Capitolo Sei:
Prigione Caina
Udiva
il sottilissimo strascico del sangue lungo le vene,
rallentato e affaticato.
Era
ancora vivo. Ma non riusciva a muovere le braccia o le
gambe. Non poteva nemmeno aprire le palpebre.
Si
chiedeva perché quella cosa non lo sconvolgesse. Una
parte della sua coscienza sapeva che ogni persona normale sarebbe
andata nel
panico, in una simile situazione. Ma lui si sentiva totalmente estraneo
a
qualunque senso di ansietà o timore. Sapeva di aver portato
a termine il suo
compito, per questo voleva riposare. E sapeva di aver fatto qualcosa di
tremendamente ingiusto, per questo non voleva aprire gli occhi.
Non
vi era motivo di aprire le palpebre. Il mondo non aveva
più sorprese per lui.
Una
lacrima si ghiacciò all’interno dei suoi occhi
chiusi.
E
l’Hellsing continuò a dormire.
***
La
Prigione Caina era imponente e devastante.
Sorgeva
nel punto più a nord di tutto il pianeta, in cui la
spietatezza del vento e del gelo raggiungeva il suo picco.
Un
ponte lastricato di ghiaccio costituiva l’ultimo miglio
di libertà dei carcerati, prima di essere inglobati nei
tormenti della
Prigione.
Le
celle erano interrate nei sotterranei dell’enorme grotta
che costituiva il corpo centrale dell’edificio. Ivan si
sarebbe sentito in
soggezione di fronte alle maestose stalagmiti di ghiaccio o alla
possente
entrata sbarrata da scheletri di ferro e brina, ma il suo cuore freddo
non ebbe
nemmeno un tremito. Le cose che lo spaventavano di più - i
fantasmi che non
riusciva ad afferrare di un passato che non ricordava - non erano
visibili. Una
fortezza di tristezza e gelo non poteva impaurirlo: non era che la
riproduzione
gigante del Cuore d’Inverno.
Sollevò
la sciarpa e si voltò verso il gruppetto alle sue
spalle.
«Pare
che non si siano accorti di noi» notificò.
La
previsione di Yao si era rivelata corretta: i Golem si
risvegliavano solo quando percepivano una fonte di calore su quel
pianeta privo
di vita. La temperatura corporea di Ivan era mantenuta vicino allo zero
grazie
al Cuore d’Inverno, e gli altri si erano serviti della
strategia dell’Asean per
camuffare il loro calore.
L’orientale
aveva trascorso tutta la mattina ad allenarsi
con Lovino per sincronizzare i loro poteri. Yao possedeva
l’energia delle
fiamme, che sarebbe stata essenziale per liberare l’Hellsing,
ma che non li
avrebbe aiutati a infiltrarsi nella Prigione. Fortunatamente, Lovino
era
permeato dal potere dell’opposto: nel momento in cui
l’orientale aveva creato
una barriera di fiamme intorno a loro, il ragazzo ne aveva invertito la
natura:
il fuoco era improvvisamente diventato gelido e azzurro, come una
lingua di
ghiaccio danzante.
Ivan
osservò i componenti della spedizione: Yao, Lovino, e
il capitano Antonio, ancora zoppicante con la sua gamba fasciata.
Sperava che
sarebbe arrivato presto il giorno in cui avrebbe potuto provare di
nuovo ad
aprirgli la testa con la mazza ferrata: sarebbe stato molto
interessante.
Antonio
manteneva una mano sull’impugnatura dell’ascia,
pronto all’azione; Yao aveva portato l’indice e il
medio, perfettamente stesi,
davanti alle labbra, e salmodiava a mezza voce la litania che manteneva
lo
scudo di fuoco vivo; Lovino aveva le mani congiunte
all’altezza del viso,
un’espressione quasi arrabbiata che gli corrugava la fronte.
Tra
di loro, era certamente il ragazzo a soffrire di più:
aveva avuto pochissimo tempo per gestire quel lato dei suoi poteri che
non
aveva mai scoperto, e lo sforzo di concentrazione doveva essere enorme.
