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Autore: HamletRedDiablo    21/10/2013    7 recensioni
L’equilibrio della Confederazione Siderale era garantito da tempi immemori dall’Asse, il primogenito della famiglia Vaticana Vargas; l’Asse era il cardine su cui ruotava tutto l’universo conosciuto.
Ma due gemelli avrebbero fatto precipitare anche il cielo, pur di ricongiungersi con il consanguineo.
«Saresti davvero disposto a tradire la tua famiglia?»
«Voglio liberare mio fratello dal Palazzo. Non mi importa del resto.»
«E faresti qualunque cosa?»
«Qualunque cosa.»
Una mano abbronzata sventolò sotto il suo naso, in una precisa offerta.
«Sei pronto a unirti alla mia ciurma?»

Coppie: GerIta, Spamano, RoChu, PruCan (altre si uniranno in seguito)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo Sei: Prigione Caina

 

Udiva il sottilissimo strascico del sangue lungo le vene, rallentato e affaticato.

Era ancora vivo. Ma non riusciva a muovere le braccia o le gambe. Non poteva nemmeno aprire le palpebre.

Si chiedeva perché quella cosa non lo sconvolgesse. Una parte della sua coscienza sapeva che ogni persona normale sarebbe andata nel panico, in una simile situazione. Ma lui si sentiva totalmente estraneo a qualunque senso di ansietà o timore. Sapeva di aver portato a termine il suo compito, per questo voleva riposare. E sapeva di aver fatto qualcosa di tremendamente ingiusto, per questo non voleva aprire gli occhi.

Non vi era motivo di aprire le palpebre. Il mondo non aveva più sorprese per lui.

Una lacrima si ghiacciò all’interno dei suoi occhi chiusi.

E l’Hellsing continuò a dormire.

 

***

 

La Prigione Caina era imponente e devastante.

Sorgeva nel punto più a nord di tutto il pianeta, in cui la spietatezza del vento e del gelo raggiungeva il suo picco.

Un ponte lastricato di ghiaccio costituiva l’ultimo miglio di libertà dei carcerati, prima di essere inglobati nei tormenti della Prigione.

Le celle erano interrate nei sotterranei dell’enorme grotta che costituiva il corpo centrale dell’edificio. Ivan si sarebbe sentito in soggezione di fronte alle maestose stalagmiti di ghiaccio o alla possente entrata sbarrata da scheletri di ferro e brina, ma il suo cuore freddo non ebbe nemmeno un tremito. Le cose che lo spaventavano di più - i fantasmi che non riusciva ad afferrare di un passato che non ricordava - non erano visibili. Una fortezza di tristezza e gelo non poteva impaurirlo: non era che la riproduzione gigante del Cuore d’Inverno.

Sollevò la sciarpa e si voltò verso il gruppetto alle sue spalle.

«Pare che non si siano accorti di noi» notificò.

La previsione di Yao si era rivelata corretta: i Golem si risvegliavano solo quando percepivano una fonte di calore su quel pianeta privo di vita. La temperatura corporea di Ivan era mantenuta vicino allo zero grazie al Cuore d’Inverno, e gli altri si erano serviti della strategia dell’Asean per camuffare il loro calore.

L’orientale aveva trascorso tutta la mattina ad allenarsi con Lovino per sincronizzare i loro poteri. Yao possedeva l’energia delle fiamme, che sarebbe stata essenziale per liberare l’Hellsing, ma che non li avrebbe aiutati a infiltrarsi nella Prigione. Fortunatamente, Lovino era permeato dal potere dell’opposto: nel momento in cui l’orientale aveva creato una barriera di fiamme intorno a loro, il ragazzo ne aveva invertito la natura: il fuoco era improvvisamente diventato gelido e azzurro, come una lingua di ghiaccio danzante.

Ivan osservò i componenti della spedizione: Yao, Lovino, e il capitano Antonio, ancora zoppicante con la sua gamba fasciata. Sperava che sarebbe arrivato presto il giorno in cui avrebbe potuto provare di nuovo ad aprirgli la testa con la mazza ferrata: sarebbe stato molto interessante.

