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Autore: Blam_    22/10/2013    1 recensioni
Mi chiedo che senso ha?
Non la vita. La vita non ha nessun senso. Già il parto è una cosa inutile: devi soffrire per regalare al mondo una vita che probabilmente non avrà nessun senso.
Prima dovevi sopravvivere per vivere, ora se sei vivo esisti.
La vita è un peso.
Ma che senso ha?
Si può essere indipendentemente liberi?
Genere: Avventura, Commedia, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Ero sempre solo. Il mio carattere timido e solitario non migliorava le cose. Facevo sempre fatica a relazionarmi con altri bambini di altri paesi ma non per le differenti lingue bensì per il semplice fatto che amavo la solitudine ed ero impacciato nella vita sociale di un essere umano. Così presi l'abitudine di giocare con me stesso, di parlare a me stesso e di vivere per me stesso. Diventai un vero e proprio re della solitudine con tanto di corona. Iniziai a vivere in una reatà solo mia, feci in modo di crearmi un mondo interamente soggettivo dove io non ero il protagonista degli eventi ma una comparsa, un individuo come tutti gli altri che lottava per imprimere una propria impronta agli altri, per rendersi immortale con la semplice magia del ricordo. Cercavo infatti in ogni modo di farmi riconoscere, sopratutto con gli adulti. Già da piccolo sviluppai una notevole capacità oratoria che mi diede il soprannome di Cicerone perchè mi infilavo in ogni discorso politico ed economico, ogni disputa ideologica tra mia madre e il gruppetto di turno. Ero una faina che si cibava del sangue delle galline con l'intento di farsi notare. Non ero egocentrico o un inguaribile esibizionista. Io odio l'esibizionismo. Cercavo solo un modo per sfogarmi, per esprimermi, per fuggire dal mio mondo dove in nessun modo riuscivano a capirmi e che mi stava rendendo schiavo di un'illussione. Fuggivo da un'illusione per entrare i un mondo illusorio come scoprii poco dopo. Con il passare del tempo appresi che per essere notati bisognava essere se stessi poichè ognuno di noi è diverso pur essendo uguale ma purtroppo molti preferiscono essere altri creando così una grande e grigia massa di imbecilli. Quindi io potrei definirmi l'originale di turno con le mie idee rivoluzionarie pessimistiche e il mio fare da intellettuale schizzato con tanto di abbigliamento..emh...inusuale e immaginazione sclerica. Capii che potevo esplodere su una tela bianca grazie a mio zio o sui tasti di un pianoforte grazie a mia nonna. Già, perchè anche dopo 13 anni di viaggi estremi, dopo l'annullamento dei fondi che riceveva da mio nonno, mia madre continuò a tener fede alla promessa che la vincolava a tornare una volta ogni anno dai suoi viaggi a quella che io continuerò sempre a chiamare casa. E' lì che cercai il mio posto e sempre lì mi fu dato. Quando mia madre comparve per la prima volta con me in braccio davanti gli occhi dei suoi genitori, la loro reazione fu " Mio dio! Ma come lo hai vestito?!". Nessun avviso, nessuna lettera in cui mia madre spiegava che aveva partorito. Si presentò ai miei nonni con me che sbrodolavo saliva in un bellissimo giorno primaverile, almeno così ho potuto constatare da una foto in cui i quattro fratelli di mia madre mi litigano davanti un ciliegio fiorito. Nessuna domanda riguardante il padre, il come, il perchè. Mi accettarono e basta. Ormai esistevo che bisogno c'era di fare una sceneggiata da sop-opera? Devo però dire che la mia famiglia è sempre stata strana. Ognuno aveva ereditato un difetto e un pregio dai defunti antenati: zio Diego era sveglio ed intelligente e orribilemente furbo, sembrava uno stratega militare quando giocava a scacchi o a dama e nessuno era mai riuscito a batterlo in una partita di RISIKO; zio Ennio invece eccelleva nelle materie umanistiche ma aveva un unico difetto che lo rendeva insopportabile: era troppo presuntuoso. Mia zia Tania sembrava un ippopotamo: amava dormire in apnea. Era così pigra che a volte non trovava nemmeno la voglia di respirare e si faceva venire l'asma però ha sempre avuto un'abilità pazzesca nel trovare la risposta a piccoli e grandi indovinelli, anche in quegli più assurdi la cui risposta poteva essere qualsiasi cosa. La sua capacità logica compensava il suo bisogno di stendersi e dormire profondamente. L'unica che aveva più difetti che pregi era mia zia Celìa: amava il gossip, fare la spia e impicciarsi nei più segreti affari di tutti, inoltre parlava prima di pensare e a volte nei pranzi di famiglia, quando si scontravano numerosi pareri diversi di quello o di questo, lei veniva zittita a priori. Però sapeva raccontare bene le storie. Mi ricordo ancora del mito di Euridice ed Orfeo raccontato con il suo tono dolce e deciso che ti cullava dolcemente nello spirito del racconto e che infine ti faceva sprofondare con la esta sul cuscino in un sonno populato da fantastiche avventure epiche, di dei e guerre tra semidei e capre alate. Mia nonna era stata una pianista, aveva manualità anche nella pittura ma era egocentrica e lunatica mentre mio nonno....mio nonno era uno di qui nonni che si siedevano sule poltrone con una pipa in mano e ti guardavano finchè le pupille non ti diventavano rosse e non ti addormentavi con gli occhi aperti. Mio nonno era la persona che amavo di più in quella gabbia di matti. Era sadicamente burbero, pigro. Aveva un amore insano per la filosofia e l'insegnamento: quando andò in pensione ricordo che ebbe un periodo da medioevo, buio e depresso. Ma lo amavo o stesso perchè era 'unico che riusciva a descrivere la realtà come veramente era, una qualità rara. Ogni anno aspettavo quella settimana da Dio che mia madre organizzava sempre in un giorno diverso ogni anno, fino al mio 11esimo compleanno perchè comprese che mi serviva un'educazione professionale che un eremita induista non avrebbe mai potuto darmi;purtroppo la ragion di spirito non è ben vista da coloro che hanno la ragione radicata nei soldi. Così ho iniziato ad avere un'identità precisa e radicata a partire dai miei 11 anni quando mi stanziai in definitiva a casa, costringendo mia madre a starmi vicino e a tutelarmi poichè io le appartenevo. Dapprima fu un putiferio tra carte per la cittadinanza e l'istituto delle anagrafe, le notti in bianco per cullare i neo-nati di mio zio Ennio, due gemelli che amavano fare baldoria di notte tra le tette della loro arcigna madre, e le proteste di quelli che già avevano usato quelle culle e che si apettavano una notte tranquilla.
  
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