Ivan
distolse lo sguardo dai tre: i patimenti del Vaticano
non erano un suo problema. La sua unica preoccupazione era ritornare
alla
Fortezza Errante con Yao il prima possibile.
«Entriamo»
comandò Ivan, prima di spalancare la porta con un
solo calcio.
«Non
potevamo essere più discreti?» protestò
Antonio.
«So
che non succederà nulla, anche se facciamo rumore.
L’importante è non emettere calore»
minimizzò Ivan, privo di particolari
inflessioni nella voce. Il Cuore d’Inverno lo aveva
rassicurato: anche se non
aveva memoria di quel posto, sapeva quali azioni fossero permesse e
quali proibite.
«Continuate
a camminare al centro del corridoio. Non toccate
in alcun modo le pareti o le celle» li istruì
perentorio il Custode dei
Cancelli. «Non toccate nulla finché non arriveremo
di fronte all’Hellsing.»
Lovino
schiuse gli occhi che aveva tenuto serrati fino a
quel momento - la mano di Antonio sulla schiena lo aveva condotto lungo
il
cammino – e analizzò la prigione.
Era
più spoglia e vuota di quanto pensasse, e proprio
l’assenza di qualunque attrezzo umano era così
desolante da dare uno spasmo al
cuore.
Non
vi era nulla, a parte il corridoio serpentino che si
snodava attraverso una foresta di massicci blocchi di ghiaccio e la
sottile
foschia di brina che rendeva l’aria difficile da respirare.
Lovino trattenne un
conato alla vista di quelle tombe artiche: i prigionieri
all’interno erano
rimasti congelati con espressioni di puro orrore sul viso, peggiori
perfino di
quelle indotte da Roma. Di altri era visibile solo la posa ritorta,
poiché non
rimaneva altro che lo scheletro: dovevano essere i primi ospiti di
Caina,
inglobati nel ghiaccio da più di due secoli.
La
descrizione fornita da Yao dei patimenti di Caina non era
fallace: un sonno eterno nella morsa ferrea del ghiaccio, in balia dei
propri
incubi peggiori.
«La
barriera sta per cedere» lo avvertì
l’Asean, una vena di
urgenza nella voce.
Lovino
chiuse nuovamente gli occhi e si concentrò
sull’inversione dell’energia irradiata
dall’orientale: le lingue di fuoco, che
avevano riacquistato una sottile corona dorata, tornarono ad
appiattirsi in uno
sterile azzurro.
«Dovresti
prendere più seriamente questo compito» lo
rimproverò istantaneamente Ivan.
Lovino
sentì una risposta sbocciargli sulla punta più
acida
della lingua, ma Antonio lo prevenne:
«Invertire
costantemente la natura di un’energia, specie se
potente come quella del Figlio del Cielo, non è semplice. E
ha avuto solo una
mattina per prepararsi.»
«Se
l’inversione si interrompe, i Golem si sveglieranno, e
voi sarete morti. Se non vi interessa uscire vivi da qui, potete
continuare a
fare errori di questo genere» replicò Ivan, con la
forza dell’inverno Siberiano
nelle sue parole.
«Non
abbiamo tempo di fermarci per discutere» ricordò
loro
con regale pacatezza Yao.
Il
ragazzo sentì la mano del capitano premergli in mezzo
alle scapole nel momento in cui ricominciarono a muoversi.
«Non
preoccuparti» bisbigliò Antonio nel suo orecchio.
«Se i
Golem dovessero svegliarsi, lotteremo insieme fino a uscire da qui.
Anche se
quel gigante non dovesse aiutarci» i denti del capitano
sfregarono tra di loro
mentre l’uomo parlava: il Custode aveva chiarito con fin
troppa brutalità che
non nutriva il minimo interesse nei loro confronti. L’unica
persona di cui
davvero aveva cura era l’Asean. Ma il Siberiano era libero di
comportarsi come
riteneva più opportuno: ci sarebbe stato sempre lui a
difendere il ragazzo con
la cicatrice a forma di croce sul collo.
Lovino
scrollò le spalle, troppo preso dal suo incantesimo
per rispondergli.