Antonio manteneva una mano sull’impugnatura dell’ascia, pronto all’azione; Yao aveva portato l’indice e il medio, perfettamente stesi, davanti alle labbra, e salmodiava a mezza voce la litania che manteneva lo scudo di fuoco vivo; Lovino aveva le mani congiunte all’altezza del viso, un’espressione quasi arrabbiata che gli corrugava la fronte.

Tra di loro, era certamente il ragazzo a soffrire di più: aveva avuto pochissimo tempo per gestire quel lato dei suoi poteri che non aveva mai scoperto, e lo sforzo di concentrazione doveva essere enorme.

Ivan distolse lo sguardo dai tre: i patimenti del Vaticano non erano un suo problema. La sua unica preoccupazione era ritornare alla Fortezza Errante con Yao il prima possibile.

«Entriamo» comandò Ivan, prima di spalancare la porta con un solo calcio.

«Non potevamo essere più discreti?» protestò Antonio.

«So che non succederà nulla, anche se facciamo rumore. L’importante è non emettere calore» minimizzò Ivan, privo di particolari inflessioni nella voce. Il Cuore d’Inverno lo aveva rassicurato: anche se non aveva memoria di quel posto, sapeva quali azioni fossero permesse e quali proibite.

«Continuate a camminare al centro del corridoio. Non toccate in alcun modo le pareti o le celle» li istruì perentorio il Custode dei Cancelli. «Non toccate nulla finché non arriveremo di fronte all’Hellsing.»

Lovino schiuse gli occhi che aveva tenuto serrati fino a quel momento - la mano di Antonio sulla schiena lo aveva condotto lungo il cammino – e analizzò la prigione.

Era più spoglia e vuota di quanto pensasse, e proprio l’assenza di qualunque attrezzo umano era così desolante da dare uno spasmo al cuore.

Non vi era nulla, a parte il corridoio serpentino che si snodava attraverso una foresta di massicci blocchi di ghiaccio e la sottile foschia di brina che rendeva l’aria difficile da respirare. Lovino trattenne un conato alla vista di quelle tombe artiche: i prigionieri all’interno erano rimasti congelati con espressioni di puro orrore sul viso, peggiori perfino di quelle indotte da Roma. Di altri era visibile solo la posa ritorta, poiché non rimaneva altro che lo scheletro: dovevano essere i primi ospiti di Caina, inglobati nel ghiaccio da più di due secoli.

La descrizione fornita da Yao dei patimenti di Caina non era fallace: un sonno eterno nella morsa ferrea del ghiaccio, in balia dei propri incubi peggiori.

«La barriera sta per cedere» lo avvertì l’Asean, una vena di urgenza nella voce.

Lovino chiuse nuovamente gli occhi e si concentrò sull’inversione dell’energia irradiata dall’orientale: le lingue di fuoco, che avevano riacquistato una sottile corona dorata, tornarono ad appiattirsi in uno sterile azzurro.

«Dovresti prendere più seriamente questo compito» lo rimproverò istantaneamente Ivan.

Lovino sentì una risposta sbocciargli sulla punta più acida della lingua, ma Antonio lo prevenne:

«Invertire costantemente la natura di un’energia, specie se potente come quella del Figlio del Cielo, non è semplice. E ha avuto solo una mattina per prepararsi.»

«Se l’inversione si interrompe, i Golem si sveglieranno, e voi sarete morti. Se non vi interessa uscire vivi da qui, potete continuare a fare errori di questo genere» replicò Ivan, con la forza dell’inverno Siberiano nelle sue parole.

«Non abbiamo tempo di fermarci per discutere» ricordò loro con regale pacatezza Yao.

Il ragazzo sentì la mano del capitano premergli in mezzo alle scapole nel momento in cui ricominciarono a muoversi.

