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Autore: Cassidy_Redwyne    22/10/2013    4 recensioni
Quattro amiche diversissime fra loro, eppure inseparabili, vengono a conoscenza del prestigioso liceo di St. Elizabeth. In cerca di una nuova sistemazione scolastica, le ragazze decidono di iscriversi, del tutto ignare di ciò che le attende all’interno dell’istituto.
L’aspetto e il comportamento degli studenti, infatti, sono davvero bizzarri, per non parlare di quei quattro affascinanti ragazzi in cui le protagoniste si imbattono durante i primi giorni di scuola… si tratta di un colpo di fulmine o di un piano magistralmente architettato alle loro spalle?
Tra drammi adolescenziali e primi batticuori, le quattro sono pronte a smascherare una volta per tutte il segreto che si cela fra le mura del misterioso istituto.
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Lucas imboccò l’uscita del campetto e attraversò correndo il giardino, diretto all’ingresso.
«LUCAS, FERMATI!» gridò Arianna, che gli stava dietro a stento, ansimando.
Una pioggia di foglie morte danzava tutto intorno a loro, impreziosendo il giardino di varie tonalità ocra e rosso bruno.
Il ragazzo si voltò e sorrise, continuando a correre, del tutto ignaro del rastrello a terra davanti a lui.
«LUCAS! Attent...
Troppo tardi.
Lucas poggiò il piede sul rastrello che, sollevandosi di scatto, lo prese in pieno volto. Il ragazzo emise un gemito e crollò a terra, privo di sensi.
«Così maledettamente... plausibile» sbuffò Arianna, avvicinandosi al ragazzo.
Mentre gli controllava il respiro, per accertarsi che fosse regolare, notò con la coda dell'occhio una figura dirigersi a passo di carica nella loro direzione. Impallidì ma, voltandosi di scatto, vide che non stava puntando loro, bensì un grosso cespuglio poco più avanti dal quale, osservò la ragazza stupita, provenivano mugolii soffocati.
Certa che la figura non li avesse visti, Arianna si nascose dietro ad un altro cespuglio, trascinando con qualche difficoltà il massiccio corpo di Lucas con sé. Da lì, perfettamente mimetizzata tra le fronde, poté assistere indisturbata alla scena. E ciò che vide la lasciò di stucco.
Un uomo si era appena piazzato di fronte ai cespugli, con le mani sui fianchi. Un uomo  alto e magro, con un uniforme della scuola e corti capelli grigi.
Lo riconobbe come Gérard, uno dei custodi della scuola. E, a giudicare da come gli tremavano il volto e le mani, doveva essere davvero infuriato.
«Voi due. In piedi» disse. Si sforzava di mantenere un tono di voce calmo, ma il comando era comunque parso come l’abbaio di un cane rabbioso.
Arianna si sentì inorridire, ma l’uomo non stava guardando loro. L’ordine era rivolto ad Angie e Night, che spuntarono coperti di foglie e lividi dal cespuglio davanti a quello dov'era nascosta. Lei aveva la camicia dell'uniforme sporca di terra e le braccia coperte di graffi, lui il viso gonfio e ricoperto di lividi e ferite .
Sempre a picchiarsi, pensò Arianna, levando gli occhi al cielo.
«Gérard?» esclamò Night. Il ragazzo era impallidito di colpo. «Lei cosa ci fa qui?»
«Cosa stavate facendo?» chiese lui, ignorando la domanda del ragazzo. «Eravate incaricati di ripulire il giardino dalle foglie morte! Invece vi stavate picchiando, non è così?» gridò,  trafiggendoli con lo sguardo e sputazzando saliva dappertutto.
Angie fece per annuire, ma il ragazzo la bloccò con un movimento del braccio e la attirò a sé, abbassando debolmente lo sguardo.
«È così imbarazzante... Gérard, le prometto che non faremo più cose del genere rischiando di essere visti. Quel genere di cose, capisce?»