Antonio
si portò al suo fianco, protettivo. Le nocche del
giovane erano sbiancate, e sulla sua pelle sbocciavano perle di sudore;
il suo
sforzo doveva essere immane. Dovevano sbrigarsi a raggiungere
l’Hellsing, o
Lovino non avrebbe sostenuto quella pressione. Antonio fece quindi
scivolare un
braccio attorno alla vita del giovane; probabilmente, una volta tornati
sulla
nave, il ragazzo avrebbe esternato tutto il suo disappunto per quella
confidenza non richiesta, ma gli avrebbe spiegato con calma e
razionalità che
quello era il modo più semplice per guidarlo mentre teneva
gli occhi chiusi. E avrebbe
occultato il fatto che toccare i fianchi spigolosi del giovane era
insospettabilmente piacevole.
«L’Hellsing
è imprigionato nel Terzo Girone»
mormorò Yao,
dietro le dita poggiate sulle sue labbra. «Dobbiamo trovare
due rampe di scale
e scenderle, per arrivare a lui.»
Impiegarono
qualche minuto a trovare la prima discesa, e
poco meno per scorgere la seconda.
Antonio
avvertì il tremore del giovane aumentare di
intensità con il trascorrere del tempo: il respiro del
ragazzo usciva in ansiti
affaticati dalla sua bocca, le mani tremavano, ormai esauste in quella
posizione contratta, e tutta la sua figura pareva scheggiata da una
ragnatela
di crepe e pronta ad andare in pezzi da un momento all’altro.
Il capitano
strinse la presa sul corpo del giovane, tentando di trasmettergli un
po’ della
sua forza.
Lovino
squittì indispettito quando le dita dell’uomo si
arpionarono nervosamente al suo bacino.
«Gilbert…»
la voce di Antonio oscillò a tal punto sotto il
peso dell’emozione che il ragazzo aprì timidamente
un occhio.
Fiero
nella sua divisa di notte e sangue, l’Hellsing
riposava in un blocco di ghiaccio a parte, più spesso e
più maestoso rispetto a
quelli degli altri carcerati.
La
sua posa e il suo viso non erano contorti come quelli dei
suoi compagni di sventura: l’uomo che era stato il
più temuto sterminatore di
demoni di tutta la Confederazione attendeva il proprio risveglio con la
schiena
impeccabilmente dritta e il collo steso, le braccia conserte e un
ghigno
indelebile sul volto, come se stesse attendendo un vecchio compagno di
avventure meditando uno scherzo. Non appariva sofferente o terrorizzato
come
gli altri: era semplicemente immobilizzato nel ghiaccio, in un sonno
apparentemente quieto.
Yao
si avvicinò e picchiò delicatamente con il pugno
sulla
parete polare.
«Impiegherò
circa mezzo minuto a scioglierlo» quantificò.
«Potrebbe
essere sufficiente ai Golem per raggiungerci.»
«Ma
dove si trovano questi Golem, esattamente?» lo
sfidò
Antonio. «Non li abbiamo visti da nessuna parte, in questa
prigione!»
«Solo
i Golem lo sanno» la gravità nelle parole
dell’Asean
fu tale che avrebbe potuto uccidere una persona, con quel tono di voce.
«È uno
dei segreti meglio custoditi all’interno della
Confederazione. Non sapendo
l’ubicazione del nemico, nemmeno le persone più
potenti della Galassia
oserebbero entrare qui dentro.»
«A
meno che non siano abbastanza sconsiderate» lo corresse
Antonio con un sogghigno.
«O
abbastanza disperate» sorrise amaramente Yao.
L’Asean
raccolse le ampie maniche della veste sui polsi
efebi, e avvertì:
«Nel
momento in cui appoggerò le dita alla parete,
l’incantesimo di protezione si scioglierà. Fate
molta attenzione.»
Non
passò più di un secondo tra il suo avviso e la
successiva azione: posò i polpastrelli sul ghiaccio,
aprendoli a raggiera, e
richiamò il potere di fuoco racchiuso nel suo petto; il sole
interno del Figlio
del Cielo raddoppiò la sua energia, squarciandogli quasi lo
sterno con una
scarica di luce bollente.