«Non preoccuparti» bisbigliò Antonio nel suo orecchio. «Se i Golem dovessero svegliarsi, lotteremo insieme fino a uscire da qui. Anche se quel gigante non dovesse aiutarci» i denti del capitano sfregarono tra di loro mentre l’uomo parlava: il Custode aveva chiarito con fin troppa brutalità che non nutriva il minimo interesse nei loro confronti. L’unica persona di cui davvero aveva cura era l’Asean. Ma il Siberiano era libero di comportarsi come riteneva più opportuno: ci sarebbe stato sempre lui a difendere il ragazzo con la cicatrice a forma di croce sul collo.

Lovino scrollò le spalle, troppo preso dal suo incantesimo per rispondergli.

Antonio si portò al suo fianco, protettivo. Le nocche del giovane erano sbiancate, e sulla sua pelle sbocciavano perle di sudore; il suo sforzo doveva essere immane. Dovevano sbrigarsi a raggiungere l’Hellsing, o Lovino non avrebbe sostenuto quella pressione. Antonio fece quindi scivolare un braccio attorno alla vita del giovane; probabilmente, una volta tornati sulla nave, il ragazzo avrebbe esternato tutto il suo disappunto per quella confidenza non richiesta, ma gli avrebbe spiegato con calma e razionalità che quello era il modo più semplice per guidarlo mentre teneva gli occhi chiusi. E avrebbe occultato il fatto che toccare i fianchi spigolosi del giovane era insospettabilmente piacevole.

«L’Hellsing è imprigionato nel Terzo Girone» mormorò Yao, dietro le dita poggiate sulle sue labbra. «Dobbiamo trovare due rampe di scale e scenderle, per arrivare a lui.»

Impiegarono qualche minuto a trovare la prima discesa, e poco meno per scorgere la seconda.

Antonio avvertì il tremore del giovane aumentare di intensità con il trascorrere del tempo: il respiro del ragazzo usciva in ansiti affaticati dalla sua bocca, le mani tremavano, ormai esauste in quella posizione contratta, e tutta la sua figura pareva scheggiata da una ragnatela di crepe e pronta ad andare in pezzi da un momento all’altro. Il capitano strinse la presa sul corpo del giovane, tentando di trasmettergli un po’ della sua forza.

Lovino squittì indispettito quando le dita dell’uomo si arpionarono nervosamente al suo bacino.

«Gilbert…» la voce di Antonio oscillò a tal punto sotto il peso dell’emozione che il ragazzo aprì timidamente un occhio.

Fiero nella sua divisa di notte e sangue, l’Hellsing riposava in un blocco di ghiaccio a parte, più spesso e più maestoso rispetto a quelli degli altri carcerati.

La sua posa e il suo viso non erano contorti come quelli dei suoi compagni di sventura: l’uomo che era stato il più temuto sterminatore di demoni di tutta la Confederazione attendeva il proprio risveglio con la schiena impeccabilmente dritta e il collo steso, le braccia conserte e un ghigno indelebile sul volto, come se stesse attendendo un vecchio compagno di avventure meditando uno scherzo. Non appariva sofferente o terrorizzato come gli altri: era semplicemente immobilizzato nel ghiaccio, in un sonno apparentemente quieto.

Yao si avvicinò e picchiò delicatamente con il pugno sulla parete polare.

«Impiegherò circa mezzo minuto a scioglierlo» quantificò. «Potrebbe essere sufficiente ai Golem per raggiungerci.»

«Ma dove si trovano questi Golem, esattamente?» lo sfidò Antonio. «Non li abbiamo visti da nessuna parte, in questa prigione!»

«Solo i Golem lo sanno» la gravità nelle parole dell’Asean fu tale che avrebbe potuto uccidere una persona, con quel tono di voce. «È uno dei segreti meglio custoditi all’interno della Confederazione. Non sapendo l’ubicazione del nemico, nemmeno le persone più potenti della Galassia oserebbero entrare qui dentro.»

«A meno che non siano abbastanza sconsiderate» lo corresse Antonio con un sogghigno.

«O abbastanza disperate» sorrise amaramente Yao.

