Statuto Internazionale di Segretezza della Magia, emanato nel 1698... no, maledizione, nell'89, nell'89! » stava ripetendo Scarlett, ma si arrestò non appena vide Lily e, insieme ad Alice, la fissò con insistenza per un po', richiudendo il libro e lanciandolo ai piedi del letto.
« Cosa c'è? » sbottò la ragazza con compostezza, alzandosi e dirigendosi verso il proprio baule per cercare un asciugamano pulito.
« Nulla, tesoro » fece Alice con un sorrisetto, ricominciando a scrivere. « Pensavamo soltanto che non saresti riemersa fino a domattina, ecco tutto ».
Lei inarcò entrambe le sopracciglia e raccolse i capelli in un alto chignon disordinato, fingendosi sinceramente accigliata.
« E perché mai avrei dovuto? » domandò in tono deciso, come se volesse convincere le amiche e se stessa che non vi era davvero nessuna ragione per la quale si era barricata nel proprio letto, evitando qualsiasi contatto umano con il resto del mondo.
Le ragazze non osarono replicare, e continuarono ad osservarla mentre cacciava fuori dal suo baule anche una camicetta e il maglioncino della divisa scolastica con la spilla da Caposcuola ben in vista all'altezza del petto.
« Andrai alla ronda con James? » chiese a quel punto Scarlett, gli occhi leggermente sbarrati. 
Nonostante la sua indifferenza, infatti, sia Lily che le amiche conoscevano i pensieri che la tormentavano ormai da una giornata intera, e non riuscivano davvero a credere che si sentisse disposta a trascorrere del tempo con il protagonista di tutti i suoi viaggi mentali.
« Cosa ti ha fatto pensare che non ci sarei andata? » rispose lei, continuando ad ostentare nonchalance.
Scarlett e Alice si scambiarono uno sguardo esasperato.
« Hai intenzione di rispondere a tutte le nostre domande con altre domande, questa sera? » sbottò la prima, e Lily rise sommessamente.
« Avete intenzione di ascoltare ancora altre domande come risposte alle vostre domande, questa sera? » fu la sua pronta replica, e senza aggiungere altro filò in bagno, richiudendosi con cura la porta alle spalle.
Con un sospiro, osservò il proprio riflesso nello specchio che troneggiava sulla parete e storse la bocca in una smorfia disgustata: aveva la fronte arrossata e un po' appiccicaticcia (per quanto tempo aveva lasciato ciondolare quel maledetto braccio lì sopra?), i capelli erano un vero e proprio disastro e perdipiù si era mordicchiata così a lungo il labbro inferiore da averlo ridotto in uno stato pietoso, quasi lo avessero tempestato di pugni.
Gemette, chiedendosi come sarebbe riuscita a sistemare quel dramma in così poco tempo, ma non si scoraggiò e diede il via a una completa opera di restauro: si sciacquò il viso, si lavò i denti per quattro minuti interi, si spazzolò i capelli finché non ebbero acquisito un aspetto decente e li sistemò su una spalla per osservare il risultato ottenuto. Dopodiché, si vestì con cura, applicò un velo di trucco al viso e, per finire, si spruzzò addosso un po' del miglior profumo di Alice, sorridendo alla Lily riflessa sullo specchio con un nuovo, solare ottimismo.
« Ci siamo messe in ghingheri, eh? » fu l'accoglienza che le riservò Scarlett una volta uscita fuori dal bagno.
Lei sbuffò e le si fece vicina per spingerle la testa contro il materasso, premendo forte sulla sua nuca scoperta.
« Quante storie... mi sono solo pettinata i capelli » tagliò corto infine, afferrando la bacchetta che aveva lasciato sul comodino e ignorando le sue proteste.
« Non avresti perso mezz'ora neanche per un groviglio di rovi, Lily, non insultare il nostro quoziente intellettivo. E' sopra la media, capisci? » ci tenne a specificare Alice, lanciandole un'occhiata perforante, poi cominciò ad annusare l'aria come un cane in cerca di cibo. « Hai messo il mio profumo? » domandò, gli occhi ridotti a fessure. « Hai messo...? Merlino e Morgana, non ci posso credere. Sarà meglio per te se confessi, Evans, le conseguenze saranno meno dolorose per tutti! Lo sai che quella santissima essenza stimola il desiderio ses-...? »
« No ». La ragazza scosse il capo con tutte le proprie forze e la interruppe prima di ascoltare il peggio, mentre Scarlett si rotolava dalle risate senza mostrare il benché minimo contegno. « Decisamente non lo sapevo » ci tenne a chiarire Lily, riservandole un'occhiataccia.
« Beh, in tal caso sarà meglio che te ne liberi, tesoro, e anche in fretta » fece subito Alice in tono spiccio. « Non oso immaginare cosa potrebbe combinarti quel Potter se ne dovesse avvertire anche solo l'aroma... lo sai che è tutto scientificamente provato, non è vero? » aggiunse, stizzita.
Lily si costrinse a non ridere, ma sollevò le sopracciglia e la scrutò come se avesse voluto passarle attraverso.
« Se il nuovo soprannome di Frank è scienza, sì, lo so bene » rispose, cosa che fece rischiare a Scarlett un irreversibile soffocamento.
Fu il turno di Alice di rivolgerle uno sguardo malevolo e indignato, che però non fu accompagnato da alcun commento. 
« Ad ogni modo, Rossa » fece poi Scarlett, cercando di riprendersi, « lo sai che mancano ancora più di venti minuti all'appuntamento? »
Lily tornò a sedersi sul proprio letto e incrociò le gambe prima di rispondere.
« Ne mancano esattamente sedici, ed è una ronda » precisò, fissandosi le ginocchia. « Che diamine vi è preso questa sera? »
Alice, che aveva ripreso in mano la piuma, alzò gli occhi al cielo e la ripose nel calamaio, voltandosi per fissarla.
« In realtà c'è da chiedersi cosa è successo a te, Lily » disse, superba. « Tanto perché tu lo sappia, ho controllato l'ora, mentre eri in bagno, e sei rimasta chiusa lì dentro per ben trentaquattro minuti, sette in più rispetto al tuo record del quarto anno, ricordi? Avevi un appuntamento con quel tipo strano dai capelli rasta... come si chiamava? »
Lei scoppiò a ridere sonoramente, meravigliata dal fatto che ricordasse ancora quel particolare episodio.
« Terry » rispose allegramente. « Si chiamava Terry. Come hai fatto a ricordartene? L'avevo completamente rimosso! »
Ma in effetti, Alice non sbagliava affatto nel definire quell'avvenimento ai limiti del leggendario.
Lily, infatti, non era mai stata una ragazza maniacalmente attenta alla cura del proprio aspetto, né era solita perdere del tempo ad agghindarsi ed imbellettarsi come una bambola di porcellana per qualsiasi occasione. Dopotutto, si piaceva così com'era - e aveva potuto appurare di piacere, nella sua semplicità, anche al sesso opposto -, perciò si limitava all'essenziale, scatenando così il disappunto di Alice, che non faceva che parlarle di potenziale inespresso, bellezza sprecata e, quando era particolarmente irritata, persino di intollerabile sciatteria.
« E comunque » aggiunse Lily, sollevando l'indice, « bisogna considerare diversi fattori. Primo: avevo quattordici anni. Secondo: era il mio primo appuntamento. Terzo: è stata la mia prima maledettissima cotta. Quarto: per l'amor del cielo, era più grande di me di ben sedici mesi, vi pare roba da poco? »
Le due risero insieme a lei, per poi riprendere a svolgere le consuete attività, mentre la ragazza tornò a stendersi sul materasso con un lieve sospiro, le braccia incrociate dietro la testa e gli occhi fissi sull'orologio da polso che indossava Scarlett, le cui lancette si muovevano decisamente troppo, troppo in fretta...
E se per quella ronda Lily si era fatta trovare pronta ben prima del previsto, non si poteva dire altrettanto per l'altro Caposcuola.
James, infatti, vagava per il castello senza una meta ben precisa da quasi un'ora, le mani affondate nelle tasche e lo sguardo fisso a terra.
Era stata una giornata sfiancante, una di quelle che, se solo avesse potuto, avrebbe volentieri fatto in modo di dimenticare. Eppure sentiva che neanche il più potente Incantesimo di Memoria al mondo sarebbe riuscito a cancellarne il ricordo. Sapeva che sarebbe stato costretto a convivere con esso ancora per molto, molto tempo, e in qualche modo cominciava già a rassegnarsi a quell'avvilente quanto fin troppo reale prospettiva.
Erano bastati un lampo di luce e un ragionamento elementare a rendere una magnifica giornata la peggiore che avrebbe mai potuto immaginare. Fare due più due non gli era mai parso tanto semplice... ma era stato soprattutto infinitamente doloroso.
E la chiave di tutto era stata quella cerva. Quella cerva argentea che era schizzata fuori dalla bacchetta di Lily, lasciandolo senza fiato, intontito e carico di un'energia che sarebbe stata di gran lunga superiore a quella di cento Patroni messi insieme. Una sensazione straordinariamente simile a pura felicità, di cui però aveva potuto godere solo per pochi, brevissimi istanti. Perché doveva ammetterlo, doveva ammetterlo anche se farlo lo faceva sentire infinitamente stupido: quell'affascinante cerva era riuscita ad illuderlo che Lily potesse essersi realmente innamorata di lui.
Ad influenzarlo erano state le parole del professor Dixon, che in quel momento gli erano parse preziose schegge di elettrizzanti verità.

Normalmente la forma di un Patronus resta immutata nel tempo, ma in rari casi, se si verificano particolari condizioni, è possibile che venga del tutto stravolta. In seguito a forti traumi, ad esempio, come un lutto particolarmente doloroso, un drastico mutamento della personalità o la nascita di un sentimento travolgente, a patto che alla base di tale cambiamento vi sia un forte sconvolgimento emotivo. Tanto forte, quindi, quant'è potente la natura dell'incantesimo stesso che, come ho già detto, riesce letteralmente a scavare dentro di noi.

Ripensando a come si era sentito nell'ascoltare quell'illuminante spiegazione si sentì un perfetto idiota. 
Come aveva potuto pensare che qualche felice momento passato insieme a Lily avesse potuto causarle uno sconvolgimento emotivo tanto forte? 
Il tempo trascorso in sua compagnia aveva significato molto per lui, il rapporto che avevano instaurato gli era sempre parso qualcosa di speciale, ma solo adesso riusciva a rendersi conto che a portarlo a quell'ingenua conclusione era stato il fatto che le parole di Dixon calzassero a pennello solo e soltanto per i suoi sentimenti.
Perché sì, era proprio un forte sconvolgimento emotivo quello che lo aveva colpito da quando aveva lasciato entrare Lily nella sua vita. A volte, se solo si soffermava a pensare alla persona che era stato soltanto un paio di anni addietro, stentava a riconoscersi, e allo stesso tempo riusciva a comprendere quanto la sua influenza, in un modo o nell'altro, fosse stata la fonte principale del suo cambiamento, la ragione per la quale, ad un certo punto, aveva deciso una volta per tutte di spogliarsi di ciò che ostentava con sciocca prepotenza e di mettere in luce la parte migliore di sé, quella che aveva tenuto nascosta pensando fosse invece la sua parte più debole, ma che alla fine, una volta venuta fuori, si era dimostrata la sua forza più grande.
E perché sì, era proprio un sentimento travolgente quello che provava per Lily. Un sentimento che si era accresciuto e fortificato nel corso di quei mesi in cui erano riusciti a superare tutti gli stupidi preconcetti e le schermaglie da ragazzini che li avevano tenuti distanti per sei anni interi. 
Aveva iniziato a capire già dal quinto anno che l'attrazione magnetica che avvertiva nei suoi confronti era qualcosa di più, qualcosa di diverso da qualsiasi sentimento mai provato prima di allora, ma a quell'età era stato ancora troppo infantile, troppo inesperto e decisamente troppo pieno di sé per poter - e soprattutto voler - dare peso a quelle sensazioni. Aveva creduto di essersi innamorato di lei durante l'estate passata, quando aveva finalmente deciso di scendere a patti con la costante presenza di Lily dentro di lui, con l'acceso desiderio di averla non più per puro dispetto, ma per qualcosa di sincero, di sentito, di straordinariamente necessario. Ma probabilmente aveva capito di amarla davvero solo quell'ultimo giorno di quell'interminabile Febbraio, quando per un attimo aveva assaporato l'idea di averla finalmente raggiunta, e il momento dopo si era reso conto di non averla mai vista tanto distante da lui.
E in quel momento si stava chiedendo cosa rappresentasse, per lei, il loro trascorso... forse solo una piacevole amicizia intrecciata con una persona fin troppo inaspettata.
Avrebbe dovuto capirlo prima, forse, catturare i segnali, chiedersi perché, se davvero c'era sotto qualcosa, niente si sbloccava... ma non l'aveva fatto. Si era limitato ad attendere, ad attribuire significato a qualsiasi banalità, a sperare che qualcosa potesse andare per il verso giusto, una volta tanto, giustificando quell'innato ottimismo che ancora sbandierava con fierezza. E invece era stato colto in contropiede dall'unica realtà esistente, dalla sola conclusione che i suoi ambiziosi sogni avrebbero mai potuto trovare: una cocente delusione che bruciava, bruciava proprio tanto, e che paradossalmente gli era stata portata da una seconda cerva, apparentemente identica alla prima, ma in realtà molto, molto più crudele.
Con la medesima rapidità e la stessa spaventosa potenza attraverso cui la sua gemella lo aveva acceso di entusiasmo, era riuscita a spegnerlo, a raggelare quella scintilla che pian piano aveva finito per farlo ardere di gioia e speranza. E all'improvviso si era sentito come se quelle sensazioni non avessero mai fatto parte di lui, quasi lo avesse colpito la certezza di non poterle più provare... Un piatto torpore che sapeva di sconfitta si era impadronito di lui, simile alla perfetta calma che si diffonde non appena un incendio viene placato. Il caos che si trasforma in silenzio. Le fiamme disperse in fili di fumo.
Era così che si sentiva.
E poi c'era Piton. Lui, e la piega fra le sue sopracciglia non appena aveva visto la sua cerva d'argento, lui, e Lily, che dopo anni aveva ricominciato a parlargli... Ancora si chiedeva cosa potesse averle detto per indurla ad ascoltarlo nuovamente. Ma qualunque fosse stata la ragione scatenante di quel riavvicinamento, una cosa era assolutamente certa: se nel caso di lui e Lily le parole di Dixon erano state un po' un castello in aria, per lei e Piton calzavano a pennello e acquisivano finalmente un senso. Una verità fin troppo palese perché potesse rifiutarla.
I loro Patroni erano identici.
E allora cosa sarebbe servito, e a chi, continuare a formulare vacue congetture? Erano bastate poche parole, parole che lui non conosceva, a sconvolgere Lily e a riallacciarla emotivamente a Piton. 