Antonio
sorresse Lovino quando le ginocchia del giovane
traballarono: lo sforzo protratto lo aveva prosciugato, lasciandolo
debilitato
come il giorno in cui lo avevano trovato nel deserto.
Ivan,
del tutto estraneo alla stanchezza del giovane e alla
preoccupazione del capitano, fu il primo ad accorgersi della sottile
crepa
sulla superficie della cella artica. La vide allungarsi e dividersi in
diramazioni più modeste, sbriciolando finissimi cristalli di
ghiaccio. Capì che
quel fenomeno non era dovuto all’incantesimo di Yao nel
momento in cui vide un
occhio inumano spalancarsi e fissarli con odio dal centro del roveto di
crepe.
«Sono
qui!» gridò, impugnando la mazza ferrata.
Antonio
e Lovino ebbero appena il tempo di alzare lo sguardo
prima che un enorme pugno polare infrangesse la parete di ghiaccio
dall’interno. Ripararono gli occhi dietro il braccio, per
evitare che i
frammenti affilati come rasoi li accecassero.
«Dobbiamo
proteggere il Figlio del Cielo, o non riuscirà a
risvegliare Gilbert!» vociò Antonio, preparandosi
a sua volta a combattere.
Accasciato
a terra e privo di forze, Lovino esaminò la
situazione con occhi vibranti di paura. Il Golem emerso dalla fenditura
nel
ghiaccio era alto due volte il Custode dei Cancelli, e quattro volte
più
grosso; la spietatezza nei suoi occhi avrebbe fatto impallidire quelli
di Roma,
e non aveva la minima idea di come si potesse affrontare un mostro del
genere.
Morirò
qui?
pensò Lovino. Lontano
da mio fratello, e senza aver potuto fare niente per aiutarlo?
Alla
sua destra, un sinistro scricchiolio lo avvisò che un
altro nido di crepe si stava formando, e presto ne sarebbe emerso un
secondo
Golem. Nessuno sapeva dove essi si nascondessero perché
potevano apparire in
qualunque punto della Fortezza, anzi, erano
la Fortezza. Si erano gettati nello stomaco del nemico senza nemmeno
saperlo.
Un
secondo crepitio si aggiunse al primo, e un altro ancora.
Lovino
cercò di ricongiungere le mani, tremanti di freddo e
di terrore, per richiamare Roma.
Non
aveva mai visto esseri così spaventosi, ma aveva
attraversato mille battaglie sulla Reina
de la Oscuridad, e aveva imparato che anche il nemico
più forte possedeva
un punto debole.
Il
tuono di un castello che si infrange fece vibrare l’aria
quando il pugno del primo Golem si sfasciò contro la mazza
ferrata di Ivan. La
testa del secondo Golem rotolò a terra non appena
fuoriuscita dal ghiaccio,
falciata dall’ascia di Antonio. In quei secondi, Roma si
materializzò al fianco
di Lovino.
«Ho
bisogno che tu faccia una cosa per me» ansimò il
giovane, premendo una mano sul petto in cui il cuore affaticato
tambureggiava a
un ritmo folle. «Ho bisogno che tu diventi una creatura di
ghiaccio. In questo
modo, potrò convertirti in un essere di fuoco. Riesci a
farlo?»
Il
muso umbratile del lupo gli sfiorò il dorso della mano, e
la bestia si lanciò a capofitto in un blocco di gelo.
Una
pozza di acqua calda si allargava sotto i piedi
dell’Asean, man mano che le sue mani incandescenti
affondavano nella cella
artica; il primo Golem aveva ripristinato il pugno frantumato dal
Custode
semplicemente immergendolo nel ghiaccio circostante, e aveva tentato
nuovamente
di abbatterlo sull’uomo; allo stesso modo, la testa del
secondo Golem si era
riformata sul suo torso mostruoso, e Antonio aveva avvertito un fulmine
di
dolore alla caviglia infortunata quando la sua ascia aveva parato
l’attacco del
Golem.