L’Asean raccolse le ampie maniche della veste sui polsi efebi, e avvertì:

«Nel momento in cui appoggerò le dita alla parete, l’incantesimo di protezione si scioglierà. Fate molta attenzione.»

Non passò più di un secondo tra il suo avviso e la successiva azione: posò i polpastrelli sul ghiaccio, aprendoli a raggiera, e richiamò il potere di fuoco racchiuso nel suo petto; il sole interno del Figlio del Cielo raddoppiò la sua energia, squarciandogli quasi lo sterno con una scarica di luce bollente.

Antonio sorresse Lovino quando le ginocchia del giovane traballarono: lo sforzo protratto lo aveva prosciugato, lasciandolo debilitato come il giorno in cui lo avevano trovato nel deserto.

Ivan, del tutto estraneo alla stanchezza del giovane e alla preoccupazione del capitano, fu il primo ad accorgersi della sottile crepa sulla superficie della cella artica. La vide allungarsi e dividersi in diramazioni più modeste, sbriciolando finissimi cristalli di ghiaccio. Capì che quel fenomeno non era dovuto all’incantesimo di Yao nel momento in cui vide un occhio inumano spalancarsi e fissarli con odio dal centro del roveto di crepe.

«Sono qui!» gridò, impugnando la mazza ferrata.

Antonio e Lovino ebbero appena il tempo di alzare lo sguardo prima che un enorme pugno polare infrangesse la parete di ghiaccio dall’interno. Ripararono gli occhi dietro il braccio, per evitare che i frammenti affilati come rasoi li accecassero.

«Dobbiamo proteggere il Figlio del Cielo, o non riuscirà a risvegliare Gilbert!» vociò Antonio, preparandosi a sua volta a combattere.

Accasciato a terra e privo di forze, Lovino esaminò la situazione con occhi vibranti di paura. Il Golem emerso dalla fenditura nel ghiaccio era alto due volte il Custode dei Cancelli, e quattro volte più grosso; la spietatezza nei suoi occhi avrebbe fatto impallidire quelli di Roma, e non aveva la minima idea di come si potesse affrontare un mostro del genere.

Morirò qui? pensò Lovino. Lontano da mio fratello, e senza aver potuto fare niente per aiutarlo?

Alla sua destra, un sinistro scricchiolio lo avvisò che un altro nido di crepe si stava formando, e presto ne sarebbe emerso un secondo Golem. Nessuno sapeva dove essi si nascondessero perché potevano apparire in qualunque punto della Fortezza, anzi, erano la Fortezza. Si erano gettati nello stomaco del nemico senza nemmeno saperlo.

Un secondo crepitio si aggiunse al primo, e un altro ancora.

Lovino cercò di ricongiungere le mani, tremanti di freddo e di terrore, per richiamare Roma.

Non aveva mai visto esseri così spaventosi, ma aveva attraversato mille battaglie sulla Reina de la Oscuridad, e aveva imparato che anche il nemico più forte possedeva un punto debole.

Il tuono di un castello che si infrange fece vibrare l’aria quando il pugno del primo Golem si sfasciò contro la mazza ferrata di Ivan. La testa del secondo Golem rotolò a terra non appena fuoriuscita dal ghiaccio, falciata dall’ascia di Antonio. In quei secondi, Roma si materializzò al fianco di Lovino.

«Ho bisogno che tu faccia una cosa per me» ansimò il giovane, premendo una mano sul petto in cui il cuore affaticato tambureggiava a un ritmo folle. «Ho bisogno che tu diventi una creatura di ghiaccio. In questo modo, potrò convertirti in un essere di fuoco. Riesci a farlo?»

Il muso umbratile del lupo gli sfiorò il dorso della mano, e la bestia si lanciò a capofitto in un blocco di gelo.