Nonostante conoscesse ben poco del loro rapporto passato, infatti, sapeva che tra loro esisteva un'amicizia solida, nata addirittura prima di Hogwarts, e aveva sempre immaginato - con non poca riluttanza - che fosse un legame importante per entrambi, al punto che né il dissenso da parte delle amiche di Lily nei suoi confronti né le prime voci sull'avvicinamento di Piton alle Arti Oscure erano riusciti a spezzarlo. Solo quella frase brutale che lui le aveva rivolto alla fine del quinto anno aveva avuto la forza di dividerli, ma evidentemente si era trattato di un distacco apparente, perché i sentimenti che Lily nutriva per lui - non voleva neanche immaginare quali in effetti potessero essere, anche se temeva di conoscerli già - si erano dimostrati incredibilmente più forti della sua volontà, della rabbia, della delusione... di lei.

Lui è venuto a chiedermi scusa, ma è stato tutto inutile... Non potevo continuare a fingere che andasse tutto bene... Lui ormai aveva deciso della sua vita ed io della mia. Le nostre scelte ci vedevano schierati su fronti opposti, quindi ho detto basta...  A me fa piacere dare una seconda possibilità a chi se la merita. Ma lui non se l'è meritata...

Erano state queste le parole che aveva pronunciato ormai quattro mesi addietro, quando, durante la ronda della notte di Halloween, James aveva toccato l'argomento. E probabilmente Lily aveva creduto veramente alle sue stesse parole, in quel momento, ma spesso queste possono diventare suoni vacui e buttati al vento, quando vengono a scontrarsi con emozioni che non si è in grado di gestire, né tantomeno di allontanare.
L'unica cosa che non mentiva era tutto ciò che gli occhi di James avevano visto: Lily e Piton faccia a faccia poco prima dell'inizio della lezione, la civetta di lei mutata in cerva, la cerva di lui - che probabilmente era stato l'unico a vedere -, e di nuovo i due che parlavano fuori dall'aula di Difesa, alla fine dell'ora.
Il ritorno di una persona tanto importante nella propria vita dopo due anni di assenza era sì un forte sconvolgimento emotivo.
Ritrovarsi di fronte qualcuno che ti ha ferito e deluso in modo tanto plateale e profondo era sì un forte trauma, alla cui base, evidentemente, doveva esserci - e James non avrebbe mai pensato di poter ammettere una tale atrocità - un sentimento travolgente.
Tutto tornava. Tutto era perfettamente, maledettamente in ordine.
E a quel punto l'antipatia e l'astio che aveva provato per Piton sin dal primo momento in cui lo aveva visto, quando si era ritrovato di fronte quell'undicenne dall'aria trasandata e vagamente lugubre che professava con sfrontata fierezza il proprio desiderio di essere smistato in Serpeverde, parvero un piccolo e insignificante assaggio del disprezzo e dell'odio che gli ribollivano dentro in quel momento. 
Quella situazione gli sembrò la sottile ma quanto mai spietata messa in atto della legge del contrappasso. Perché, per quanto potesse far male, avrebbe dovuto accettare l'idea che Lily non sarebbe mai stata sua, ma di certo non poteva in alcun modo tollerare che il suo cuore appartenesse proprio a lui.
Deglutì, cercando di cacciare giù il risentimento, di rimandare ancora un po' il momento in cui avrebbe effettivamente compreso ciò che lo aspettava - e ciò che, al contrario, non sarebbe mai riuscito a trovare -, e continuò a camminare, nella speranza di mantenere la mente svuotata da qualsiasi pensiero per qualche altro momento di pace.
Sollevando lo sguardo per la prima volta dopo minuti interi, si rese conto di essere arrivato a destinazione. Il ritratto della Signora Grassa era a qualche metro da lui e, non appena ebbe risalito gli ultimi gradini, vide la donna scrutarlo di sottecchi con aria vagamente perplessa. La cosa non lo stupì: non era mai stato granché bravo a mascherare il proprio stato d'animo, e probabilmente lei, come il resto degli abitanti del castello, doveva averlo visto così di malumore solo un paio di volte nel corso di tutti e sette gli anni. Con infinita amarezza, pensò che presto avrebbe dovuto farci l'abitudine.
« Essenza di dittamo » disse con voce strascicata, ma la Signora Grassa scosse pazientemente il capo.
« E' la parola d'ordine della settimana scorsa, caro » disse con dolcezza, senza smettere di scrutarlo. « Cosa ti è successo? Sembri stravolto ».
Ma lui non le rispose e si sforzò di ricordare quale fosse la parola d'ordine corretta. Eppure l'aveva ripetuta così tante volte...
« Ehm... Strillettera » disse dopo un po', dubbioso, e a quel punto, seppur di malumore per il mancato pettegolezzo, la donna lo lasciò entrare.
Attraversò la Sala Comune a passo spedito, ignorando un ragazzino del primo anno che, a quanto pareva, aveva bisogno di indicazioni per trovare l'ufficio di Silente, e risalì i gradini tre alla volta, diretto al proprio Dormitorio. La porta era socchiusa e si sentivano delle voci.
Non appena entrò vide che i quattro compagni di stanza stavano confabulando, ma si interruppero nell'esatto momento in cui lo videro.
« Dov'eri finito? » gli chiese immediatamente Remus, fissandolo mentre si faceva strada verso il proprio letto.
Inizialmente, lui non rispose, né diede segno di aver sentito. Si tolse le scarpe e si lasciò cadere sul letto, la faccia premuta sul guanciale.
« In giro » borbottò, sfilandosi gli occhiali per posarli sul comodino in completo disordine.
Gli amici si scambiarono uno sguardo sbigottito, e Remus fece cenno a Sirius di dire qualcosa. Lui colse al volo il messaggio.
« In giro è la mia risposta. E non ricordo di averti mai dato il permesso di usarla » disse, e l'amico alzò gli occhi al cielo. 
Decisamente, non aveva pensato a quello quando gli aveva silenziosamente chiesto di intervenire, ma Sirius aveva un modo tutto suo di intavolare conversazioni e far parlare la gente, per cui tanto valeva lasciarlo fare.
Lo vide avvicinarsi a James, stringergli le dita fra i capelli ritti e folti per tirargli su la testa e guardarlo, ma quello si affrettò a cacciarlo.
« Mollami, Sirius » bofonchiò di malavoglia, e quello lo fissò come se non riuscisse neanche a riconoscerlo.
Si era ridotto in quello stato al termine della prima lezione di quella giornata, e nessuno di loro aveva ancora capito cosa potesse essergli successo. Lui, dal canto suo, non si era degnato di fornire delucidazioni a tal proposito, non perché credesse che gli amici non fossero in grado di comprenderlo, ma semplicemente perché non aveva né la voglia, né tantomeno la forza di parlarne.
« Ma che cos'ha? » sillabò Peter in direzione degli amici. Per tutto il giorno non aveva fatto altro che continuare a chiederlo a intervalli di circa mezz'ora.
Quella volta, infatti, nessuno si premurò di rispondergli, così il ragazzo, fortemente risentito, decise di rivolgersi direttamente al diretto interessato.
« James... tu sai che ore sono, sì? » chiese, sperando di ottenere una qualsiasi risposta almeno da lui, cosa men che meno probabile.
Il ragazzo, infatti, a conferma dei suoi sospetti, non si mosse e non parlò, inducendo Peter a ritirarsi fra le lenzuola con aria profondamente offesa.
« Amico, la ronda con Lily » intervenne a quel punto Frank, schioccando le dita. « E' fra cinque minuti. Che intenzioni hai? »
Lui sbuffò sommessamente e scollò la guancia dal cuscino solo per pronunciare qualche parola, la voce lievemente arrochita.
A dire il vero, aveva completamente dimenticato la ronda che era in programma per quella sera. Improvvisamente, quello era diventato l'ultimo dei suoi pensieri, cosa che fino a meno di ventiquattr'ore prima gli sarebbe parsa semplicemente fuori da ogni logica.
« Ah, già... » mormorò, ribaltandosi sul materasso, e da perplessi, gli amici si fecero d'un tratto sconvolti. « Remus, va' tu al mio posto, d'accordo? »
Lui, però, non parve disorientato quanto gli altri, mentre Sirius, al suo fianco, divenne decisamente preoccupato.
« Ramoso, non raggelarmi i testicoli. Che diavolo ti prende? » sbottò, sperando intensamente di ottenere una risposta pur sapendo, in cuor suo, che non l'avrebbe mai ottenuta in quel momento. E difatti così fu, o almeno in parte.
« Non mi va » si limitò a dire James, poi si rivolse a Remus e ripetè: « Vacci tu, okay? Ti devo un favore », prima di richiudere le tende intorno al letto.
Sirius capì che qualcosa di grosso non andava, ed era certo che James gli avrebbe parlato solo se si fossero ritrovati da soli. Esplodeva sempre, alla fine, ne avvertiva il bisogno, e non riusciva mai a trattenersi. Forse perché con lui non era necessario. Era una delle mille differenze che li distinguevano.
Scambiò un secondo sguardo con Remus, che annuì e andò a prendere il mantello per scendere giù in Sala Comune e incontrare Lily. Sempre se fosse scesa, naturalmente... quella serata si prospettava ricca di inattese rivelazioni.
Fece un cenno agli amici, poi si allontanò, richiudendosi frettolosamente la porta alle spalle. Non appena ebbe terminato la scala a chiocciola, vide Lily seduta su una sedia di legno scuro, la schiena ricurva, le dita intrecciate e un'aria nervosa dipinta sul volto, ravvisabile già a una prima occhiata.
Le si avvicinò, ma la ragazza non si accorse di lui finché non le fu di fronte. Evidentemente, la sua mente stava viaggiando a miglia di distanza dalla Sala Comune, e gli parve quasi di veder svanire un pensiero nei suoi occhi, che di colpo parvero un po' sbiadirsi.
« Ciao » gli disse, rivolgendogli un sorriso cordiale. « Tutto bene, Remus? »
Lui ricambiò il sorriso e annuì brevemente, serrando la mano destra intorno allo schienale della sua sedia.
« Temo che questa sera dovrai accontentarti di un sostituto » rispose infine, allargando le braccia. « James... ecco, non sta molto bene ».
Vide una traccia di delusione farsi largo sul suo volto, e probabilmente lei se ne rese conto, perché arrossì sulle guance e chinò bruscamente il capo.
« Oh... Mi dispiace » disse, ma non le parve di avere pieno controllo della propria voce. « Continua a far freddo, forse si sarà... si sarà... ecco... »
« Sì ». Remus annuì lentamente, ma in qualche modo la comprensione nella sua voce finì per imbarazzarla ancora di più. « Nulla di grave, comunque » proseguì poi, suonando abbastanza convincente. « Passerà presto ».
Lei fece di sì col capo a sua volta, e si passò una mano fra i capelli stranamente ordinati, scompigliandoli.
Remus provò un'infinita tenerezza per l'amica. Guardandola, capì che doveva essersi impegnata più del solito per apparire al meglio, e quel gesto gli parve un segno di sconfitta. 
Succede un po' a tutti, dopotutto: spesso ci si prepara a lungo per un qualcosa che non arriverà mai, e non appena questa crudele verità ci coglie di sorpresa, tutto ciò a cui ci si è tanto meticolosamente dedicati diventa fastidioso, superfluo, persino sciocco. 
Proprio come si sentiva lei in quel momento. Una vera sciocca, viziata da anni ed anni di continui sì e perenni certezze, che le avevano inculcato nella mente l'idea che nulla, nella crescita del suo rapporto con James, sarebbe potuto andare storto, se non per causa sua. Adesso, invece, si rendeva conto di quanto fosse stato sbagliato dare tutto per scontato, perché se in effetti non aveva mai dubitato del desiderio costante di James di trascorrere del tempo con lei, beh, quello era stato un errore. Un errore ingenuo che l'aveva ricondotta con i piedi per terra, facendole pensare di essere stata trattata forse troppo bene nel corso di tutti quegli anni. Era arrivato il momento di compiere lei stessa un decisivo passo avanti.
« Andiamo? »
Lily risollevò lo sguardo con aria smarrita. Gli era parso che la voce di Remus fosse giunta dalla parte opposta della Sala Comune, disperdendosi nel chiasso generale. Non appena scosse il capo per riprendersi, però, annuì e abbandonò il posto a sedere, precedendo il ragazzo verso il buco dietro il ritratto.
Dopo averlo attraversato, si armarono di bacchetta e procedettero lungo la prima rampa di scale per accedere al piano inferiore.
Durante i primi minuti nessuno dei due fiatò. Si guardarono intorno per scorgere eventuali fuggiaschi, camminarono fianco a fianco con le ampie maniche dei mantelli che si sfioravano, ma non si scambiarono neanche una parola, almeno finché Remus, voltatosi distrattamente a guardare Lily, non notò che una vaga espressione divertita le stava solleticando il viso.
« Eravamo una bella squadra, da Prefetti, non credi? » gli fece lei non appena si accorse che la stava fissando.
Lui sorrise e scrollò le spalle, ricordando piacevolmente tutti i bei momenti trascorsi in sua compagnia durante i due anni in cui avevano ricoperto quella carica. Le mansioni che erano state loro affidate si erano sempre trasformate in occasioni per chiacchierare allegramente e confidarsi, cosa che aveva reso il loro lavoro infinitamente più gradevole di quanto non sarebbe stato in qualsiasi altro caso.
« Già, più o meno » replicò, ridendo sottovoce. « Trascurando quella volta in cui avremmo dovuto accompagnare i nuovi arrivati alla Sala Comune e abbiamo perso per strada quel ragazzino... sì, funzionava tutto alla perfezione, direi ».
Lily rise a sua volta, e il ricordo di quell'episodio risalì a galla nella sua mente con estrema facilità. Come dimenticarlo? 
« Hai ragione, mi ricordo di Danny » disse, annuendo ripetutamente. « E' un ragazzo adorabile, non manca mai di salutarmi tutte le volte in cui mi vede ».
Malgrado adesso riuscissero a rivivere quel momento con estrema leggerezza, in realtà era stato un vero e proprio inferno.
Erano appena arrivati in Sala Comune con il nutrito gruppo di primini al seguito, quando una ragazzina aveva chiesto con voce squillante dove si fosse cacciato il suo compagno di Casa, probabilmente conosciuto a tavola subito dopo lo Smistamento. Immediatamente, il panico si era impossessato di Lily e Remus che, terminate le ricerche all'interno della stanza, si erano barricati fuori a rotta di collo, dividendosi nella speranza di ritrovarlo il più in fretta possibile. Dopo minuti interminabili dettati dal terrore di venire espulsi irrevocabilmente dalla scuola, Danny era stato ritrovato dal ragazzo, accucciato dietro un'armatura al sesto piano, tremante e palesemente spaventato. E difatti non era stato per nulla semplice indurlo a raccontare cosa lo avesse tanto preoccupato, ma alla fine, complici l'infinita gentilezza dei due ragazzi e una tazza di cioccolata bollente, erano riusciti nell'impresa: stando al suo tremolante racconto, due ragazzi, durante il banchetto, gli avevano confessato che, per accedere ai Dormitori, i primini avrebbero dovuto affrontare dure prove, le quali richiedevano una grande abilità magica. Danny, allora, terrorizzato da ciò che avrebbe potuto combinare, era scappato di soppiatto per sfuggire al temibile esame, poiché, essendo un Nato Babbano e non avendo mai praticato incantesimi, aveva creduto di poter provocare reali disastri.