Troppo
impegnati nella battaglia, nessuno si accorse che il
lupo riemerso dal ghiaccio aveva il pelo lucido e iridescente come
l’aurora
boreale, e che i suoi occhi diabolici si erano cristallizzati in un
azzurro
vetroso. Nessuno vide le mani del giovane congiungersi e la sua fronte
imperlarsi mentre si stremava di nuovo nell’inversione di
energia, ma tutti si
voltarono quando il manto del lupo si infiammò in una selva
di creste ardenti.
Roma
si lanciò contro i Golem ululando, e strappò un
braccio
al mostro che combatteva contro Antonio. L’arto del custode
della prigione si
liquefece all’istante, e il mostro parve perplesso e tradito
quando si accorse
di non poter richiamare un nuovo braccio. Il lupo danzò tra
i guardiani,
attaccando, schivando e colpendo ancora, instancabile nonostante nuovi
Golem
accorressero a sostituire quelli sciolti da Roma e feriti da Ivan e
Antonio.
Lovino
era troppo assorbito dall’incantesimo, e non si
accorse della mano mostruosa che, lenta e silenziosa, si stava formando
sopra
la sua testa. Antonio vide quella scena da incubo riflessa sulla sua
ascia, e
si voltò all’istante per correre in aiuto del
giovane, ma poté solo vedere con
brutale nitidezza il pugno che si schiantava sul ragazzo in uno spruzzo
di
sangue.
All’improvviso,
la prigione diventò rossa e puzzolente di
sale e metallo. Roma uggiolò e si appallottolò su
se stesso, come se gli
avessero sparato al cuore, mentre le sue fiamme scemavano fino a
ritornare al
solito colore nebuloso, che si ritirò funereo nel corpo
fracassato del ragazzo.
Antonio
non si rese conto dei Golem che mutilò per
raggiungere il suo vice: il suo mondo grondava sangue, e giaceva al
suolo
ritorto come una bambola spezzata.
Si
inginocchiò di fianco a Lovino, le mani irrigidite
dall’urgenza di aiutarlo e dalla consapevolezza di non
conoscere la corretta
procedura. Su di lui, immensa e terribile, incombeva
l’assoluta certezza che il
ragazzo sarebbe morto: il cranio era irrimediabilmente fratturato, e
solo il
potere enorme del giovane o la sua altrettanto sconfinata testardaggine
gli
permettevano di tenere ancora gli occhi aperti.
Inasprite
come se dovessero farsi strada in un lago di acido
solforico, le parole di Lovino grattarono le labbra esauste:
«Non
posso… morire qui…»
Ebbe
la sensazione di un lampo azzurro su di lui,
intercettato da uno scudo argentato. Antonio aveva deviato con
l’ascia
l’attacco di un altro Golem.
Perché
quello stupido capitano era sempre pronto a gettarsi
nella burrasca pur di aiutarlo? Anche quando era inutile come in quel
momento,
quando la morte aveva già steso il sudario su di lui.
Udì
il cappotto del pirata frusciare nella pazza coreografia
della lotta, e la sua ascia stridere contro la pelle adamantina dei
Golem.
Avvertì
una sottile fitta al petto, e il dolore di una
lacrima infissa nella pupilla. Gli sarebbe dispiaciuto non vederlo
più, nel
posto in cui stava per dirigersi.
Voleva
aiutarli. Voleva dimostrare che anche lui poteva
essere al loro livello. Ma sentiva la testa svuotarsi, e le forze
evaporare, ed
era così buio…
Avrebbe
voluto incontrare di nuovo il fratello, prima di
morire.
***
Ludwig
si spaventò a morte quando all’improvviso, nel bel
mezzo della vestizione, Feliciano cominciò a urlare
ossessivamente,
graffiandosi la testa come se il cuoio capelluto stesse andando a fuoco.
«Mio
fratello!» strillò acuto, contorcendo tutto il
corpo in
un dolore atroce e immotivato. «Mio fratello!»
«Cosa
è successo?» il Guardiano cercò di
calmarlo, ma
Feliciano sfuggì alla sua presa e continuò a
gridare:
«Mio
fratello!»