Una pozza di acqua calda si allargava sotto i piedi dell’Asean, man mano che le sue mani incandescenti affondavano nella cella artica; il primo Golem aveva ripristinato il pugno frantumato dal Custode semplicemente immergendolo nel ghiaccio circostante, e aveva tentato nuovamente di abbatterlo sull’uomo; allo stesso modo, la testa del secondo Golem si era riformata sul suo torso mostruoso, e Antonio aveva avvertito un fulmine di dolore alla caviglia infortunata quando la sua ascia aveva parato l’attacco del Golem.

Troppo impegnati nella battaglia, nessuno si accorse che il lupo riemerso dal ghiaccio aveva il pelo lucido e iridescente come l’aurora boreale, e che i suoi occhi diabolici si erano cristallizzati in un azzurro vetroso. Nessuno vide le mani del giovane congiungersi e la sua fronte imperlarsi mentre si stremava di nuovo nell’inversione di energia, ma tutti si voltarono quando il manto del lupo si infiammò in una selva di creste ardenti.

Roma si lanciò contro i Golem ululando, e strappò un braccio al mostro che combatteva contro Antonio. L’arto del custode della prigione si liquefece all’istante, e il mostro parve perplesso e tradito quando si accorse di non poter richiamare un nuovo braccio. Il lupo danzò tra i guardiani, attaccando, schivando e colpendo ancora, instancabile nonostante nuovi Golem accorressero a sostituire quelli sciolti da Roma e feriti da Ivan e Antonio.

Lovino era troppo assorbito dall’incantesimo, e non si accorse della mano mostruosa che, lenta e silenziosa, si stava formando sopra la sua testa. Antonio vide quella scena da incubo riflessa sulla sua ascia, e si voltò all’istante per correre in aiuto del giovane, ma poté solo vedere con brutale nitidezza il pugno che si schiantava sul ragazzo in uno spruzzo di sangue.

All’improvviso, la prigione diventò rossa e puzzolente di sale e metallo. Roma uggiolò e si appallottolò su se stesso, come se gli avessero sparato al cuore, mentre le sue fiamme scemavano fino a ritornare al solito colore nebuloso, che si ritirò funereo nel corpo fracassato del ragazzo.

Antonio non si rese conto dei Golem che mutilò per raggiungere il suo vice: il suo mondo grondava sangue, e giaceva al suolo ritorto come una bambola spezzata.

Si inginocchiò di fianco a Lovino, le mani irrigidite dall’urgenza di aiutarlo e dalla consapevolezza di non conoscere la corretta procedura. Su di lui, immensa e terribile, incombeva l’assoluta certezza che il ragazzo sarebbe morto: il cranio era irrimediabilmente fratturato, e solo il potere enorme del giovane o la sua altrettanto sconfinata testardaggine gli permettevano di tenere ancora gli occhi aperti.

Inasprite come se dovessero farsi strada in un lago di acido solforico, le parole di Lovino grattarono le labbra esauste:

«Non posso… morire qui…»

Ebbe la sensazione di un lampo azzurro su di lui, intercettato da uno scudo argentato. Antonio aveva deviato con l’ascia l’attacco di un altro Golem.

Perché quello stupido capitano era sempre pronto a gettarsi nella burrasca pur di aiutarlo? Anche quando era inutile come in quel momento, quando la morte aveva già steso il sudario su di lui.

Udì il cappotto del pirata frusciare nella pazza coreografia della lotta, e la sua ascia stridere contro la pelle adamantina dei Golem.

Avvertì una sottile fitta al petto, e il dolore di una lacrima infissa nella pupilla. Gli sarebbe dispiaciuto non vederlo più, nel posto in cui stava per dirigersi.

Voleva aiutarli. Voleva dimostrare che anche lui poteva essere al loro livello. Ma sentiva la testa svuotarsi, e le forze evaporare, ed era così buio…

Avrebbe voluto incontrare di nuovo il fratello, prima di morire.

 

***

 

Ludwig si spaventò a morte quando all’improvviso, nel bel mezzo della vestizione, Feliciano cominciò a urlare ossessivamente, graffiandosi la testa come se il cuoio capelluto stesse andando a fuoco.