Angie spalancò di scatto la bocca in un moto d’orrore, seguita a ruota da Arianna dietro i cespugli e, inevitabilmente, da Gérard.
«Capisco che questa scuola mandi in confusione i vostri ormoni, ma non azzardatevi più a fare quel genere di cose in giardino, CHIARO?» berciò il custode, senza riuscire a trattenere una smorfia di disgusto.
Night assunse un’espressione pentita e annuì lentamente, mentre Angie rimase immobile, a bocca teatralmente spalancata, tant’è che, notò Arianna, il ragazzo dovette darle un paio di gomitate prima che l’amica annuisse a sua volta.
«Oh, ci dispiace così tanto, Gérard» mormorò Angie, sorridendo con aria imbarazzata. «Cercheremo di non farci più prendere la mano.»
«Uhm...» Gérard strinse gli occhi. Non sembrava granché convinto, ma alla fine si limitò a scrollare le spalle.
«Vi tengo d'occhio, coppietta sospetta» borbottò poi, allontanandosi.
Non appena il custode ebbe superato l’ingresso, il sorrisetto di Angie si deformò all'istante.
«DEFICIENTE! COSA CASPITA GLI HAI DETTO?!» urlò al ragazzo, trattenendosi a stento dal saltargli addosso.
«Se gli avessimo detto la verità, sarebbe stato mille volte peggio, non credi?» mormorò lui, sospirando.
«Ma  adesso crede che noi stiamo insieme!» si lagnò la ragazza, disperata.
Night scrollò le spalle. «Allora glielo faremo credere.»
«Non potevi inventarti una scusa migliore?» protestò Angie, infuriata. «Siamo gonfi e ricoperti di graffi, pensi si sia bevuto la tua storiella?»
«Be’…» Night scoccò un’occhiata al cespuglio dietro di loro. «Farlo nei cespugli deve essere doloroso. Almeno credo.»
La ragazza soffocò un urlo di rabbia, ma fu interrotta da un’improvvisa e fragorosa risata proveniente dai cespugli.
Sotto gli occhi esterrefatti dei due ragazzi, Arianna emerse gattonando da dietro un cespuglio, con le lacrime agli occhi.
«Arianna!» Angie sgranò gli occhi. «Che cosa ci facevi qui?» chiese poi, lo stupore che lasciava il posto al sospetto, mentre la squadrava con aria minacciosa.
L’altra ragazza, intanto, continuava a ridere a crepapelle.
«Rivers, hai sentito tutto?» domandò Night, fissandola con sguardo truce. «Tieni chiusa quella bocca, se vuoi rimanere tutta intera.»
Arianna si fece seria in un attimo. Più per proteggere la sua immagine di ragazza impassibile che per le loro minacce, a dirla tutta.
«Non mi conosci proprio» replicò, ricambiando lo sguardo di Night senza alcun timore. «Non dirò niente a nessuno. Ma voi cercate di stare attenti…» aggiunse, spostando lo sguardo su Angie. Quel bidello sembrava davvero pericoloso e, anche se non gliel’avrebbe mai confessato, non le piaceva l’idea che avesse preso di mira una sua amica.
Poi si schiarì la voce. «Potete aiutarmi con Lucas?» Indicò i cespugli con lo sguardo e borbottò: «È svenuto.»
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata e la guardarono perplessi.
«Ha preso uno dei vostri rastrelli in fronte» si affrettò a spiegare lei, traendo un lungo sospiro.
I tre si avvicinarono al cespuglio dal quale era spuntata Arianna. Dietro c’era Lucas, sdraiato ed immobile, con gli occhi semiaperti e la lingua che gli penzolava da un lato della bocca.
«È inquietante» constatò Angie, facendo un passo indietro e lanciando a Night uno sguardo eloquente. Poi incrociò le braccia sul petto, nel caso lui non avesse afferrato il concetto.
Lui la fulminò con gli occhi. «Ho capito. Lo porto io in infermeria» borbottò, chinandosi e sollevando il ragazzo apparentemente senza alcuno sforzo.