Dopo aver ascoltato la sua confessione, Remus e Lily, insospettiti, gli avevano chiesto di fornire loro una descrizione fisica dei due ragazzi che erano riusciti a farlo cadere in quel tranello. E attraverso le parole del ragazzino, avevano subito pensato che le caretteristiche descritte rimandassero con spaventosa precisione a due teppisti a loro ben noti: James e Sirius ne avevano combinata un'altra delle loro.
« Sì » fece Remus con un sorriso. « Quella che ho fatto a quei due idioti quando sono tornato in Dormitorio è stata la mia più potente strigliata di sempre » ricordò con un velo di malinconia. « Si sono spaventati davvero, quella volta. Devo tutto a Danny ».
Lily scoppiò a ridere, passandosi le dita fra i capelli per allontanarli dal viso, e Remus si unì subito a lei.
Per molto tempo, non fecero altro che ricordare tutti i momenti divertenti trascorsi insieme nel corso dei due anni da Prefetti di Grifondoro. Vicende buffe, aneddoti insoliti... non avevano dimenticato nulla, tanto che riuscirono a ricostruire ogni avvenimento con dovizia di particolari, un po' come se tutti quanti i loro ricordi si fossero scavati un minuscolo angolino nella loro mente, in attesa di essere ripescati.
Mentre imboccavano uno stretto corridoio scarsamente illuminato, ancora impegnati a ridere per quella volta in cui, recatisi nella sala professori per denunciare una banda di bulli Serpeverde, avevano trovato il loro vecchio insegnante di Difesa e la professoressa Amalthea in atteggiamenti piuttosto intimi, Lily si soffermò a guardare Remus e a riflettere. Riflettere su quanto la sua figura fosse importante nella propria vita.
Quante volte era riuscito a tirarla su di morale? Quante volte, attraverso la sua innata perspicacia, l'aveva aiutata a guardare tutto sotto un'altra prospettiva? Remus era sempre stato in grado di guidarla verso nuovi orizzonti, di aiutarla a riflettere razionalmente e a mettersi sempre in discussione, ma tutte le volte in cui le era stato vicino per lasciare che si confidasse, aveva mostrato una delicatezza e un tatto davvero preziosi. Era sempre lui a spingerla a trovare nuove soluzioni, a rispondere a domande che parevano insormontabili, ma non osava mai sostituirsi a lei nel farlo. Lasciava trapelare solo un accenno di quelle risposte tanto ricercate, ma faceva in modo che fosse lei a coglierle e ad elaborarle, così da farla sentire sempre molto più serena e sollevata.
Era l'amico di cui poteva ciecamente fidarsi, a cui poteva sempre aggrapparsi, e in quel momento pensò che fosse la soluzione ad ogni suo problema: qualsiasi dubbio poteva essere risolto, se colui a cui li confidava era Remus. E di certo non avrebbe lasciato che l'occasione per farlo le sfuggisse.
Lo guardò di sottecchi senza che lui se ne accorgesse, e ci volle un po' per convincere se stessa a parlare. Alla fine, però, ci riuscì.
« Remus » esordì, le mani intrecciate dietro la schiena, e lui si voltò a guardarla, facendo un cenno. « Posso farti una domanda? »
Il ragazzo annuì, improvvisamente interessato, e disse: « Ma certo », sfoggiando la consueta gentilezza.
Lily fissò il pavimento, chiedendosi qual era il modo migliore per toccare l'argomento restandone allo stesso tempo distaccata, e alla fine annuì appena.
« Tu credi... » esordì, fortemente titubante. « Tu pensi che sia... possibile, in qualche modo... cambiare radicalmente idea nei confronti di qualcuno? » domandò alla fine, guardandolo negli occhi.
Remus la scrutò, un'espressione seria e indecifrabile dipinta sul volto, poi si voltò a fissare dritto di fronte a sé, riflettendo sulla questione.
In realtà, a Lily non sembrò affatto che fosse sorpreso da quella domanda. Un po' come se si fosse aspettato qualcosa del genere.
« Suppongo di sì, certo » fu la sua risposta. « Noi stessi siamo sottoposti a un continuo cambiamento, così, crescendo, di pari passo maturano anche le nostre opinioni ».
Lily lo ascoltava attentamente, così il ragazzo proseguì.
« E' ovvio che se la persona di cui abbiamo una determinata opinione cambia radicalmente, beh, diventa più che normale dover cambiare idea di conseguenza... tranne se si vuole in qualche modo negare la realtà, è chiaro » continuò a dire con un mezzo sorriso. A Lily, quella parve un'allusione bella e buona, ma non ci badò. « A pensarci bene, poi » riprese lui, meditabondo, « spesso capita di convincere noi stessi ad avere un'idea precisa su qualcuno, quasi come se ce lo imponessimo... e in realtà ciò che davvero sentiamo è completamente differente ».
Lei annuì lentamente, assorbendo una ad una le sue parole per assimilarle al meglio.
In passato, non aveva mai dubitato di odiare James Potter con tutte le proprie forze - ammesso che avesse voluto spenderne per qualcuno di tanto indegno -. Alla fine, però, nel corso degli anni precedenti aveva sempre sprecato molto tempo per quella lotta senza esclusione di colpi contro di lui, e raramente si era mostrata indifferente nei suoi confronti. Nel bene o nel male, James era sempre riuscito a scuotere qualcosa dentro di lei, che fosse rabbia o un sentimento diametralmente opposto non importava... l'aveva sempre interessata, in qualsiasi modo possibile.
Ma alla luce di ciò su cui le parole di Remus l'avevano indotta a riflettere, una domanda sorgeva spontanea: lo aveva mai odiato davvero? Anche quando aveva creduto di disprezzarlo senza la minima riserva, era stato tutto vero come le era parso in quel momento? 
Probabilmente non sarebbe mai riuscita ad essere completamente obiettiva nel dare quella risposta, ma sapeva per certo che, in quel preciso istante, tutto le faceva pensare che no, non lo aveva mai odiato davvero.
Quella conclusione a cui era arrivata ad una rapidità che non potè che sorprenderla fu il primo tassello che riuscì a posizionare nel confusionario ammasso di congetture che popolavano la sua mente.
Inutile dire che Remus, già con quella prima domanda, aveva dimostrato una precisione chirurgica nel centrare il fulcro dei suoi sentimenti.
Rimase in silenzio per un po', tentando di rimettere ordine ai propri pensieri, poi si rivolse nuovamente all'amico.
« E pensi che cambiare idea su qualcuno possa portarci a cambiare noi stessi, in qualche modo? » chiese ancora, fortemente dubbiosa, e lui tornò ad annuire.
La ragazza non potè non notare che le sue labbra erano arricciate in un sorriso particolare. Sembrava quasi che porgli delle domande fosse superfluo, come se lui potesse leggerle nella mente e conoscerle ancor prima che fosse lei a pronunciarle. Ma magari era solo una sua impressione.
« Assolutamente » disse Remus, deciso. « Siamo quello che siamo anche grazie alle relazioni che intrecciamo, non credi? » le domandò poi, voltandosi a guardarla, e lei annuì e sorrise di rimando. « E' vero anche, però » proseguì, inclinando il capo in un rapido gesto, « che le persone che hanno la forza di entrare dentro di noi a tal punto da renderci diversi devono essere parecchio speciali ».
E quelle parole furono nuovamente un tuffo al cuore per Lily.
In qualche modo, sentirlo dire ad alta voce da Remus rendeva quella verità ancora più solida e definitiva, tanto che negarla sarebbe stato stupido fino all'inverosimile: James era speciale. Per quello che era davvero, per quello che si era dimostrato di fronte a lei, per quello che era stato in grado di mettere da parte, per quello che era stato capace di far nascere nel suo cuore... era speciale.
« Forse lo sono perché siamo noi a volerli ritenere speciali » tentò lei, dando voce ad una delle tante scappatoie a cui si era aggrappata per tutta la giornata. « Ma magari no-... »
« Sono speciali e basta, Lily » la interruppe lui, che aveva intuito dove volesse andare a parare. « Forse sono loro ad avere una capacità particolare in grado di sconvolgerci, forse siamo noi ad avere la predisposizione a venire cambiati, ad avvertirne il bisogno... Fatto sta che, se avviene, è comunque accaduto qualcosa di singolare e unico, indipendentemente dalla nostra volontà ».
E Lily non potè che essere più d'accordo.
Perché in effetti, il cambiamento del suo Patronus nient'altro era che la metafora del suo stravolgimento interiore, avvenuto senza che lei potesse in alcun modo impedirlo. Non a caso, entrambi i mutamenti - come aveva specificato il professor Dixon, e come aveva appena detto Remus - rappresentavano delle perle rare. E non seppe spiegarsi il motivo, ma la sensazione che la invase a quel pensiero fu uno splendido, totalizzante senso di gratitudine. Si sentiva in qualche modo fortunata, anche se ancora non sapeva bene per quale precisa ragione.
Il mosaico era ancora molto in disordine, ma altri pezzi si stavano aggiungendo pian piano, conferendogli dei connotati un po' più precisi.
Si morse una guancia, indecisa sul da farsi: c'erano un mucchio di cose che avrebbe voluto chiedergli, moltissimi dubbi che le sarebbe piaciuto risolvere, ma parlare in astratto di un qualcosa che in verità la riguardava molto da vicino la imbarazzava, forse perché era certa che Remus sapesse bene a chi si riferiva. Così rimase in silenzio a riflettere ancora qualche momento, quando un rumore improvviso di passi riuscì a distrarla dai propri pensieri.
Scambiò un fugace sguardo con Remus, poi entrambi si voltarono di scatto, puntando le bacchette in direzione dell'imboccatura opposta del corridoio buio.
« Ehi, ehi, calma, gente, non sono così pericoloso! » disse l'inconfondibile voce di Alan, e dopo un attimo lo videro apparire dal nulla, come se si fosse Materializzato a qualche metro da loro. La luce della bacchetta appena accesa illuminava i suoi enormi occhi verdi.
I due ragazzi risero, sollevati, e fecero qualche passo avanti per venirgli incontro.
« Non avrete mica intenzione di mettermi in punizione? Ne ho già cinque in programma, direi che sono a posto » disse Alan, sorridendo.
« Ringrazia che non ci sia James, allora » replicò ironica Lily. « Sai com'è rigido e fiscale nelle vesti di Caposcuola » proseguì, lasciandosi andare ad una breve risata, e anche lui si unì a lei.
« A proposito di James » fece poi, incuriosito, « come mai non è qui con te a fare la ronda? E' successo qualcosa? »
La ragazza sollevò le spalle con aria dispiaciuta.
« Non si sente molto bene... » disse, un po' sconsolata, e a quelle parole il ragazzo parve accigliarsi.
« Davvero? » chiese, vagamente stupito. « Strano, l'ho visto in giro dopo cena e mi sembrava che stesse bene... »
« E tu, invece? » Remus si affrettò a troncare la sua frase e a dirottare la conversazione verso una direzione più sicura, ma oramai il danno era fatto: Lily aveva sentito tutto e sembrava decisamente confusa. « Cosa fai in giro a quest'ora? » proseguì, simulando il tono più disinvolto che riuscì a trovare.
A quelle parole, quasi fosse stato colpito da un'improvvisa illuminazione, l'espressione sul volto del ragazzo si tramutò in un agghiacciante specchio della disperazione.
« Per Merlino e Morgana, stavo quasi per dimenticarmene! » esclamò, battendosi un rapido schiaffo sulla fronte. « Avete presente Wanda Blackburn, no? Quella biondina del sesto anno che è una schiappa un po' in tutto » spiegò con fare concitato, e i due annuirono immediatamente. « Beh, aveva accettato di uscire con me - incredibile ma vero - e dovevamo vederci all'uscita della Sala Comune alle dieci. Quando sono sceso, però, non l'ho trovata. Ho chiesto un po' in giro, ma niente... La cerco da un secolo, e non ho la più pallida idea di dove possa essere finita. A dire la verità, mi sto anche preoccupando... »
Remus e Lily si scambiarono uno sguardo perplesso.
« Cerchiamola insieme, dai » propose la ragazza alla fine, facendo cenno ai due di seguirla lungo la direzione opposta.
E la loro ricerca si dimostrò più veloce del previsto, poiché, un paio di corridoi più in là dal luogo in cui si erano incontrati, Lily e Remus furono improvvisamente messi all'erta dalla vibrante imprecazione di Alan.
« Porco Salazar e tutti i Serpeverde, è qui! » esclamò, e quando i due si voltarono, lo videro chino sulle ginocchia, quasi del tutto celato da un'armatura che nascondeva un anfratto alquanto buio e stretto. 
Una volta raggiunto, anche loro poterono comprendere il motivo della sua agitazione. La ragazza era stesa a terra, immobile, e dopo un primo momento di smarrimento, i due si accorsero che fortunatamente era stata solamente pietrificata.
« Finitus Incantatem » declamò Lily, accompagnando l'incantesimo ad un rapido colpo di bacchetta, e all'istante la ragazza riprese colore e conoscenza.
Si mise a sedere, ancora vagamente stordita, finché non focalizzò i volti dei tre ragazzi di fronte a lei.
« Stai bene? » le chiese Alan, poggiandole una mano sulla spalla.
« Mmm... credo di sì » mormorò lei, facendo scorrere il palmo della sua mano lungo il collo. « Ma... che ci faccio qui? »
Remus e Lily si scambiarono una fugace occhiata. Possibile che fosse stata vittima anche di un Incantesimo di Memoria? 
« Non ricordi come sei arrivata fin qui? » domandò a quel punto il ragazzo, accigliato. « Non ti sovviene chi ti ha incantata o...? »
Ma la ragazza lo interruppe, annuendo più volte col capo, come se si fosse all'improvviso resa pienamente conto della situazione.
« Sì, certo, ora ricordo! » rispose con voce molto meno flebile. « Stavo camminando tranquillamente, quando una ragazza mi ha bloccata qui e mi ha intimato... » Si bloccò, pensierosa, poi puntò il proprio sguardo su Alan. « Mi ha intimato di starti lontana, Alan ».
Il ragazzo strabuzzò gli occhi, sconvolto, e anche Lily e Remus parvero parecchio perplessi.