«Mio fratello!» strillò acuto, contorcendo tutto il corpo in un dolore atroce e immotivato. «Mio fratello!»

«Cosa è successo?» il Guardiano cercò di calmarlo, ma Feliciano sfuggì alla sua presa e continuò a gridare:

«Mio fratello!»

La schiena si incurvò a tal punto che Ludwig temette si sarebbe spezzata come un ramoscello in autunno quando il giovane esacerbò:

«Sta morendo!»

Di nuovo, Ludwig cercò di acquietarlo e di nuovo Feliciano gli sfuggì, urlando e agitandosi come se lo avessero gettato su una graticola.

«Devo aiutarlo!» fu l’ultima cosa che strillò, prima di perdere i sensi.

Il Guardiano si affrettò ad afferrarlo prima che si ferisse cadendo al suolo, e lo sollevò tra le braccia per appoggiarlo sul letto.

Nel momento in cui lo sollevò, tuttavia, si accorse che il giovane non era semplicemente svenuto: il suo spirito aveva abbandonato il corpo per volare in soccorso del fratello.

«Un viaggio astrale, dunque…» rifletté tranquillo, adagiando il ragazzo sulle lenzuola.

Non poteva biasimarlo. Se avesse avuto i suoi stessi poteri, anche lui sarebbe corso in aiuto del proprio consanguineo.

Si posizionò a lato del letto, pronto a vegliare sull’Asse, come sempre.

Un buon Guardiano poteva fare solo quello.

 

***

 

Una luce celestiale trapelò dalla fessura tra le sue palpebre.

Sono in Paradiso? si stupì Lovino. Con tutto il vociare che si era fatto su di lui, era convinto che sarebbe stato spedito all’Inferno.

Poi, un ruggito orgoglioso si insinuò nelle sue orecchie agonizzanti, e il giovane si costrinse a sollevare una palpebra per capire cosa stesse succedendo.

Attoniti quanto lui, Antonio e Ivan fissavano l’enorme leone, irradiante una luce ineffabile, che ruggiva fiero ai Golem, inginocchiati e con i palmi tesi verso di lui, come servi che si umiliano per chiedere scusa al loro re.

«Ve…» raschiarono i denti di Lovino. «Venezia?»

Nonostante la patina torbida che appannava i suoi occhi, non faticò a riconoscere il tanto lodato famiglio di Feliciano: al contrario suo, il fratello aveva potuto addestrare liberamente il suo gregario, elogiato da tutti per la sua nobiltà e la sua purezza.

Venezia voltò il capo, la criniera che garriva al vento. Un’ondata di compassione inondò gli occhi dell’animale, che si diresse con passo felpato verso di lui.

Il contorno del leone apparve indistinto e acquoso ai suoi occhi, e un incombente buio gravava tutto intorno, rischiarato a malapena dalla luminescenza della criniera regale.

Il leone accostò il muso al suo viso e leccò la testa ferita con delicatezza. Quel gesto parve portare via con sé parte della confusione e del dolore del giovane: il mondo riacquistò parzialmente i suoi colori, e i suoi sensi parvero riconquistare la propria precisione. Forse era solo un attimo di lucidità estrema prima della fine.

Fratello.

Il corpo del ragazzo, anche se ancorato al suolo dalla stanchezza, ebbe un guizzo interno nel sentirsi chiamare a quel modo.

Hai promesso che saresti venuto a prendermi, fratello.

Lovino riaprì con fatica un occhio, che venne sommerso di lacrime non appena mise a fuoco la creatura di luce davanti a lui. Non era più Venezia a osservarlo con dignità: era un volto speculare al suo, che lo fissava con un oceano di lacrime trattenuto negli occhi disperati.

Antonio era rimasto basito alla comparsa del leone, annichilito dalla sua trasformazione in essere umano e trasecolato dalla somiglianza di quel fantasma di luce con il suo vice. Non avrebbe mai immaginato che il legame tra i gemelli potesse essere forte al punto da portare lo spirito di uno dei due in soccorso dell’altro.