Arianna non riuscì a trattenersi dal lanciargli uno sguardo d’ammirazione.
«Cosa pensate di fare con Gérard?» chiese poi, mentre si avviavano verso l’ingresso dell’edificio.
«Gérard è uno con cui non si scherza, lo so per esperienza. Sarà meglio fargli credere che noi stiamo insieme» rifletté Night, sospirando.
Per tutta risposta, Angie imprecò.
Night ed Arianna si scambiarono un’occhiata e non replicarono.
 
Mentre salivano le scale dirette al portone d’ingresso, con Arianna qualche gradino davanti a loro, Angie ribolliva dalla rabbia.
Non voleva far finta di essere la ragazza di Night e la cosa che più la faceva arrabbiare era che il ragazzo non sembrava mostrare alcuna preoccupazione al riguardo.
Lo osservò con la coda dell'occhio e notò che il suo sguardo era fisso su Arianna.
Ma su un punto preciso di Arianna.
«VUOI SMETTERE DI FISSARLE IL CULO?» urlò allora.
Night si voltò di scatto a guardarla con espressione colpevole. Beccato, stronzo.
Arianna, che stava aprendo il portone in quel momento, si voltò a sua volta e trafisse il ragazzo con lo sguardo.
«Con me il vostro segreto è al sicuro, comunque» disse, per poi gettare un frettoloso sguardo all’orologio. «CASPITA! Tra poco ho l'incontro con le cheerleader! Devo scappare!» aggiunse, lanciando un’ultima occhiata a Lucas e sparendo all’interno dell’edificio.
Night fermò il portone con un braccio un attimo prima che sbattesse.
«Ci sarà da fidarsi?» borbottò poi, rivolta ad Angie, quando l’altra non fu più a portata d’orecchio.
«Arianna è una fin troppo seria» rispose lei. «Ma sappi che io non ho nessuna intenzione di coprirti in questa sceneggiata.»
Detto ciò, si allontanò a passo veloce, piantando Night e l’inquietante colosso biondo che teneva sulle spalle nel bel mezzo dell’atrio.
 
****
 
I giorni trascorsero veloci e ben presto abbandonammo definitivamente il proposito di parlare con la preside delle stranezze della scuola.
Sentivamo lo sguardo di Gérard che ci seguiva dappertutto e temevamo di essere colte di nuovo con le mani nel sacco. Oltre a tutto ciò, non avevamo materialmente il tempo di pensare alla nostra indagine, prese com’eravamo dalla nuova routine scolastica, che scoprimmo essere davvero impegnativa.
I professori erano davvero esigenti, anche se spesso in classe non riuscivano a fare lezione, tanto erano disturbati da alcuni studenti, che scoprii essere membri della famigerata banda di Night. Quei ragazzi esagitati tenevano in scacco gli insegnanti come fossero stati loro coetanei e la cosa mi lasciava davvero allibita. In cuor mio mi chiedevo come Angie riuscisse a tenere testa al leader di una banda così pericolosa, anche se non potei fare a meno di notare che Night, malgrado la sua terribile fama, si esponeva raramente durante quegli episodi. Se si escludevano tutti i pestaggi e i litigi con Angie durante le ore di lezione, ovviamente.
L’autunno lasciò il posto all’inverno e con lui arrivò il vero freddo. Non mi ero mai abituata al clima inglese e il gelo di quella regione era persino peggio di quello a cui ero abituata a casa, nella campagna di Londra. Fuori tirava un vento gelido e fastidioso e ormai non uscivamo quasi più in giardino, con grande gioia di Angie, che non ne poteva più di fare giardinaggio per punizione.
L’8 Dicembre, anniversario della morte dell’idolo musicale di Beth, John Lennon, scoprimmo che, per un infame segno del destino, in quel giorno cadeva anche il compleanno di John.
Quella mattina Beth si era rifiutata di uscire di camera anche per le lezioni, malgrado le nostre proteste. L’avevamo lasciata sul suo letto, a canticchiare Imagine tra i singhiozzi, circondata da dischi e immagini di Lennon che di tanto in tanto abbracciava.