La
schiena si incurvò a tal punto che Ludwig temette si sarebbe
spezzata come un ramoscello in autunno quando il giovane
esacerbò:
«Sta
morendo!»
Di
nuovo, Ludwig cercò di acquietarlo e di nuovo Feliciano
gli sfuggì, urlando e agitandosi come se lo avessero gettato
su una graticola.
«Devo
aiutarlo!» fu l’ultima cosa che strillò,
prima di
perdere i sensi.
Il
Guardiano si affrettò ad afferrarlo prima che si ferisse
cadendo al suolo, e lo sollevò tra le braccia per
appoggiarlo sul letto.
Nel
momento in cui lo sollevò, tuttavia, si accorse che il
giovane non era semplicemente svenuto: il suo spirito aveva abbandonato
il
corpo per volare in soccorso del fratello.
«Un
viaggio astrale, dunque…» rifletté
tranquillo, adagiando
il ragazzo sulle lenzuola.
Non
poteva biasimarlo. Se avesse avuto i suoi stessi poteri,
anche lui sarebbe corso in aiuto del proprio consanguineo.
Si
posizionò a lato del letto, pronto a vegliare
sull’Asse,
come sempre.
Un
buon Guardiano poteva fare solo quello.
***
Una
luce celestiale trapelò dalla fessura tra le sue palpebre.
Sono
in
Paradiso?
si stupì Lovino. Con tutto il vociare
che si era fatto su di lui, era convinto che sarebbe stato spedito
all’Inferno.
Poi,
un ruggito orgoglioso si insinuò nelle sue orecchie
agonizzanti, e il giovane si costrinse a sollevare una palpebra per
capire cosa
stesse succedendo.
Attoniti
quanto lui, Antonio e Ivan fissavano l’enorme
leone, irradiante una luce ineffabile, che ruggiva fiero ai Golem,
inginocchiati e con i palmi tesi verso di lui, come servi che si
umiliano per
chiedere scusa al loro re.
«Ve…»
raschiarono i denti di Lovino. «Venezia?»
Nonostante
la patina torbida che appannava i suoi occhi, non
faticò a riconoscere il tanto lodato famiglio di Feliciano:
al contrario suo,
il fratello aveva potuto addestrare liberamente il suo gregario,
elogiato da
tutti per la sua nobiltà e la sua purezza.
Venezia
voltò il capo, la criniera che garriva al vento.
Un’ondata di compassione inondò gli occhi
dell’animale, che si diresse con
passo felpato verso di lui.
Il
contorno del leone apparve indistinto e acquoso ai suoi
occhi, e un incombente buio gravava tutto intorno, rischiarato a
malapena dalla
luminescenza della criniera regale.
Il
leone accostò il muso al suo viso e leccò la
testa ferita
con delicatezza. Quel gesto parve portare via con sé parte
della confusione e
del dolore del giovane: il mondo riacquistò parzialmente i
suoi colori, e i
suoi sensi parvero riconquistare la propria precisione. Forse era solo
un
attimo di lucidità estrema prima della fine.
Fratello.
Il
corpo del ragazzo, anche se ancorato al suolo dalla
stanchezza, ebbe un guizzo interno nel sentirsi chiamare a quel modo.
Hai
promesso che
saresti venuto a prendermi, fratello.
Lovino
riaprì con fatica un occhio, che venne sommerso di
lacrime non appena mise a fuoco la creatura di luce davanti a lui. Non
era più
Venezia a osservarlo con dignità: era un volto speculare al
suo, che lo fissava
con un oceano di lacrime trattenuto negli occhi disperati.
Antonio
era rimasto basito alla comparsa del leone,
annichilito dalla sua trasformazione in essere umano e trasecolato
dalla
somiglianza di quel fantasma di luce con il suo vice. Non avrebbe mai
immaginato che il legame tra i gemelli potesse essere forte al punto da
portare
lo spirito di uno dei due in soccorso dell’altro.
«Lo
farò…» spinse fuori a forza Lovino,
tentando di
avvicinare una mano al profilo del fratello.
Le
lacrime presero a scorrere irrefrenabili sulle guance di
Feliciano, che scosse la testa piangendo:
Stai
morendo.