« Già... » riprese lei, sempre più cosciente. « Mi ha detto che non avrei dovuto accettare di uscire con te, e mi ha minacciata di affatturarmi ogni volta che mi avesse incontrata se mai non l'avessi ascoltata... Non appena stavo per risponderle, mi ha puntato contro la bacchetta! » Scosse il capo, ora visibilmente furiosa. « Quella brutta megera... E' stata la tipa del vostro anno, quella psicopatica... la Hughes! »
Al suono di quel nome, gli occhi di Alan si fecero se possibile ancor più grandi, e furono colmati da un vacuo terrore.
Perché, per quanto avesse potuto immaginare la pericolosità di quella ragazza, mai avrebbe potuto aspettarsi che si sarebbe spinta fino a quel punto.
Era pazza, non c'era più ombra di dubbio. E lui... lui era in pericolo. In grave pericolo. 
Dietro di lui, Lily e Remus fecero non poca fatica a trattenersi dallo scoppiare a ridere. A dire la verità, quella situazione aveva dell'inquietante, ma aldilà di questo, la micidiale e sempre più accanita iella di Alan la rendeva soprattutto sinceramente comica.
« Santo Merlino... » stava ripetendo il ragazzo in un sussurro. 
Intanto Wanda, ripresasi ormai del tutto dall'incidente che aveva stravolto la sua serata, si stava rialzando e dando una risistemata. 
« Wanda... io non... non so.... » borbottò a quel punto Alan alla ragazza, senza sapere nemmeno cosa in realtà volesse dirle. Era veramente, irreversibilmente senza parole. « Mi dispiace tanto... »
« Lo so, Alan » lo rassicurò lei, sistemandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio. « Ma sono costretta a dover rifiutare il tuo invito. Non posso uscire con te dopo quello che è successo... Quella ragazza è degna di Azkaban, e sinceramente quello che è successo stasera mi è bastato. Mi capisci, non è vero? »
Remus e Lily, ormai soltanto attoniti spettatori della scena, videro pian piano scendere la notte sul volto del ragazzo. 
« Certo... » rispose lui, annuendo con aria mortifera. « Ti capisco... »
La ragazza, allora, rincuorata dalla sua comprensione, abbozzò un timido sorriso, e fu il suo turno di poggiare una mano sulla spalla di Alan. Era distrutto.
« Grazie mille, ragazzi » disse poi, rivolta a Lily e Remus. « Probabilmente sarei rimasta qui fino a domani se non foste arrivati voi... Torno in Dormitorio, buonanotte ».
E così dicendo, voltò loro le spalle e si incamminò lungo il corridoio. 
Alan la seguì con lo sguardo fin quando non fu sparita, e solo allora Remus e Lily gli si fecero di nuovo vicini. Guardandolo, capirono che quello era stato davvero un duro colpo per lui. Non si sarebbe ripreso tanto facilmente.
« Mi tocca parlare con Silente » furono le sue prime parole. « Ci sarà una legge, un reato... qualcosa per buttarla dentro, no? Sì, mi tocca parlare con Silente... Mi tocca parlare con Silente... »
E continuando a borbottare quella frase, come se in qualche modo potesse essergli di conforto per affrontare quella difficile situazione, si incamminò anche lui, probabilmente diretto come Wanda al proprio Dormitorio, lasciando così Remus e Lily - una volta che ebbe svoltato l'angolo - finalmente liberi di esplodere in una fragorosa risata fin troppo a lungo trattenuta.
« Per Godric... » riuscì a esordire Lily dopo un po', ancora scossa dalle risa. « Quel ragazzo deve avere davvero qualcosa che non va... Voglio dire, non è umano dover sopportare tutta la iella che si porta dietro! »
« E' un caso disperato » fece Remus, scuotendo con incredulità il capo. « Ma avrà la sua rivincita, ne sono sicuro ».
Lily scoppiò nuovamente a ridere, e non potè che sperare che Remus avesse ragione: Alan meritava davvero una pausa dalla nuvola grigia che non smetteva di tormentarlo giorno dopo giorno.
Quanto alla loro ronda, i due rimasero in giro a vigilare per un'altra mezz'ora, ma la loro perlustrazione dopo quel singolare episodio fu decisamente piatta. 
Al termine della serata, quando furono sul punto di passare attraverso il buco del ritratto, entrambi stavano ancora commentando l'accaduto, e si ritrovarono d'accordo nell'immaginare Alan di fronte al camino della Sala Comune che ancora si ripeteva di dover parlare con Silente, lo sguardo perso in una sorta di stato di trans. In realtà, però, non appena furono entrati, si accorsero immediatamente di aver sbagliato previsione. 
« Ammettiamolo » fu l'immediato commento di Lily, « non siamo mai stati un granchè in Divinazione ».
Remus rise, concordando in pieno con l'amica, dopodiché entrambi si diressero verso la scaletta a chiocciola che conduceva ai Dormitori. Arrivati di fronte alle rispettive camere, si arrestarono, e Lily diede in un ampio sospiro, inclinando il capo per scrutare meglio Remus.
« Sei stato un ottimo sostituto, sai? » disse, un sorriso dolce dipinto sul volto, e lui lo ricambiò.
« Sempre a disposizione » rispose, dando in un rapido gesto che ricordava un saluto militare.
Lily sorrise ancor più ampiamente, e fece un passo indietro, verso la scaletta che conduceva alla porta del suo Dormitorio.
« Buonanotte, Remus » lo salutò, e lui rispose con un silenzioso cenno del capo, dirigendosi dalla parte opposta.
E Lily ebbe appena il tempo di salire un paio di gradini prima di sentire la voce del ragazzo arrivare di nuovo alle sue orecchie.
« Lily » la richiamò infatti, la mano poggiata alla maniglia d'ottone.
Lei si voltò, scuotendo appena il capo come a volerlo invitare a parlare, e lui lo fece.
« Quella cerva, stamattina, è stata capace di darti molte più risposte di quante abbia potuto dartene io stasera » disse, le labbra distese in un sorriso accennato e rilassato. « Fatti guidare da quelle, e allora saprai cosa fare ».
Lily accolse quelle brevi frasi come una ventata d'aria fresca, e non riuscì a trattenere un sorriso pieno di gratitudine nei confronti dell'amico.
Come sempre, Remus era puntualmente un passo avanti. Come sempre, si era dimostrato la persona giusta al momento giusto. 
E fu con una nuova, rinata serenità che gli voltò le spalle per andare incontro a quella che - ne era certa - sarebbe stata una lunga nottata insonne, quando, con sua grande sorpresa, Remus tornò a parlare.
« Quasi dimenticavo » le disse, e lei tornò a fissarlo, le sopracciglia leggermente aggrottate. « Quando avrai finalmente trovato una soluzione a tutti i tuoi enigmi... beh, preoccupati di comunicarla a qualche malato di nostra conoscenza. Sai, potresti curarlo molto in fretta, se solo gli facessi capire che... ha un po' sbagliato a fare i conti, se così si può dire ». 
Osservò con composta allegria la confusione che si impadroniva del volto di Lily, prima di augurarle una buonanotte e di lasciarla a quello che - lo sapeva bene - era un messaggio talmente criptico che soltanto al momento giusto avrebbe saputo decifrare.
Come sempre, Remus era puntualmente un passo avanti. 
E aveva dimostrato di possedere un paio d'occhi capaci di vedere ciò che solo James credeva di aver scorto, e una lungimiranza che probabilmente avrebbe permesso a Lily di non essere tanto stupita all'idea di essersi perdutamente innamorata del suo (ormai solo apparentemente) più acerrimo nemico.




 
*   *   *



 
The smile on your face let's me know that you need me, Il sorriso sul tuo volto mi fa capire che hai bisogno di me
there’s a truth in your eyes saying you'll never leave me, c’è una verità nei tuoi occhi che dice che non mi lascerai mai
the touch of your hand says you'll catch me whenever I fall. il tocco della tua mano dice che mi prenderai ogni volta che cadrò.





Mentre vagava senza una meta per il castello, quella prima domenica di Marzo, Lily pensò che Hogwarts non le era mai parsa tanto piccola.
Da chissà quanto tempo, ormai, si faceva strada fra corridoi e passaggi segreti, ma per qualche strana ragione, qualsiasi luogo le sembrava familiare. Non sapeva spiegarsi il perché di quell'insolita sensazione, ma aveva voglia di scoprire qualcosa di nuovo, di diverso e, eccetto un paio di entrate nascoste che non aveva mai notato prima d'allora (alle spalle di una fila di armature munite di ascia e dietro un arazzo lungo circa dieci metri), non era riuscita a soddisfare quell'improvviso, bruciante desiderio. Eppure, anche quando fu passata più di mezz'ora, si sentiva ancora carica di aspettative.
Continuando a ripetersi che qualcosa di inatteso sarebbe presto riuscito a sorprenderla, sbuffò, ma non smise di camminare.
Era stata una giornata piatta e turbolenta al tempo stesso, la sua. 
Si era svegliata all'ora di pranzo in seguito a una notte insonne - nessuna novità - e conseguentemente ad una scomoda e breve dormita quando il sole si era già levato fra i banchi di nuvole del cielo. Non aveva mangiato nulla, ma aveva mandato giù più di due tazze di caffè grandi quanto boccali di birra, riflettendo tutto il tempo su quanto la cosa avrebbe fatto imbestialire sua madre. Da quando aveva scoperto con smisurata gioia l'esistenza di quella miracolosa essenza che era per lei il caffè, infatti, aveva cominciato a berne in quantità industriali, e la madre non aveva mai smesso di ribadire quanto tutta quella maledetta caffeina potesse essere dannosa per il suo fegato. O per il pancreas. O per qualsiasi altra cosa le venisse in mente nel momento in cui la rimproverava, perché in realtà non lo sapeva bene neanche lei. 
Nel pomeriggio, invece, aveva tentato con tutte le proprie forze di concentrarsi sui libri, e per un paio d'ore non aveva fatto altro che sfogliare volumi su volumi, per poi scoprire che l'unico concetto che le era rimasto impresso nella mente (probabilmente perché l'aveva letto e riletto per una buona mezz'ora) nient'altro era che un'informazione alquanto inquietante su delle pericolose Creature Magiche: la tradizione vuole che le Manticore canticchino soavemente misteriose melodie mentre divorano le loro prede. Evidentemente troppo poco per poter considerare il suo studio anche solo lontanamente proficuo.
Al termine di quel malloppo di ore dettate da sbuffi, pagine sfogliate e occhi vacui fissi sul soffitto, aveva deciso di mandare i suoi progetti di studio all'aria (cosa che, in effetti, fu parzialmente poco metaforica, perché aveva scagliato un libro contro il cuscino con inaudita violenza). Così, preda di un'irrequietezza che da più di un giorno intero non riusciva a scrollarsi di dosso, si era avviata verso chissà dove senza neanche il consueto, caldo mantello sulle spalle, ed ora camminava, determinata e fiera, ma con qualche brivido che, di tanto in tanto, tornava a farsi sentire lungo la schiena.
Non sapeva nemmeno a che piano fosse giunta, tanto confusionario era stato il suo peregrinare, ma dopo un po' si rese conto di trovarsi nel corridoio della Biblioteca della scuola, che difatti le fu di fronte alcuni metri dopo. Scoraggiata, continuò a camminare lungo quello che ora riconosceva come il terzo piano, ma dopo un po' decise di girare a sinistra, così da ritrovarsi accanto una porta dall'aspetto logoro, con il legno scheggiato e la maniglia piuttosto impolverata e annerita. La osservò per qualche momento, sospettosa, ma alla fine la curiosità si rivelò più forte di tutto e la indusse a spingerla in avanti per entrare in quella che, immediatamente, le parve un'aula abbandonata.
Si guardò intorno. La stanza era semibuia, ma riusciva a distinguere chiaramente i contorni di sedie e scrivanie accatastate lungo le pareti e le ante di una finestra socchiusa. Nessuno doveva essere entrato lì dentro per anni ed anni, tanto che si rese conto di non aver mai, mai notato quella porta seminascosta lungo quel corridoio tante volte percorso.
Hogwarts, proprio come si era aspettata, riservava sempre delle sorprese a chiunque la perlustrasse.
Un paio di attimi dopo essere entrata, però, la sua attenzione fu catturata da un oggetto che pareva stonare con il resto dell'assai discutibile arredamento della stanza. Inizialmente non capì di cosa si trattasse. Poi, con un lampo di sorpresa, si rese conto di avere di fronte un imponente e meraviglioso specchio.
Si fece più vicina, avida di scoprirne i dettagli, e si accorse che era alto sino al soffitto, orlato da una possente cornice dorata e finemente intarsiata. Poggiava su due forti zampe di leone, e in alto, fra qualche ragnatela, recava una scritta che, complice il buio, non riuscì a leggere.
La prima impressione che ebbe fu che lo specchio emanava magia allo stato puro, e Lily ne rimase talmente affascinata che si sentì quasi timorosa all'idea di avanzare ulteriormente, come se un inspiegabile presentimento le stesse suggerendo che qualcosa di ancor più stupefacente poteva ancora prenderla in contropiede. Incredibile come, all'improvviso, una banale aula in disuso fosse diventata una fonte di attrazione irrinunciabile, e qualcosa le diceva che avrebbe trascorso lì molto più tempo di quanto ne avesse speso a vagare in giro per la scuola.
Voltò il capo, accertandosi che la porta fosse chiusa, poi avanzò di un passo e abbassò lo sguardo per osservare il pavimento: anche lì vi era della polvere, ma al momento non le importava. Si accomodò a terra, mordendosi le labbra per l'impatto che il freddo marmo aveva avuto sulla pelle, e si sistemò la gonna sulle gambe piegate, stirandola il più possibile fino alle ginocchia. Solo allora, rivolse nuovamente la propria attenzione allo specchio... e subito sussultò.
L'immagine che il vetro rifletteva era mutata. 
Fino ad un istante prima, quando si era tenuta distante e aveva osservato lo specchio, era riuscita a intravedere il proprio riflesso dipinto sulla lastra levigata. Adesso, invece, i suoi occhi sbarrati erano fissi su una scena che, per qualche ragione a lei ignota, si stava svolgendo proprio dinnanzi a lei, intrappolata nello specchio. Una scena che non potè che lasciarla a bocca aperta.
C'era lei. Lì, sul vetro liscio e piatto. Lei, in compagnia di James, che le cingeva la vita con un braccio e sorrideva. Lei, che sorrideva insieme a lui. Loro, che si scambiavano un morbido bacio, senza sciogliersi da quell'abbraccio. Quell'abbraccio che sapeva tanto di amore consapevole, consolidato, puro.
Ingenuamente, a quella vista, voltò il capo di scatto, come per controllare che James non fosse effettivamente giunto alle sue spalle, per abbracciarla e sfiorare le sue labbra con un tocco invisibile, irreale. Non appena ebbe passato in rassegna la stanza vuota, però, si diede mentalmente della stupida e serrò gli occhi, premendosi i polpastrelli delle dita sulle tempie. 