Angie e Arianna erano rimaste scioccate da quella visione, ma io le avevo rassicurate dicendo che accadeva così tutti gli anni e di non farci caso, così ci eravamo recate in classe, lasciandola sola.
Avevamo detto al professor Anderson che Beth stava poco bene – sarebbe stato difficile spiegargli il vero motivo della sua assenza – ma, quando lui mandò una custode a controllare la nostra amica, noialtre ci lanciammo degli sguardi preoccupati, al pensiero di ciò a cui la bidella avrebbe assistito.
Ma forse Beth aveva trovato un’altra fan, perché la donna tornò poco dopo in classe con le lacrime agli occhi, stringendo tra le mani uno degli ultimi dischi di John Lennon prima della sua morte, a mo’ di reliquia. Il professor Anderson si astenne saggiamente dal commentare.
All’ora di pranzo eravamo finalmente riuscite a portare Beth al piano di sotto ma, una volta in mensa, la ragazza aveva adocchiato John.
Non avrei saputo dire se per il nome o per l'aspetto che un poco lo faceva assomigliare a Lennon, ma Beth aveva quasi avuto una crisi isterica nel vederlo e il povero ragazzo era rimasto esterrefatto di fronte alla sua reazione. Beth infatti l’aveva additato ed era scoppiata in lacrime, continuando a gridare “Tu! TU!”, finché non l’avevamo trascinata via di peso.
John era rimasto a fissarla con occhi strabuzzati: immaginai che sapesse di non stargli troppo simpatico, ma non credeva certo fino a quel punto. Spedimmo quindi Arianna a spiegare a John il motivo dell’umore della nostra amica ed il malinteso fu subito chiarito e, fortunatamente, dopo quel giorno Beth tornò a essere quella di sempre.
 
Il freddo nel frattempo imperversava ma, malgrado la sua vecchia architettura vittoriana, il St. Elizabeth possedeva dei moderni impianti di riscaldamento e non faceva penetrare all’interno nemmeno una minima traccia di gelo e umidità. Dentro la scuola, infatti, c’era sempre un piacevole tepore e dopo le lezioni preferivamo rimanere in camera o nella sala comune. Come tutti gli altri studenti, con quel tempo evitavamo saggiamente di uscire all’aperto.
Una mattina, però, quella psicopatica della nostra professoressa di ginnastica, la Cooper, ebbe la brillante idea di portarci tutti fuori per fare una prova di salto in lungo.
La classe si era riunita nel campetto e si gelava, tanto che eravamo tutti stretti gli uni agli altri nel tentativo di riscaldarci, come dei pinguini. Eravamo tutti imbottiti per fronteggiare il freddo e, come ci fece notare la Cooper con aria seccata, la nostra mobilità per il salto in lungo sarebbe stata compromessa, ma a nessuno sembrava importare granché.
Battevo i denti dal freddo, mentre attendevo immobile il mio turno in fila, così presi a guardarmi intorno, nel tentativo di distrarmi. Da un lato il campetto costeggiava il giardino, quello in cui Angie e Night, circa un mesetto prima, erano stati costretti a rastrellare le foglie morte, dall'altro una collinetta brulla e deserta. Visto com’era incolta, dubitai che fosse di proprietà della scuola.
Tornai a guardare la fila e con lo sguardo cercai Beth che, facendo di cognome Anderson, doveva essere tra i primi a provare, ma mi accorsi che non c’era.
Mi guardai freneticamente attorno, ma la mia amica sembrava scomparsa nel nulla. Scervellandomi,  giunsi alla conclusione che doveva essere andata in bagno per evitare di fare l’esercizio e mi diedi della stupida per non averci pensato anch’io. In quel momento, i miei pensieri furono interrotti da uno strillo.
Era Angie che, poco lontano, stava litigando con Night. Strano.
«Lasciami in pace!» urlò lui.