Come puoi venire a prendermi, se muori?
Lovino
non riuscì a replicare, schiacciato dalla verità
di
quelle parole.
La
luce si fece quasi insostenibile quando l’Asse si
chinò
su di lui per avvolgerlo con il suo corpo evanescente.
Sono
egoista, fratello,
singhiozzò Feliciano.
Non mi importa del futuro della Confederazione. Non voglio che tu
muoia. Non
adesso. Non prima di averti riabbracciato.
La
luce irradiata dal corpo del giovane fu così accecante
che nessuno riuscì a vedere quale incanto avesse utilizzato
il futuro Asse per
salvare il suo gemello. Quando i raggi abbaglianti si diradarono e le
loro
pupille furono di nuovo in grado di scorgere la realtà,
Lovino era seduto, il
cranio intatto e il sangue sparito. E gli occhi colmi di emozione che
assorbivano assetati l’immagine agognata del fratello.
Le
mani insicure di Lovino cercarono di raggiungere
Feliciano, ma strinsero solo aria, distorcendo per un attimo la figura
del
gemello. I due fratelli si guardarono con una tristezza infinita: anche
se
potevano vedersi, non erano ancora insieme.
Ti
ricordi
quando abbiamo visto il Palazzo di Quarzo?
La
manica della tunica di Feliciano salì ad asciugare le
gote mentre questo continuava, la voce scossa dai singhiozzi e
dall’emozione
troppo forte. Avevi ragione tu, fratello,
il cristallo piange. Ma non piange per se stesso. Sono le lacrime che
tutti gli
Assi non hanno potuto versare, mentre erano prigionieri. E il cristallo
le ha
piante per loro. È un cristallo generoso, fratello, ma
è anche tremendamente
triste.
«Allora
ti assomiglia» mormorò Lovino, circondando la
figura
del gemello con uno sguardo colmo di affetto.
No,
lo smentì l’altro, illuminandosi con un sorriso a
cuore
aperto. Io non sono triste. Non adesso.
Feliciano
tese le mani verso di lui, e Lovino posizionò le
proprie sotto quelle del fratello. Non potevano abbracciarsi, ma il
cuore
minacciò comunque di esplodere per la gioia
nell’aver finalmente rivisto il
gemello.
«Siamo
venuti fin qui per aiutarti. Faremo tremare l’intero
Vaticano pur di salvarti, fratello» giurò il
giovane pirata.
Feliciano
sorrise, incommensurabilmente contento, e la luce
da lui sprigionata aumentò ulteriormente.
E
io cercherò di
proteggervi nel vostro percorso. Infrangerò il Palazzo di
Quarzo, se sarà
necessario.
Improvvisamente,
Feliciano si piegò su se stesso, guaendo
ferito. Lovino si alzò bruscamente in piedi, spinto da un
irrazionale desiderio
di aiutare il gemello.
I
viaggi astrali
sono molto faticosi, fratello,
boccheggiò
Feliciano, con un sorriso amaro sul viso dolce. Pare
che io abbia raggiunto il mio limite.
«Aspetta!»
proruppe Lovino, stringendo inutilmente il vuoto
luminescente di cui era composto il gemello. Era crudele, era troppo
crudele:
si erano visti alcuni istanti, solo per rendere ancora più
intollerabile la
loro separazione.
Feliciano
lo avvolse con la sua aura calda e luminosa, e gli
bisbigliò amorevole:
Ti
sto già
aspettando, fratello. Non smetterò mai di aspettarti.
Lovino
tenne gli occhi ben aperti, senza nemmeno battere le
palpebre per cibarsi fino all’ultimo istante
dell’immagine del consanguineo:
Feliciano continuò a sorridergli, sempre più
triste man mano che il suo corpo
si dissolveva in minuscole briciole di luce. Un’ultima
lacrima, fulgente come
le particelle dell’Asse, si dissolse nell’aria
prima che Feliciano sparisse
completamente.
E
solo quando fu sicuro che il fratello non potesse più
vederlo
né sentirlo, Lovino lasciò i singhiozzi liberi di
fracassargli il petto e le
lacrime di inondargli il viso.