«Lo farò…» spinse fuori a forza Lovino, tentando di avvicinare una mano al profilo del fratello.

Le lacrime presero a scorrere irrefrenabili sulle guance di Feliciano, che scosse la testa piangendo:

Stai morendo. Come puoi venire a prendermi, se muori?

Lovino non riuscì a replicare, schiacciato dalla verità di quelle parole.

La luce si fece quasi insostenibile quando l’Asse si chinò su di lui per avvolgerlo con il suo corpo evanescente.

Sono egoista, fratello, singhiozzò Feliciano. Non mi importa del futuro della Confederazione. Non voglio che tu muoia. Non adesso. Non prima di averti riabbracciato.

La luce irradiata dal corpo del giovane fu così accecante che nessuno riuscì a vedere quale incanto avesse utilizzato il futuro Asse per salvare il suo gemello. Quando i raggi abbaglianti si diradarono e le loro pupille furono di nuovo in grado di scorgere la realtà, Lovino era seduto, il cranio intatto e il sangue sparito. E gli occhi colmi di emozione che assorbivano assetati l’immagine agognata del fratello.

Le mani insicure di Lovino cercarono di raggiungere Feliciano, ma strinsero solo aria, distorcendo per un attimo la figura del gemello. I due fratelli si guardarono con una tristezza infinita: anche se potevano vedersi, non erano ancora insieme.

Ti ricordi quando abbiamo visto il Palazzo di Quarzo?

La manica della tunica di Feliciano salì ad asciugare le gote mentre questo continuava, la voce scossa dai singhiozzi e dall’emozione troppo forte. Avevi ragione tu, fratello, il cristallo piange. Ma non piange per se stesso. Sono le lacrime che tutti gli Assi non hanno potuto versare, mentre erano prigionieri. E il cristallo le ha piante per loro. È un cristallo generoso, fratello, ma è anche tremendamente triste.

«Allora ti assomiglia» mormorò Lovino, circondando la figura del gemello con uno sguardo colmo di affetto.

No, lo smentì l’altro, illuminandosi con un sorriso a cuore aperto. Io non sono triste. Non adesso.

Feliciano tese le mani verso di lui, e Lovino posizionò le proprie sotto quelle del fratello. Non potevano abbracciarsi, ma il cuore minacciò comunque di esplodere per la gioia nell’aver finalmente rivisto il gemello.

«Siamo venuti fin qui per aiutarti. Faremo tremare l’intero Vaticano pur di salvarti, fratello» giurò il giovane pirata.

Feliciano sorrise, incommensurabilmente contento, e la luce da lui sprigionata aumentò ulteriormente.

E io cercherò di proteggervi nel vostro percorso. Infrangerò il Palazzo di Quarzo, se sarà necessario.

Improvvisamente, Feliciano si piegò su se stesso, guaendo ferito. Lovino si alzò bruscamente in piedi, spinto da un irrazionale desiderio di aiutare il gemello.

I viaggi astrali sono molto faticosi, fratello, boccheggiò Feliciano, con un sorriso amaro sul viso dolce. Pare che io abbia raggiunto il mio limite.

«Aspetta!» proruppe Lovino, stringendo inutilmente il vuoto luminescente di cui era composto il gemello. Era crudele, era troppo crudele: si erano visti alcuni istanti, solo per rendere ancora più intollerabile la loro separazione.

Feliciano lo avvolse con la sua aura calda e luminosa, e gli bisbigliò amorevole:

Ti sto già aspettando, fratello. Non smetterò mai di aspettarti.

Lovino tenne gli occhi ben aperti, senza nemmeno battere le palpebre per cibarsi fino all’ultimo istante dell’immagine del consanguineo: Feliciano continuò a sorridergli, sempre più triste man mano che il suo corpo si dissolveva in minuscole briciole di luce. Un’ultima lacrima, fulgente come le particelle dell’Asse, si dissolse nell’aria prima che Feliciano sparisse completamente.

E solo quando fu sicuro che il fratello non potesse più vederlo né sentirlo, Lovino lasciò i singhiozzi liberi di fracassargli il petto e le lacrime di inondargli il viso.