Doveva aver immaginato tutto quanto. 
Forse sua madre non aveva tutti i torti, dopotutto... forse il caffè aveva davvero degli effetti collaterali. 
Il pensiero fisso di James doveva averle provocato una sorta di visione, e disse a se stessa che magari avrebbe dovuto piantarla di assillarsi tanto con quella storia. Rimanere ferma a rimuginare senza arrivare ad un punto fermo le stava facendo seriamente del male, e in ogni caso sapeva che al momento opportuno avrebbe fatto i conti con la realtà, qualunque essa fosse.
Convinta di questa nuova teoria, riaprì gli occhi il più lentamente possibile. Nonostante fosse certa che ciò che lo specchio aveva riflesso era stato tutto frutto della sua immaginazione, dall'altra parte era anche sicura di quel che i suoi occhi avevano visto, perciò si impose di dare un secondo sguardo a quella superficie magica. Non poteva lasciare che quel dubbio continuasse ad assillarla.
Temeva, dentro di sé, ciò che avrebbe visto, e ben presto i suoi peggiori sospetti vennero inequivocabilmente confermati.
No, non si era immaginata un bel niente. La scena riprodotta sulla facciata dello specchio era esattamente la stessa.
A differenza di prima, però, rimase a fissarla, come se guardarla più a lungo rispetto alla prima volta potesse essere un'ulteriore prova del fatto che fosse reale, e fu così che si rese pienamente conto di quanto quello specchio fosse fuori dall'ordinario.
Quella volta, inoltre, l'istinto non le suggerì di distogliere lo sguardo. Riuscì ad avvertire con chiarezza una sorta di attrazione magnetica che la induceva a tenere gli occhi fissi su quell'inspiegabile immagine e che lasciò scorrere dentro di sé senza opporre resistenza. La paura che aveva avvertito poco prima svanì nel nulla, e si sentì al sicuro. Era certa che nessuno l'avrebbe disturbata mentre rifletteva sul significato di quello specchio diverso dagli altri... nessuno le avrebbe impedito di bearsi di quella meravigliosa visione. Era sola, e aveva con sé tutto il tempo del mondo.
Ancor prima di cominciare a rimuginare sulla natura dell'immagine riflessa sullo specchio, vi si fece più vicina e premette i palmi delle mani sul vetro gelido. Voleva assaporare ogni dettaglio di quella scena, sprofondarvi e perdersi, perché lì risiedeva tutta la felicità che riusciva a immaginare... Voleva tastarne anche solo una briciola, ma la scena rimase distante da lei quanto la luna, e tutto ciò che le rimase da fare fu guardare. Guardare e basta.
E fu così che riuscì a vedere oltre, un significato dietro quei gesti lontani che non era ancora riuscita a cogliere.
Il sorriso sul volto di James, così spontaneo e bonario, era rivolto solo ed esclusivamente a lei, un po' come se ne fosse la fonte. Per sbocciare, aveva bisogno di incontrare il suo. Per sbocciare, necessitava di incontrare lei.
Il suo sguardo, poi, era l'esatto specchio della sua sincerità, così limpido da mostrarle apertamente tutto ciò che intendeva trasmettere: l'assoluta, incontrastabile certezza che mai l'avrebbe abbandonata.
E il tocco delle sue dita, ben strette fra le proprie... neanche quello mentiva. James sarebbe stato capace di risollevarla ogniqualvolta fosse precipitata giù, senza esitazione alcuna. Quelle mani erano il miglior rifugio che avrebbe mai potuto trovare.
Senza mai stancarsi di tutti quei particolari, continuò avidamente a guardare per minuti interi, nella speranza di imprimere al meglio ogni dettaglio nella mente. O forse, più probabilmente, per la paura di non poter mai vivere sulla propria pelle un momento simile a quello che aveva di fronte.
Dopo un po', comunque, riuscì a riprendersi e, strisciando sul pavimento impolverato, si tirò indietro di un paio di centimetri, come a voler porre una distanza fra sé, con la sua fredda razionalità, e quella sorta di incantesimo sconosciuto che, lentamente, la stava portando alla deriva.
Il primo pensiero che le attraversò la mente non appena ebbe distolto lo sguardo dallo specchio fu che la stava in qualche modo ingannando. L'aveva indotta a vedere cose che in realtà non esistevano, a riscontrare sentimenti aldilà di gesti immateriali che la sua mente aveva partorito senza alcun criterio, e non appena riuscì a rendersi conto del tiro mancino passivamente subito non potè che sentirsi estremamente ridicola. Ma che cosa le era passato per la testa?
Si passò le dita fra i capelli, scuotendoli con forza, poi si alzò di scatto e cominciò a girare in tondo per osservare lo specchio nella sua interezza. 
Ad un tratto, comprenderne il meccanismo era diventata una questione di vitale importanza. 
Dopotutto, quell'aggeggio l'aveva con ogni probabilità presa bellamente in giro, colpendola senza pietà nel suo punto più debole, anche se, mentre vi girovagava intorno, un'altra ipotesi le balenò per la mente, tornando tendenziosamente ad illuderla: e se quello specchio, per mezzo di qualche complesso incanto, fosse capace di mostrare il futuro?
Si arrovellò il cervello per minuti alla ricerca di una soluzione, ma fu tutto inutile. Qualsiasi congettura, ogni supposizione, la conduceva inevitabilmente verso quelle due strade. E non potè negare a se stessa di aver pensato che una delle due prospettive fosse molto più allettante rispetto all'altra.
Ad ogni modo, fu solo dopo un'attenta analisi della cornice dello specchio che riuscì ad avvicinarsi alla verità. 
In cima, infatti, troneggiava ancora quella strana scritta ricca di ghirigori che in precedenza non era riuscita a decifrare. Questa volta, però, ansiosa di saperne di più, decise di impugnare la bacchetta per tagliare via le ragnatele che ne impedivano la lettura. Poi mormorò: « Lumos » e illuminò l'iscrizione.
Incise sulla pietra a caratteri imponenti, spiccavano le parole: Erouc li amotlov li ottelfirnon.
Chiaramente, non si trattava di rune. Erano lettere, normalissime lettere, ma le parole erano del tutto prive di senso, o almeno così le parve. Che si trattasse di una lingua a lei sconosciuta? Ipotesi poco plausibile, tanto che finì per abbandonarla poco dopo, dedicandosi ad altre congetture.
Una delle più sciocche vedeva il creatore dello specchio simile a un pazzo mago decerebrato che lo aveva creato per puro divertimento. Per un momento, pensò potesse trattarsi di Silente. In seguito a una serie di imprecazioni mentali sulla sua salute mentale assai discutibile, però, era saltata ad altre possibili conclusioni, sempre più determinata a scoprire la funzione di quello specchio meraviglioso e terribile a un tempo. Doveva assolutamente venirne a capo.
Ciò che la mandava in bestia più di tutto il resto, poi, era la sensazione insopprimibile che quella frase potesse rappresentare lo strumento per capire tutto quanto. Sapere di avere la soluzione dell'enigma ad un solo passo da lei e non riuscire a coglierla la irritava in maniera insopportabile.
Rifletti, impose a se stessa, continuando a spremersi le meningi. Forza, rifletti... rifletti...
E paradossalmente, fu proprio quella banale parola a far sorgere nella sua mente il passaggio mancante per decifrare il messaggio scritto sulla pietra.
Lo specchio serviva a riflettere. 
Per quanto fosse differente da qualsiasi altro sulla faccia del pianeta, era comunque uno specchio, e come tale, quella era la sua unica, reale funzione. Compiuto quel ragionamento, la risposta bussò al suo cervello con straordinaria facilità: quelle parole erano l'esatto riflesso della frase originale. Andavano lette a rovescio, ed ecco che tutto avrebbe avuto un senso.
Sollevò lo sguardo, elettrizzata, e ricompose la frase senza riscontrare difficoltà. Il significato, però, la lasciò letteralmente senza fiato.
Non rifletto il volto ma il cuore.
E allora eccolo lì, l'ultimo tassello.
Eccolo, l'ultimo pezzo mancante di quel puzzle tanto complicato da ricomporre, tanto ricco di frammenti, tanto pregno di significato che dal giorno prima si ostinava a ricercare con tanta frenesia e che, forse, con altrettanta foga si imponeva di voler nascondere ai propri occhi. Quegli stessi occhi che adesso si ritrovavano a specchiarsi nel messaggio cristallino che il suo cuore aveva per lei.
Fissò quelle parole in perfetto silenzio, ma non le rilesse. Non ne aveva bisogno, perché già al primo impatto avevano lasciato un solco profondo dentro di lei, e a nulla serviva negare, rifiutare o contrastare quella realtà... era successo. Era successo a causa della loro estrema limpidezza che, a dispetto di tutti i complessi ragionamenti portati avanti nel corso delle ultime ore, era stata capace di mostrarle quanto semplice fosse la strada per raggiungere l'unica verità necessaria a farla stare bene. Bene con se stessa, con i propri sentimenti, con ciò che la aspettava. E ciò che la aspettava era James.
A quel proposito, ancora una volta, lo specchio era stato limpidissimo. La sua capacità di mostrare, nudi e crudi, i più radicati desideri di chi vi si parava di fronte era stupefacente, e forse anche un po' spaventosa. A pensarci bene, la sua magia era ben più potente di qualsiasi pozione della verità, di ogni penetrazione della mente, semplicemente perché puntava dritto alla fonte inattaccabile dei più profondi sentimenti: l'anima stessa. 
E quante volte, in verità, questa aveva tentato di spingerla ad afferrare quelle risposte tanto agognate ma anche troppo a lungo ignorate? Evidentemente, le era stato necessario ritrovarsi a un palmo di naso dalla realtà per acciuffarla, poterla quasi toccare con mano per comprenderla, ed ecco che la magia aveva davvero realizzato il suo corso e raggiunto il suo unico, vero intento: ricongiungerla alla verità che si era inconsciamente lasciata sfuggire.
Con la testa fra le nuvole per tutte quelle scoperte, tornò a sedersi e a guardare l'immagine riflessa sullo specchio. Questa volta, però, le sorrise.
Era tutto così semplice, come aveva fatto a non capirlo prima? Non c'era nulla di negativo in quei cambiamenti drastici lentamente subiti, in quel turbine di novità che, come un tornado, la stavano travolgendo, e senza rendersene conto, si era già naturalmente predisposta ad accettarli nel momento in cui, finalmente, si sarebbero manifestati. Era pronta ad accogliere nella propria vita un qualcosa che l'avrebbe radicalmente stravolta. Un qualcosa che, in verità, l'aveva già resa parecchio diversa.
Inconsciamente, si ritrovò ad osservare la Lily intrappolata nello specchio, e notò che il tenero, raggiante sorriso che le rivolgeva era l'esatta copia di quello che lei le donò in risposta. Per la prima volta da quando era entrata in quella stanza, l'immagine riflessa combaciava alla perfezione con quella reale. 
Ma Lily voleva di più. Era decisa a completare il quadro, e avrebbe fatto sì che tutto l'amore che i due condividevano su quella piatta superficie incantata si riversasse in loro con la stessa, identica muta potenza.




 
*   *   *




« La Manticora è una bestia di origini greche, e rappresenta una delle creature più pericolose in territorio magico... »
« James... »
« ... Ha la testa di uomo, il corpo di leone e la coda di scorpione, ed è stata confermata la capacità della sua pelle di respingere quasi tutti gli incantesimi noti alla stirpe dei maghi... »
« Andiamo, James, piantala... »
« ... Inoltre, è bene ricordare che la sua puntura è letale, e che nessun antidoto al mondo risulta in grado di curare gli effetti del suo veleno... »
« Vuoi ascoltarmi? »
« ... La tradizione vuole che le Manticore canticchino soavemente misteriose melodie mentre divorano le loro prede, e... »
« JAMES! »
« ... non risulta che nessuno sia mai riuscito ad addomesticarle ».
Esausto per i continui richiami andati a vuoto, Peter si spalmò il cuscino sul viso quasi fino al punto di soffocare, nel tentativo di dare un freno al fiume di imprecazioni che sgorgò fuori dalle sue labbra. Decisamente, aveva bisogno di escogitare un piano per guadagnarsi un po' di rispetto.
Intanto, James, sdraiato sul proprio letto con gli occhi rivolti al soffitto e l'avambraccio mollemente abbandonato sullo stomaco, continuava a ripetere indisturbato la lezione che il professor Tilney aveva assegnato per il giorno successivo, il libro di Cura delle Creature Magiche chiuso ai propri piedi. 
Una visione rara e agghiacciante, che Peter non si sentiva in grado di sostenere.
Era da un'intera giornata, infatti, che James non faceva altro che studiare. 
Aveva cominciato subito dopo l'alba con Trasfigurazione, scrivendo il tema che avrebbero dovuto consegnare di lì a un paio di giorni, poi era andato avanti con Pozioni, scribacchiando su frammenti di pergamena formule e soluzioni e consultando con frequenza il libro di testo adottato da Lumacorno; nel primo pomeriggio, invece, si era dedicato alla composizione di un breve saggio sulle affinità fra la cartomanzia del mondo babbano e quella praticata nel mondo magico per la lezione di Divinazione, per poi passare allo studio di un paio di capitoli sulla semi-estinzione dei Giganti per Storia della Magia (evento senza precedenti nella panoramica della sua intera carriera scolastica). Da tre quarti d'ora pieni, infine, era impegnato nello studio delle Manticore, anche se aveva consumato buona parte del tempo nella realizzazione di un disegno della creatura, con tanto di informazioni allegate scritte a fianco. Terminata la ripetizione, si sporse verso la propria borsa accasciata accanto al comodino e agguantò il libro di Erbologia, dando seriamente di che preoccuparsi al povero Peter. 
Perché lui - come d'altronde il resto dei Malandrini - sapeva bene che, quando James sgobbava sui libri, qualcosa sicuramente non andava. Ma quando James sgobbava sui libri così tanto, allora a non funzionare era davvero qualcosa di grosso, e forse la faccenda non era poi così facilmente risolvibile.
« Erbologia è giovedì » disse Peter, sempre più sconvolto. « E poi la Sprite è al San Mungo, questa settimana, lo sai che è stata morsa da quella maledet-... »
« Peter ». James serrò gli occhi per tentare di calmarsi. Non ne poteva più di sentire la voce dell'amico brontolare consigli e ammonimenti a un paio di letti di distanza. « Dannazione, sta' zitto ».
Il ragazzo lo fulminò con lo sguardo, ma non aggiunse altro e si mise a pancia in giù, domandandosi cosa diamine potesse essergli accaduto di tanto grave.