«Ma mi hai pestato il piede!» replicò lei.
Intorno ai due si era radunata una piccola folla di curiosi. Decisi di avvicinarmi anche io, dopo aver lanciato una rapida occhiata alla fila: procedeva piuttosto lentamente e la professoressa Cooper, concentrata com’era sull’esecuzione degli studenti, non sembrava essersi accorta del litigio.
«Night, zittiscila a suon di pugni!» esclamò in quel momento un nostro compagno, Rick, a voce abbastanza alta perché entrambi lo potessero sentire, provocando numerose acclamazioni.
Quando Night incrociò il suo sguardo, il silenzio calò di colpo intorno a lui. Aveva assunto un’aria minacciosa e il sorriso strafottente sul volto di Rick si deformò all’istante.
«Scusa?» Gli occhi ridotti a fessure di Night tradivano il suo tono di voce pacato. «Cosa dovrei fare alla mia ragazza
Lo fissai un momento, non del tutto sicura di aver capito bene. La sua ragazza? Spostai subito lo sguardo su Angie e notai che lei sembrava stupita quanto me, ma nessuno pareva farci caso:  l’attenzione era tutta concentrata su Night, a cui i ragazzi stavano lanciando fischi e occhiate maliziose.
Cercando di non venire travolta dall’improvvisa confusione creatasi, mi sporsi tra i nostri compagni e rivolsi ad Angie uno sguardo confuso. Lei mi rispose scuotendo vigorosamente la testa e sillabando un “No”.
Avrei voluto avvicinarmi per chiederle spiegazioni, ma io ero bloccata dall’ingorgo di ragazzi, lei dall’abbraccio in cui Night l’aveva coinvolta.
 
Angie non riusciva a crederci. Night l’aveva fatto sul serio. Maledetto.
Dal giorno in cui erano stati colti in flagrante da Gérard e Night aveva addotto a quella scusa pietosa, il ragazzo non era più tornato sull’argomento, perché sapeva che lei non avrebbe mai accettato. Comunque, sembrava che non ce ne fosse più alcun bisogno: il custode aveva smesso di fare commenti sulla loro presunta relazione, anche quando si era trovato a metterli nuovamente in punizione. Di fronte allo sguardo confuso di lei, Night si era limitato a dire di aver fatto quattro chiacchiere con Gérard e non aveva aggiunto altro. Ad Angie, d’altro canto, non importava sapere di più: l’importante era che Gérard non la prendesse troppo di mira e che potesse continuare a darle di santa ragione a Night.
Così, credeva di essersi lasciata alle spalle quella storia una volta per tutte. Ma, a quanto pareva, si sbagliava di grosso.
Tentò con scarso successo di liberarsi dalla stretta ferrea di Night, di fronte agli sguardi curiosi dei suoi compagni di classe. Fatevi i cazzi vostri, stronzi, pensò, incenerendoli ad uno con lo sguardo.
Il ragazzo si avvicinò al suo volto, gesto che provocò altrettanti sguardi maliziosi e risolini, ma Angie sapeva che voleva solo sussurrarle qualcosa di maligno all’orecchio senza che gli altri lo udissero.
«Ora non hai più scelta» bisbigliò infatti. «Ti conviene stare al gioco, Gonnellina al Vento.»
Per tutta risposta lei si liberò con un ultimo, violento strattone e si allontanò, furibonda.
 
Alla fine la Cooper dovette accorgersi che mancavano diverse persone all'appello e ci richiamò per farci rimettere in fila, piuttosto scocciata da quell’interruzione.
Mentre ci riordinavamo, riuscii finalmente a raggiungere Angie. Fortunatamente le iniziali dei nostri cognomi erano vicine, quindi potevamo stare accanto senza creare disordine nella fila.
Tutte le ragazze vicino a noi parlottavano fra loro, continuando a lanciare sguardi in direzione di Angie, che si affrettò a fare loro il terzo dito.
«Che cazzo avete da guardare?!» sbraitò, fulminandole con lo sguardo.