«Quello era l’Asse?» domandò atono Ivan.

Antonio non rispose, accostandosi al giovane per sincerarsi del miracolo avvenuto. Affogato in un mare di lacrime, Lovino era lì, disperato e singhiozzante, ma vivo. E il capitano non si accorse quasi delle sue braccia che correvano a stringere il corpo del ragazzo, sobbalzante nel pianto. L’idea di averlo perso lo aveva annichilito, lasciando solo un rametto essiccato dell’albero che era la sua anima, e la gioia di averlo di nuovo vivo grazie ai poteri del gemello lo aveva sopraffatto completamente.

Si riscossero da quella strana stasi emotiva solo quando Ivan annunciò, neutro:

«L’Hellsing…»

 

***

 

Ludwig appoggiò una mano sugli occhi di Feliciano, e consigliò:

«Non hai bisogno di alzarti adesso. Devi essere stremato.»

L’Asse mosse a malapena la testa, i muscoli ruggenti di dolore per la fatica.

«Sei riuscito a vederlo? Muovi il dito una volta per confermare, altrimenti resta fermo» patteggiò Ludwig.

L’indice di Feliciano raspò con enorme sacrificio il lenzuolo. Il Guardiano registrò l’informazione e proseguì:

«Sei riuscito a salvarlo?»

Se anche non avesse mosso il dito, Ludwig avrebbe comunque capito la risposta dalla luce che improvvisamente si propagò da tutto il corpo sfiancato del giovane.

«Ne sono lieto. Ora riposati. Elaborerò una scusa per giustificare la tua assenza alle funzioni» fece per alzarsi, ma un cinguettio strozzato lo trattenne.

«As… aspet…»

Ludwig afferrò la mano che si agitava con la forza sfinita di un animale nella tagliola e la portò al cuore.

«Non sei solo. Non lo sei mai stato» gli ricordò, garbato. «Tuo fratello è sempre stato con te, non è forse così?»

Gli occhi di Feliciano si schiusero appena, una fessura di gioia e lacrime sul volto spossato.

«Nel mio sangue…» esalò, prima di far crollare il capo sul cuscino e le palpebre sugli occhi.

Ludwig appoggiò la piccola mano del giovane sul materasso, e coprì il suo corpo minuto con il lenzuolo.

Non aveva mai visto Feliciano usare i suoi poteri. Dovevano essere strabilianti per permettergli di salvare una persona con il solo spirito. In quel fisico così esile abitava un’anima più grande della Confederazione stessa.

Fissò la sua mano, poggiata su quella del futuro Asse. Era così grande che riusciva a coprirgli perfino il polso. Lo sguardo gli cadde sulle vene visibili sotto la pelle eburnea; il sangue che lì scorreva li legava ai loro familiari.

Ludwig scrutò il suo polso, assorto.

Anche il suo sangue lo legava al fratello?

Scosse il capo, sospirando. Lui e Gilbert avevano un rapporto molto più complicato. Non era propriamente il sangue a legarli. Ma l’Hellsing era stato tutto il suo mondo, e lui gli aveva voluto bene con tutto il cuore e tutta l’anima.

Stava rievocando con la mente i ricordi del passato quando all’improvviso un tuono scosse il suo petto. Ludwig portò una mano al cuore, paralizzato dallo stupore. Il tuono si ripeté, seguito da un fulmine.

Istintivamente, puntò lo sguardo verso il lucernario, spiazzato.

«Gilbert…?» balbettò.

Ma il cielo restò muto.

 

 

 

 

Sesto capitolo, Prigione Caina e ricongiungimento fraterno<3

Spero vi sia piaciuto (^O^)

E il protagonista del prossimo sarà Gilbert-Ore-sama!-Hellsing<3

E i banner sono sempre opera di Clau-tan<3 se riconoscete gli autori delle immagini avvisatemi che inserirò i credits<3

Al prossimo lunedì<3

Red

   
 
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