James, infatti, non aveva discusso con nessuno di ciò che tanto lo tormentava. Eccetto Sirius, naturalmente. Era esploso - come lui stesso aveva pronosticato - la sera precedente, non appena Remus era andato via per sostituirlo durante la ronda, e come sempre l'amico si era dimostrato il miglior sostegno esistente. La situazione, però, non era affatto migliorata, e nel corso di quella notte insonne tutta la tristezza che lo aveva angustiato il giorno prima si era trasformata in una rabbia furente. Da lì la sua decisione di gettarsi anima e corpo sui libri per allontanare quel chiodo fisso dalla mente, per pensare ad altro e non fondersi il cervello su un problema che non conosceva soluzione... per reprimere il desiderio di spaccare la faccia a chiunque trovasse sulla propria strada.
« E comunque » aggiunse Peter, voltandosi nuovamente per guardarlo, « Tilney aveva assegnato anche le Chime-... »
Ma non ebbe il tempo di completare la frase, perché James gli scagliò addosso il libro di Erbologia con un perfetto mix di potenza e precisione, costringendolo a rotolare giù dal materasso per evitare il colpo che, probabilmente, gli sarebbe stato fatale.
« MA SEI IMPAZZITO O COSA? » urlò a squarciagola, facendo capolino da dietro il letto. « POTEVI AMMAZZARMI! »
« Si può sapere che diavolo sta succedendo? »
Remus era appena entrato nella stanza e pareva sinceramente allibito, ma inizialmente nessuno dei due gli diede retta.
« Sta' attento a come gli parli, potrebbe lanciarti addosso qualche altra cosa » lo ammonì Peter dopo un po', profondamente risentito.
Lui, approfittando del fatto che James stava alzando gli occhi al cielo, gli fece segno di tacere e andò a raccogliere il libro caduto a terra.
« Tieni » disse all'amico, restituendoglielo. « E non farlo mai più, d'accordo? »
« Non mettertici anche tu » sbottò subito James, afferrandolo e ficcandolo nuovamente nella borsa.
Remus trattenne un sospiro, poi, con invidiabile calma e - bisogna dirlo - anche una buona dose di coraggio, sedette ai piedi del suo letto.
« Ho incontrato la McGranitt, vicino alla Biblioteca ­» gli disse, incurante del fatto che non lo stesse neanche guardando. « Vuole che tu vada a ripulire quell'aula in disuso al terzo piano, a quanto pare hanno bisogno di utilizzarla. Per la punizione, sai ».
James, che non ricordava minimamente di che punizione stesse parlando, fece finta di saperlo e sollevò lo sguardo, le sopracciglia che quasi si toccavano.
« Quale aula? » domandò, vagamente stordito, e Remus si lanciò prontamente in una descrizione dettagliata della strada da compiere per trovarla.
James ascoltava a sprazzi le spiegazioni dell'amico, senza sapere che quella mappa ideale lo avrebbe condotto verso la verità, quella che credeva di aver compreso, ma che in realtà era lontanissima da lui. Senza sapere che, dentro quell'aula abbandonata, non avrebbe trovato nessuna McGranitt ad aspettarlo, ma piuttosto una trepidante Lily che desiderava più di tutto poterlo avere finalmente, completamente vicino a sé.
Remus aveva architettato quel piano appena dieci minuti prima, quando, di ritorno dalla Biblioteca, aveva aperto la Mappa del Malandrino per controllare dove si trovasse Lily in quell'esatto momento. L'intento era stato, per l'appunto, quello di far sì che incontrasse James, per cui, una volta localizzata la ragazza, non era stato difficile ricucire qualche dettaglio inventato intorno a quell'aula in disuso per far sì che l'amico cascasse nel tranello con tutte le scarpe. 
Aveva ritenuto il suo intervento del tutto necessario, viste le condizioni in cui versava James in quelle ore, ed era assolutamente certo che un faccia a faccia tra i due sarebbe stato l'unico modo per permettere ad entrambi di mettere un punto ai propri sfiancanti ragionamenti e abbandonarsi invece ad un semplice, rilassante lieto fine.
Solitamente detestava intromettersi nelle faccende personali degli altri, anche dei suoi amici, ma pensò che, dopotutto, dare una piccola spintarella al corso degli eventi non avrebbe di certo fatto male a nessuno. Al massimo, solo e soltanto a lui, perché aveva dovuto mettere in conto il rischio di pestaggio violento da parte di James nell'eventualità che l'incontro fosse terminato in un nulla di fatto. Decise di non badarci.
Al termine del flusso di informazioni, James abbandonò il letto e si massaggiò la nuca scoperta con il palmo della mano.
« Ascolta, ancora non ho ben capito dove si trovi questa... quest'aula... » disse con voce strascicata. « Dammi la Mappa, la trovo da solo ».
Ma il ragazzo scosse prontamente il capo e, una volta alzatosi, allargò le braccia per poi lasciarle ricadere lungo i fianchi.
« Niente Mappa » gli annunciò, spiccio. « Deve averla Sirius... Non è in punizione anche lui, adesso? »
Il ragazzo imprecò, e Remus capì di essere stato convincente anche con quell'ultima, piccola bugia. Quasi senza rifletterci, affondò le mani nelle tasche posteriori dei pantaloni, e con la destra potè assicurarsi che sì, in realtà la Mappa si trovava lì, esattamente dove l'aveva riposta.
James, nel frattempo, non esitò oltre e, afferrata la bacchetta poggiata sul suo letto, sfrecciò fuori dal Dormitorio senza una parola, chiudendosi un po' più rumorosamente del solito la porta alle spalle. Così cominciò ad incamminarsi verso l'uscita della Sala Comune, raddrizzandosi gli occhiali un po' storti sul naso.
Non aveva nessuna voglia di incontrare la McGranitt. Ascoltare voci lo infastidiva, sentirsi impartire ordini mille volte di più, ma forse scontare una punizione lo avrebbe aiutato a controllare la rabbia e ad allontanare i cattivi pensieri. 
Ottimista fino alla fine, James, anche se in cuor suo sapeva bene che non sarebbe andata affatto così. Avrebbe avuto bisogno di distrazioni molto più potenti per tenere distante il ricordo dei propri dispiaceri.
Mentre camminava, cercò di ricordare il motivo della punizione che gli era stata assegnata. Così, tanto per tenere occupata la mente. 
Dopo un po', comunque, si rese conto di non avere alcuna rimembranza dell'avvenimento, e decise di attribuire la colpa alla mole decisamente ampia di castighi ricevuti nel tempo. Di una cosa, però, era assolutamente certo: non doveva essere stata una gran malefatta, altrimenti gli sarebbe sicuramente balzata in mente. E poi, nell'ultimo periodo non si era dimostrato molto produttivo da quel punto di vista, forse a causa del perenne malumore che aleggiava fra i Malandrini da un paio di settimane a quella parte, cosa che infatti non stimolava per nulla il suo spirito creativo.
Fu distratto dai propri pensieri solo quando si rese conto di aver superato la Biblioteca. La porta che Remus gli aveva indicato non doveva essere troppo distante, così proseguì lungo il corridoio, ricordando le indicazioni dell'amico che gli aveva raccomandato di dirigersi verso sinistra. E così fece, finché non trovò una porta che, nell'ampio corridoio ornato di arazzi, ritratti, vetrate e panche in legno, passava decisamente inosservata.
Perplesso, si domandò come mai l'insegnante avesse deciso di tenerla chiusa invece di rivelarsi per accoglierlo ad entrare, ma non indugiò troppo a lungo e, con un paio di falcate, coprì la distanza che lo separava dall'aula abbandonata, sperando intensamente che ci fosse tanto, davvero tanto lavoro da sbrigare.
Abbassò la maniglia nello stesso istante in cui si rese conto che sarebbe stato meglio bussare, ma non ci badò. Piuttosto, si affrettò a strizzare gli occhi non appena ebbe guardato la stanza per la prima volta: il buio la avvolgeva, non fitto come quello della notte, ma soffuso e, in qualche modo, un po' confusionario. Proprio per quella ragione, infatti, ci mise un po' ad accorgersi dell'unica persona presente in quella piccola, polverosa aula. Una persona che non somigliava alla McGranitt neanche lontanamente, nemmeno in mezzo a tutto quel buio. Ma una persona che, invece, gli ricordava in maniera straordinaria...
« Lily ».
La vide sobbalzare come colpita da una scossa elettrica, scattare in piedi all'istante e voltarsi a fissarlo, sbigottita.
« James » replicò in tono sorpreso, sistemandosi le pieghe dell'ampia gonna nera per mascherare l'imbarazzo ed evitare il suo sguardo.
La sua entrata l'aveva fatta sentire smascherata, quasi l'avesse colta in flagrante mentre commetteva il più efferato dei crimini. E mentre lo guardava, fu presa per un momento da un panico del tutto irragionevole, che la portò a domandarsi se James potesse vedere ciò che lei vedeva nello specchio. Poi si rese conto che non era quella la sua magia, e un po' della tensione svanì nella stessa brusca maniera con la quale l'aveva assalita.
James, invece, immobile sulla soglia, inizialmente non riuscì a capire cosa avesse provato alla vista di Lily. Il primo sentimento che riuscì a riconoscere, però, fu quella stessa, cocente rabbia che non lo aveva ancora abbandonato: rabbia per la trappola che Remus gli aveva teso, perché da lui non se lo sarebbe mai e poi mai aspettato. E di certo, al proprio ritorno non si sarebbe dimostrato molto incline al perdono. Era stato un colpo basso, e lui non lo avrebbe incassato a capo chino. Non ci pensava nemmeno.
« Scusami... pensavo di trovare la McGranitt » borbottò, facendo per retrocedere e richiudersi la porta alle spalle.
Non riusciva a guardarla negli occhi, provava una miscuglio di fastidio ed inadeguatezza che lo faceva sentire fuori posto, per cui pensò che troncare la conversazione sul nascere avrebbe reso tutto molto più semplice. Non aveva messo in conto una cosa, però: nelle ultime ventiquattr'ore o poco più, nulla era stato semplice per lui. E nulla era andato per il verso giusto, affatto.
« Figurati » rispose Lily in tono flebile, mentre lui era ancora fermo sull'uscio. Poi, dopo una frazione di secondo, parlò senza neanche rendersene conto. « Ti va di restare? » chiese, comprendendo solo in quel momento cosa in effetti aveva appena detto, tanto che aggiunse: « Se non hai di meglio da fare, è ovvio... »
James, completamente frastornato, cominciò a porsi mille domande tutte in una volta: innanzitutto, cosa diamine ci faceva Lily in quell'aula deserta, buia e sporca? E perché lo aveva appena invitato a rimanere se fra loro si era infranto tutto quanto? Aveva qualcosa da dirgli? Voleva chiarire i propri sentimenti una volta per tutte così da indurlo a mettersi il cuore in pace? Beh, Lily non lo sapeva, ma lui, dopo ben sei anni, era finalmente riuscito a farlo.
E allora cosa dire di fronte alla sua richiesta? La tentazione di accampare una scusa e andare via era forte, ma un qualcosa di indefinibile continuava a suggerirgli di restare. Possibile che fosse la cosa migliore da fare? A cosa sarebbe servito, e a chi? Forse solo e soltanto a lei, la cui coscienza sarebbe stata pulita e il cuore libero di amare chi voleva. Una scelta, quest'ultima, che proprio il suo cuore aveva compiuto al posto suo, e per la quale non erano necessarie spiegazioni. 
Dopotutto, proprio lì stava la differenza, quella che distingueva coscienza e cuore: lui, così legato alla sua libertà, di spiegazioni non ne forniva mai, mentre lei si sentiva sempre in dovere di darne. Quando il cuore raggiunge ciò che vuole, non bada a ciò che si è lasciato alle spalle. E' la coscienza a curarsi di tutte le sue vittime... altrimenti non si riesce a proseguire.
« Sì... Sì, mi va di restare ».
Dopo infinite incertezze, James parlò con sicurezza. Perciò non esitò ad entrare e a richiudere con cura la porta, facendosi vicino alla ragazza che, nel frattempo, aveva tirato un sospiro di sollievo. 
In verità, aveva avuto molta paura per ciò che James le avrebbe risposto. Adesso, invece, non ne provava affatto.
« Come stai? » gli chiese, sorridendo gentilmente. « Ti senti meglio? »
Lui la fissò, interdetto, e si chiese di cosa stesse parlando. Non ricordava di essere stato male dall'ultima volta in cui l'aveva vista.
« Remus mi ha detto che non sei stato bene, ieri sera » aggiunse allora lei, notando la sua espressione smarrita.
Quelle parole aiutarono James a capire. A quanto pareva, Remus se la cavava piuttosto bene a raccontare bugie a destra e a manca. 
« Oh... già » fece allora, annuendo ripetutamente. « E' tutto passato, mi sento... molto più in forma, sì ».
Annuirono entrambi, un po' in imbarazzo, ma la tensione fu presto allentata non appena l'attenzione di James venne catturata dallo specchio di fronte a loro.
Lo scrutò con interesse, lasciando scorrere lo sguardo sulla luminosa cornice intarsiata, mentre Lily, al suo fianco, prestava attenzione ad ogni sua espressione, e alla meraviglia che il suo volto manifestava dinnanzi alla magnificenza dello specchio. Ma non aveva ancora visto la parte migliore.
« Bello, vero? » gli fece, inducendolo a distogliere subito lo sguardo, e lo vide annuire con aria un po' disorientata.
« Molto » mormorò, avvicinandosi di qualche passo per studiarlo più da vicino.
E Lily, rimasta invece immobile, sorrise all'idea della reazione che avrebbe potuto avere alla vista del riflesso - che riflesso poi non era - dipinto al posto della pura e semplice riproduzione di se stesso.
Ma per quello non dovette attendere molto a lungo, perché, compiuto un altro passo, vide James trattenere il fiato per la sorpresa e retrocedere di nuovo. Chissà che cosa vedeva... aveva parecchie idee al riguardo, alcune molto probabili, altre altamente inverosimili. Parecchie idee, sì. Ma una sola speranza.
« Questo non è normale... » stava borbottando James, stordito come se lo avessero colpito alla testa con una mazza da Quidditch.
Lei gli si fece vicina, senza smettere di sorridere, e lanciò uno sguardo prima a lui, poi allo specchio, cosa che riuscì a terrorizzare James.
« Tu... tu non puoi...? »
« ... vedere ciò che vedi tu? » disse Lily, completando la frase al posto suo. « No, non credo funzioni in questo modo ».
A quelle parole, lui si fece d'un tratto molto più tranquillo. 
Era certo che, se Lily avesse potuto vedere l'immagine riflessa sullo specchio, non ne sarebbe stata troppo contenta. Ma non sapeva, non poteva in alcun modo sapere, che in realtà la scena dipinta sul vetro era l'esatta riproduzione di ciò che l'anima di lei rifletteva su quella stessa lastra di vetro apparentemente innocua. 
« Ma di' un po', dovrei preoccuparmi? » proseguì Lily, scherzosa. « Vedi... non so... qualcosa di eccessivamente scandaloso per il mio innocente e casto sguardo? » chiese infine con fare tendenzioso, e risero sommessamente entrambi.