Mi affrettai a distoglierla da loro, sperando in cuor mio che la Cooper non l’avesse sentita.
«Angie, cos'è questa storia?» le chiesi poi, confusa.
Lei mi rivolse uno sguardo affranto. «Kia, devi credermi! Quell’idiota mi ha incastrata, noi non stiamo insieme!» mormorò, con una punta di isteria nella voce.
Non capivo come mai Night avesse agito in quel modo, ma potevo capire la disperazione di Angie: detestava a morte quel ragazzo e adesso tutta la classe pensava che stessero insieme. Era finita in un bel guaio.
In quel momento dalla fila spuntò Arianna, seria e impassibile come sempre, che doveva avere già svolto l'esercizio.
«Posso sapere qualcosa anche io?»
 
****
 
Beth raggiunse la collinetta con il fiato corto, esausta e tormentata dai sensi di colpa.
Si sentiva davvero una stupida per aver mentito alla Cooper ed essere fuggita lì. Certo, odiava la ginnastica con tutta se stessa ed evitava spesso di parteciparvi, ma neanche il pensiero di aver saltato la prova di salto in lungo – probabilmente l’esercizio che detestava di più – la faceva sentire meglio.
Malgrado ciò che le era stato detto, non si sentiva affatto pronta per quello che doveva fare. E poi chissà cos’avrebbe pensato la Cooper, a cui aveva detto di dover andare al bagno, non vedendola arrivare prima di un quarto d'ora. E se l’avesse vista da lì?
Con il cuore in gola, lanciò un’occhiata al campetto sotto di lei dove, in lontananza, i suoi compagni erano ancora tutti in fila, in attesa di svolgere l’esercizio. Anche lei si trovava lì, giusto un attimo prima. Prima di alzare gli occhi sulla collina e vedere che c’era qualcuno.
Sperando che nessuno la notasse, proseguì, salendo ancora un po’ verso la figura che sedeva sulla cima della collinetta. Non poteva certo dire che non avesse scelto un bel posto. Da lì si godeva di un panorama davvero singolare: la collina sovrastava tutto il campetto, la porzione di giardino non nascosta dalla scuola e gran parte dell’imponente edificio di St. Elizabeth. Beth trovava che fosse davvero magnifico, con quel fascino un po’ antico, le pareti color quarzo e le colonne bianche. Eppure, dopo ciò che aveva scoperto, non riusciva ad apprezzare quella scuola fino in fondo…
Alzando di nuovo gli occhi verso la cima della collinetta, Beth realizzò con orrore che, dall’espressione divertita con cui la stava fissando, John doveva essersi accorto della sua presenza già da un pezzo.
Merda. Rossa di vergogna, non poté fare altro che avvicinarsi, consapevole di avere gli occhi di lui che la seguivano mentre arrancava faticosamente fino in cima.
Come aveva visto dalle pendici della collina, John era seduto a gambe incrociate e aveva la chitarra in grembo.
Beth aveva il fiatone, quando infine lo raggiunse, e il ragazzo ridacchiò, lanciandole uno sguardo sprezzante.
«Marini le lezioni?»
«Già. E noto con piacere che non sono l’unica» replicò lei a tono, lasciandosi cadere sull’erba accanto a lui. Si sentiva pesante e sudata, ma si strinse comunque nel cappotto quando un improvviso refolo di vento le penetrò nelle ossa, facendola rabbrividire.
Ben presto Beth realizzò che da lassù le raffiche erano più forti e la ragazza sperò ardentemente di non beccarsi un raffreddore per colpa di John. Il pensiero del ragazzo le fece ricordare che poco prima gli aveva risposto d’istinto e, maledicendosi tra sé e sé, si ricordò dei suoi propositi.
Si voltò verso di lui, facendo un respiro profondo. «Perché non torniamo a scuola? Qua si gela.»
John le scoccò un’occhiata. «Torna tu.» Poi abbassò lo sguardo sul campetto. «Fino a prova contraria, quella è la tua classe.»