«Quello
era l’Asse?» domandò atono Ivan.
Antonio
non rispose, accostandosi al giovane per sincerarsi
del miracolo avvenuto. Affogato in un mare di lacrime, Lovino era
lì, disperato
e singhiozzante, ma vivo. E il capitano non si accorse quasi delle sue
braccia
che correvano a stringere il corpo del ragazzo, sobbalzante nel pianto.
L’idea
di averlo perso lo aveva annichilito, lasciando solo un rametto
essiccato
dell’albero che era la sua anima, e la gioia di averlo di
nuovo vivo grazie ai
poteri del gemello lo aveva sopraffatto completamente.
Si
riscossero da quella strana stasi emotiva solo quando
Ivan annunciò, neutro:
«L’Hellsing…»
***
Ludwig
appoggiò una mano sugli occhi di Feliciano, e
consigliò:
«Non
hai bisogno di alzarti adesso. Devi essere stremato.»
L’Asse
mosse a malapena la testa, i muscoli ruggenti di
dolore per la fatica.
«Sei
riuscito a vederlo? Muovi il dito una volta per
confermare, altrimenti resta fermo» patteggiò
Ludwig.
L’indice
di Feliciano raspò con enorme sacrificio il
lenzuolo. Il Guardiano registrò l’informazione e
proseguì:
«Sei
riuscito a salvarlo?»
Se
anche non avesse mosso il dito, Ludwig avrebbe comunque
capito la risposta dalla luce che improvvisamente si propagò
da tutto il corpo
sfiancato del giovane.
«Ne
sono lieto. Ora riposati. Elaborerò una scusa per
giustificare la tua assenza alle funzioni» fece per alzarsi,
ma un cinguettio strozzato
lo trattenne.
«As…
aspet…»
Ludwig
afferrò la mano che si agitava con la forza sfinita
di un animale nella tagliola e la portò al cuore.
«Non
sei solo. Non lo sei mai stato» gli ricordò,
garbato. «Tuo
fratello è sempre stato con te, non è forse
così?»
Gli
occhi di Feliciano si schiusero appena, una fessura di
gioia e lacrime sul volto spossato.
«Nel
mio sangue…» esalò, prima di far
crollare il capo sul
cuscino e le palpebre sugli occhi.
Ludwig
appoggiò la piccola mano del giovane sul materasso, e
coprì il suo corpo minuto con il lenzuolo.
Non
aveva mai visto Feliciano usare i suoi poteri. Dovevano
essere strabilianti per permettergli di salvare una persona con il solo
spirito. In quel fisico così esile abitava
un’anima più grande della
Confederazione stessa.
Fissò
la sua mano, poggiata su quella del futuro Asse. Era
così grande che riusciva a coprirgli perfino il polso. Lo
sguardo gli cadde
sulle vene visibili sotto la pelle eburnea; il sangue che lì
scorreva li legava
ai loro familiari.
Ludwig
scrutò il suo polso, assorto.
Anche
il suo sangue lo legava al fratello?
Scosse
il capo, sospirando. Lui e Gilbert avevano un
rapporto molto più complicato. Non era propriamente il
sangue a legarli. Ma l’Hellsing
era stato tutto il suo mondo, e lui gli aveva voluto bene con tutto il
cuore e
tutta l’anima.
Stava
rievocando con la mente i ricordi del passato quando
all’improvviso un tuono scosse il suo petto. Ludwig
portò una mano al cuore,
paralizzato dallo stupore. Il tuono si ripeté, seguito da un
fulmine.
Istintivamente,
puntò lo sguardo verso il lucernario,
spiazzato.
«Gilbert…?»
balbettò.
Ma
il cielo restò muto.
Sesto capitolo, Prigione Caina e ricongiungimento fraterno<3
Spero vi sia piaciuto (^O^)
E il protagonista del prossimo sarà Gilbert-Ore-sama!-Hellsing<3
E i banner sono sempre opera di Clau-tan<3 se riconoscete gli autori delle immagini avvisatemi che inserirò i credits<3
Al prossimo lunedì<3
Red