« Niente del genere, no » la rassicurò il ragazzo, che però appariva ancora abbastanza turbato. « Ma che cos'è? Sai come funziona? »
Lei ci riflettè sopra un momento, chiedendosi se fosse meglio rispondere a quella domanda con sincerità o meno. Alla fine scosse il capo.
« No, non ne ho idea » rispose con un sorrisetto, un po' mistica. « Ma due teste sono meglio di una, non credi? Tu come pensi che funzioni? »
James, che si era concentrato nuovamente sullo specchio, notò una nota sibillina nelle sue parole, cosa che lo insospettì, e non poco.
« Io penso che tu lo sappia benissimo » le disse, con lo stesso sorriso obliquo stampato sul volto di lei. « E che stia facendo la furba con me ».
Lily storse la bocca per non ridere e, anche se con non poche difficoltà, riuscì a trattenersi.
« E io penso che dovresti arrivarci da solo » replicò, incrociando le braccia con risolutezza. Atteggiamento che, secondo James, la rendeva davvero buffissima.
Senza preavviso, si accomodò nuovamente a terra, seduta su un fianco, e gli rivolse una sorta di sguardo di sfida che lui colse al volo, tanto che non tentennò e si chinò subito per sederle accanto, una gamba ritratta verso il petto e l'altra piegata sul pavimento duro e freddo.
E mentre rifletteva, si domandò come potesse essere così semplice conversare con lei in un tono tanto leggero. Sapeva bene quanto tutto fosse inutile, ed era stato una vera e propria furia fino a pochi minuti prima, ma... adesso era diverso. Non poteva fare a meno di comportarsi come l'istinto gli suggeriva di fare, e non era capace di frenare la propria naturalezza quando si trovava in sua compagnia. Che fosse un difetto o meno, questo non gli era dato saperlo. 
Ogni volta in cui fissava quello specchio, però, avvertiva chiara e forte una fitta di pura tristezza trafiggergli le viscere, ed era solo allora che si rendeva conto di quanto avesse perso. E così tornava a chiedersi cosa stesse facendo lì, insieme a lei, insieme al suo sorriso. Ma non possedeva risposte, e non si dava pace, così decise di concentrarsi sul quesito che lei gli aveva posto.
« Non mostra il futuro » asserì fermamente dopo un po', e Lily lo guardò e annuì.
« Non mostra il futuro, esatto » confermò, piuttosto tranquilla.
« E di certo neanche il passato » proseguì James con una certa amarezza, anche se lei fece nuovamente di sì col capo senza captarla.
« Giusto anche questo » mormorò, giocherellando con un ciuffo sparuto di capelli.
James allora continuò a riflettere, non tanto sull'immagine che lo specchio mostrava, ormai sbiadita da quando i due si erano seduti accanto, ma su ciò che aveva intenzione di dire. Non sapeva se desiderava davvero farglielo sapere, né riusciva a comprendere il motivo del suo comportamento: come mai non voleva rivelargli la fonte della magia dello specchio? Perché lo stava esortando a giungere da sé alla conclusione? A queste domande non seppe trovare una risposta, ma ne trovò una da riservare a lei, decidendo così di assecondare il proprio istinto e dire ciò che in effetti sentiva di voler dire.
« Credo che mostri le speranze vane » disse allora, lo sguardo fisso sul vetro. « Quelle che ci stanno più a cuore, ma che sono anche le più... irraggiungibili ».
Accanto a lui, Lily ci mise un po' ad assimilare le sue parole, forse perché erano le più lontane possibili da quelle che si era aspettata di sentirgli pronunciare. Una volta comprese a fondo, infatti, ne fu sinceramente stupita, e non riuscì a capire come James potesse essere arrivato ad una simile conclusione. 
James, con il suo spiccato ottimismo, sempre ruggente in lui, persino nelle situazioni peggiori... che cosa vedeva in quello specchio di tanto inarrivabile? Cosa riusciva a infondergli una tale amarezza, quando aveva sempre fatto ardere le proprie speranze senza mai lasciare che si spegnessero?
Lei, che conosceva il meccanismo dello specchio, non fu capace di immaginare a cosa James potesse riferirsi. Ma di fatto la sua idea l'aveva lasciata di stucco, e parecchio delusa, perché in cuor suo aveva desiderato tutt'altro, e adesso cominciava a sentirsi un po' come lui: preda di speranze inarrivabili e di desideri sciocchi che non avrebbero mai trovato un lieto fine.
« Perché... perché dici questo? » gli chiese, scuotendo il capo impercettibilmente e senza neanche rendersene conto.
Lui non la guardò. Non ci riusciva, e non voleva farlo.
« Dev'essere così » mormorò, quasi fra sé e sé. « Questo specchio riflette ciò che non avremo mai. Ti mostra quel che vuoi, ma non ti aiuta a raggiungerlo. Perciò può servire solo a due cose: a farti impazzire, se sei così stupido da rimanere lì a fissarlo per l'eternità, o a farti rendere conto che sarebbe meglio lasciar perdere ».
Scrollò le spalle, lo sguardo ancora perso nel vuoto, mentre Lily lo ascoltava, senza parole.
Più James parlava, più lei si rendeva conto di non riconoscerlo. E la cosa la stava seriamente preoccupando, tanto che non esitò a parlare.
« James... ma che cosa ti prende? » chiese, inclinando appena il capo. « Sei così diverso... E' successo qualco-...? »
« Sì ». James non la lasciò nemmeno finire. « Sì, è così. E ne parlerei, se potesse servire a qualcosa. Ma non è questo il caso ».
Lei non smise di osservarlo. Avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa, per aiutarlo a tornare quello di sempre. Avrebbe voluto scrollarlo e rendere sciocca ogni sua preoccupazione, avrebbe voluto stringergli una mano fra le proprie, trovare qualcosa di divertente da dire così da farlo sorridere e annullare quella distanza che fra loro non c'era mai stata, ma che adesso avvertiva chiara e forte nei pochi centimetri che li separavano. Voleva soltanto riavere James, il James che conosceva. Quel James che aveva sperato potesse finalmente essere suo.
Nonostante fosse l'ultima cosa che avrebbe voluto fare, però, rimase in silenzio. Non voleva tormentarlo con le proprie domande, né tantomeno costringerlo a parlare di ciò che desiderava tenere per sé. 
Così, senza una vera ragione, dopo parecchi attimi di totale stallo, decise di parlare lei stessa.
« Sai... anche a me è successo qualcosa » disse, intrecciando le mani in grembo. « E parlare è stata una delle cose che più mi hanno aiutata a capire ».
A lui venne quasi da ridere. 
Lo sapeva bene, dopotutto, quanto parlare le fosse stato utile. Qualche parola pronunciata da Piton doveva essere stata sufficiente a fargli ottenere il suo perdono. Facile come bere un bicchier d'acqua.
« Lo so » rispose, con una punta di acidità nella voce. « E so anche che devono essere state parole piuttosto importanti, per esserti state tanto d'aiuto... insomma, non sei quel tipo di persona che cambia idea sugli altri tanto facilmente. Nessuno lo sa meglio di me » concluse, lo sguardo fisso a terra.
Lei parve spaesata. Non capiva a cosa si stesse riferendo, ma d'altro canto lui sembrava davvero sicuro di sé, per cui si chiese per caso Remus potesse avergli parlato di ciò di cui avevano discusso alla ronda, cosa che però non sarebbe stata per nulla da lui. Ma allora di cos'è che stava discutendo?
« E poi » proseguì ancora, « lo avevi detto tu stessa... non concedi seconde occasioni a chi non ne merita ».
Deglutì, mentre al suo fianco Lily cercava di indovinare il soggetto mancante al suo discorso apparentemente insensato, per poi tentare di carpirne il significato. Ma cavarne qualcosa di vagamente comprensibile si dimostrò più difficile di quanto avesse pensato. Non riusciva in nessun modo a trovare una connessione fra quello che le suonava tanto come un folle blatelare e l'argomento del dialogo che si era apprestata ad affrontare. Forse non esisteva e basta.
« Mi spiace, ma non capisco di cosa stai parlando » disse allora, mordicchiandosi la guancia con aria sinceramente confusa.
Lui, però, non riuscì a cogliere la sua ingenuità, e le sue parole scatenarono in lui tutta quella rabbia fino ad allora sopita.
« Lily, andiamo... piantala di fingere » sbottò, fortemente risentito. « Io ero lì, ho visto tutto quanto, come puoi far finta di niente? »
Ma la ragazza parve, se possibile, ancor più disorientata di quanto non fosse stata fino a quel momento. Quel tono aggressivo e del tutto inaspettato l'aveva destabilizzata, non l'aveva mai avvertito prima nella sua voce sempre allegra e serena. O almeno, non tutte le volte in cui si era rivolto a lei.
« Visto tutto quanto? » ripetè, stringendosi nelle spalle. « Ma visto cosa? Per favore, James, spiegami, non riesco proprio a seguirti... »
Ma a quel punto lui esplose, si alzò di scatto e si abbandonò contro uno dei tanti banchi lì vicino.
« Piton! » esclamò, ora decisamente furente. « Che cosa c'è da spiegare? Lui, e il tuo Patronus, e i vostri Patroni... è tutto così chiaro che... non capisco, davvero, non capisco come ho potuto prendere quest'abbaglio! Pensavo fosse acqua passata, pensavo che fosse tutto finito, ma poi... poi vi ho visti vicini, e ho capito che qualcosa non andava... sapevo che non vi eravate più rivolti la parola dalla fine del quinto anno, mi è sembrato così strano vedervi di nuovo insieme... però alla fine ho capito. I vostri Patroni identici, il tuo che ha cambiato forma, e poi di nuovo voi che parlavate all'uscita... è tutto così chiaro... » ripetè alla fine in un sussurro, passandosi una mano fra i capelli, e a Lily parve davvero fuori di sé.
Era spiazzata, non riusciva a credere a ciò che aveva appena udito, e ancora più che mai stentava a comprendere cosa realmente James volesse dirle, nonostante le fosse finalmente chiaro a chi si fosse riferito per tutto quel tempo. Un nome a cui, in verità, non avrebbe mai e poi mai pensato.
Le mani unite come in preghiera, lasciò scorrere il dorso dei pollici sulle labbra secche, scuotendo il capo ancora una volta. Aveva un mucchio di domande da rivolgergli, ma non sapeva neppure da dove cominciare. Si sentiva stordita, ma aveva anche tanta voglia di capire.
« Il mio Patronus e quello di Severus non sono uguali » disse con sicurezza. « Di che cosa vai parlando? Nemmeno lui è riuscito a capire quale forma avesse assunto, e men che meno ne sono stati capaci quei due che credevano di averlo visto. Si è dissolto in un secondo, lo hai dimenticato? »
Ma lui scosse il capo con rabbia, pronto a contraddire la sua tesi con le proprie disarmanti certezze.
« Io l'ho visto, Lily, l'ho visto con i miei occhi » replicò, duro. « Non mi serve la testimonianza di cinquecento persone, okay? L'ho visto, e Piton lo sa benissimo. Perché credi che abbia fatto finta di niente? Come potrebbe non aver capito che forma aveva assunto se, anche solo per un secondo, è stato lì di fronte a lui? Non voleva ammetterlo, non voleva ammetterlo perché sarebbe stata una dannatissima dichiarazione, e quel vigliacco non avrebbe avuto il fegato di lasciarsi smascherare di fronte a una classe intera... non ha il fegato per nulla, quel maledetto idiota... »
Lily inclinò il capo, studiandolo con interesse crescente. Chissà a cosa avrebbe portato, quel suo ragionamento così insensato...
« E con questo? » chiese infatti. « Se anche fosse così come dici... »
« Non ci sei ancora arrivata? » la interruppe James, incalzante. « E' bastato un minuscolo riavvicinamento a sconvolgerti totalmente! Il tuo Patronus è cambiato per lui, e Dixon ne ha spiegato il motivo con estrema chiarezza! Non capisco nemmeno perché sia io a dirtelo e non il contrario! »
Era furioso, e lo sguardo di Lily fisso su di lui, ancora vacuo come una stanza vuota e buia, lo mandava in bestia ancor di più.
Ma lei riuscì a mantenerlo solo per qualche secondo ancora, perché non appena le informazioni ricevute ebbero fatto irruzione nella sua mente, la sua reazione fu tutt'altro che impassibile. 
Subito, infatti, scoppiò a ridere così sonoramente che nella stanza dalle alte pareti si levò l'eco della sua voce squillante, e nemmeno lo sguardo basito che James le rivolse riuscì a farla smettere. Rise, rise finché non ne ebbe abbastanza.
Rise per la rabbia di lui, per la teoria che aveva messo su e per lo strano modo in cui si erano messi gli eventi, così ambigui da poterla quasi avvalorare.
Rise perché finalmente tutto quadrava: il suo fingersi malato la notte della ronda, il fatto che non le era venuto addosso subito dopo la lezione di Difesa urlandole: « Per Godric, Evans, allora mi ami anche tu! », ma che al contrario l'avesse ignorata tutto il tempo... persino le criptiche parole di Remus al termine della serata trascorsa insieme avevano acquisito un senso, il che le era parso impossibile fino a una manciata di secondi prima.
Rise perché adesso era tornata a sentirsi leggera come l'aria, nuovamente elettrizzata per le luminose prospettive che le si spalancavano di fronte.
Rise per le speranze che si erano riaccese in lei, e perché sapeva di poterle far rinascere anche in James.
Rise perché un equivoco non le era mai parso tanto assurdo. Rise perché forse avrebbe trovato un lieto fine a tutto.
« Per la barba di Merlino, non riesco proprio a crederci... » biascicò non appena ebbe smesso di ridere, una mano premuta sulla fronte. « Torna qui, Potter » aggiunse, e gli fece cenno di sedersi accanto a sé. « Non so quanto tu ti sia applicato, ma ho il vago sospetto che la tua teoria faccia acqua da tutte le parti... »
Sempre più sbigottito ad ogni istante che passava, James le si fece vicino e, remissivo, obbedì ai suoi ordini, muto come un pesce per lo shock.
Lily, divertita dalla sua espressione sgomenta, si chiese da dove cominciare con le spiegazioni. C'era davvero tanto lavoro da fare.
« James... Piton non c'entra assolutamente niente con quello che è successo » esordì, e si chiese perché avesse chiamato Severus in quel modo. Non se ne era resa conto finché non aveva pronunciato quelle cinque, fredde lettere, ma non ci badò e decise di proseguire. « Come hai potuto pensare una cosa del genere? E' un Mangiamorte, è uno dei suoi... lui è... » Scosse il capo con forza. « Ha rischiato di farti morire, James, lo sai anche meglio di me. Non potrei riavvicinarmi a lui, e di sicuro non torneremo mai ad essere amici... ne sono assolutamente certa, ora più che mai ».