Beth levò gli occhi al cielo e si sforzò di mantenere la calma, ma era un’impresa. Lei glielo aveva detto, di non essere all’altezza di quel compito: John riusciva a tirare fuori il peggio da lei e non aveva idea di come prenderlo.
«Quanto odio la ginnastica» borbottò, più a se stessa che a John, dimenticandosi del vero motivo per cui era salita fin lassù.
«Almeno su una cosa siamo d’accordo» disse lui.
Scrutandolo da sopra la spalla, Beth vide che stava sogghignando.
«Mi hai interrotto, comunque» aggiunse lui, piuttosto infastidito, riprendendo la chitarra fra le braccia.
La ragazza gli lanciò un’occhiataccia, evitando di rispondere. Sarebbe stato fiato sprecato.
Seguì il silenzio, interrotto solo dalle dita di John che lentamente riprendevano a pizzicare la chitarra.
Beth rimase piacevolmente in ascolto, distendendosi sull'erba.
Il vento sembrò calmarsi, il freddo sembrò d'un tratto meno ostile, tutto sembrò fermarsi di colpo.
Esistevano solo lei e la musica. Sì, forse anche John.
Beth si ritrovò a sorridere senza un vero motivo, inspirando l’aria fredda a pieni polmoni.
Dopo un po’ la melodia si interruppe e la ragazza tornò seduta, lanciando uno sguardo interrogativo a John.
Lui si era bloccato di colpo e fissava la chitarra con insistenza, le dita immobili sulle corde. Di colpo alzò la testa e puntò i suoi occhi color petrolio in quelli di Beth.
«Vuoi provare tu?»
Lei trasalì, presa alla sprovvista. Tutto si sarebbe aspettata, fuorché una proposta simile! Rimase un momento in silenzio, incerta sulla risposta da dargli. Un momento di troppo, forse.
«Ti ho fatto una domanda, mocciosa.»
Beth ignorò l’odioso nomignolo e infine annuì, poco convinta. Strusciando sull’erba, si avvicinò di poco al ragazzo, che le porse delicatamente la chitarra.
«Prova a rovinarla e sei morta» disse lui e non sembrava affatto scherzare.
Beth la prese tra le mani come se stesse maneggiando un reperto storico, attenta a non farla sbattere troppo quando se la posò sulle ginocchia. La studiò attentamente, soffocando un brivido d’emozione al pensiero che era quello lo stesso strumento che avevano maneggiato anche tutti i suoi più grandi idoli musicali.
Ma, al di là del fascino che suscitava in lei, Beth non aveva la più pallida idea di dove mettere le mani e così, dopo aver fissato la chitarra con aria inebetita per un po’, si voltò verso John, in trepidante attesa. Gli rivolse anche un sorriso timido, sperando ardentemente che lui comprendesse il suo disagio e si offrisse di darle qualche dritta. Ma aveva a che fare con una persona decisamente poco intuitiva.
«John» mormorò infine lei, dopo un’eternità. «Non so come si suona.»
«Stai scherzando?» fece lui, sgranando gli occhi. «Non sai neanche come maneggiarla?»
Scosse la testa, come se non riuscisse a credere alle sue orecchie, e fece una smorfia.
«Su, vieni» borbottò poi in tono seccato, allargando appena le gambe.
Beth lì per lì non capì. Stava facendo spazio a lei? A giudicare dall’espressione esasperata che John assunse quando vide che lei non si era mossa, sì.
«Guarda che non ti mangio mica» borbottò lui, vagamente divertito, facendole segno di avvicinarsi.
Beth obbedì, riluttante. Quando però sentì la sua schiena poggiare contro il solido torace del ragazzo, si sentì avvampare. Quel contatto non le piaceva per niente e si sentiva terribilmente a disagio. Non era così che doveva finire…
Ma, nonostante l'imbarazzo, cercò di concentrarsi sulla posizione delle mani che John le stava mostrando.
 
 
 
  
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