James era completamente intontito, ma non osò parlare. Piuttosto, si chiese dove Lily volesse andare a parare con quel discorso, anche se forse non necessitava di una conclusione. Così si limitò ad ascoltare quanto ancora aveva da dire.
« Quindi... » proseguì lei, ricercando con cura le parole più adatte da utilizzare. « Ecco, io non so se ciò che hai visto è vero oppure no, non so se i nostri Patroni siano identici o meno... ma non importa. Quello che so è che il mio cambiamento non è per niente dovuto a lui, perché... » Scosse il capo, sorridendo appena. « ... perché la mia cerva è nata da qualcos'altro ».
Si strinse nelle spalle e attirò le gambe serrate verso il petto, circondandole con le braccia.
James ancora la fissava, ma lei, guardandolo a sua volta, non aveva idea di come sentirsi. Era stato così semplice e così liberatorio pronunciare quelle parole... nulla l'aveva ostacolata nel fornire a James quei cristallini chiarimenti, neanche un velo di imbarazzo, ma ora che uno scomodo e prolungato silenzio cominciava ad insinuarsi fra loro, potè avvertirlo chiaramente mentre si impadroniva di lei, della sua mente, delle sue guance improvvisamente arrossate.
Ad ogni modo, però, ne era valsa decisamente la pena. Vedere il volto di James distendersi pian piano in un'espressione serena, seppur anche un po' disorientata, era stato il miglior risultato che avrebbe mai potuto ottenere. Perlomeno tramite quel discorso che, purtroppo per lei, era rimasto ancora un po' a metà, carente di quella parte fondamentale che, di conseguenza, era anche la più difficile da esprimere. 
Ma c'era una cosa che, fortunatamente, stava favorendo la sua profonda riflessione: l'assoluto silenzio di James che, seduto accanto a lei con l'aria di chi ha perduto ogni certezza nella propria vita, non le stava mettendo fretta in alcun modo. E di certo, dopo tutte le sciocchezze a cui aveva ingenuamente dato voce in precedenza, non aveva nessuna intenzione di farlo. 
Mai una rivelazione lo aveva fatto sentire così sollevato e, allo stesso tempo, anche così dannatamente stupido. 
Aveva sbagliato tutto quanto, si era mostrato infuriato e assolutamente convinto di un qualcosa che non era nemmeno stato provato, e proprio per questo motivo tornare a dire qualcosa gli pareva la decisione meno ragionevole da prendere. Probabilmente, sarebbe rimasto lì ad aspettare che Lily riprendesse la parola anche se non avesse aperto bocca per le ventiquattr'ore seguenti, e avrebbe continuato a pensare che fosse la cosa migliore per entrambi, oltre che per quel poco che rimaneva della sua dignità. Aveva già fatto la figura dell'idiota, rendendosi ridicolo di fronte a lei, perché rischiare di ripetere l'avvenimento? Un temporaneo mutismo era senza dubbio la soluzione più giusta.
Certo, sarebbe stata dura tenere a freno la curiosità di conoscere e capire il resto della faccenda lasciata chiaramente in sospeso da lei, e altrettanto difficile sarebbe stato reprimere il ritorno di fiamma della prima speranza che lo aveva acceso nei confronti di quella misteriosa cerva d'argento. Ma doveva resistere, tenere duro e imparare ad aspettare: le risposte, piene, complete e irreversibili, sarebbero arrivate.
« Strano come una stessa cosa possa assumere significati del tutto differenti se vista da occhi diversi... non credi? » 
Lily aveva parlato quasi senza rendersene conto, gli occhi fissi sullo specchio, risvegliando così l'interesse di James, che si voltò a guardarla e annuì appena.
« Già... » mormorò, stupito del fatto che riuscisse quasi a sorridere per il gran casino che aveva combinato.
Lei gli lanciò uno sguardo di sottecchi e prese a giocherellare, come faceva spesso, con le sottili catene dei bracciali che teneva legati al polso.
« E' accaduto lo stesso anche con questo specchio, sai? » proseguì in tono leggero, e lui inclinò il capo per studiarla con maggiore attenzione. « Funziona per entrambi allo stesso modo, ma tu credi che mostri le speranze vane, mentre io... » Risollevò lo sguardo. « Io vedo il riflesso del mio desiderio più grande ».
Al contrario, James non riuscì a reggere la straripante bellezza dei suoi occhi sinceri e puntò i propri altrove, senza sapere cosa dire.
Lily continuava a credere di vedere qualcosa di diverso da lui, su quel vetro, ma non era più così. Adesso, infatti, tutto ciò che riusciva a captare dall'immagine riflessa sullo specchio era il proprio desiderio di renderla realtà. E che quella voglia bruciante fosse vana o meno, questo non poteva saperlo, ma nel dubbio decise che convincersi dell'opzione più pessimista fosse la scelta migliore. Così, perlomeno, si sarebbe risparmiato un'altra eventuale delusione.
« E quando mai abbiamo concordato su qualcosa, noi due? » rise alla fine, fingendosi più disinvolto di quanto in realtà non fosse.
Lei rise a sua volta, ritrovandosi ad annuire con sincero divertimento.
« Ottima osservazione » commentò.
Dopodiché, una nuova ondata di silenzio dilagò fra loro, e fu solo in quel momento che si rese conto di essere piuttosto agitata.
Toccava nuovamente a lei riprendere la parola, e questa volta a nulla sarebbe servito rimandare il momento delle risposte, quel momento tanto atteso da entrambi... a nulla se non a trasformare quel lieve pizzicore in una completa paralisi della sua mente già troppo stipata di pensieri.
Quindi, senza indugiare oltre, doveva parlare. Doveva farlo, riversare ogni verità taciuta senza più remore e senza alcun timore... doveva farlo perché era arrivato il momento più giusto, e perché rimandarlo avrebbe significato rischiare troppo, rischiare senza una vera ragione per farlo. Doveva parlare, dire tutto quanto, proprio come erano soliti fare lei e James, che di frasi non dette e fredde macchinazioni non sapevano assolutamente nulla. Ma soprattutto, doveva parlare perché ne avvertiva il bisogno, e farlo sarebbe servito a liberarla da quel fardello che voleva lasciarsi alle spalle, così da permetterle di procedere senza più alcuna pressione o responsabilità in merito agli eventi... e se fino a quel momento tutto quanto era dipeso sempre e solo da lei, dalle sue decisioni e dai suoi sentimenti, una volta detta la verità non sarebbe stato più così. 
Avrebbe parlato perché farlo l'avrebbe resa felice, e non aveva intenzione di attendere ancora a lungo.
« Quindi » disse, lanciandogli l'ennesimo sguardo sfuggente, « sarebbe folle, secondo te, pensare che potremmo vedere la stessa cosa? »
Un po' sorpreso da quella domanda ed infinitamente curioso di comprenderne il motivo, James la fissò intensamente. 
In qualche modo, sentiva che Lily aveva voglia di dirgli qualcosa... qualcosa di molto importante per entrambi.
« Non lo so » fece, senza smettere di scrutarla, e decise di stare al suo gioco. « A pensarci bene, sei tu che sai esattamente come funziona questo specchio... a me non lo hai ancora spiegato ». Posò l'avambraccio sul ginocchio sinistro, protendendosi un po' di più verso di lei. « Quindi te lo chiedo io: sarebbe folle, secondo te, pensare che potremmo vedere la stessa cosa? »
Si guardarono per qualche istante senza mollare la presa, non perché volessero vedere l'altro cedere, ma perché in quel preciso momento mantenere quel contatto pareva vitale ad entrambi, e nessuno dei due aveva la benché minima voglia di rinunciarvi. Tra i due, però, James sembrava senza dubbio il più deciso, forse perché aveva sete di risposte da troppo, troppo tempo, e aveva finalmente trovato la forza e la giusta sicurezza per riuscire ad ottenerle senza più dover attendere. Adesso era lui a porre le domande, lui a gestire quello sfiancante tira e molla di cui erano già stanchi entrambi, e non avrebbe accettato risposte a metà, niente affatto. D'altra parte, Lily gli doveva qualcosa di più... e lei non vedeva l'ora di dargli tutto. Tutto quanto.
« Beh... ti do un indizio » disse, mordicchiandosi la guancia. « Lo specchio funziona proprio come ti ho detto. Mostra ciò che desideriamo più di tutto... quello di cui il nostro cuore ha più bisogno ». Fece una breve pausa, titubante, poi proseguì dicendo: « Perciò... se davvero vedessimo la stessa cosa, questo vorrebbe dire... »
« ... che desideriamo la stessa cosa ».
James completò la frase al posto suo, parlando lentamente, poi annuì appena, la gola improvvisamente secca e gli occhi piantati sul vetro che lo rifletteva.
Qualcosa si stava smuovendo. In lui, in lei, fra loro, persino nell'aria che fremeva lì intorno. Anche il buio pareva vibrare insieme al loro respiro... 
Tutto aspettava.
« Sì... sarebbe folle » disse Lily, e si chiese perché le sue labbra dovessero farsi così aride e intorpidite proprio in quel momento.
Quasi non riusciva a parlare... ma lo fece comunque.
« Così come sarebbe folle pensare che il mio Patronus sia cambiato per te... o che in questo specchio io veda noi due insieme » proseguì, voltando il capo per guardare James. « Non più folle del fatto che abbia trovato qualcosa di meraviglioso nella persona che più credevo di odiare, certo... o dell'essermi resa conto che questa scoperta ha cambiato moltissimo anche me. Ed è folle che io stia dicendo tutte queste cose ad alta voce, ma... » Sorrise, chissà per quale ragione... Ormai non sarebbe più riuscita a fermarsi. « ... non credi che sarebbe ancora più folle pensare che mi sia innamorata di te? »
Lo guardò, e per la prima volta lui non ebbe timore di quegli occhi, malgrado forse avrebbe dovuto averne più che mai. Eppure, non riusciva in alcun modo a saziarsi di quel verde, così come non era abbastanza, neanche lontanamente, sentirla a meno di un passo da sé, con il petto che faceva su e giù rapidamente. L'unica cosa che gli era bastata erano state le sue parole, così semplici e così piene da non permettergli di desiderare altro. Aveva detto tutto, Lily, più di quanto si sarebbe aspettato, più di quanto avrebbe dovuto, più di quanto entrambi avrebbero potuto immaginare... 
Adesso mancava solo la sua ultima mossa.
« Questo sarebbe completamente folle » mormorò, senza smettere di guardarla. « Ma la cosa più folle in assoluto è che, dopo tutto quello che hai detto, io non ti abbia ancora baciata ».
E lo fece, senza più aspettare, perché sette anni erano stati abbastanza.
Trovò le sue labbra alla cieca, e incontrarle fu quanto di più magico e stupefacente avesse mai conosciuto. Più di quello specchio che scavava nell'anima, più di quell'incanto di verità e luce, più di ogni cosa reale e sensata, perché andava aldilà dell'immaginazione. Ed ecco giungere la felicità, ruggente in quel tenero bacio, traghettata da momenti e ricordi intrecciati che perdevano i tratti sfumati di un sogno: un caos di risate, frizzanti e leggere... uno stagno, un fuoco e una calda coperta... un ballo, o anche più, e un milione di sguardi... e una barca, uno schizzo di sangue, un fiotto di lacrime e un sorriso distante... Labbra riunite dopo un odio infinito, che odio davvero non era mai stato.
C'era tutto, più di tutto quanto, e nulla di tutto questo andò perduto, neanche alla fine di quel lungo bacio.
Ad attenderli vi fu un prolisso sguardo, intenso, pacifico, per nulla codardo, e labbra calde e belle, socchiuse, compiaciute... avevano appena tagliato il traguardo. E ancora la mano di lui, grande, accogliente, sulla sua guancia morbida, a disegnare tratti inesistenti per imparare un po' a conoscerla. Pelle nuova, sconosciuta sulle sue dita ferme, perché nuovo era il modo di guardarla, e di scoprirla, e di toccarla. Poi gli occhi di lei, di nuovo, sempre, che l'avevano a lungo seguito e pian piano compreso, e che adesso lo osservavano quasi a voler ricambiare la sua dolce carezza.
E un altro bacio, morbido, breve, le gambe strette di lei nell'incavo del grembo di lui, e le sue dita forti strette intorno ad esse, ad attirarla a sé.
Non c'era davvero più nulla da dire.




 
You say your best when you say nothing at all. Tu dici le cose migliori quando non dici proprio niente.








 
Note della Malandrinautrice: Salve! Come state, o dolci lettori?
Sì, d'accordo, con questo ritardo abbiamo superato ogni record, ma vi assicuro, per la miseriaccia, che quest'anno scolastico si sta rivelando di gran lunga più difficile rispetto a quello precedente. E, come se non bastasse la mole di studio assai gravosa, abbiamo anche avuto un mucchio di problemi vari ed eventuali con il capitolo stesso.
Ad ogni modo, questo è il risultato. Non è che mi soddisfi pienamente, ma, insomma, JAMES E LILY SI SONO BACIATI!
Alleluja, gente, alleluja è l'unica parola che mi salta in mente in questo momento!
E... nulla, cosa c'è da dire? Per quanto riguarda lo Specchio delle Brame, ci sono informazioni un po' confuse in giro. Si dice che prima di venire utilizzato a guardia della Pietra Filosofale fosse rimasto nella Stanza delle Necessità, ma Silente lo ha studiato prima di utilizzarlo, e sappiamo per certo che suddetto barbuto aveva trovato suddetta Stanza Va e Vieni per caso, forse senza neanche comprenderne il meccanismo. (Oh oh, qui qualcuno ha insultato l'intelligenza di Silente!) Così abbiamo fatto di testa nostra e abbiamo posizionato lo Specchio nella stessa stanza nella quale il pargolo Prescelto lo ritroverà tredici anni dopo. *Ondata di feels*
Anyway, ci tenevamo ad aggiungere che, se non l'avete notato, i nostri amati protagonisti si sono messi insieme il 1° Marzo, lo stesso giorno in cui noi due abbiamo dato il via a questa storia. *Seconda ondata di feels*
Detto ciò, nulla... la canzone di cui abbiamo riportato alcuni versi è 'When You Say Nothing At All', di Ronan Keating, che secondo noi è davvero Jily in musica. *Terza ondata di feels*
Detto anche questo, passiamo a voi, stelle del cielo (?)! Ci tenevamo come sempre a ringraziarvi, con tutto il nostro cuore, per l'affetto e la sincerità che ci avete dimostrato nelle vostre stupende recensioni. Davvero, grazie infinite alle trentacinque personcine che hanno speso del tempo per farci avere il loro parere, grazie mille!
E grazie sempre ai 353 delle preferite, agli 83 delle ricordate e ai 367 delle seguite! Siete un'infinità, santo cielo!
Grazie ancora e un bacione, gente! Ciao!


Simona_Lupin
   
 
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